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domenica 31 gennaio 2021

Matteo D’Arabia, le 10 cose che non tornano. - Salvatore Cannavò

 

Senza vergogna - L’ex sindaco di Firenze getta fumo sulla vicenda saudita, ma i punti controversi sono tantissimi: i diritti umani, la guerra, il caso Khashoggi, la stampa complice.

I giornali che lo criticano lo farebbero per creare un “diversivo”. Così Matteo Renzi ha commentato le polemiche – poche per la verità – seguite al suo viaggio saudita per partecipare alla Future Investment Initiative. “Prendo l’impegno a discutere con tutti i giornalisti dei miei incarichi internazionali, delle mie idee sull’Arabia saudita, di tutto”, ha dichiarato Renzi. Ma non ora, perché c’è la crisi di governo da risolvere.

E allora proviamo a riassumere quello che di questa vicenda dovrebbe far vergognare e a porre alcune domande.

1. Il diversivo. Matteo Renzi non ha avuto remore a recarsi a Riyad per la conferenza della Fii, istituto finanziato dal governo saudita, nel bel mezzo di una crisi provocata da lui. Per tornare ha utilizzato il beneficio di un volo privato garantito dal Fii stesso. Aveva avvertito il presidente Sergio Mattarella che in quei giorni così intensi si sarebbe assentato?

2. Condotta immorale. Nel Parlamento europeo esiste un Codice di condotta in base al quale, assicurano autorevoli esponenti di Strasburgo, una situazione come quella renziana sarebbe stata censurata. Renzi si è fatto pagare, nel pieno di un mandato parlamentare, da una istituzione che dipende da uno Stato straniero. Possibile che un politico che ama “il coraggio e la nobiltà d’animo” non sappia definire un proprio, accettabile, codice di condotta?

3. I diritti di Amnesty. L’elencazione delle violazioni dei diritti umani da parte saudita, stilato da Amnesty è esplicito. Ieri, sul manifesto, il portavoce italiano, Riccardo Noury, citava tra i casi più eclatanti quello di Raif Badawi, blogger, fondatore di Liberali sauditi: “Viene fatto scendere da un pulmino, in catene. La piazza di fronte alla moschea di Gedda è piena di gente. Arriva il funzionario addetto all’esecuzione delle pene e lì, al centro della piazza, inizia ad agitare la frusta. Una, due, dieci, 50 volte. Dopo 15 minuti, lo ‘spettacolo’ è terminato. Il pulmino riparte”. Che ne pensa Renzi?

4. Khashoggi e la Supercoppa. Il caso più agghiacciante è ovviamente quello del giornalista Jamal Khashoggi, ucciso, seviziato “smembrato con una sega”, dopo essere entrato nel consolato saudita a Istanbul. Bin Salman, indicato come il mandante dell’omicidio, non ha mai risposto di nulla e Agnes Callamard, responsabile Onu per le esecuzioni extragiudiziali, ha definito il processo allestito dai sauditi come privo di “legittimità legale o morale”. Il 26 ottobre 2018, il deputato Luciano Nobili, che di Italia Viva sembra guidare il servizio d’ordine, dichiarava su Twitter: “Dopo la morte di Khashoggi la comunità internazionale non può restare indifferente. La Supercoppa non può giocarsi in Arabia Saudita”. La Supercoppa no, la conferenza sì?

5. Scusi, dov’è lo Yemen? Tra i crimini sauditi riconosciuti internazionalmente ci sono i centomila morti nello Yemen, gettato in una guerra interna ormai decennale e in cui Riyad ha giocato sporco anche grazie alle bombe occidentali. Tra cui quelle prodotte in Italia e approvate, guarda caso, proprio dal governo Renzi. Ora, finalmente, il governo ha bloccato l’export di quelle bombe, applicando la legge 185 e in virtù di una risoluzione firmata sia dal M5S che dal Pd. Quanti morti servono per non parlare con un regime?

