È con viva curiosità che attendiamo a breve un sondaggio sulla popolarità del premier Conte, dopo l’annuncio di domenica sera sulla nuova stretta anti-Covid. Perché delle due l’una. O gli italiani considerano il Dpcm del presidente del Consiglio un “decretino” dileggiato dalla destra dattilografa, per giunta “inutile” (Giorgia Meloni), privo di “visione” (Repubblica), un provvedimento “scaricabarile” che “suscita l’ira dei comuni” (Corsera). Insomma, un vero disastro che se confermato da ciò che pensa il Paese comporterebbe il collasso dei consensi che Conte continua a registrare stabilmente dai giorni del lockdown (e in tal caso, probabilmente, la coalizione giallorosa ne sarebbe scossa dalle fondamenta). Oppure si potrebbe ipotizzare che proprio perché non rinchiude ma socchiude, non vieta ma ammonisce, non divide ma condivide (o almeno ci prova), l’avvocato di Palazzo Chigi possa avere convinto, una volta di più, la maggioranza dei suoi concittadini. Non parliamo della solita gara pro-contro, ma della possibilità reale che la pandemia, oltre ad aver sconvolto il pianeta, stia modificando i parametri sui quali si costruisce il consenso nelle democrazie. Poiché il virus non è di destra né di sinistra (e neppure centrista o sostenitore della rivoluzione liberale) sembra evidente che le tradizionali categorie della comunicazione politica non reggono più. Come negli Stati Uniti dove Trump potrebbe, a giorni, giocarsi la Casa Bianca per ciò che non ha fatto contro il diffondersi del contagio. Come a Parigi e a Londra dove sia Macron sia Johnson rincorrono in crescente affanno il tempo perduto a sottovalutare. Come mai, invece, in Italia malgrado la pessima stampa e l’ostilità personale dei leader sovranisti, che non smettono di considerarlo un abusivo (e sotto sotto un incapace), il virus (almeno fino a ieri) non aveva affatto indebolito il premier? Forse perché nello smarrimento collettivo egli resta comunque un punto di riferimento rassicurante? Forse perché quando si tratta della salute, le decisioni del governo hanno un peso maggiore rispetto alle proteste dell’opposizione? Forse perché i giornali non contano più niente? Forza Pagnoncelli, ci faccia sapere.
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
martedì 20 ottobre 2020
Il corpo estraneo. - Marco Travaglio
Si attendeva con ansia un segnale di riscatto della magistratura, dopo gli ultimi scandali culminati nel più sfacciato, ma non certo più grave: il caso Palamara. E quel segnale è arrivato: Piercamillo Davigo cacciato dal Csm. Il simbolo vivente dei valori costituzionali di autonomia e indipendenza della magistratura, il pm di Mani Pulite e poi il giudice di appello e di Cassazione che da 40 anni non piega la schiena e non tira indietro la gamba dinanzi alle pressioni e alle minacce del Potere di ogni tipo e colore, è fuori dall’organo di autogoverno. E già era bizzarro che vi fosse entrato, due anni fa, col record di preferenze: ma era chiaro che quel corpo estraneo, al primo pretesto utile, sarebbe stato vomitato fuori dalla casta politico-togata che infesta il finto “autogoverno” sempre più eterodiretto. Ora il pretesto è arrivato: il compimento dei 70 anni, cioè il raggiungimento della pensione. Che però vale per la sua attività di magistrato, non certo per quella di consigliere del Csm.
