mercoledì 16 dicembre 2020

Farsa Italia Viva. Renzi scappa dalla verifica e tratta ancora con Salvini. - Wanda Marra e Giacomo Salvini

 

L’ex premier non sa che fare.

I tavoli da poker si moltiplicano. Quella di ieri è la giornata in cui Matteo Renzi alza la posta e tutti gli altri tengono le carte coperte, aspettando di vedere se si tratta dell’ennesimo bluff. Sono le 9.37 di mattina quando Italia Viva fa sapere di aver chiesto a Giuseppe Conte di spostare l’incontro previsto per le 13, perché la ministra Teresa Bellanova ha un impegno a Bruxelles. Possibile che il leader di Iv non sapesse dell’incontro fondamentale di ieri? Quello che è accaduto davvero è che l’ex premier – dopo la prima giornata di verifica a Palazzo Chigi – si è sentito “mollato” da chi credeva amico nel M5S e soprattutto dal Pd. Dopo giorni in cui l’avevano mandato avanti, infatti, Nicola Zingaretti (e Goffredo Bettini) gli hanno dato l’altolà. E quando hanno visto che non si fermava hanno fatto un vistoso dietrofront. Lui però non ci può stare: si è esposto troppo. Così prende tempo. Da una parte corteggia il centrodestra, dall’altra mette pressione al Pd facendogli balenare l’ipotesi di avere una maggioranza alternativa. Dove porterà la sua doppia e tripla strategia, difficile saperlo.

“In genere le persone quando si guardano allo specchio la mattina sanno cosa faranno, Matteo improvvisa”, commenta un amico. Come dire che l’ex premier non ha affatto chiaro come uscire da questa situazione. Mentre in Senato girano simulazioni che danno zero seggi al suo partito in caso di ritorno al voto con il Rosatellum.

Va detto che però anche in casa Pd continuano a tenere il piede in due staffe. “Conte ha aperto la verifica, ma non sa come chiuderla”, i commenti. Tradotto: non è che il premier può pensare di continuare così. Graziano Delrio, capogruppo alla Camera, glielo ha detto chiaro e tondo: “Se i Cinquestelle insistono sul super bonus nel 2023 salta tutto. Perché ci vogliono 9 miliardi che non ci sono”. Loro insistono. E il Pd si trova nella solita situazione scomoda di dover chiarire che non può seguire le istanze identitarie dei colleghi di maggioranza, per cui è “o questo, o niente”. A sera Renzi prova a giocare su questa difficoltà: “Non ci penso proprio a far cadere il governo” dice, con una rassicurazione che non rassicura. “La palla ora tocca al premier. La prima condizione è sul Mes”. Intanto, si tratta sul Recovery Plan e sulla struttura di governance. Renzi si è detto pronto a presentare un documento al premier. Conte sul punto media: il piano “sarà affidato a un procedimento che ci consentirà di parlamentarizzarlo, con aggiornamento step by step e approvazione finale dal Parlamento”. Di più: ci sarà “un’interlocuzione con tutte le parti sociali”. Basterà? E Conte garantirà all’ex premier la sua parte sulle nomine di primavera? “Cede su tutto”, azzarda Renzi con i suoi.

Ma nel frattempo continua a tenersi aperto il tavolo con il centrodestra. Nel fine settimana ha proseguito con la strategia di tastare il terreno dell’opposizione “responsabile” ed “europeista” (quindi FI e la parte pragmatica della Lega che fa riferimento a Giancarlo Giorgetti). L’idea fatta trapelare, direttamente o tramite i suoi ambasciatori, a Gianni Letta e Salvini sarebbe quella di un governo di unità nazionale sostenuto anche da FI e magari con l’appoggio esterno della Lega che così non dovrebbe “sporcarsi le mani” con l’alleata riottosa Giorgia Meloni che da giorni sta provando a stoppare le fughe in avanti del leghista. Nella e-news di ieri Renzi ha elogiato l’intervento di Mario Draghi sulla gestione del Recovery. Non è un mistero che all’ala di Giorgetti Draghi piaccia molto. Di fronte alle avance renziane – nel centrodestra si racconta di pesanti sfoghi di Ettore Rosato e Maria Elena Boschi contro Conte ché “non lo sopportiamo più” – la strategia di Salvini e Berlusconi è attendista, con timide aperture.