6. Se mi fossi ritirato. Nel colloquio-intervista con Bin Salman, Renzi si è presentato “soprattutto come ex sindaco di Firenze”. In realtà, è soprattutto un senatore in carica, membro della Commissione Difesa. L’Arabia Saudita è tra i Paesi al mondo che più spendono in armamenti. Possibile che non si colga il tema del conflitto di interessi? Inutile ricorrere a casi come quello di Gerhard Schröder, Tony Blair o Bill Clinton, tutti impegnati in iniziative “private”, ma dopo aver dismesso qualsiasi incarico pubblico. Renzi lo avrebbe potuto fare se avesse dato seguito a quanto dichiarato in occasione del Referendum 2016, ma la politica non l’ha lasciata.

7. La quarantena dei furbi. Grazie alla carica di senatore, Renzi non ha dovuto sottoporsi alla quarantena per coloro che rientrano dagli Stati contenuti nell’elenco E del Dpcm 14 gennaio. Sulla base di quell’elenco, “gli agenti diplomatici” sono esentati dall’obbligo di quarantena e, secondo quanto confermato dall’Ufficio questori del Senato, i senatori vengono coperti dalla norma. Che, però, non dovrebbe riguardare chi viaggia per interessi personali soprattutto se retribuiti. Abbiamo anche i “furbetti della quarantena”?

8. Rinascimento medievale. Renzi ha dato prova di un nitido provincialismo rivolgendosi “al grande principe” con il sorriso emozionato dello scolaretto di fronte al maestro. La gag del Rinascimento l’aveva già usata più volte, ma in questo caso sembra davvero imbarazzante. Per quanto si voglia giocare a paragonare i “prìncipi” del Cinquecento a quelli che governano nel Golfo Persico, di mezzo c’è la Storia. Il Rinascimento è un simbolo dell’Italia chiamato in causa per definire una fase di progresso culturale. In Arabia Saudita si è data la possibilità alle donne di guidare solo nel 2018 e di entrare in uno stadio nel 2019. Più che Rinascimento siamo in pieno Medioevo (con tante scuse al Medioevo).

9. Un Jobs act saudita. “Sono geloso del costo del lavoro a Riyad” ha detto Renzi a Bin Salman. Geloso: perché sono alti o perché sono bassi? Perché i salari sauditi sono piuttosto buoni per i sauditi doc, ma il sistema si regge su 11 milioni di lavoratori migranti sottoposti a un regime semi-schiavistico. Con un ruolo assolutistico delle imprese (che possono anche ridurre unilateralmente i salari). Pensava a questo sistema quando ideava il Jobs act?

10. Il silenzio della stampa. A differenza di altri casi, Matteo Renzi ha goduto della sostanziale impunità dal resto delle forze politiche. Ma ancora di più dalla stampa. Tranne Domani che ha dato la notizia, il manifesto, la Verità e, ovviamente, il Fatto la vicenda non ha avuto il risalto che merita sul resto della stampa nazionale né nei telegiornali.

Sui social network, il cinguettio quotidiano di giornalisti, molto noti, molto liberali e molto antipopulisti, è stato attento nell’accusare, limitandosi ad alzare il sopracciglio. Quella politica giova alla politica? E questo tipo di giornalismo giova al giornalismo?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/31/matteo-darabia-le-10-cose-che-non-tornano/6084667/

mercoledì 16 dicembre 2020

Farsa Italia Viva. Renzi scappa dalla verifica e tratta ancora con Salvini. - Wanda Marra e Giacomo Salvini

 

L’ex premier non sa che fare.

