domenica 16 agosto 2020

Acqua liquida sotto la superficie del pianeta nano Cerere.

Il cratere Occator su Cerere (fonte: NASA/JPL-CalTech/UCLA/MPS/DLR/IDA) ©
Il cratere Occator su Cerere (fonte: NASA/JPL-CalTech/UCLA/MPS/DLR/IDA)

Lo indicano i dati della sonda Dawn, Italia in prima fila.

Un vasto serbatoio di acqua salata allo stato liquido si nasconde sotto la superficie del più grande e celebre abitante della fascia di asteroidi, il pianeta nano Cerere. Lo indicano i dati della sonda Dawn della Nasa, raccolti nella seconda fase della missione (tra giugno e ottobre 2018) a soli 35 chilometri di distanza dalla superficie del cratere Occator. I risultati delle analisi sono pubblicati sulle riviste Nature Astronomy, Nature Geoscience e Nature Communications in una serie di sette articoli, di cui uno guidato dall'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e dall'Agenzia Spaziale Italiana (Asi).
Lo studio ha sfruttato lo spettrometro italiano Vir (promosso e finanziato dall'Asi e realizzato da Leonardo sotto la guida scientifica dell'Inaf) per studiare i minerali che compongono le macchie brillanti sulla superficie del cratere Occator, considerate prove tangibili di un antico oceano globale sotto la superficie di Cerere. Sulla sommità di Cerealia Facula (una recente e brillante struttura geologica al centro del cratere) è stata rilevata una miscela di diversi minerali che si formano in presenza di acqua liquida: in particolare il cloruro di sodio idrato, il comune sale con intorno numerose molecole di acqua. "Il cloruro di sodio idrato non è stabile alle condizioni della superficie di Cerere e perde rapidamente la parte idrata”, spiega la prima autrice dello studio, Maria Cristina De Sanctis dell'Inaf. "Il fatto di osservare oggi il sale idrato implica che il fluido contenente il sale è arrivato in superficie molto di recente o sta attualmente risalendo esponendosi sulla superficie".
De Sanctis e il collega Federico Tosi dell'Inaf di Roma hanno contribuito anche a un secondo studio che ha mappato il cratere scoprendo un mantello fatto di un materiale simile al fango ma ricco di 'sale', diffuso in depressioni e tumuli luminosi che indicano un processo di degassamento di sostanze volatili sul pianeta nano.

sabato 15 agosto 2020

L’anno dei pieni poteri di Salvini: l’unico antidoto è la memoria. - Antonio Padellaro

Pieni poteri - Alice Oxman - ebook
Pubblichiamo la prefazione al libro di Alice Oxman, “Pieni Poteri”, in libreria e in ebook per Aliberti editore
Pieni Poteri di Alice Oxman dovrebbe stare sulla scrivania di ogni giornalista che abbia rispetto dei propri lettori (sulla mia certamente). Pieni Poteri rappresenta l’antidoto efficace contro gli avvelenamenti compulsivi da fake news e post-verità. Pieni Poteri è la tragica autobiografia di una Destra sovranista e arrembante. Pieni Poteri comincia il 13 maggio 2018, con una dichiarazione del Segretario reggente del Pd, Maurizio Martina, contro il nascente governo gialloverde M5S-Lega guidato da Giuseppe Conte. E si conclude il 4 settembre 2019 con la lista dei ministri del governo giallorosso guidato da Giuseppe Conte.
In mezzo, il diario puntuale, martellante di quei lunghi sedici mesi, giorno dopo giorno, quasi ora dopo ora, trascritto attraverso i titoli dei giornali. Dove la semplice cronaca dei fatti, di ciò che è successo effettivamente, si oppone come barriera granitica ai due grandi nemici della realtà. L’incessante manipolazione degli eventi: in questo caso a cura del partito preso guidato da Matteo Salvini. L’occultamento della memoria che alimentato dalla centrale social del pregiudizio razzista (chiamata la Bestia di Salvini) finisce anche per dimenticare se stessa.
Con Pieni Poteri, il giornalismo dei fatti dovrà ricordare per forza ogni gesto violento, ogni parola insultante, ogni sfregio ai concetti di umanità e di democrazia seguiti all’occupazione del ministero degli Interni da parte del cosiddetto “capitano”. Così che nessuno possa dimenticare che per più di un anno, il Viminale, cuore pulsante della sicurezza della Repubblica è stato occupato, manu militari, da un ultracorpo della politica. E trasformato nella centrale operativa di un potere altro, dedito alla costante violazione dei diritti umani e costituzionali con la persecuzione implacabile degli immigrati. Una guerra aperta contro gli ultimi della terra indicati come i nuovi nemici del popolo. Respinti in mare, in quel Mediterraneo trasformato in un gigantesco cimitero di tombe senza nome. Lasciati a marcire sulle barche (perfino sulle navi della nostra Marina). A friggere sotto il sole, donne e bambini, mentre lo spirito disumano del tempo o girava lo sguardo, o approvava.
Di questo orrore continuato (e di molte altre cattive azioni) abbiamo adesso – grazie alla tenace indignazione di Alice – un minuzioso registro giornaliero. Per non dimenticare. Per non farci più ingannare.