Ha deciso, B. di indossare la maglia dell’osservatore responsabile imponendo ai suoi parlamentari di non fare uscite improvvide sulla crisi per lasciarsi mani libere in caso di larghe intese, possibilità che piacerebbe molto ad Arcore. Salvini, invece, pur dicendo ufficialmente di non fidarsi di Renzi, continua ad ammiccare all’altro Matteo. Se dovesse cadere Conte, ha detto ieri, si potrebbe formare “un governo di centrodestra con 20 persone di buona volontà”. Peccato che la coalizione di centrodestra al momento non avrebbe i numeri in Parlamento, senza un aiutino degli ex grillini e dei renziani. E così, anche lui, un giorno fa un passo verso i “delusi” da Conte, e l’altro verso Meloni. Qualcuno sostiene che questo sia il segnale che non sarebbe ostile a un governo tecnico, altri fanno notare che dietro gli ammiccamenti a Renzi ci sarebbe la voglia di vendetta dopo la mossa del senatore di Scandicci dell’estate 2019 di sostenere il governo giallorosa. Occhi puntati sull’appuntamento di domani mattina alle 9, quando la delegazione di Iv entrerà a Palazzo Chigi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/16/farsa-italia-viva-renzi-scappa-dalla-verifica-e-tratta-ancora-con-salvini/6038230/

martedì 15 dicembre 2020

Conte: 'Il governo rema in una sola direzione per il rilancio dell'Italia'.

 

Incontro con Conte spostato tra domani sera e venerdì. La Bellanova a Bruxelles e Iv chiede il rinvio del vertice. Renzi: documento bloccato grazie a noi.


"Il governo sta remando in un'unica direzione per il rilancio economico del Paese". Lo ha detto il premier Giuseppe Conte in un videomessaggio all'IX Cabina di Regia per l'Italia Internazionale. "Ringrazio Di Maio e tutti i presenti per il lavoro svolto e per quanto continuerete a fare con passione e con tenacia nei prossimi mesi", ha detto il premier.

Italia Viva ha chiesto al presidente Conte di spostare l'incontro fissato per oggi alle 13 a Chigi.

La ministra Bellanova, si apprende da fonti Iv, è impegnata a Bruxelles per il consiglio europeo che deve affrontare un tema strategico per i prodotti alimentari italiani: la questione dei semafori. L'incontro con Conte, fanno sapere fonti di Italia Viva, verrà dunque spostato al rientro della ministra: tra domani sera e venerdì.  

"Il Presidente del Consiglio ha convocato i partiti di maggioranza. Il blitz notturno che avrebbe fatto approvare un documento non condiviso da nessuno e una task force in grado di sostituirsi al Governo e al Parlamento è stato ufficialmente bloccato. Lo avevo chiesto in Parlamento (qui) e oggi sono felice che tutti diano ragione a Italia Viva". Così Matteo Renzi nell'e-news.

"Sui temi del "salto di qualità" del governo diremo la nostra al premier con un documento scritto appena ci sarà occasione di incontrarci. Appena consegnato al premier, lo manderemo a tutti gli amici delle Enews. Stiamo facendo una battaglia per le idee, non per le poltrone: all'incontro verranno anche le ministre, che sono pronte a rimettere il mandato, se serve. Perché chi dice che noi facciamo confusione per avere mezza poltrona in più deve prendere atto che noi siamo l'unico partito che è pronto a rinunciare alle poltrone, non a chiederle".

"Comprendiamo bene che fino quando il piano non sarà definito ci saranno ansie e tensioni legittime perché è una grande occasione storica ed è giusto che fino a quando collettivamente non sarà condiviso ci siano questi atteggiamenti. Il piano sarà un piano nazionale, non ci sarà una concezione padronale, non sarà gestito con arbitrarietà, sono le risorse della comunità nazionale. Tutti potranno in qualsiasi momento controllare sul sito della presidenza ogni progetto e lo stato di avanzamento, questo è il miglior sistema a garanzia per tutti", ha detto il premier Giuseppe Conte all'assemblea di Coldiretti.

"E' un dovere della classe dirigente non seguire una strada ma sceglierne una, costruire un percorso. E' importante coinvolgere il sistema Paese, ascoltare le testimonianze e metterle in una visione per una nuova strada". Così Nicola Zingaretti ad un seminario on line del Pd, affermando che "serve sinergia" partendo dalla convinzione che "l'Italia ce la farà e questo va detto perchè questo punto è in discussione".

 "Chi pensa a fare giochini di palazzo in piena pandemia dimostra di essere un irresponsabile", ha detto il ministro per gli Affari Regionali, Francesco Boccia, in diretta su Rainews24. "Parlare di crisi è semplicemente surreale", ha aggiunto. 

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/12/15/italia-viva-chiede-il-rinvio-del-vertice-bellanova-a-bruxelles_91764a47-ed79-447c-bfb8-a8a1318b35ae.html

La criminalità organizzata è ovunque in Italia, ma cresce la resistenza. Ecco la mappa. De Raho: “Sono le mafie a creare arretratezza”. - Luisiana Gaita

 

Quali sono le province a presentare i valori più elevati dell’Indice di permeabilità alla criminalità organizzata (Ipco), secondo una ricerca Eurispes, realizzata nell’ambito del Protocollo d’intesa con la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e presentata oggi a Roma.