I tavoli da poker si moltiplicano. Quella di ieri è la giornata in cui Matteo Renzi alza la posta e tutti gli altri tengono le carte coperte, aspettando di vedere se si tratta dell’ennesimo bluff. Sono le 9.37 di mattina quando Italia Viva fa sapere di aver chiesto a Giuseppe Conte di spostare l’incontro previsto per le 13, perché la ministra Teresa Bellanova ha un impegno a Bruxelles. Possibile che il leader di Iv non sapesse dell’incontro fondamentale di ieri? Quello che è accaduto davvero è che l’ex premier – dopo la prima giornata di verifica a Palazzo Chigi – si è sentito “mollato” da chi credeva amico nel M5S e soprattutto dal Pd. Dopo giorni in cui l’avevano mandato avanti, infatti, Nicola Zingaretti (e Goffredo Bettini) gli hanno dato l’altolà. E quando hanno visto che non si fermava hanno fatto un vistoso dietrofront. Lui però non ci può stare: si è esposto troppo. Così prende tempo. Da una parte corteggia il centrodestra, dall’altra mette pressione al Pd facendogli balenare l’ipotesi di avere una maggioranza alternativa. Dove porterà la sua doppia e tripla strategia, difficile saperlo.

“In genere le persone quando si guardano allo specchio la mattina sanno cosa faranno, Matteo improvvisa”, commenta un amico. Come dire che l’ex premier non ha affatto chiaro come uscire da questa situazione. Mentre in Senato girano simulazioni che danno zero seggi al suo partito in caso di ritorno al voto con il Rosatellum.

Va detto che però anche in casa Pd continuano a tenere il piede in due staffe. “Conte ha aperto la verifica, ma non sa come chiuderla”, i commenti. Tradotto: non è che il premier può pensare di continuare così. Graziano Delrio, capogruppo alla Camera, glielo ha detto chiaro e tondo: “Se i Cinquestelle insistono sul super bonus nel 2023 salta tutto. Perché ci vogliono 9 miliardi che non ci sono”. Loro insistono. E il Pd si trova nella solita situazione scomoda di dover chiarire che non può seguire le istanze identitarie dei colleghi di maggioranza, per cui è “o questo, o niente”. A sera Renzi prova a giocare su questa difficoltà: “Non ci penso proprio a far cadere il governo” dice, con una rassicurazione che non rassicura. “La palla ora tocca al premier. La prima condizione è sul Mes”. Intanto, si tratta sul Recovery Plan e sulla struttura di governance. Renzi si è detto pronto a presentare un documento al premier. Conte sul punto media: il piano “sarà affidato a un procedimento che ci consentirà di parlamentarizzarlo, con aggiornamento step by step e approvazione finale dal Parlamento”. Di più: ci sarà “un’interlocuzione con tutte le parti sociali”. Basterà? E Conte garantirà all’ex premier la sua parte sulle nomine di primavera? “Cede su tutto”, azzarda Renzi con i suoi.

Ma nel frattempo continua a tenersi aperto il tavolo con il centrodestra. Nel fine settimana ha proseguito con la strategia di tastare il terreno dell’opposizione “responsabile” ed “europeista” (quindi FI e la parte pragmatica della Lega che fa riferimento a Giancarlo Giorgetti). L’idea fatta trapelare, direttamente o tramite i suoi ambasciatori, a Gianni Letta e Salvini sarebbe quella di un governo di unità nazionale sostenuto anche da FI e magari con l’appoggio esterno della Lega che così non dovrebbe “sporcarsi le mani” con l’alleata riottosa Giorgia Meloni che da giorni sta provando a stoppare le fughe in avanti del leghista. Nella e-news di ieri Renzi ha elogiato l’intervento di Mario Draghi sulla gestione del Recovery. Non è un mistero che all’ala di Giorgetti Draghi piaccia molto. Di fronte alle avance renziane – nel centrodestra si racconta di pesanti sfoghi di Ettore Rosato e Maria Elena Boschi contro Conte ché “non lo sopportiamo più” – la strategia di Salvini e Berlusconi è attendista, con timide aperture.