“Salvini mi ha rubato 6 milioni di euro” Le accuse di Brigandì. - Stefano Vergine

“Salvini mi ha rubato 6 milioni di euro” Le accuse di Brigandì

Soldi - L’ex avvocato del Carroccio.
Una truffa da 6 milioni di euro realizzata da Matteo Salvini. È quanto sostiene Matteo Brigandì – ex parlamentare della Lega Nord, già membro del Csm, per anni avvocato del partito e di Umberto Bossi – in una denuncia indirizzata alla procura di Milano e datata 12 agosto 2020. Una ventina di pagine che Il Fatto ha potuto leggere, nelle quali Brigandì ripercorre gli eventi salienti che dal 2012 a oggi hanno trasformato la Lega da partito federalista a forza nazionalista, da Bossi a Salvini, da Lega Nord a Lega Salvini Premier. Una denuncia in cui la politica si mischia al denaro, in particolare ai 49 milioni che ancora oggi pesano come un macigno sulle finanze del vecchio Carroccio. Perché – questo è il succo del ragionamento di Brigandì – Salvini ha fatto “sparire i soldi”.
Al centro della querela c’è una scrittura privata datata 26 febbraio 2014. Quel giorno, a Milano, s’incontrano Bossi, Brigandì, Salvini e Stefano Stefani, allora tesoriere leghista. Lo scandalo della truffa sui rimborsi elettorali, la laurea in Albania del Trota e gli investimenti finanziari in Tanzania avevano già costretto Bossi alle dimissioni. Da segretario della Lega, Salvini quel giorno deve risolvere una grossa grana. Il Carroccio rischia di vedersi sequestrare 6 milioni di euro. Sono soldi che il partito dovrebbe versare a Brigandì per 13 anni di lavoro. “Somma concordata con contratto scritto, stipulato fra me e la Lega nel 2012”, scrive Brigandì nella denuncia. L’accordo prevede una specie di armistizio tra la coppia Bossi-Brigandì e il duo Salvini-Stefani. Armistizio che Brigandì riassume così: “Io rinunciavo ai 6 milioni di euro e, in cambio, Salvini si impegnava a una serie di azioni volte a garantire che il pensiero politico di Bossi e dei suoi collaboratori non fosse completamente gettato alle ortiche”. Tra le varie condizioni, l’accordo sottoscritto da Salvini prevedeva che Bossi – allora come oggi presidente della Lega Nord – potesse scegliere il 20% dei candidati leghisti.
“Nulla di quanto stipulato è mai stato rispettato da Salvini”, sostiene però Brigandì. Che infatti passa al contrattacco. Salvini “si è premurato di stipulare un accordo transattivo, che evidentemente considerava vantaggioso, al solo fine di guadagnare tempo prezioso per poter occultare il denaro. Denaro che avrebbe, invece, dovuto darmi di lì a qualche giorno”. Nella sua denuncia l’ex avvocato di Bossi ricorda che al momento dell’accordo del 2014 il partito aveva ancora parecchio denaro sui conti. Come dire: l’avvocato sarebbe potuto passare subito all’incasso. Ma non lo fece, scrive nella denuncia, perché “ritenevo fondamentale che fossero garantiti idonei spazi politici per l’On. Bossi direttamente – e anche per il sottoscritto indirettamente”. La tesi è che l’accordo sia servito a Salvini per comprare tempo e nel frattempo far sparire i soldi dalle casse padane, così da non poter più restituire all’avvocato i 6 milioni di euro di parcelle arretrate.
“A ciò si aggiunga, come ulteriore dimostrazione delle intenzioni truffaldine di Salvini, che poco dopo – denuncia Brigandì – è stato creato un altro partito, Lega Salvini Premier, che oggi è al vaglio dei giudici penali proprio in quanto parrebbe che esso sia stato costituito al fine di ostacolare o sviare i creditori (non solo io, ma anche lo Stato) per impedire loro di ottenere quanto dovuto”.
La denuncia a Salvini arriva dieci mesi dopo la condanna in primo grado per Brigandì a due anni e due mesi per infedele patrocinio e autoriciclaggio. Secondo il tribunale di Milano, da avvocato della Lega Brigandì è stato infedele ai suoi doveri professionali notificando a se stesso un decreto ingiuntivo che gli ha permesso di incassare quasi 1,9 milioni di euro. Un fatto che il legale stesso ricorda nella denuncia con l’obiettivo di suffragare la sua tesi: l’accordo privato con Salvini, che prevedeva tra le altre cose un armistizio giudiziario tra le parti, non è stato rispettato perché la Lega si è costituita parte civile.

