giovedì 23 luglio 2020

Conte tra MES e 4 marzo bis. - Tommaso Merlo


Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse 22-07-2020 Roma Politica Senato – Informativa del Presidente del Consiglio sugli esiti del Consiglio europeoDISTRIBUTION FREE OF CHARGE – NOT FOR SALE – Obbligatorio citare la fonte LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili

Vecchi politicanti e stampaccia speravano che Conte tornasse scornato in modo da attaccarlo ancora più ferocemente. Il loro scopo ormai é risaputo. Far saltare Conte e il suo governo e tornare alla cuccagna di un tempo. A quella che si godevano prima della tempesta del 4 marzo. Vedendo Conte tornare clamorosamente vincitore, vecchi politicanti e stampaccia gli hanno riservato il solito vile trattamento. Minimizzando, imbrattando di menzogne il trionfo del nemico o addirittura cercando di appropriarsene. Mai nessuno che ammette i propri errori. Mai nessuno che riconosce i meriti altrui. Una sottocultura retaggio di decenni di malaffare anche politico per cui fair play e onestà intellettuale sono un disvalore, roba da deboli e perdenti. Una sottocultura che inquina la politica di propaganda tossica e la riduce ad una rissa tra bande che giova solo agli ingordi di potere. Uno dei mali più infimi di questo paese e che si sta rivelando davvero arduo debellare. Conte non era nemmeno tornato che già rimbalzava ovunque lo spauracchio del MES. 

A vecchi politicanti e stampaccia del MES non importa un fico secco. Volevano solo sviare l’attenzione dell’opinione pubblica e rimettersi a piantar zizzania nella maggioranza. Sperano di spaccarla in modo da liberarsi di Conte e piazzare finalmente i propri beniamini nelle poltrone che contano. Un gioco sporco a cui si è prestato anche Zingaretti che si è messo subito a blaterare di MES nonostante Conte abbia portato a casa soldi sufficienti per farne a meno. L’obiettivo di certe interiora pidine è costringere il Movimento a rimangiarsi la parola e quindi fargli perdere consenso e stabilire nuovi rapporti di forza. Logiche giurassiche in attesa che qualcuno si degni di fare una seria operazione verità sulle condizionalità del MES visto che quel baraccone finanziario opera secondo leggi e trattati e non aleatori punti di vista. A piantar zizzania si è messo di mezzo anche il giallognolo spettro berlusconiano che ha ripreso ad aleggiare per i palazzi del potere. Oltre a tifare MES trama affinché il governo e quindi il Movimento si appoggi a lui in Senato dove i voti scarseggiano. Il classico abbraccio col diavolo. L’ennesima furbata che farebbe implodere l’odiato Movimento e spianerebbe la strada ad un governo a lui amico che magari cestini il conflitto d’interessi, dia garanzie eterne alle aziende di famiglia e soprattutto manometta la storia degli ultimi decenni in modo da lavargli la reputazione con la candeggina consentendogli un congedo sereno da nobile padre della patria invece che da sciagura epocale. Il vecchio regime non si è arreso ed agita tutti i suoi tentacoli. Essendo privo di fair play ed onestà intellettuale non lascerà mai spazio al cambiamento voluto a gran voce dai cittadini il 4 marzo. È due anni che resiste strenuamente e l’arrivo di una valanga di soldi dall’Europa lo ha ringalluzzito. Vogliono tornare a godersi la cuccagna ma c’è un imprevisto sulla scena politica che vecchi politicanti e stampaccia non colgono, il forte consenso conquistato da Giuseppe Conte nel paese. Loro lo detestano, ma i cittadini lo ammirano in massa grazie alla sua condotta inedita per la circense politica italiana e grazie a clamorosi risultati di cui l’ottima gestione della pandemia e il Recovery Fund sono solo i più eclatanti. Il consenso di Conte va ben oltre l’ambito del Movimento che lo ha espresso e perfino oltre la maggioranza. Se Conte decidesse di ricandidarsi, vecchi politicanti e stampaccia verrebbero travolti da una tempesta ancora peggiore del 4 marzo e la storia italiana potrebbe girare pagina per sempre.