In passato diversi membri laici andarono in pensione (da avvocati o da docenti universitari) e nessuno si sognò di cacciarli dal Csm per raggiunti limiti di età. Se i Costituenti e i legislatori avessero voluto fare un’eccezione per i togati, l’avrebbero introdotta come causa di ineleggibilità e incandidabilità, come quella che esclude i magistrati over 66 dai concorsi per gli incarichi direttivi perché non garantiscono almeno 4 anni di funzioni. Invece i 2.552 colleghi (su 8.010) che nel 2018 elessero Davigo al Csm sapevano benissimo che, a metà mandato, sarebbe andato in pensione da giudice, ma lo votarono lo stesso perché era scontato che durasse in carica fino al termine della consiliatura. Davigo però è un uomo controcorrente: il partito degli imputati, degli impuniti e dei garantisti pelosi lo considera “giustizialista”. Dunque è finito o rimasto nel mirino dei colleghi invidiosi della sua popolarità, della sua credibilità e del suo rigore morale. Tra quelli che ieri gli hanno votato contro, anche con voltafaccia imbarazzanti, oltre a un inspiegabile e sconcertante Nino Di Matteo, ci sono i correntocrati della destra e della sinistra giudiziaria che per anni hanno inciuciato e fatto carriera con i vari Palamara, collaborando a brutalizzare e/o punire altri cani sciolti (De Magistris, Forleo, Nuzzi, Apicella, Verasani, Robledo, Woodcock) e a coprire i porti delle nebbie e delle sabbie. Ed erano pronti a tutto, persino a calpestare l’articolo 104 della Costituzione (“I membri del Csm durano in carica 4 anni”), pur di liberarsi di lui. Un giorno si accorgeranno di non aver colpito Davigo, ma l’idea stessa di Magistratura, come non riuscirebbero a fare neppure mille Palamara. E forse, di nascosto, si vergogneranno.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/20/il-corpo-estraneo/5972480/
lunedì 19 ottobre 2020
Conte non richiude e avvisa: “Fase critica, fare la propria parte”. - Paola Zanca
“Non firmerò mai più un lockdown”, aveva detto Giuseppe Conte nelle ultime ore. E in effetti, non l’ha firmato.
Alle nove e mezza della sera, uscendo nel cortile di palazzo Chigi, insiste: la strategia di contenimento del virus non può essere la stessa di marzo. Perché gli ospedali sono attrezzati, i dispositivi di protezione individuali adesso ci sono, i tamponi anche. “Non abbiamo abbassato la guardia”, dice, pur ammettendo che ci sono ancora “criticità” e avvertendo che, dal punto di vista economico, qualunque cosa succeda, “non ci saranno più elargizioni a pioggia”.
Ma il vero appello lo rivolge alle persone, ricordando le regole di igiene e distanziamento, in particolare quando sono in situazioni “vulnerabili”, come dentro le mura di casa. “Dobbiamo impegnarci – è il cuore del discorso del premier – la situazione è critica, la curva dei contagi è preoccupante. Ma il governo c’è. E ognuno deve fare la sua parte”.
Pazienza se filtra già l’irritazione dei sindaci e dei governatori, consapevoli che toccherà a loro il lavoro sporco. Ieri mattina, al termine della riunione con i presidenti, era già chiarissimo lo scontro andato in scena con le ministre De Micheli (Trasporti) e Azzolina (Istruzione): la prima che ha ribadito la capienza dei mezzi pubblici all’80 per cento, la seconda che li invitava ad aprire un tavolo con i dirigenti scolastici per trovare un accordo sugli ingressi scaglionati delle scuole. “A questo punto, mentre il virus avanza – è sbottato il presidente dell’Anci Antonio Decaro – tra due settimane staremo ancora parlando di cosa fare”.
Chiuso il confronto con gli enti locali e aperto quello con la politica, sembra incredibile ma raccontano che alla fine, la litigata vera, l’abbiano fatta sulle palestre. Da una parte i dem convintissimi che fosse il caso di chiuderle perché quelle, in effetti, sono rimaste l’unico luogo chiuso in cui si sta in tanti senza indossare la mascherina. Dall’altra il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, la renziana Teresa Bellanova, ma per primo il presidente Giuseppe Conte: che non ha cuore di dire ai gestori, che hanno speso fior di euro per la messa in sicurezza degli impianti, che adesso si riabbassa la serranda. Bisogna “seguire il principio di proporzionalità”, è il mantra che ha ripetuto il premier nei vertici di questi giorni. Sulla sicurezza di palestre e piscine, ha spiegato il premier, dal Comitato tecnico scientifico sono arrivate informazioni “contrastanti”, per cui si sono presi una settimana di tempo per decidere se chiuderle o no, dopo aver verificato il rispetto dei protocolli e preannunciando già l’impegno economico per eventuali ristori.