Vietato ai maggiori. - Marco Travaglio

Bonus INPS: si attende la decisione della Lega sui politici ...
Si spera che ieri, vigilia di Ferragosto, il minor numero possibile di italiani abbia seguito l’audizione del presidente Inps Pasquale Tridico in commissione Lavoro della Camera. Uno spettacolo pornografico che in un paese civile andrebbe vietato non tanto ai minori di 18 anni, che non votano, quanto ai maggiori, che votano. Ma dopo certe scene lo faranno sempre meno. E avranno mille giustificazioni che nessuno dovrà permettersi di definire “antipolitica”. Perché l’antipolitica è esattamente quella a cui abbiamo appena assistito. Sette giorni fa Repubblica rivela che l’Antifrode Inps ha beccato 5 deputati e 2mila politici locali a chiedere il bonus per partite Iva in difficoltà. Il presidente della Camera Roberto Fico annuncia al Fatto l’audizione di Tridico, che il Garante della Privacy libera dai vincoli di riservatezza perché “la privacy non è d’ostacolo alla pubblicità dei dati sui beneficiari del contributo” in caso di falsi poveri, per giunta titolari di “funzione pubblica” tenuti dalla Costituzione a svolgerla con “disciplina e onore”. Poi però lo stesso Garante indaga sull’Inps per violazione della privacy. Il Fatto chiede all’Inps l’accesso agli atti per il diritto-dovere di cronaca. Risultato: dopo giorni di linciaggio da giornali e partiti di destra (inclusa Iv), ma anche dal Corriere, ieri Tridico viene lapidato da quasi tutti i deputati. La colpa non è degli onorevoli accattoni, ma di chi li ha scoperti. Lo scandalo non è la notizia in sé, ma il fatto che si sia saputa in giro.
La scena dei deputati che chiedono le dimissioni del presidente Inps perché difende i pensionati onesti dai ladri che minacciano le loro pensioni resterà, a imperitura memoria, nel museo degli orrori della politica, anzi dell’antipolitica. Così come quella di Tridico che, intimidito dai disonorevoli e dal doppio gioco del Garante, non fa i nomi neppure dopo 7 giorni perché – testuale – “abbiamo investito il garante, che ha scritto una nota, che ha bisogno di un approfondimento, che è in corso. Se la Presidenza ci fa pervenire richiesta formale, valuteremo col Garante se fornire i nomi” dei cinque deputati, di cui nel frattempo tre si sono autodenunciati. Nessuna notizia dei 2mila politici locali, anch’essi tenuti a “disciplina e onore” e sprovvisti di diritto alla privacy. Uno spottone all’antipolitica che, insieme alle scuse pietose dei furbastri, porta altra acqua al mulino dell’astensionismo e del qualunquismo. Noi intanto attendiamo risposta alla nostra istanza (si spera prima del termine ultimo di 30 giorni), confortati dalle già 65mila firme alla nostra petizione. Non molleremo l’osso finché non avremo tutti i nomi. Convinti come siamo, con Louis Brandeis, che “la luce del sole è il miglior disinfettante”.