Ha deciso, B. di indossare la maglia dell’osservatore responsabile imponendo ai suoi parlamentari di non fare uscite improvvide sulla crisi per lasciarsi mani libere in caso di larghe intese, possibilità che piacerebbe molto ad Arcore. Salvini, invece, pur dicendo ufficialmente di non fidarsi di Renzi, continua ad ammiccare all’altro Matteo. Se dovesse cadere Conte, ha detto ieri, si potrebbe formare “un governo di centrodestra con 20 persone di buona volontà”. Peccato che la coalizione di centrodestra al momento non avrebbe i numeri in Parlamento, senza un aiutino degli ex grillini e dei renziani. E così, anche lui, un giorno fa un passo verso i “delusi” da Conte, e l’altro verso Meloni. Qualcuno sostiene che questo sia il segnale che non sarebbe ostile a un governo tecnico, altri fanno notare che dietro gli ammiccamenti a Renzi ci sarebbe la voglia di vendetta dopo la mossa del senatore di Scandicci dell’estate 2019 di sostenere il governo giallorosa. Occhi puntati sull’appuntamento di domani mattina alle 9, quando la delegazione di Iv entrerà a Palazzo Chigi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/16/farsa-italia-viva-renzi-scappa-dalla-verifica-e-tratta-ancora-con-salvini/6038230/

martedì 15 dicembre 2020

Conte: 'Il governo rema in una sola direzione per il rilancio dell'Italia'.

 

Incontro con Conte spostato tra domani sera e venerdì. La Bellanova a Bruxelles e Iv chiede il rinvio del vertice. Renzi: documento bloccato grazie a noi.


"Il governo sta remando in un'unica direzione per il rilancio economico del Paese". Lo ha detto il premier Giuseppe Conte in un videomessaggio all'IX Cabina di Regia per l'Italia Internazionale. "Ringrazio Di Maio e tutti i presenti per il lavoro svolto e per quanto continuerete a fare con passione e con tenacia nei prossimi mesi", ha detto il premier.

Italia Viva ha chiesto al presidente Conte di spostare l'incontro fissato per oggi alle 13 a Chigi.

La ministra Bellanova, si apprende da fonti Iv, è impegnata a Bruxelles per il consiglio europeo che deve affrontare un tema strategico per i prodotti alimentari italiani: la questione dei semafori. L'incontro con Conte, fanno sapere fonti di Italia Viva, verrà dunque spostato al rientro della ministra: tra domani sera e venerdì.  

"Il Presidente del Consiglio ha convocato i partiti di maggioranza. Il blitz notturno che avrebbe fatto approvare un documento non condiviso da nessuno e una task force in grado di sostituirsi al Governo e al Parlamento è stato ufficialmente bloccato. Lo avevo chiesto in Parlamento (qui) e oggi sono felice che tutti diano ragione a Italia Viva". Così Matteo Renzi nell'e-news.

"Sui temi del "salto di qualità" del governo diremo la nostra al premier con un documento scritto appena ci sarà occasione di incontrarci. Appena consegnato al premier, lo manderemo a tutti gli amici delle Enews. Stiamo facendo una battaglia per le idee, non per le poltrone: all'incontro verranno anche le ministre, che sono pronte a rimettere il mandato, se serve. Perché chi dice che noi facciamo confusione per avere mezza poltrona in più deve prendere atto che noi siamo l'unico partito che è pronto a rinunciare alle poltrone, non a chiederle".

"Comprendiamo bene che fino quando il piano non sarà definito ci saranno ansie e tensioni legittime perché è una grande occasione storica ed è giusto che fino a quando collettivamente non sarà condiviso ci siano questi atteggiamenti. Il piano sarà un piano nazionale, non ci sarà una concezione padronale, non sarà gestito con arbitrarietà, sono le risorse della comunità nazionale. Tutti potranno in qualsiasi momento controllare sul sito della presidenza ogni progetto e lo stato di avanzamento, questo è il miglior sistema a garanzia per tutti", ha detto il premier Giuseppe Conte all'assemblea di Coldiretti.

"E' un dovere della classe dirigente non seguire una strada ma sceglierne una, costruire un percorso. E' importante coinvolgere il sistema Paese, ascoltare le testimonianze e metterle in una visione per una nuova strada". Così Nicola Zingaretti ad un seminario on line del Pd, affermando che "serve sinergia" partendo dalla convinzione che "l'Italia ce la farà e questo va detto perchè questo punto è in discussione".