Non si tocca invece la scuola, “le lezioni continueranno in presenza, è un asset fondamentale”, fatto salvo l’aumento della didattica digitale per le scuole superiori, per le quali è previsto anche un ulteriore scaglionamento degli ingressi – che non potranno iniziare prima delle 9 e potranno arrivare fino al pomeriggio – per alleggerire il carico dei trasporti. E alla fine, perfino la movida ha subito sì una stretta, ma ben lontana dal coprifuoco di cui pure si è discusso nei giorni scorsi: non è passata infatti nemmeno la proposta di mediazione del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che suggeriva un lockdown a notte fonda, tra l’1 e le sei del mattino, mentre in casa Pd si arrivava a ipotizzare la chiusura dei locali tra le 22 e le 23: si continua a stare aperti fino a mezzanotte – seppur con un limite di sei persone per tavolo – , solo l’asporto termina alle 18.
Si è buttata la patata bollente ai sindaci, per i quali è stato messo nero su bianco un potere che, va detto, avevano già: ovvero quello di chiudere – nel testo si specifica “dopo le 21” – quelle strade e quelle piazze dove di solito si formano gli assembramenti. Decisioni non popolarissime da prendere, magari, e ancora più complesse da far rispettare considerata l’arcinota carenza di forze dell’ordine a disposizione. Tanto che i sindaci hanno chiesto all’esecutivo di ripensarci: “Sarebbe un coprifuoco scaricato sulle nostre spalle”. Ma evidentemente non ci sono riusciti. Così come non è riuscito a incidere il ministro della Salute Roberto Speranza, che è “rimasto fermo sulle sue posizioni”. Che poi è un eufemismo per dire che non è per niente d’accordo con le decisioni assunte.
Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio
Dementi Pirla Cretini Minchioni. “Sul Covid Conte e i suoi litigano. Tra riunioni e scontri il dpcm balla ancora” (Verità, 18.10). “Nuovo rinvio per le misure anti-Covid” (Giornale, 18.10). Quando arriva il Dpcm, protestano. Quando non arriva, invece, protestano.
Coprimi ‘sto fuoco.“Su i cointagi, verso il coprifuoco” (Corriere della sera, 16.10). “Più coprifuoco per tutti” (Foglio, 16.10). “Aria di coprifuoco” (Giornale, 16.10). “L’Italia chiude alle 22” (Repubblica, 17.10). “Arriva il coprifuoco. Il governo prepara la serrata dopo le 22” (Stampa, 17.10). “Conte prepara il coprifuoco: locali chiusi alle 22. Stop per parrucchieri, centri estetici, cinema, teatri” (Libero, 17.10), “Ci chiudono in casa”, “Serrata per parrucchieri e palestre, Conte vuol chiudere i locali alle 22” (Verità, 17.10). “Coprifuoco: oggi si decide” (Giornale, 17.10). Ne avessero azzeccata una.
Il vero problema. “Il centrodestra alza la voce: follia tassare la prima casa” (Giornale, 18.10). É il loro contributo scientifico contro la pandemia.
Er Pomata. “Provo a restare umano, malgrado il virus” (Enrico Montesano appena beccato senza mascherina dalla polizia, Verità, 17.10). Enri’, però prova pure a restare vivo.
Il portafortuna. “Col Pd a Roma Calenda può farcela” (Piero Fassino, deputato Pd, Foglio, 16.10). E anche Calenda ce lo siamo tolto dai piedi.
Sfiducia distruttiva. “Ogni contagio è un voto di sfiducia verso il governo” (Domani, 17.10). L’altroieri, per dire, Angela Merkel ha avuto 7.830 voti di sfiducia. Eppure, chissà come e perchè, è popolarissima.