https://repubblicaeuropea.com/2020/07/23/conte-tra-mes-e-4-marzo-bis/

Recovery festival delle bugie. - Gaetano Pedullà

CARLO CALENDA

Non ne azzeccano una neanche per sbaglio, ma più sono smentiti dai fatti più girovagano per le tv a confondere le acque su quello che è appena successo in Europa. La quasi totalità dei giornalisti fissi nei talk show anziché chiedere scusa per aver sballato tutte le previsioni sul Recovery Fund, da ieri ci spiegano che quella di Conte è stata una vittoria di Pirro, se non addirittura una fregatura. Ora se portare a casa 209 miliardi, per quanto divisi in prestiti e contributi a fondo perduto, è una fregatura, speriamo che il Signore ce ne rifili altri di questi raggiri. 
Tuttavia il racconto prevalente, certificato dai giudizi a senso unico ora di un leghista, dopo da un direttore a caso della Triplice del buon umore – LiberoIl Giornale e La Verità – e infine da un Calenda qualunque, è che l’Italia al tavolo europeo ha perso perché Conte non conta, i miliardi li vedremo il giorno del poi dell’anno del mai e semmai qualcosa arriverà non sapremo spenderla. Roba da correre a prendere un bel corno rosso da strofinare a ogni apparizione di tanti menagramo. Niente da fare se invece capitasse di incrociare Salvini, praticamente in ogni dove a cercar voti. In questo caso oltre a non riconoscere di aver fatto male i conti sulla risposta europea alla pandemia, oltre a spacciare impunemente il successo di Conte per un disastro, il pittoresco leader della Lega non scuce una parola sui suoi amici sovranisti che hanno condizionato l’Olanda e provato a negarci gli aiuti con cui abbiamo la possibilità di far ripartire il Paese. Malgrado iettatori, leghisti e i loro scendiletto giornalisti.

https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/recovery-festival-delle-bugie/

Lo Stato vende, ma l’affare è dei privati. I Benetton fanno il colpo immobiliare. - Nicola Borzi