venerdì 14 agosto 2020

Poteri a Consob su Borsa Spa E il governo pensa all’acquisto. - Marco Palombi

Poteri a Consob su Borsa Spa E il governo pensa all’acquisto

Nella versione finale del dl Agosto tornano i poteri all’Autorità per bloccare operazioni sgradite: ora il Tesoro valuta un’offerta a LSE.
Il cosiddetto “decreto agosto” ieri sera è uscito dagli uffici nebbiosi del Tesoro e oggi dovrebbe essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale (otto giorni dopo la sua approvazione formale in Consiglio dei ministri). Il testo che Il Fatto ha potuto visionare, rispetto a quello degli ultimi giorni, contiene però una novità non da poco: viene effettivamente ampliato il potere concesso a Consob, l’autorità che vigila sui mercati, di impedire operazioni sgradite su Borsa Italiana Spa. In sostanza, il diritto di chiedere informazioni su eventuali passaggi di quote rilevanti della società (o della società che la controlla) e, se del caso, intervenire fermando tutto.
Questi maggiori poteri, seppure in capo ad Autorità simili in altri Paesi europei, erano spariti dalle bozze degli ultimi giorni, ma evidentemente la pressione di un pezzo della maggioranza (5 Stelle in testa) ha riportato le cose al punto di partenza. Non una novità da poco se, come riporta (non smentita) Milano Finanza, il governo ha rotto gli indugi sulla questione Borsa Italiana e – in una prossima riunione tra Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (ma dovrebbe esserci anche il sottosegretario Riccardo Fraccaro, il cui staff ha curato il dossier fin dall’inizio) – darà il via libera a un’offerta alla London Stock Exchange per rilevare Piazza Affari e tutto quel che contiene.
La situazione è complessa e va spiegata. Privatizzata nel 1998, Borsa Italiana fu ceduta alla società che gestisce anche la piazza londinese (LSE appunto) nel 2007 garantendo una plusvalenza miliardaria alle banche e agli intermediari finanziari che l’avevano rilevata dallo Stato. La nostra Borsa non è un mercato enorme, ma è una società efficiente che produce utili nelle sue varie divisioni (particolarmente rilevante in questo contesto è Mts, cioè la piattaforma su cui vengono intermediati i titoli di Stato italiani). Problema: LSE vuole fondersi col gigante dei dati Refinitiv, la cui controllata Tradeweb sarebbe un doppione di Mts. Per aggirare i limiti dell’Antitrust europea e fare cassa, i londinesi sono costretti a cedere Borsa Italiana: la vicenda ha subito una brusca accelerazione in questi ultimi giorni, tanto che LSE – e i suoi advisor Goldman Sachs e Morgan Stanley – hanno avviato l’asta e si aspettano le prime offerte entro venerdì 21 agosto e quelle vincolanti per settembre.
E qui torniamo al ruolo del governo italiano. Piazza Affari, e in particolare Mts, possono essere considerate asset strategici: sicuramente interessati all’acquisto sono Euronext (che riunisce alcune Borse europee a partire da Parigi) e i tedeschi di Deutsche Börse, ora si aggiunge pure il governo italiano non si sa bene in che forma e se in alleanza coi francesi.
Il dossier è infatti da mesi sulle scrivanie del governo e si arriva a questa accelerazione senza le idee chiare. Il piano sponsorizzato in primo luogo dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, prevede che Borsa Italiana finisca in Euronext, ma con l’ingresso nell’azionariato di Cdp all’8% (la stessa quota che nella società ha già la Cassa depositi francese).
Il problema è che Euronext non ha i soldi per fare da sola un’operazione che costa almeno 3,3 miliardi (le servirebbe un aumento di capitale) e ha già dimostrato nel recente passato di non gradire le aste troppo competitive (ha lasciato agli svizzeri di Six la Borsa di Madrid per non rilanciare).
E qui arrivano i nuovi poteri concessi a Consob, che sostanzialmente ne ampliano il potere negoziale nel caso di un cambio di azionariato di Borsa Spa (o persino della sua controllante). Di fatto Consob deve ricevere preventiva comunicazione da parte di qualunque operazione superiore al 10% del capitale su LSE o Borsa Spa ed entro 90 giorni persino opporsi alla chiusura dell’affare: in ipotesi, non solo la vendita di Borsa Italiana, ma persino la fusione tra LSE e Refinitiv potrebbe essere ostacolata da questa modifica normativa (in odore di violazione delle norme europee).
È evidente insomma che chi volesse partecipare all’asta per Piazza Affari– con una tale spada di Damocle sulla testa e il contestuale interesse dello Stato a entrare nell’azionariato – non lo farà senza un preventivo accordo col governo italiano: la cosa non farà piacere a Londra perché rischia di abbassare il prezzo di vendita (o almeno non farlo alzare). Ora resta da capire come vogliono muoversi Conte e soci.