Prenderla con filosofia. “Siamo in un regime. Hanno reintrodotto la Gestapo, che può piombarvi in casa per verificare quante persone vi siano all’interno. Sembra davvero il regime di Franco in Spagna o di Salazar in Portogallo” (Diego Fusaro, filosofo, 12.10). Mi sa che gli son tornati in casa i testimoni di Geova.
L’onorevole. “L’obbligo di mascherina in casa? Conte deve andare a dar via il culo, probabilmente come ha fatto in altri momenti della sua vita: a casa ognuno fa il cazzo che vuole. Effettivamente potrebbero fare anche i pompini con la mascherina e mettersi il preservativo quando dormono da soli! Conte può pure mettersi un mattarello in culo, se vuole” (Vittorio Sgarbi, deputato FI, Radio Radio, 13.10). Sempre bello avere un intellettuale in Parlamento.
Il partigiano Roby. “Tornano i decreti dittatoriali sempre a spese dei cittadini” (Roberto Formigoni, pregiudicato per corruzione, Libero, 18.10). Ma il vero dramma resta il settimo comandamento.
Paragoni. “Travaglio nasconde la condanna di Profumo per non imbarazzare Giuseppe Conte e Rocco Casalino” (Gianluigi Paragone, senatore ex M5S, ora leader di Italexit, Facebook, 16.10). Naturalmente la condanna di Profumo era sulla prima pagina del Fatto, unico giornale italiano ad averle dedicato il terzo titolo in ordine di importanza con tanto di foto del manager condannato. Che Paragone non sapesse scrivere era noto. Ora si scopre che non sa neppure leggere.
Profumo di Conte/1. “La strana condanna di Profumo scatena la corrida delle nomine. Le manovre di Conte su Leonardo-Finmeccanica”, “La procura di Milano ha chiesto ripetutamente l’archiviazione, il proscioglimento e l’assoluzione” (Domani, 17.10). È un vero peccato che le sentenze le facciano i giudici, anziché le procure. E che Conte non fosse imputato.
Profumo di Conte/2. “Il dramma contemporaneo è che, anziché leggere le sentenze, gli uomini di governo si preoccupano di proteggere l’amico imputato o di acchiappare per un amico la poltrona del manager azzoppato dalla giustizia” (ibidem). Vero, le sentenze bisogna leggerle: ma siccome questa verrà depositata fra 90 giorni, bisogna prima scriverle.
Prontoboss. “Niente telefono, non siamo inglesi (e abbiamo Bonafede). I cellulare rinvenuti nei penitenziari? In UK hanno risposto mettendo il telefono in ogni cella. Da noi solo repressione” (Rita Bernardini, Riformista, 9.10). Giusto. E, siccome ogni tanto qualcuno tenta di evadere, in cella diamogli pure una lima.
Il titolo della settimana/1. “Raggi rinunci a Roma per non lasciarla alla destra” (Corrado Augias, Repubblica, 15.10). Geniale: così, se rinunciano tutti, la destra vince pure con un paracarro.
Il titolo della settimana/2. “Appendino furbetta: non mi ricandido” (Giornale, 14.10). Ma, in caso contrario, era pronto il titolo opposto: “Appendino furbetta: mi ricandido”.
Il titolo della settimana/3. “Dell’Utri, ‘fanciullo’ sognatore e la casa (demolita) sull’albero” (Teresa Ciabatti, Sette-Corriere, 16.10). Povera stella.
Il titolo della settimana/4. “Alessandro Meluzzi: ‘Sono un profeta incompreso” (Libero, 12.10). Ogni tanto ne va bene una anche a noi.