 "Chi pensa a fare giochini di palazzo in piena pandemia dimostra di essere un irresponsabile", ha detto il ministro per gli Affari Regionali, Francesco Boccia, in diretta su Rainews24. "Parlare di crisi è semplicemente surreale", ha aggiunto. 

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/12/15/italia-viva-chiede-il-rinvio-del-vertice-bellanova-a-bruxelles_91764a47-ed79-447c-bfb8-a8a1318b35ae.html

venerdì 11 dicembre 2020

Ponte Morandi, “falsi report su ispezione e verifiche antisismiche. Da ex vertici Autostrade falsità a Mit sullo stato della rete”. - Paolo Frosina e Giovanna Trinchella

 

"È eclatante - sottolineano i giudici del Riesame - la connessione qualificata tra tutte le indagini (dal crollo del Morandi, ai falsi report sui viadotti passando per le barriere e la manutenzione delle gallerie oltre alla tentata truffa), tutti riguardanti omessi e lacunosi controlli, con le correlate manutenzioni sulle strutture autostradali, al fine di risparmio sulle spese e di aumento degli utili da distribuire, con ovvio riconoscimento di rilevanti incentivi economici ai dirigenti che li permettevano - concludono -, il tutto in totale spregio della sicurezza degli utenti delle autostrade".

L’ultima inchiesta della procura di Genova su Autostrade, quella sulle barriere fonoassorbenti che ha portato temporaneamente agli arresti domiciliari anche l’ex ad Giovanni Castellucci, continua a riservare colpi di scena su altre inchieste che hanno riguardato la gestione della sicurezza di Aspi. L’ultimo riguarda il ponte Morandi, collassato il 14 agosto 2018, per cui, secondo i magistrati, vennero redatti falsi report sulle “ispezioni, sulla valutazione di sicurezza richiesta dall’ordinanza del presidente del Consiglio e sulle verifiche di sicurezza antisismiche“. Sono i i giudici del Tribunale del Riesame di Genova che lo scrivono nelle motivazioni con cui hanno revocato gli arresti domiciliari a Paolo Berti, ex direttore Operazioni centrali di Aspi, disponendo l’interdittiva per 12 mesi. Il manager, condannato in primo grado per la strage di Avellino (40 morti), intercettato diceva di aver coperto con le sue dichiarazioni le responsabilità di Castellucci. Per i giudici della Libertà inoltre “è stato artatamente inquadrato come intervento locale il progetto di retrofitting (il rinforzo delle pile 9, quella caduta, e la 10), con elusione dei controlli e avallando affermazioni inveritiere”. Fu la pila 9 a cedere. Il crollo si portò via 43 vite e provocò danni in tutta la zona, mettendo in ginocchio la città di Genova.

Falsità al ministero sullo stato effettivo del patrimonio autostradale” – Un altro capitolo riguarda le bugie e le omissioni destinate al ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture. “Le condotte di dissimulazione e falsità”, poste in essere dalla vecchia dirigenza di Aspi, “erano destinate anche a mantenere il ministero delle Infrastrutture nell’ignoranza circa lo stato effettivo del patrimonio autostradale. È eclatante – sottolineano i giudici del Riesame – la connessione qualificata tra tutte le indagini (dal crollo del Morandi, ai falsi report sui viadotti passando per le barriere e la manutenzione delle gallerie oltre alla tentata truffa), tutti riguardanti omessi e lacunosi controlli, con le correlate manutenzioni sulle strutture autostradali, al fine di risparmio sulle spese e di aumento degli utili da distribuire, con ovvio riconoscimento di rilevanti incentivi economici ai dirigenti che li permettevano – concludono -, il tutto in totale spregio della sicurezza degli utenti delle autostrade“. Una lunga serie di omissioni e falsi.