“C’è stata frode”: i deputati non avevano diritto al sussidio. - Patrizia De Rubertis

“C’è stata frode”: i deputati non avevano diritto al sussidio
Hanno chiesto legittimamente all’Inps il bonus da 600 euro per sostenere co.co.co e partite Iva durante l’emergenza Covid nonostante uno stipendio da parlamentari di quasi 14 mila euro. Alle 12 Tridico metterà quei nomi a disposizione della Camera, alleviando la pruriginosa questione etica e morale. Ma quella giuridica? Il garante della Privacy ha chiesto all’Istituto guidato da Pasquale Tridico di spiegare chi, come e perché abbia profilato i nomi dei politici anche se la frode non c’è stata. Eppure per l’ex presidente dell’Inps Tito Boeri e il giuslavorista ed ex politico Giuliano Cazzola l’operato della direzione centrale antifrode, anticorruzione e trasparenza, da cui è partita l’indagine, è stato corretto: “Deputati e consiglieri regionali non ne avevano diritto”. Per capire come si è arrivati fin qui, e di cosa si sta parlando, bisogna ripartire dalla legge.
Il "cura Italia" e il dl "Rilancio" hanno dato la possibilità di richiedere il bonus di 600 euro senza richiesta di prove ma a una condizione: il lavoratore autonomo non doveva essere titolare di pensione e avere altre forme obbligatorie di previdenza obbligatoria diverse dalla Gestione separata presso l’Inps. Un limite che, se superato, diventa oggetto di controllo non solo da parte delle sedi Inps, ma soprattutto della direzione antifrode che, tra i suoi compiti, ha quello di intercettare situazioni di prestazioni a sostegno del reddito e assistenziali non spettanti o dubbie. “E i deputati – ha spiegato Boeri in un’intervista tv – hanno di fatto una contribuzione obbligatoria”. I parlamentari sono, infatti, iscritti a un’altra forma di previdenza, perché devono versare per poi avere i vitalizi. “Quindi l’antifrode ha correttamente controllato queste posizioni, così come lo ha fatto con altre migliaia di liberi professionisti”, ha sottolineato ancora Boeri.
“Lo stesso criterio dovrebbe valere anche per i consiglieri regionali”, conferma il giuslavorista Cazzola, spiegando che però per i 2 mila amministratori locali minori occorre valutare la loro specifica posizione professionale e previdenziale e non quanto percepiscono dalla istituzione di cui fanno parte”.
Il passaggio successivo è cronaca: una volta che è stato rilevata l’anomalia dei politici che potenzialmente non avevano diritto al bonus, la direzione antifrode l’ha comunicato alla presidenza dell’Inps. In mattinata si conoscerà il colpevole.