Non ci sono, in Italia, zone di “non permeabilità” alla criminalità organizzata, anche se le province il cui il rischio è maggiore coincidono con quelle con la maggiore arretratezza economica e sociale del Paese. Di fatto, sono le province calabresi e campane a presentare i valori più elevati dell’Indice di permeabilità alla criminalità organizzata (Ipco), secondo una ricerca Eurispes, realizzata nell’ambito del Protocollo d’intesa con la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e presentata oggi a Roma. Secondo il procuratore Federico Cafiero de Raho, a capo della Dna, “non è l’arretratezza socioeconomica che genera le mafie, ma sono le mafie che causano l’arretratezza. Senza le mafie il nostro Paese sarebbe il primo Paese al mondo”. Dati preoccupanti arrivano non solo dal Sud: nella provincia di Roma il livello di permeabilità cresce di 3,28 punti e la fa balzare in graduatoria di 44 posizioni. Non va meglio alla provincia di Milano, il cui livello è cresciuto del 2,57, salendo di 39 posizioni. Questi dati sono dovuti al fatto che sono diverse le cause di permeabilità lungo la Penisola. E, anche se si registra un calo generale delle condizioni che consentono ai clan di penetrare nel tessuto sociale, economico, politico delle varie aree del Paese, le eccezioni (come quelle di Roma e Milano) non mancano. “In generale nelle province del Sud la vulnerabilità è principalmente dovuta a forme di fragilità economico-sociali, che spingono i gruppi criminali a forme più tradizionali di controllo del territorio, che generano a loro volta una maggiore fragilità” spiega il presidente di Eurispes, Gian Maria Fara, sottolineando che “nelle province del Nord la vulnerabilità è più legata al mondo produttivo, dove i gruppi criminali possono infiltrarsi in virtù della forza finanziaria ottenuta attraverso proventi illeciti”.

LA POLARIZZAZIONE TRA NORD E SUD – Lo studio conferma, anche un collegamento fra il fenomeno e il manifestarsi di crisi economico-finanziarie nazionali e internazionali. E questa, visti i tempi che viviamo e la crisi innescata dalla pandemia dovuta al Covid-19, non è certo una buona notizia. Attraverso l’analisi e l’incrocio di 163 indicatori specifici, è stato costruito un indice (ottenuto combinando 19 indicatori compositi) con l’obiettivo di rappresentare per ogni singola provincia il grado di permeabilità (e quindi anche di resistenza) rispetto alle strategie adottate dalla criminalità organizzata e di misurare, sostanzialmente, due fattori: vulnerabilità e appetibilità dei territori. I valori più alti dell’indice sono misurati per le province del Mezzogiorno, mentre nel Nord-Est si trovano i valori più bassi. Le prime due province sono Crotone e Vibo Valencia, rispettivamente con valori di 108,62, e 107,29, la terza è Napoli e la quarta è Reggio di Calabria, con valori simili tra loro (106,89 e 106,88). Per queste quattro province si evidenzia una spiccata permeabilità. L’unica provincia del Nord d’Italia tra le prime 10 è Imperia, ottava nella graduatoria. Le province meno esposte alla criminalità organizzata si trovano in Lombardia e in Friuli-Venezia Giulia: sono Monza e della BrianzaComoUdinePordenone e Lecco. Anche la mappa dei valori aggregati per Regione conferma sostanzialmente l’andamento provinciale.

CRESCE LA RESISTENZA, MA NON A ROMA E MILANO – Ad eccezione delle province di Roma e Milano, l’analisi dinamica (nel tempo) dell’indice ha messo invece in luce una generale crescita della resistenza alla criminalità organizzata, con una minore polarizzazione tra Nord e Sud rispetto all’analisi che si basa solo sulla situazione attuale. Altre province che mostrano valori in crescita sono Chieti (+2,08) e due province siciliane, Siracusa e Messina, che non solo hanno valori in crescita ma anche alti. E che si aggiungono, in Sicilia, a quelli di Palermo e Agrigento, che pure hanno visto aumentare la propria permeabilità. Tra le province più virtuose c’è Bolzano (indice IPCO è calato di 8,38 punti, scendendo in graduatoria di 71 posizioni). Altre province che si sono distinte positivamente sono Matera (-4,86), Terni (-4,74) e Lodi (-4,70).

LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA SI ADATTA AI TERRITORI – Molto polarizzati tra Nord e Sud gli indicatori della povertà, del mercato del lavoro e quello dell’inadeguatezza delle Istituzioni. Al contrario, gli indicatori sulle banche, sui servizi e quello sulle condizioni finanziarie delle famiglie delineano una connotazione geografica più debole. In questo contesto, se la permeabilità del Sud è principalmente dovuta alla vulnerabilità sociale, quella del Nord è legata soprattutto alle possibilità speculative e di profitto. “La criminalità organizzata – spiega Gian Maria Fara – ha dimostrato di saper adattare le proprie strategie di crescita ai bisogni del territorio, riuscendo spesso a presentarsi come alternativa alle risorse legali, soprattutto per le categorie sociali più vulnerabili”. Secondo il presidente di Eurispes “ciò permette a queste organizzazioni di aumentare sia il loro controllo sul territorio, sia il sostegno ricevuto da parte dello stesso”. Inoltre, infiltrandosi nei tessuti produttivi legali, la criminalità organizzata mimetizza le proprie condotte “rendendo più difficile distinguere tra legale e illegale. Ciò avviene – aggiunge – tanto per i processi produttivi, quanto per le risorse usate e per le forme organizzative e di competizione, con grave danno delle realtà imprenditoriali più virtuose, della credibilità di un intero sistema economico, della fiducia nella sua struttura finanziaria”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/15/la-criminalita-organizzata-e-ovunque-in-italia-ma-cresce-la-resistenza-ecco-la-mappa-de-raho-sono-le-mafie-a-creare-arretratezza/6037450/

Matteo Renzi rinvia l’incontro con Conte mentre continua a minacciare il governo. Boccia: “Giochini di palazzo da irresponsabili”.

 

Il leader di Italia viva, dopo aver fatto saltare il confronto con il presidente del Consiglio, nella e-news ha annunciato: "Diremo la nostra al premier con un documento scritto appena ci sarà occasione di incontrarci". Rosato: "Ci vedremo domani sera o giovedì".

E’ stato lui a volere lo scontro dentro la maggioranza, sempre lui a minacciare Giuseppe Conte in Senato perché su Recovery fund si ridiscutesse tutto da capo. Ma al momento della convocazione da parte del presidente del Consiglio, Matteo Renzi ha deciso di non presentarsi e di far rinviare l’incontro. Il motivo ufficiale? L’impegno della ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova a Bruxelles che le impedisce di partecipare al vertice delle 13. “Ci vedremo domani sera o giovedì“, ha dichiarato Ettore Rosato su Radio Rai Uno. Intanto, in attesa che il faccia a faccia venga ufficialmente riprogrammato, il leader di Italia viva continua a minacciare il governo. E questo nonostante ieri Conte, all’avvio delle consultazioni, abbia ottenuto l’appoggio di M5s e Pd a procedere con il governo e un no secco all’ipotesi rimpasto.

Non solo Renzi ha rinviato la resa dei conti, ma si è affrettato a usare la sua e-news per continuare a ricattare l’esecutivo. E per farlo è ripartito dall’accusa secondo cui sul Recovery plan il governo non sia mai stato consultato. Una notizia smentita però dal Fatto quotidiano di venerdì scorso: sono stati almeno 16 gli incontri al ministero su governance e spartizione dei fondi. Nonostante questo, Renzi scrive: “Il Presidente del Consiglio ha convocato i partiti di maggioranza. Il blitz notturno che avrebbe fatto approvare un documento non condiviso da nessuno e una task force in grado di sostituirsi al governo e al Parlamento è stato ufficialmente bloccato. Lo avevo chiesto in Parlamento (qui) e oggi sono felice che tutti diano ragione a Italia Viva“. In realtà, solo ieri, Conte ha ribadito che la task force ci sarà, come richiesto dall’Ue, e non “non sarà mai sovrapposta ai passaggi istituzionali”.

Ma qual è il piano del leader di Italia viva? Per ora consegnare un documento al premier con le richieste del suo partito. “Sui temi del “salto di qualità” del governo diremo la nostra al premier con un documento scritto appena ci sarà occasione di incontrarci (non oggi perché Bellanova è a Bruxelles). Appena consegnato al premier, lo manderemo a tutti gli amici delle Enews. Stiamo facendo una battaglia per le idee, non per le poltrone: all’incontro verranno anche le ministre, che sono pronte a rimettere il mandato, se serve. Perché chi dice che noi facciamo confusione per avere mezza poltrona in più deve prendere atto che noi siamo l’unico partito che è pronto a rinunciare alle poltrone, non a chiederle”.

Mentre gli alleati tacciono, anche nella speranza che le tensioni possano rientrare, a esporsi è stato il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia: “Chi pensa a fare giochini di palazzo in piena pandemia dimostra di essere un irresponsabile“, ha detto a Rainews24. “Parlare di crisi è semplicemente surreale. I cittadini sono confusi perché invece di mettere davanti la pandemia c’è chi mette davanti le liturgie della politica. Io per fortuna faccio parte del Pd e Zingaretti non fa sconti, si è messo sulle spalle sin dall’inizio la coesione della maggioranza. Il Pd si occupa dei problemi del Paese“.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/15/matteo-renzi-rinvia-lincontro-con-conte-mentre-continua-a-minacciare-il-governo/6037441/

Franceschini: “La norma di cui ha usufruito anche il padre della compagna di Conte? L’ho voluta io, il premier non ne sapeva nulla”.