Berti era finito ai domiciliari a metà novembre nell’ambito dell’inchiesta sulle barriere antirumore pericolose, barriere che era completamente da sostituire perché gravate da un errore di progettazione, come ha raccontato diversi testimoni. Ma i vertici di Aspi non avevano nessuna intenzione di sostituirle, sarebbe stato troppo oneroso. Eppure l’ex direttore delle operazioni centrali di Aspi, “era consapevole dell’inadeguatezza e pericolosità delle barriere fono assorbenti” ma non intervenne. Come del resto gli altri indagati Ma non solo, il dirigente seguì “la linea dell’azienda” ovvero quella del massimo risparmio sulle manutenzioni per distribuire più profitti tra i soci. “Una articolata condotta costellata – scrivono i giudici – di sapienti silenzi e inganni espliciti mantenendo nel tempo la pericolosità della circolazione. A lui spettava di fermare il treno“.

La chat cancellata dopo il crollo del ponte: “Sti cazzi…” –Non sussistendo più il pericolo di inquinamento probatorio i giudici hanno deciso di disporre l’interdizione revocando gli arresti domiciliari, ma nelle 30 pagine con cui motivano la loro decisione c’è spazio per il caso della chat cancellata. Si tratta di messaggi scambiati tra Berti ed ex responsabile manutenzioni, Michele Donferri Mitelli (per cui invece sono stati confermati i domiciliari nei giorni scorsi). È il 25 giugno del 2018, quindi due mesi prima del crollo del ponte. “Berti – scrivono i giudici asseritamente in Usa per un convegno dove sarebbero state illustrate tecniche per salvaguardare i ponti, inviava a Donferri Mitelli la proposta di iniettare aria deumidificata nei cavi del viadotto Polcevera per levare l’umidità, ma l’altro rispondeva che i cavi erano già corrosi. A quel punto Berti ribatteva: “sti cazzi ….. io me ne vado”, evidentemente conscio della possibilità di sciagure delle quali sarebbe stato chiamato a rispondere, visto che non emerge da nessuna parte che egli già sapesse del trasferimento ad Aeroporti di Roma, che sarebbe avvenuto oltre sei mesi dopo, a sua tutela, in connessione con l’imminente condanna nel procedimento di Avellino”.

L’intercettazione tra Donferri a Berti: “T’ha pagato” – 

Proprio sul processo per la morte di 40 persone – giudizio in cui l’ex ad Castellucci era stato assolto – i giudici del Riesame ricordano come il reddito di Berti nel 2017 era triplicato e che era stato “tutelato” da Castellucci “che alla vigilia della lettura della sentenza” lo aveva fatto trasferire società Aeroporti di Roma dove il top manager era stato consigliere. Nella telefonata del 15 gennaio 2019 – quattro giorni dopo il verdetto – Berti in una telefonata intercettata dice e Mitelli: “Io ho promesso che avrei fatto delle cose .. devi fare quelle cose che hai promesso che dovevi fare… lui ha promesso che farà di tutto per alleviare .. se ne è avvantaggiato … per evitare che qualcosa arrivasse a lui, non abbiamo potuto fare quello che potevamo fare …. mi cambiava”. In una altra conversazione Berti e e Marrone, anche lui condannato in primo grado, concordano che devono farsi promettere per iscritto da Castellucci che, comunque, nonostante la condanna penale anche definitiva, non saranno stati licenziati. E nella telefonata del 30 gennaio Donferri, si legge nel provvedimento del Riesame, “ricorda a Berti che non è stato usato da Castellucci perché questi lo ha compensato adeguatamente facendogli fare carriera, ripetendo più volte: ‘T’ha pagato‘”.