Lo Stato vende, ma l’affare è dei privati. I Benetton fanno il colpo immobiliare

Nel centro di Roma - La famiglia veneta acquista i Palazzi ceduti dal Fip a prezzi non proprio alti.
A quasi 16 anni di distanza, la maxi cartolarizzazione di fine 2004 di immobili pubblici per 3 miliardi realizzata dal governo Berlusconi si rivela per ciò che è: un grande affare. Non per lo Stato, però: per molti grandi investitori privati che hanno comprato edifici di pregio dal Fondo immobili pubblici (Fip) a sconto e li hanno rivenduti e riaffittati a valori di mercato, grazie a preziose consulenze di ex dirigenti del Fip stesso.
Gli ultimi due esempi si concentrano nel cuore di Roma, in piazza Augusto Imperatore. L’edificio da 22mila metri quadrati tra la piazza, via della Frezza, via di Ripetta, via del Corea e via Soderini non è stato l’unico acquisto recente di Edizione Property. L’immobiliare della famiglia Benetton l’11 dicembre 2018 ha comprato per 150 milioni il palazzo dal Fip gestito da Investire Sgr, la società controllata da Banca Finnat della quale Regia Srl dei Benetton è socia con l’11,6%. Il 5 marzo scorso sempre i Benetton hanno finalizzato l’acquisto di 15mila metri quadrati nell’altro palazzo tra piazza Augusto Imperatore, via dei Pontefici, via del Corso e largo dei Lombardi. Atlantica Properties, società della famiglia Rovati, eredi della società farmaceutica RottaPharm, lo aveva comprato dal Fip il 28 settembre 2016 per 94,5 milioni più tasse e oneri per altri 2,9: dopo un anno di trattativa, lo ha venduto ai Benetton per 122.
Chi ha fatto l’affare? Di certo non l’Inps, che aveva ceduto gli immobili al Fip per un valore che il Fondo non vuol rendere noto. Per il primo edificio il valore di mercato a fine 2018 era di 180 milioni circa, per il secondo il prezzo è in linea con le quotazioni di fine 2019. Edizione Property ha affittato il primo palazzo alla catena di hotel Bulgari per 150 milioni in 10 anni e per il secondo risponde che “non commenta i valori economici. Il progetto non è ancora stato definito ma rispetterà tutte le norme e i vincoli”. Con la riqualificazione della piazza e del mausoleo pagata con 8 milioni da Fondazione Tim, tutta l’area sarà comunque valorizzata.
Il secondo edificio fu messo in vendita a maggio 2016 con una gara. Su 150 investitori istituzionali contattati, arrivarono quattro offerte tra 70 milioni e 95 milioni: la maggiore era di Atlantica Properties per 94,5 milioni corrispondente, secondo il Fip, a “un rendimento netto di circa l’1,6%”. Non un gran ritorno per il Fondo. Invece dopo appena tre anni e mezzo Atlantica Properties, vendendo ai Benetton, ha ottenuto una plusvalenza lorda di 24,6 milioni: il 25%.
Il merito è di Atlantica Real Estate, Srl (Are) che sin dalla fondazione nel 2015 è consulente immobiliare della società dei Rovati. Are per il 94% è di Clemente Di Paola, manager che nel 2000 ha fondato con Banca Finnat proprio Investire Immobiliare Sgr della quale, oltre che azionista, è stato direttore generale fino al 2008 gestendo il Fip. Da Investire ad Are con di Paola sono passate anche Stefania Macchia ed Eva Miceli. Grazie a Di Paola Atlantica Properties ha realizzato molte operazioni immobiliari e per i buoni consigli ricevuti dal 2015 al 2019 ha pagato ad Are commissioni per 15,9 milioni. Ma i legami non si fermano qui. In Are dal 2015 sino a maggio era vicepresidente il principe e finanziere Sigieri Diaz della Vittoria Pallavicini che dal 2015 sino a maggio scorso è stato anche consigliere della Fidim, la holding dei Rovati. Are ha sede nel palazzo romano dei Pallavicini in via 24 maggio al 43 dove c’è anche Athena Investments, società della quale il principe è vicepresidente. Contattate, né Atlantica Properties, né Are né Athena Investmens hanno commentato.
Molti affittuari non accettano lo sfratto da piazza Augusto Imperatore: fioccano le cause contro i nuovi proprietari che non hanno riconosciuto la prelazione, come quelle dei ristoranti Gusto e Alfredo l’originale. Non ci stanno pure i quaranta giornalisti che dal 2014 lavorano nella Sala stampa italiana, ristrutturata a spese loro con un affitto che scade tra due anni. C’è poi chi lì ci vive in affitto, come Jas Gawronski. Insieme ad altri inquilini l’ex corrispondente Rai, portavoce di Berlusconi, senatore ed eurodeputato ha fatto ricorso al Tar per ottenere il diritto di comprarsi l’attico con terrazzo dove da 18 anni ammira il mausoleo di Augusto.

Carabinieri arrestati a Piacenza, l’orgia con le escort in caserma e la scatola della terapia per la droga. Il Gip: “Come un romanzo noir”. - Giovanna Trinchella

Carabinieri arrestati a Piacenza, l’orgia con le escort in caserma e la scatola della terapia per la droga. Il Gip: “Come un romanzo noir”

Troppo lungo e così documentato l'elenco dei reati che il giudice per le indagini preliminari ha creduto di essere piombati nella fantasia di uno scrittore. E invece no: gli arresti illegali, le torture, la droga rubata agli spacciatori per fornirla ai pusher loro informatori durante il locokdown, la consegna e il trasporto di sostanze in divisa e sull'auto di servizio, era tutto vero.