 

"Nessuna norma 'salva suoceri' o fantomatiche manine di Palazzo Chigi la norma nasce negli uffici del Mibact perché è una norma giusta e il presidente del Consiglio non ne era a conoscenza prima che la portassi in Consiglio dei ministri", ha detto il ministro dei Beni culturali riferendosi alla legge inserita nel decreto Rilancio, che impone solo una sanzione amministrativa agli albergatori che non hanno versato la tassa di soggiorno ai comuni, di cui ha usufruito anche Cesare Paladino, padre della compagna del presidente del consiglio.

Ha suscitato settimane di polemiche. Ha attirato su Giuseppe Conte il sospetto di aver varato una legge ad personam, anzi ad suocerum. Perché di quella norma inserita nel decreto Rilancio, approvato la scorsa primavera del governo, che impone solo una solo la sanzione amministrativa agli albergatori che non hanno versato la tassa di soggiorno ai comuni, ha usufruito anche Cesare Paladino, gestore dell’Hotel Plaza – struttura a 4 stelle nella centralissima via del Corso a Roma – e genitore di Olivia, compagna del presidente del consiglio. Quella legge, però, non è uscita da Palazzo Chigi. “Nessun mistero. La norma sulla depenalizzazione del mancato versamento della tassa di soggiorno l’ho voluta io, dopo una audizione in Parlamento, e ho chiesto io ai miei uffici di scriverla. O meglio l’hanno chiesta molti gruppi parlamentari di opposizione e maggioranza, le Regioni, le associazioni di categoria e io l’ho fatta preparare e l’ho presentata perché giusta”, ha detto il ministro per i Beni e le Attività Culturali e Turismo, Dario Franceschini, spiegando l’origine della norma contenuta nel dl Ristori e della quale ha potuto usufruire anche Paladino-

“Norma chiesta da tutte le associazioni di categoria” – “‘Nessuna norma ‘salva suoceri’ o fantomatiche manine di Palazzo Chigi – nega Franceschini – la norma nasce negli uffici del Mibact perché è una norma giusta e il presidente del Consiglio non ne era a conoscenza prima che la portassi in Consiglio dei ministri, così come io non sapevo della vicenda del Plaza. Il mistero semmai è come si possa continuare a alimentare retroscena quando abbiamo spiegato più e più volte come sono andate le cose, l’ultima quattro giorni fa con una nota stampa diramata dal Mibact”. Il titolare del ministero dei Beni culturali continua spiegando che “la modifica della disciplina sulla tassa di soggiorno introdotta dall’articolo 180 del decreto rilancio è stata frutto di un approfondito dibattito parlamentare che ha visto coinvolte maggioranza e opposizione. La norma risponde a specifiche richieste delle associazioni di categoria e delle Regioni, presentate a più riprese al Governo e al Parlamento – non solo in questa legislatura – di estendere al settore alberghiero la disposizione già in vigore per le locazioni turistiche dal 2017, che non considera agente contabile il gestore della struttura ricettiva”.

“Non è una norma salva suoceri” – Franceschini riscotruisce dunque l’iter che ha portato all’approvazione della norma. “Nel corso dell’esame parlamentare dei decreti Cura Italia e Liquidità – dice – diversi gruppi parlamentari di maggioranza e opposizione (tra questi Pd, M5S, Fdi, Fi, Gruppo misto) hanno presentato emendamenti per modificare in tal senso la disciplina segnalandolo anche nel corso delle audizioni e con interpellanze e interventi in aula. La proposta normativa era inoltre presente nel documento con le osservazioni di Federalberghi al decreto legge n. 18 del 2020 così come, negli stessi termini, nel documento con le osservazioni della Commissione Turismo e Industria Alberghiera della Conferenza delle Regioni e Province Autonome. La misura è stata inserita, come sottolineato e chiesto da tutti gli operatori e dalle diverse forze politiche, guardando al presente e al futuro, non al passato: su questo, siamo certi che la magistratura troverà la giusta soluzione”.