Il titolo della settimana/5. “Andrea Marcucci (Pd): ‘FI nella coalizione? Se son rose fioriranno…’” (Dubbio, 16.10). Già ci pare di sentire il profumo.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/19/ma-mi-faccia-il-piacere-207/5971063/
domenica 18 ottobre 2020
La pandemia e il guado del cambiamento. - Tommaso Merlo
Vita dura per gli sciacalli nostrani. Han passato l’estate a fregarsene del virus e adesso che il contagio è ripartito la colpa non è loro. È dei loro nemici politici. L’Italia è vittima di persone che per misero tornaconto manipolano la realtà di continuo. Son bastati pochi giorni affinché branchi di sciacalli passassero dalla “libertà di contagiare” al “c’infettiamo governo ladro”. Tempi davvero duri per loro. La realtà cambia in maniera così repentina da costringere gli sciacalli a continue inversioni ad u che ne minano la credibilità facendogli scivolare nel ridicolo. La pandemia sta facendo emergere il meglio e il peggio del nostro paese. Il meglio lo stanno dando i cittadini che han compreso la gravità dell’emergenza e l’importanza fondamentale del proprio comportamento. Cittadini che stanno dimostrando senso di responsabilità e lungimiranza ed accettano di buongrado piccoli sacrifici e piccole accortezze che possono salvare la loro vita e quella degli altri. Il peggio lo stanno dando invece certi politicanti e certi personaggi che scorrazzano nel malconcio mondo dell’informazione. Esibizionisti di ogni risma ed egoarchi cronici che creano solo caos e alimentano frustrazione e divisioni per meschino tornaconto o vanità. La pandemia sta dimostrando come l’Italia sia un paese in mezzo ad un guado culturale. Un guado tra passato e futuro. Con da una parte cittadini emancipati e maturi che vorrebbero attraversarlo e costruire un paese all’altezza delle proprie nuove consapevolezze. E dall’altra una minoranza privilegiata che vuole impedirglielo perché il cambiamento non gli conviene. Un guado. Tra il meglio e il peggio. Tra il vecchio e il nuovo che prima o poi dovrà risolversi. Il cambiamento lo puoi frenare ma non lo puoi fermare. Un paese, una società, una democrazia non sono altro che la proiezione di quello che hanno dentro i cittadini, la proiezione della loro cultura prevalente. Il profondo malessere italiano di questi anni nasce proprio dalla divergenza tra i valori che hanno maturato i cittadini e ciò che riscontrano attorno a loro in certa politica e in certa informazione. La pandemia lo sta rendendo evidente. Viviamo in mezzo al guado uno scontro latente. Tra il meglio e il peggio. Tra il vecchio che non vuole rassegnarsi alla sua fine ed un nuovo che fatica a sorgere per gli ostacoli creati da coloro a cui il cambiamento non conviene. Ma il cambiamento lo puoi frenare, non lo puoi fermare. Un paese cambia quando il modo di pensare e quindi di comportarsi dei cittadini cambia in maniera abbastanza diffusa e quindi potente da dar vita ad una realtà politica e sociale nuova. La pandemia lo sta confermando. La grande maggioranza dei cittadini italiani sono migliori di certi politicanti e di certi personaggi che sguazzano nel malconcio mondo dell’informazione. E sono più che pronti ad attraversare il guado e costruire finalmente un paese all’altezza dei tempi e delle loro nuove consapevolezze.
https://repubblicaeuropea.com/2020/10/18/la-pandemia-e-il-guado-del-cambiamento/
Covid, verso il nuovo dpcm. Le Regioni: "No a riduzioni di orari per i locali, sì alla Dad". Azzolina e Manfredi: "Scuole e università restino aperte".
Da sciogliere alcuni nodi, si tratta dai bar alle palestre. Il ministero dello Sport: "Nessuna decisione presa".
Riunione tra governo e Regioni in vista del nuovo dpcm sulle misure anticontagio da Covid.
"Abbiamo chiesto di non intervenire penalizzando ulteriormente i locali pubblici con altre riduzioni di orario". E' quanto riferisce il governatore della Liguria, Giovanni Toti e vice Presidente della Conferenza delle Regioni, che in loro rappresentanza chiede al governo "più di didattica a distanza a rotazione per i ragazzi degli ultimi anni. La Liguria già usa i bus turistici dove si può e dove è utile, ma per alleggerire i mezzi serve anche scaglionare ingressi nelle scuole e nei luoghi di lavoro".