Atti di indagini o le pagine di “romanzo noir“? Il giudice per le indagini preliminari di Piacenza, Luca Milani, a un certo punto dell’inchiesta che ha portato a scoprire l’esistenza a Piacenza di una caserma che potrebbe essere considerata a tutti gli effetti un covo di criminali, se l’è chiesto. Troppo lungo e così documentato l’elenco dei reati da credere di essere piombati nella fantasia di uno scrittore. E invece no: gli arresti illegali, le torture, la droga rubata agli spacciatori per fornirla ai pusher loro informatori durante il lockdown, la consegna e il trasporto di sostanze in divisa e sull’auto di servizio, contestati a vario titolo, era “tutto vero”. E se questi “reati gravissimi”, come li ha definiti la procuratrice capo di Piacenza Grazia Pradella, non fossero bastati a intessere la sceneggiatura, dove si davano “schiaffoni come in Gomorra“, leggendo le 326 pagine di ordinanza cautelare suddivise in capitoli con titoli come se fosse un libro, si viene a sapere che nella caserma di via Caccialupo almeno un carabiniere ha fatto sesso con le escort e secondo un teste anche festini a base di droga.
L’appuntato con la villa con piscina e 24 conti correnti – Ma non solo: i carabinieri avrebbero approntato, secondo le indagini, una sorta di nascondiglio dove pusher che li informavano potevano approvviggionarsi di droga: la “scatola della terapia” come la definisce lo spacciatore e informatore marocchino che ha cominciato a raccontare i comportamenti “sopra le righe” dei militari dell’Arma. Carabinieri, capeggiati da Giuseppe Montella, classe 1983, appuntato, che aveva un tenore di vita molto più alto di quanto permettesse il suo stipendio. Il nordafricano era stato convocato dalla polizia municipale di Piacenza dopo che un maggiore chiamato per una testimonianza aveva fatto ascoltare alcuni audio ai poliziotti che gli erano stati inviati dal pusher. L’ufficiale ha dichiarato agli inquirenti di non aver denunciato perché “non sfidava degli attuali dirigenti” ma riteneva che le dichiarazioni del marocchino potessero essere vere proprio per l’Audi sfoggiata dall’appuntato e la villetta in campagna con piscina rappresentavano un tenore di vita “ben al di sopra di quanto ordinariamente possibile per un militare dell’Arma del suo grado”. Il giudice ha disposto il sequestro dei beni e di 24 conti correnti.

L’incredulità del gip: “Tutto vero e reso più palpabile grazie al trojan”- Le indagini, coordinate dai pm Antonio Colonna e Matteo Centini, hanno rivelato fin dall’inizio “uno scenario estremamente preoccupante … Non è stato semplice rendersi conto, settimana dopo settimana, che dietro i volti sempre cordiali e sorridenti di presunti servitori dello Stato, incrociati più volte nei corridoi e nelle aule del Tribunale di Piacenza mentre svolgevano attività istituzionali, potessero celarsi gli autori di reati gravissimi – ragiona il giudice – è capitato spesso di alzare lo sguardo per capire se non ci si stesse trovando di fronte alle pagine di qualche romanzo noir riguardante militari infedeli. Tutto vero, invece, e reso ancor più palpabile e concreto grazie all’impiego di uno strumento investigativo inedito e potentissimo come il captatore informatico”, il trojan. Le intercettazioni ha restituito in diretta anche gli abusi commessi nella caserma: le botte, le lacrime del fermato, i colpi di tosse (qui l’audio dell’intercettazione). Nella stazione carabinieri Piacenza Levante sono state messe in atto “condotte poco trasparenti e gravemente scorrette” sia nei confronti dell’autorità giudiziaria sia e soprattutto nei confronti di chi “ingiustamente” era stato arrestato: condotte “illecite” che vanno viste “nell’ambito di un generale atteggiamento di totale illeiceità e disprezzo per i valori incarnati dalla divisa indossata“.

L’orgia con le prostitute in caserma e l’estorsione dell’auto – Montella, che aveva l’abitudine di nascondere i soldi illeciti nella cassaforte della caserma, racconta un episodio che dimostra per il giudice quanto fosse profondo quel disprezzo. È il 3 maggio quando l’appuntato parlando con un altro carabiniere, Salvatore Cappellano, che per il collega Giacamo Falanga, anche loro arrestati, avevano organizzato una serata per festeggiare una ricorrenza. “Quella sera due gliene ho fatte trombare” racconta Montella, “Lo scenario è quello di un’orgia” scrive il gip all’interno della stanza del comandante Marco Orlando (domiciliari) dove si era creato tale scompiglio che le pratiche sulla scrivania erano finite sparpagliate, come il cappello e la giaccia. Ma non solo le urla delle due donne, “presumibilmente escort” anche se un teste aveva parlato anche di una transessuale, avevano infastidito qualcuno che si era lamentato. Un comportamento in cui “forse” non sono ravvisabili reati ma che per il gip sono la metafora di quel disprezzo. È invece contestata l’estorsione per un altro episodio (4 febbraio) descritto dal giudice. In questo caso ci sono state minacce con l’arma d’ordinanza, botte ai dipendenti di una concessionaria e computer danneggiati per concludere la vendita di un’Audi A4 alle condizioni economiche da lui imposte: 10mila euro a fronte di un valore di 21.500 euro. Tra i reati contestati c’è anche il peculato. Con l’autovettura di servizio Fiat Punto i carabinieri della Stazione Levante di Piacenza andavano anche al ristorante, al bar, in negozi a Piacenza e addirittura a casa di uno di loro dove ad attenderli, a metà pomeriggio, c’era la mamma per la merenda da consumare prima di far definitivamente rientro in caserma. Gli altri militari arrestati sono Angelo Esposito e Daniele Spagnolo.