Il caso di Paladino – L’ultimo passaggio si riferisce ad alcuni casi di albergatori che usando la norma approvata dal decreto Rilancio sono riusciti a farsi depennalizzare condanne passate. E’ il caso di Paladino che era stato accusato di non aver versato due milioni di euro di tassa di soggiorno al Comune di Roma tra il 2014 e il 2018 e per questo motivo condannato a un anno e due mesi. Pochi giorni fa, però, il gup Bruno Azzolini ha accolto l’istanza d’incidente di esecuzione dell’avvocato Stefano Bortone revocando quella sentenza perché “il fatto non è previsto dalla legge come reato”. A stabilirlo è appunto la norma voluta da Franceschini. Secondo i magistrati coordinati dall’aggiunto Paolo Ielo, però, la depenalizzazione non era retroattiva: non si applica ai fatti commessi prima del 19 maggio (cioè prima della pubblicazione in Gazzetta ufficiale). Per questo motivo si erano opposti alla richiesta di revoca della condanna, avanzata dai legali di Paladino che invece consideravano la norma retroattiva. Secondo i pm, invece, la nuova norma cambia la posizione dell’albergatore – che non è più esattore – ma obbligato in solido con il cliente. “Non vi è abolitio criminis perché la norma sopravvenuta non espunge nella macro-categoria degli incaricati di pubblico servizio la sotto-categoria degli incaricati dalla riscossione delle imposte per conto di un ente pubblico”. Il gup alla fine ha dato ragione al padre della compagna di Conte. Nel 2019 Paladino aveva restituito la somma dovuta al Comune, insieme a un risarcimento danni. Il pm Alberto Pioletti e l’aggiunto Ielo, che gli avevano contestato il reato, avevano stimato le cifre trattenute illecitamente in circa 300mila euro nel 2014, oltre 500mila nel 2015, 2016 e 2017 e infine 88mila euro nel 2018.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/15/franceschini-la-norma-di-cui-ha-usufruito-anche-il-padre-della-compagna-di-conte-lho-voluta-io-il-premier-non-ne-sapeva-nulla/6037575/

Matteo Messina Denaro, 13 fermi: c’è anche ex direttore Atm di Trapani. Indagato un sindaco per corruzione elettorale. -

 

Non c'è solo la mafia nell’inchiesta della Dda di Palermo che ha portato all'emissione di misure per persone ritenute legate al boss latitante di Castelvetrano.

Un altro blitz per cercare di stringere il cerchio intorno a Matteo Messina Denaro. Mafiosi, imprenditori incensurati, sindaci e anche un manager ai vertici di una azienda pubblica. Non c’è solo la mafia nell’inchiesta della Dda di Palermo che ha portato al fermo di 13 persone ritenute legate al boss latitante di Castelvetrano. Nell’indagine, condotta dallo Sco della Polizia, c’è anche Salvatore Barone, ex presidente del consiglio di amministrazione ed ex direttore dell’azienda per i trasporti Atm di Trapani. Barone, che è stato fermato con l’accusa di associazione mafiosa, è anche presidente della cantina sociale Kaggera di Calatafimi e secondo gli inquirenti era al servizio del capo della famiglia mafiosa locale, Nicolò Pidone.


Secondo gli inquirenti Pidone, direttamente o attraverso il proprio uomo di fiducia, Gaetano Placenza, allevatore messo ai vertici della società, decideva chi assumere scegliendo il personale in modo da aiutare le famiglie dei detenuti mafiosi e disponeva che ad esponenti di Cosa Nostra venissero dati soldi. Tra le assunzioni più importanti, volte a favorire i clan, figura quelle di Veronica Musso, figlia del boss Calogero Musso, ergastolano, ex capo della “famiglia” di Vita. Barone, inoltre, avrebbe procurato voti al sindaco di Calatafimi Segesta (Trapani), Antonino Accardo, oggi indagato per corruzione elettorale. L’indagine è coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Francesca Dessì e Piero Padova. Ad Accardo è stato notificato un avviso di garanzia. Dalle intercettazioni, secondo gli investigatori, è emerso che avrebbe pagato 50 euro a voto per le elezioni dell’anno scorso a sindaco del comune di Calatafimi Segesta (Trapani). Insegnante in pensione, 73 anni, Accardo ha alle spalle alcune esperienze da assessore e consigliere comunale a Calatafimi.

In ottale sono 13 i provvedimenti di fermo emessi dai magistrati della Dda, venti gli indagati. Le accuse ipotizzate, a vario titolo, nei confronti degli indagati sono associazione mafiosa, estorsione, incendio, furto, favoreggiamento personale e corruzione elettorale, aggravati dal metodo mafioso. In corso anche una serie di perquisizione nelle campagne del trapanese per la ricerca di armi. Per chi indaga Pidone, già condannato per associazione mafiosa, è il personaggio chiave dell’inchiesta. Ritenuto a capo della cosca di Calatafimi, organizzava i summit in una dependance fatiscente vicina alla sua masseria; lì venivano prese le principali decisioni che riguardavano il clan. Tra gli indagati anche altri condannati per mafia come Rosario Leo, pregiudicato che vive a Marsala, e cugino di Stefano Leo, molto vicino al boss di Mazara del Vallo Vito Gondola, poi morto, e a Sergio Giglio, coinvolto nell’inchiesta sui favoreggiatori del capomafia Matteo Messina Denaro.