"All'incontro di oggi abbiamo voluto che ci fossero tutti gli attori in campo, dai ministri alle Regioni, agli enti locali, per uscirne più uniti e più forti. Siamo in una fase nuova dell'emergenza sanitaria, con reti sanitarie più forti ma con tanti contagi in più e molti tamponi in più. Solo con la flessibilità e la responsabilità di tutti riusciamo a trovare soluzioni condivise. Su scuola, università e trasporti le proposte di Regioni ed enti locali sono di buon senso e vanno nella direzione auspicata da tutti noi per tutelare al massimo salute, attività scolastiche e universitarie e funzionamento delle nostre città. Chi vive le complessità quotidiane dei territori merita il massimo dell'ascolto". Lo ha detto - a quanto si apprende - il ministro per le Autonomie, Francesco Boccia durante il vertice Governo-Regioni.
"La scuola in presenza è fondamentale per tutti, dai più piccoli all'ultimo anno del secondo grado". Questa, a quanto si apprende, la posizione ribadita dalla Ministra Lucia Azzolina nel corso dell'incontro. Per le superiori una parte di didattica digitale "è già presente", ha ricordato la ministra. Sulla differenziazione degli orari le Regioni chiedono al Governo di organizzare eventuali adattamenti per le scuole di secondo grado. Passa dunque - a quanto si apprende - la linea del Ministero dell'Istruzione: nessuna misura generalizzata, ma interventi mirati, territorio per territorio, e d'intesa con dirigenti scolastici e famiglie. La Ministra ha poi chiesto che per risolvere le criticità dei trasporti "non si guardi solo a Scuola e Università. La scuola ha "già contribuito a decongestionare i trasporti. Ora si agisca anche su altri settori", dice la ministra.
Le università sono luoghi sicuri, la didattica è già al 50% a distanza, le lezioni sono controllate, con uso della mascherina e distanziamento, tutto è stato programmato con protocolli specifici e la massima attenzione, è impossibile fare di più all'università. E' quanto avrebbe detto, secondo quanto si apprende, nel corso della riunione con le Regioni, gli Enti locali e i colleghi di governo, il ministro dell'Università Gaetano Manfredi. Il ministro avrebbe fatto notare che è più sicuro fare stare in facoltà gli studenti che fuori, dove non c'è controllo nelle distanze e a volte non c'è uso di mascherine. Il ministro avrebbe fatto un appello a rafforzare al meglio la collaborazione tra le istituzioni nazionali e locali e ha chiesto risposte flessibili che consentano di contemperare le giuste richieste di sicurezza con le necessità di studio degli studenti.
"Nessuna decisione è stata presa ancora in merito alla chiusura di palestre e piscine". Fonti del ministero dello sport intervengono, sottolineando all'ANSA, "come il settore abbia affrontato ingenti spese per adeguare i propri spazi ai protocolli di sicurezza, e che nessuna evidenza scientifica denuncia focolai in relazione all'allenamento individuale nei luoghi controllati".
Il vertice notturno non scioglie i nodi, si tratta dai bar alle palestre
Orari scaglionati per la scuola; palestre chiuse; stop a bar e pub dalle 21, ai ristoranti dalle 23 o 24. Non basta un confronto lungo oltre tre ore del premier Giuseppe Conte con i capi delegazione di maggioranza e i ministri Roberto Gualtieri e Francesco Boccia, per definire le misure anti contagio da Covid che entreranno nel nuovo dpcm. Serviranno un altro confronto con le Regioni e i Comuni e una discussione finale nel governo, prima che Conte - probabilmente nella serata di oggi - annunci al Paese la nuova stretta.
Al termine di una discussione che fonti di maggioranza definiscono "assai tesa", manca una sintesi ancora su diversi aspetti, per i quali decisivo sarà il confronto con gli enti locali: dallo stop a fiere e congressi, all'ipotesi di vietare di consumare alcolici in piedi fuori dai locali dalle 18. La nuova stretta dovrebbe puntare, come suggerito anche dal Cts, sullo smart working e sullo scaglionamento degli orari delle scuole superiori, con l'ipotesi di ingresso alle 11 e una quota di didattica a distanza per alleggerire i trasporti (ma non si esclude neanche una riduzione della capienza massima degli autobus).