Sei mesi indagini, la scoperta delle cimici – In sei mesi di indagini – dal 20 gennaio e fino a pochi giorni fa – sono stati 53 i “target” delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Sono state 75mila le intercettazioni telefoniche e ambientali. Per tre mesi gli indagati sono stati intercettati e per tre mesi è stato un trojan a far emergere i comportamenti inimmaginabili. Questo perché a un certo punto il carabiniere insospettito dal rumore proveniente dalla sua auto l’aveva portata dal meccanico e aveva scoperto di essere intercettato. Impossibile dire quindi quante violazioni sarebbero state svelate se anche le altre cimici non fossero saltate fuori. L’ordinanza è stata divisa in capitoli: “la droga ai temi del coronvirus” che tratta della droga e dei rapporti illeciti con i pusher, “disciplina e onore” che racconta degli arresti illegali ma anche le scampagnate con l’auto di servizio o dell’orgia caserma, “la legge sono io” con l’episodio dell’estorsione, l’acquisto di anabolizzanti e la grigliata il giorno di Pasqua, “la paura” con la scoperta delle cimici e infine “la risposta dello Stato”. Capitolo che chiude il provvedimento, firmato il 19 luglio, definito “atto di giustizia” e dedicato a chi 28 anni fa, in via D’Amelio a Palermo perse la vita. Nell’attentato morirono Paolo Borsellino e gli uomini della scorta: Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi e Claudio Traina morti “compiendo il loro dovere” e “servitori dello Stato di tutt’altro spessore rispetto agli odierni indagati.


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Traduzione simultanea. - Marco Travaglio