Nelle indagini sono finiti però anche insospettabili che, a vario titolo, hanno favorito le comunicazioni tra il capo della famiglia calatafimese, specie nel periodo in cui era sottoposto alla sorveglianza speciale, ed altri mafiosi, tra cui lo stesso Rosario Leo, anch’egli sorvegliato speciale. Tra coloro che favorivano gli incontri e le comunicazioni c’era il 46enne imprenditore agricolo vitese Domenico Simone, secondo quanto hanno ricostruito le indagini. Fermati anche l’imprenditore Leonardo Urso, di origini marsalesi, enologo, accusato di favoreggiamento, e l’imprenditore agricolo Andrea Ingraldo, di origini agrigentine, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, per aver assunto fittiziamente Pidone per far figurare l’esistenza di una regolare posizione lavorativa e attenuare la misura di sicurezza.

Il clan, secondo l’Antimafia, controllava il territorio attraverso l’esecuzione di “inchieste” per ricostruire episodi criminosi avvenuti in zona e non “autorizzati” e interveniva con atti intimidatori nei confronti di chi collaborava con la giustizia. In quest’ultimo ambito si inquadra l’incendio dell’auto dell’imprenditore Antonino Caprarotta, voluto da Pidone e realizzato insieme a Giuseppe Aceste e Antonino e Giuseppe Fanara. Caprarotta aveva denunciato l’imprenditore mafioso Francesco Isca ed altri soggetti implicati nella vicenda della gestione illecita dei parcheggi del parco archeologico di Calatafimi-Segesta. Tra i fermati anche Giuseppe Gennaro, altro esponente della famiglia mafiosa di Calatafimi, accusato, oltre che di associazione mafiosa, anche di aver rubato un trattore agricolo, nell’interesse del clan insieme a Francesco Domingo, Sebastiano Stabile e Salvatore Mercadante. In cella anche il trentasettenne calatafimese Ludovico Chiapponello, indagato per aver favorito l’associazione mafiosa bonificando dalle microspie la dependance di Pidone. Indagato infine un appartenente alla Polizia Penitenziaria, a cui è contestato il reato di rivelazione di segreto d’ufficio commesso per agevolare Cosa Nostra. Dall’inchiesta è emerso che il clan aveva la disponibilità di armi. Il fermo è motivato dall’intenzione di alcuni indagati di darsi alla latitanza e al progetto di pesanti ritorsioni verso uno dei mafiosi che sarebbe entrato in conflitto col capo della famiglia di Calatafimi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/15/matteo-messina-denaro-13-fermi-ce-anche-ex-direttore-atm-di-trapani-indagato-un-sindaco-per-corruzione-elettorale/6037221/

Lega, soldi & poltrone: l’assalto alla sanità. - Stefano Vergine (2^puntata)

 

I nominati e il “sistema del 15%”. Attivo fino al 2019. Così i “piazzati” pagano il Carroccio. Il meccanismo è ancora attuale: nei documenti inediti c’è traccia dei versamenti fino allo scorso anno.

I versamenti sono continuati almeno fino al 2019. E la lista dei nominati non riguarda solo la sanità lombarda, ma un pezzo enorme dell’economia italiana: partecipate di Stato, banche, società finanziarie, fondazioni, multinazionali dell’energia, società aeroportuali, aziende di trasporti. Il “sistema del 15%” è pervasivo, capillare e non è una abitudine che la Lega di Matteo Salvini ha abbandonato. È stato il commercialista Michele Scillieri a rivelarne l’esistenza ai pm di Milano nell’ambito dell’inchiesta sulla Lombardia Film Commission.

Ma grazie a documenti finora inediti e a diverse testimonianze raccolte, Il Fatto però è in grado di provare come quel meccanismo sia in realtà strutturato e ben collaudato all’interno del partito di Salvini ancora oggi. Sul giornale di domenica abbiamo svelato il meccanismo usato dal Carroccio per finanziarsi attraverso le nomine di manager e dirigenti sanitari in Lombardia tra il 2008 e il 2010. La regola è chiara, come scritto in una delibera del consiglio federale del 2001: “È dovere morale di quanti saranno nominati, di contribuire economicamente alle attività del movimento con importi che equivalgano, mediamente, al 15 per cento di quanto introitato”.

Qui non stiamo parlando di persone iscritte alla Lega, di parlamentari, consiglieri regionali o comunali. Si tratta di manager ufficialmente slegati dalla politica, scelti per guidare aziende pubbliche come quelle sanitarie.

Domenica abbiamo pubblicato un elenco interno al partito con 34 nomi di dirigenti sanitari lombardi che dal 2008 al 2010 hanno versato regolarmente soldi al Carroccio. Donazioni da 6-7 mila euro all’anno ciascuno, che messi insieme hanno permesso al partito di raccogliere circa 350mila euro nel triennio.

