Mentre litigavamo in tv con quei mattacchioni della destre per cui le mascherine non servono a niente e Conte ci ha imposto una dittatura sanitaria, il virus ha fatto il suo corso e ora che siamo a quasi novemila contagi al giorno la situazione rischia di sfuggire di mano. I più irrequieti sono i governatori, che hanno un’occasione in più per appagare il loro protagonismo, decidendo ciascuno per conto proprio chi va a scuola e chi no (De Luca ha deciso lo stop da oggi in Campania), minacciando di chiudere bar e ristoranti prima di quanto previsto dall’ultimo Dpcm (se n’è discusso in Lombardia, ma Fontana ha poi smentito), oppure di chiuderli dopo (La Provincia di Bolzano si è rifiutata di recepire il decreto del Presidente del Consiglio).
Così si sta generando nuova confusione e un’ulteriore senso di smarrimento nei cittadini, malgrado sia evidente che il Covid non conoscendo confini nazionali a maggior ragione non può conoscere quelli regionali. Dunque a che serve avere regole diverse a distanza talvolta di pochissimi chilometri? Se le opposizioni hanno perso l’opportunità di fare squadra – almeno per una volta – con la maggioranza, dimostrando di mettere il bene del Paese al di sopra delle convenienze politiche di bottega, le autonomie locali stanno offrendo quindi uno spettacolo peggiore, mostrando plasticamente quanto siano pericolosi i loro poteri se usati tanto male come adesso.
D’altra parte, dai trasporti (leggi l’articolo) alla sanità il bilancio delle Regioni non è affatto brillante, e a parte le fughe in avanti, la cosa che sta riuscendo meglio ai presidenti è scaricare la responsabilità delle loro inefficienze sull’amministrazione centrale. Uno scaricabarile fin troppo facile a fronte dei miliardi di euro che ci costano i carrozzoni regionali, che al di là di tante buone intenzioni in realtà servono a garantire una giungla di burocrazia e di poltrone. Oltre a far giocare gli stessi presidenti con la pandemia, propinandoci le loro taumaturgiche ricette quotidiane.
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