Ora la Bocca della Verità ha un prezzo: per una foto si sborsano 2 ...
Nella commedia Viva l’Italia di Massimiliano Bruno, un vecchio marpione della politica (Michele Placido) è colto da uno strano malore che lo porta a dire, al posto delle solite menzogne, la pura verità. Con le conseguenze destabilizzanti che si possono immaginare. Quel film mi è tornato alla mente mentre facevo zapping fra i talk show estivi dedicati all’accordo europeo sul Recovery Fund. Su Rete4, a Stasera Italia, c’era un imbronciato Piercasinando, detto Er Forcone dei Parioli per aver vaticinato la cacciata di Conte inseguito dai forconi. Aveva la faccia da crisantemo di chi ha appena sepolto il gatto e non so cosa dicesse, ma sul cranio brizzolato campeggiava la nuvoletta dei fumetti con su scritto: “Soccia, e adesso come facciamo a levarci dalle palle ’sto Conte? Oh, ragassi, non facciamo scherzi con quei forconi: mica li vorrete usare contro di me!?”. Partecipava alle esequie Paolo Liguori che farfugliava le consuete fesserie, buone quando parla della Roma come quando discetta di politica, ma lo sguardo brillante da termosifone spento tradiva il vero pensiero: “E mo’ che dico? Sono mesi che dipingo Conte come un pirla e il padrone pareva contento, ma ora gli fa i complimenti. Meglio fare il vago: speriamo che la Gentili mi chieda la tabellina del sette”. A un certo punto s’è rivisto dopo secoli Paolo Garimberti, noto ciclista, ex presidente della Rai ed ex vicedirettore di Repubblica, detto Polentina per la calotta giallo-mais da Mastro Ciliegia: era lì per dimostrare che c’è chi rosica addirittura più di Salvini. Infatti, passando da ciclista a goleador, s’è detto stupito dell’esultanza di Conte: “Manco avesse segnato un gol! Ma quel gol l’avrei fatto anch’io!”. All’idea di Polentina al Consiglio Ue che battaglia giorno e notte con Rutte&C. e mette tutti in riga, in studio è calata una cappa d’imbarazzo mai vista neppure per il duo Maglie-Capezzone. Intanto, sulla chioma paglierina del Garimba, appariva implacabile la nuvoletta: “Guarda che mi tocca dire perché qualcuno, nel mio ex giornale, si ricordi che esisto”.
Ora, non so voi, ma io i balloon dei fumetti con la traduzione simultanea delle bugie li renderei obbligatori: sedute parlamentari, conferenze stampa, le dirette social, talk e giornaloni diventerebbero uno spasso.
Giuseppe Conte. “Il successo non è mio, ma dell’Italia. L’applauso del Parlamento mi ha emozionato, ma è per tutta l’Italia”. Traduzione: “Vi rode, eh, bastardi? Padre Pio, fammi la grazia, tagliami la lingua”.
Matteo Salvini. “È una fregatura grossa come una casa”. Traduzione: “Per me”.
Giorgia Meloni. “Conte si è battuto contro le pretese egoistiche dei Paesi nordici ed è uscito in piedi, ma poteva andare meglio”. Traduzione: “La figura di merda del rosicone la lascio al cazzaro”.
L’Innominabile. “Conte è stato bravo e gliene diamo atto”. Traduzione: “Tanto non vale, c’ho le dita incrociate dietro la schiena”.
Elisabetta Casellati. “Mi scusi, presidente Conte, ma non si possono fare fotografie in aula. Non usate macchine fotografiche, non si può fare!”. Traduzione: “Tutti ’sti applausi in aula a Conte non li sopporto, sgrunt… c’ho un travaso di bile, grrrr… che posso inventarmi per interromperli? Come? Le macchine fotografiche? Ma quali macchine fotografiche, idioti! Siamo nel 2020, ora ci sono gli smartphone! Ah, devo dire che le ho viste lo stesso? Bravi, idea astuta, non ci sarei mai arrivata. Adesso lo dico”.
Silvio Berlusconi: “Accordo buono. Pericolo per l’Europa dai partiti sovranisti”. Traduzione: “Cribbio, quel cazzaro mi farà diventare comunista”.
Renato Brunetta. “Avevamo consigliato al premier di andare a Bruxelles con spirito europeista”. “Un bene per il Paese, ma Conte ha presentato un’Italia piccola e furba”. Traduzione: “Per quella piccola ha seguito i miei consigli”.
Augusto Minzolini. “Il governo delle marchette rischia di fare crac sui fondi” (il Giornale, 22.7). Traduzione: “Io le marchette me le pagavo con la carta della Rai. Se serve una consulenza, sono qui”.
Daniele Capezzone. “Conte festeggia per nascondere la sconfitta” (La Verità, che lo firma “Capezzome”, 2.7). Traduzione (anzi, traduzione): “Stavolta mi vergogno troppo persino io. Scrivo in incognito”.
Vittorio Feltri. “Festeggiano Conte perché ci indebita”. “Non illudetevi, alla fine pagheremo noi”, “Occhio alla fregatura”. Traduzione: “Hic!”.
Stefano Folli (Repubblica, 22.7). “….”. Traduzione: “Oggi non scrivo. Rispettate il mio lutto, abbiate pietà”.
Marcello Sorgi. “Conte rafforzato. Sarà lui a dare le carte” (La Stampa, 22.7). Traduzione: “Prendete i miei pezzi degli ultimi due anni: dove ho scritto mai scrivete sempre, dove ho scritto brutto scrivete bello, dove ho scritto cade scrivete regge”.
Sabino Cassese. “Non è solo questione di soldi” (Corriere della Sera, 21.7). Traduzione: “Quel maledetto avvocaticchio porta a casa 209 miliardi, e io che dico? Occhio a non copiare Salvini, sennò da idolo degli antisovranisti divento l’idolo dei sovranisti. Dunque: se Conte porta patate, io dico che non è solo questione di patate; se porta soldi, io dico che non è solo questione di soldi. Furbo, io. Ammazza che volpe! Chissà se al Corriere ci cascano. Massì, dài, è una vita che se la bevono”.