Le nuove carte analizzate permettono di raccontare che questi versamenti sono proseguiti fino a oggi. Lo dicono gli stessi bilanci della Lega. Prendiamo Mara Azzi, oggi direttore generale dell’Ats di Pavia. Tra il 2008-2010, quando era a capo della Azienda Ospedaliera di Desenzano del Garda, Azzi avrebbe versato 18 mila euro alla Lega, secondo un documento contabile del partito. Davvero Azzi ha donato soldi alla Lega? Alle nostre domande la dirigente pubblica non ha risposto. Impossibile trovare riscontri per quegli anni nei bilanci della Lega: il partito ha iniziato solo nel 2014 a pubblicare le liste dei suoi donatori a livello nazionale, e solo dal 2015 gli elenchi dei finanziatori delle varie sezioni regionali. Proprio dal bilancio della Lega Nord relativo al 2015 emerge però il nome della Azzi. In quell’anno, quando Salvini era già segretario federale, la dirigente sanitaria ha donato 12 mila euro al Carroccio.

Storia simile per Walter Locatelli, all’epoca direttore generale della Asl di Milano, oggi commissario straordinario di Alisa, l’Azienda Ligure Sanitaria della Regione Liguria, che gestisce tutte le cinque Asl liguri e l’ospedale San Martino. Locatelli ha sicuramente donato soldi alla Lega nel 2014: 6mila euro, dice il bilancio del Carroccio. Chi ha invece continuato a versare l’obolo senza soluzione di continuità è Mauro Borelli, da una vita dirigente sanitario in Lombardia, prima direttore generale dell’Asl di Lecco, poi di quella di Mantova, adesso dell’Asst Franciacorta. Secondo il documento contabile interno, Borelli avrebbe versato 18mila euro alla Lega tra il 2008 e il 2010. Contattato da Il Fatto per un commento, Borelli non ha risposto. Impossibile dunque sapere con certezza se il dirigente pubblico abbia versato soldi alla Lega in quegli anni. Di certo, però, lo ha fatto negli anni seguenti.

I rendiconti del partito dicono che in tutti questi anni Borrelli non si è mai scordato della sua donazione. Con una precisione svizzera, ha versato 6 mila euro all’anno, ogni anno, dal 2014 al 2019. Sempre la stessa cifra, la stessa versata al partito da molti suoi colleghi. Come Alessandro Visconti, tra il 2008 e il 2010 direttore amministrativo dell’Asl Milano, oggi salito di grado e diventato direttore generale dell’Asst Fatebenefratelli Sacco: nel 2015 e nel 2016 ha donato in tutto 12mila ero alla Lega, dicono i bilanci, mentre negli ultimi tre anni non c’è più traccia di suoi contributi. Chi non ha invece mai saltato un giro è Fulvio Edoardo Odinolfi, fino al 2011 direttore sanitario della Asl di Lecco, oggi direttore generale dell’Asst Ovest Milano. I bilanci pubblici della Lega dicono che Odinolfi dal 2015 al 2019 ha donato in tutto 33mila euro al partito. Come abbiamo raccontato domenica, né i vertici della Lega (Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti) né i cinque dirigenti sanitari citati hanno risposto alle nostre domande sul meccanismo del 15%.

Ieri ci ha però inviato una email uno dei cinque dirigenti: Alberto Zoli, tra il 2008 e il 2010 direttore sanitario della Asl di Lecco, oggi direttore generale dell’Areu, l’Azienda Regionale Emergenza Urgenza, l’unità di crisi presieduta da Attilio Fontana che si sta occupando dell’emergenza covid-19. Oltre a farci sapere di non aver più dato contributi alla Lega dopo il 2010, Zoli ha tenuto a precisare che quei versamenti non erano frutto di “una vera a propria richiesta”: era “consuetudine che i manager che aderivano al progetto della Lega sostenessero con una quota volontaria il partito. Avevo saputo di questa possibilità dall’allora capogruppo della Lega in Consiglio Regionale, che però non mi ha parlato di cifre, solo di opportunità su base volontaria, non certo obbligatoria”. Che cosa poteva succedere in caso di mancato versamento? “Non succedeva nulla”, è stata la risposta di Zoli. Una versione che non combacia con quella fornitaci da una ex segretaria della Lega, nell’amministrazione in via Bellerio per quasi 30 anni. Chiedendoci l’anonimato, la donna ha spiegato che il sistema del 15% nella pratica non funzionava davvero su base volontaria. “Tutti quelli nominati”, dice la fonte, “avevano l’obbligo morale di dare un tot alla Lega ogni anno, almeno quelli che venivano remunerati per quell’incarico. Chi non lo faceva riceveva una telefonata da Giampaolo Pradella, che si occupava allora degli enti locali della Lega, che gli diceva: ‘Guarda, non è arrivato il contributo, ricordati eh’. Insomma, in modo velato gli diceva: ‘Dai il contributo, altrimenti la prossima volta non vieni più nominato’”.

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