Dovrebbe esserci anche lo stop agli sport di contatto dilettantistici e - ma ancora non c'è certezza - la chiusura di palestre e piscine. Si punta inoltre su una spinta al tracciamento dei contagi, sollecitata dagli esperti. Continua a dividere il pacchetto delle misure anti movida e una possibile forma di "coprifuoco".
Al termine del vertice serale a Palazzo Chigi il punto di caduta sembra essere la chiusura di bar e pub alle 21, ristoranti alle 24, per non pesare su un settore già in grande sofferenza. Ma dal governo invitano alla cautela nelle indiscrezioni: c'è chi continua a spingere per misure ancora più dure, soprattutto nel weekend. E chi, come Italia viva, è contro le nuove chiusure e tiene alta la guardia: nonostante la smentita di diverse fonti di governo, i renziani non escludono che fino all'ultimo possa tornare sul tavolo l'ipotesi - da loro osteggiata - di uno stop a parrucchieri e centri estetici.
(foto:ANSA)
A marzo era esploso un cratere. Oggi contro il virus si combatte. - G.Cal.
Non siamo più di fronte all’esplosione improvvisa di un cratere, ma la diffusione di Sars-Cov 2 ha ricominciato a correre veloce, molto veloce, con una crescita esponenziale e un tempo di raddoppio dei contagi a sette giorni. Questo perché dopo aver infranto una certa soglia – come sempre sostenuto con forza dal professor Andrea Crisanti, docente di Microbiologia all’Università di Padova e “papà del modello-Vo’ – il tracciamento diventa sempre più complicato e qualcosa si perde per strada. Ma il sistema sanitario non sta subendo uno scossone improvviso e bisogna ancora vedere gli effetti delle misure introdotte dal governo il 9 ottobre, cui si accompagneranno anche quelle nuove che saranno annunciate oggi. Il futuro non è scritto.
La fotografia dell’andamento della pandemia in Italia è sinteticamente resa dai freddi numeri del grafico che riportiamo in pagina, con indicatori che, se letti nel contesto d’insieme, qualcosa spiegano. Ieri il bollettino del SarsCov2 ha registrato 10.925 nuovi casi, il rapporto dei contagi giornalieri coi tamponi effettuati è a 6,58%. Una percentuale che non rassicura, ma ancora lontana dal 18,95% dell’8 marzo o dal 18,05% del terribile 27 marzo, il giorno dei 969 morti.
Certo, bisogna aggiungere che il record di tamponi di ieri, mai ne erano stati registrati 165.837 in un solo giorno, ha una valenza ben diversa rispetto ai 33.019 del 27 marzo, quando la capacità di tracciamento e la disponibilità stessa dei tamponi era ancora decisamente ridotta rispetto a oggi. Sempre a questo proposito un altro dato interessante e al contrario poco valorizzato nella diffusione mediatica dei dati quotidiani Covid è quello delle persone in isolamento domiciliare: 109.613 ieri contro le 36.653 del 27 marzo quando il controllo della situazione era stato a un livello decisamente più basso tanto da rendere necessario il lockdown di quindici giorni prima. Perché tra marzo e aprile i tamponi venivano effettuati quasi esclusivamente a pazienti col quadro clinico già compromesso che arrivavano in ospedale, mentre oggi, almeno quando funziona, i test sono fatti sulla base di un sospetto avvenuto contatto.
Adesso, con reparti ospedalieri e terapie intensive che cominciano a vivere una nuova fase di sofferenza, frenare e invertire la curva di crescita della pandemia diviene essenziale. Secondo le rilevazioni del fisico Alessandro Amici venerdì prossimo il contatore dei nuovi positivi arriverebbe a 19.500 contagiati, ma questo dato “è basato sul fatto che continui la crescita esponenziale identificata recentemente” – spiega Amici – e non tiene conto, appunto, delle misure del governo e dei comportamenti individuali delle persone che spesso per responsabilità, maggiore consapevolezza e anche paura in taluni casi, possono essere determinanti per rallentare la diffusione del coronavirus.