mercoledì 22 luglio 2020

“Botte coi guanti ai detenuti. Celle speciali per le torture”. - Elisa Sola

“Botte coi guanti ai detenuti. Celle speciali per le torture”

Torino. Le accuse del pm Pelosi ai 21 agenti penitenziari “Pestaggi” e lesioni documentate. Contestato ai vertici il favoreggiamento.
Le celle delle torture erano quattro, nella Decima sezione: qui, secondo l’accusa, gli agenti portavano i detenuti “che davano segno di scompensi psichici”. Poi c’era la stanza al piano terra dove all’improvviso il carcerato da punire, preso da tre o quattro poliziotti dalla propria cella, veniva colpito con calci e pugni. Di solito due picchiavano, gli altri due guardavano. Ma le violenze, all’interno del carcere delle Vallette di Torino, avvenivano anche nei luoghi teoricamente pensati per la cura della persona. Come, sostiene il pm, l’infermeria. È qui che due poliziotti, tre anni fa, portano un detenuto, e gli sputano addosso mentre gli dicono “Figlio di puttana, ti devi impiccare”. Poi lo colpiscono con pugni al volto. Il carcerato uscirà da quel calvario con “un ematoma al volto, epistassi dal naso e lesione al dente incisivo superiore che ne provocherà la caduta”. E gli aguzzini lo minacceranno: “Devi dire che è stato un altro detenuto a picchiarti, se no lo rifacciamo”.
È soltanto uno dei numerosi episodi di violenza che il pm Francesco Saverio Pelosi contesta a 21 poliziotti penitenziari del carcere Lorusso e Cutugno, 17 dei quali sono accusati del reato di tortura. L’avviso di chiusura delle indagini, iniziate due anni fa, è stato notificato ieri agli agenti e due giorni fa ai vertici del carcere, indagati invece per favoreggiamento: il direttore Domenico Minervini (che risponde anche di omessa denuncia) e il comandante della polizia penitenziaria Giovanni Battista Alberotanza. Secondo quanto accertato dal Nucleo investigativo regionale della polizia penitenziaria, che ha svolto le indagini coordinato dalla procura, Minervini e Alberotanza sarebbero stati consapevoli delle “crudeltà” che avvenivano dietro alle sbarre, ma avrebbero coperto i poliziotti, senza denunciare i fatti all’autorità giudiziaria. Le vittime delle sevizie sono almeno dieci: carcerati condannati per reati sessuali o pedofilia.
Agire con “crudeltà”, per il pm Pelosi, così scrive nella descrizione dei capi di imputazione, significa provocare “acute sofferenze fisiche e psichiche” ai detenuti ledendo la loro “dignità”. L’elenco degli abusi di potere e delle violenze mostra uno spaccato da incubo.
Il 17 novembre 2018 tre poliziotti portano una vittima in una stanza in cui non c’è nessuno. “Per quale reato sei detenuto?”, è la domanda che dà il via alle botte. Secondo l’accusa, il primo agente dà al detenuto uno schiaffo al volto. Il secondo mette i guanti, così può picchiarlo senza lasciare troppi segni: infierisce in pieno volto e sulla testa. Il terzo lo riempie di pugni alla schiena. Quando, dopo il pestaggio, il carcerato viene riportato nella sua cella, non è finita. Viene obbligato a stare in piedi contro il muro, di modo che lo vedano tutti i compagni che stanno per tornare dall’ora d’aria.
Le presunte torture sarebbero avvenute anche nei confronti dei malati. Come a un detenuto colpito da “una crisi psicomotoria e legato in barella”. Mentre era immobile, un agente “lo colpiva ripetutamente al volto facendogli sanguinare il naso”. Un altro carcerato, a terra sofferente in attesa del Tso, veniva invece “colpito ripetutamente con violenti pugni al costato”. Lui urlava, “i poliziotti ridevano”, scrive il pm. Sul perché avvenissero i pestaggi, non ci sarebbero molte spiegazioni. Se non la volontà di “punire” persone condannate per reati consideranti infamanti, come la violenza sessuale. La rabbia di volere attuare una sorta di perversa giustizia fai da te trapela dalle parole di un agente indagato, che dopo aver buttato giù dalle scale a calci un uomo, urla: “Ti ammazzerei, invece devo tutelarti”. O ancora: “Ti renderemo la vita molto dura, te la faremo pagare, ti faremo passare la voglia di stare qui”. L’accoglienza riservata a chi metteva piede per la prima volta nel carcere, è spiegata nella descrizione dei reati contestati a tre agenti. Al nuovo arrivato, ricostruisce il pm, consegnano il kit con le lenzuola, poi lo accompagnano in cella. Mentre sale le scale, lo atterrano con un calcio a gamba tesa: le ferite riportate lo faranno zoppicare per tre mesi. Il “neo giunto” sarà costretto a dormire sulla lastra di metallo del materasso. Lo priveranno, sempre secondo l’accusa, dell’ora d’aria e della possibilità di vedere un medico.