Esame di maturità. - Marco Travaglio

M5s, è in corso su Rousseau il voto sulla modifica del mandato zero e le alleanze con i partiti alle elezioni Comunali

Fra ieri e oggi gli iscritti ai 5Stelle decidono, sulla piattaforma Rousseau, uno dei passaggi cruciali dei loro 11 anni di vita: il sì o il no alla deroga parziale al limite di due mandati (solo per chi ne ha svolto uno in un Comune) e all’abolizione del divieto (che non è un obbligo) di allearsi con partiti tradizionali. Due svolte molto attese e anche utili. Due segni di maturità e di crescita, oltreché di realismo, da parte di quella che gli elettori due anni fa hanno eletto a prima forza politica del Paese, che ha espresso il presidente del Consiglio, dato vita a due governi e realizzato molti punti del suo programma. Purtroppo una scelta così importante avviene fra il lusco e il brusco, senza preparazione né discussione, quando la gente pensa a tutt’altro: la vigilia di Ferragosto. C’è da restare basiti dinanzi all’improvvisazione e al dilettantismo di chi – Davide Casaleggio, con l’avallo dei tre garanti Crimi, Lombardi e Cancelleri – ha deciso i tempi e i modi. Al punto da far sospettare che chi un anno fa vantò il record mondiale di partecipazione (sul governo giallorosa si espressero 80mila iscritti) ora sia ben felice che votino in quattro gatti. Magari solo i trinariciuti contrari a deroghe e alleanze. Una vittoria del No sui due fronti, o anche solo sul secondo, condannerebbe il M5S all’isolamento e all’irrilevanza, arretrando di tre anni le lancette della storia, danneggiando il governo e facendo un regalo insperato alla Casta, che non ha mai smesso di sognare il ritorno alle ammucchiate pre-2018 per tagliar fuori gli odiati grillini e rimettersi a tavola.

Chi, fra i 5 Stelle, lo apprezza non deve dimenticare che il governo Conte è stato possibile perché i voti su Rousseau autorizzarono il capo Di Maio ad allearsi con partiti: che senso ha ora vietarlo a priori nelle Regioni e nei Comuni? Sta poi ai vertici locali e nazionali valutare caso per caso opportunità e convenienza. Pronti a dire no, come sacrosantamente han fatto con De Luca in Campania; ma anche a dire sì, come han fatto in Liguria con Sansa e avrebbero dovuto tentar di fare in Puglia o almeno nelle Marche. Il discorso vale vieppiù nei Comuni, dove il M5S è nato: l’anno prossimo si eleggono i sindaci di Roma, Milano, Torino, Bologna e Napoli. A Roma e Torino, le candidate in pole position per battere la destra sono Raggi e Appendino; a Milano, Sala potrebbe passare la mano; a Bologna e Napoli, Merola e De Magistris devono lasciare a nomi nuovi tutti da inventare. Che ci sarebbe di male se il M5S ottenesse l’appoggio del centrosinistra dove può vincere e, dove può solo perdere, sostenesse candidati del Pd in cambio di una svolta radicale su ambiente e legalità? Si spera che anche stavolta gli iscritti siano più maturi di chi dovrebbe esserlo più di loro.

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