“Maxitangente per l’affare Eni in Nigeria”. Chiesti otto anni per Scaroni e Descalzi. - Gianni Barbacetto

“Maxitangente per l’affare Eni in Nigeria”. Chiesti otto anni per Scaroni e Descalzi

Richieste pesanti, anni di carcere e rimborsi miliardari. Dopo due intere giornate di requisitoria, i pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro hanno formulato le richieste di pena per gli imputati del processo Eni-Nigeria, accusati a Milano di corruzione internazionale. Ben 8 anni per l’appena riconfermato amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, e per il suo predecessore Paolo Scaroni; 6 anni e 8 mesi per l’intermediario Luigi Bisignani e per due manager Eni, Vincenzo Armanna e Ciro Pagano; 7 anni e 4 mesi per il braccio destro di Descalzi, Roberto Casula. Addirittura 10 anni per l’ex ministro del petrolio nigeriano, Dan Etete.
È la vicenda della concessione dei diritti d’esplorazione del blocco petrolifero Opl 245, il più grande giacimento della Nigeria, assegnata nel 2011 a Eni e Shell in cambio del pagamento di 1 miliardo e 92 milioni di dollari, versati dalla compagnia petrolifera italiana su un conto a Londra del governo africano, ma poi subito girati a Malabu, una società riferibile all’ex ministro Etete, e infine dispersi in una serie di conti di politici, faccendieri, ministri ed ex ministri nigeriani e di alcuni mediatori internazionali, come Bisignani, Gianfranco Falcioni e il russo Ednan Agaev (per gli ultimi due sono stati richiesti 6 anni di reclusione).
Pesanti le richieste in denaro: 900 mila euro ciascuna a Eni e Shell come sanzione, più la confisca di 1 miliardo e 92 milioni di dollari, pari all’intera cifra pagata dalle compagnie per ottenere Opl 245: secondo l’accusa, è una gigantesca tangente, sottratta allo Stato africano e spartita tra politici nigeriani, intermediari e “consulenti”, con qualche “retrocessione” anche a manager Eni. Un caso in cui la mazzetta non è una percentuale, ma l’intera somma dell’affare trattato. Pesanti le richieste di pena (da 6 anni e 8 mesi a 7 anni e 4 mesi) anche per i quattro manager Shell coinvolti nella vicenda e imputati nel processo milanese, che però – a differenza di quelli Eni – sono già tutti usciti dalla compagnia petrolifera anglo-olandese.
A settembre, toccherà agli avvocati di parte civile, che rappresentano lo Stato nigeriano e chiederanno i danni subiti nell’affare, e infine ai difensori dei tredici imputati e delle due compagnie. Eni ha sempre negato le responsabilità proprie e dei propri manager, definendo “inconsistenti” gli argomenti dell’accusa e “prive di qualsiasi fondamento le richieste di condanna”. La compagnia sostiene di aver regolarmente pagato i pattuiti 1,092 miliardi di dollari su un conto del governo nigeriano: “Eni non conosceva, né era tenuta a conoscere l’eventuale destinazione dei fondi successivamente versati a Malabu dal governo nigeriano”.