L’estromissione di Tomasi dal caso delle barriere – I giudici, nel provvedimento, ricordano solo quanto tutti gli indagati fossero consapevoli della pericolosità delle barriere difettate e non in grado di sostenere il vento ma come avessero estromesso dalla vicenda Roberto Tomasi, attuale ad di Autostrade, che aveva cercato di intervenire. In una nota i magistrati riportano una intercettazione di Donferri Mitelli che dice “allora … Tomasi ha chiamato me e l’ho mandato a fare in culo, Tomasi ha chiamato Berti e l’ha mandato a fare in culo Tomasi è andato da Castellucci … Castellucci lo ha mandato a fare in culo“. In un’altra conversazione è lo stesso Tomasi che parla intercettato sul caso che dice “… gestito sempre dai soliti due (Berti e Donferri, ndr) … e gestito francamente non in modo … in modo rigoroso ……. a luglio 2017 noi facemmo delle prove sulle nuove opere e … evidenziammo … guardate … però sembra che ci sia un problema di dimensionamento su queste barriere … ecco i due … Berti e Donferri … io ne parlai con Castellucci e Berti e Donferri dissero … no la gestione la prendiamo noi … non è tua Tomasi ….. è stato uno scontro abbastanza feroce … perché Berti ha detto .. tu vuoi entrare a fare la gestione nostra …”.

“Persistente totale mancanza di scrupoli” – Come per l’ex ad Castellucci anche per Berti i giudici sostengono che “emerge in tale quadro la persistente totale mancanza di scrupoli per la vita e l’integrità fisica degli utenti delle autostrade mediante azioni ed omissioni in concorso relative, praticamente, a tutti i tipi e gli oggetti di manutenzione ed adeguamento nell’ambito della gestione delle autostrade, condotte volte tutte a una poliedrica e persistente politica del profitto aziendale, soprattutto risparmiando le spese dovute ma anche cercando di imputarle a capitoli non pertinenti perché potessero essere in parte detratte dai debiti verso la controparte, perseguito anche attraverso condotte delittuose. Ovviamente – rimarcano i magistrati – neppure può dirsi che le condotte illecite siano state da lui tenute solo nell’interesse di terzi, in quanto l’aumento a quasi il triplo delle sue già consistenti entrate emergente dalle dichiarazioni dei redditi dà la misura della tangibile riconoscenza a lui manifestata. Si noti in particolare che le condotte contestate nel presente procedimento sono state da lui tenute, nonostante l’evidenza dei cedimenti delle barriere già accaduti e nonostante che egli fosse stato in precedenza già rinviato a giudizio nel processo di Avellino, relativo alla caduta da un viadotto autostradale di un autobus pieno di viaggiatori anche a causa dell’inadeguatezza delle barriere, che non ne avevano contenuto lo sbandamento laterale verso l’esterno”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/11/ponte-morandi-falsi-report-su-ispezione-e-verifiche-antisismiche-da-ex-vertici-aspi-falsita-al-mit-sullo-stato-della-rete-autostradale/6034201/

giovedì 26 novembre 2020

Giulio Regeni, il buco di sei giorni nella ricostruzione di Renzi. - Wanda Marra e Gianni Rosini

 

Italia-Egitto. L’ex premier: “Io informato del caso solo il 31 gennaio 2016”. Fonti della Farnesina: “Chigi sapeva dal 25, giorno della scomparsa di Giulio”.

Ricostruendo i drammatici giorni della scomparsa di Giulio Regeni, l’ex ambasciatore italiano al Cairo, Maurizio Massari, lo dice chiaramente: “Di tutte queste azioni (parla di fatti avvenuti tra il 25 e il 27 gennaio 2016, ndr) dello stato della situazione, ho tenuto costantemente informate le nostre autorità a Roma, in particolare la Farnesina e la Presidenza del Consiglio”. Eppure Matteo Renzi – che mentre scoppia il caso è premier – martedì durante la sua audizione alla Commissione d’inchiesta Regeni ha sostenuto di non aver saputo nulla fino al 31 gennaio di quell’anno. Sei giorni nei quali Massari si attivava, parlava con ministri egiziani e andava pure a depositare una denuncia. “Se avessimo saputo prima del 31 gennaio, avremmo potuto agire prima sicuramente”, ha detto Renzi.

Un’affermazione talmente abnorme che la Farnesina ha diramato una nota per smentirlo, sia pure in maniera implicita: “La Farnesina precisa che le Istituzioni governative italiane e i nostri servizi di sicurezza furono informati sin dalle prime ore successive alla scomparsa di Giulio il 25 gennaio 2016. Il ministero degli Esteri ricorda inoltre che tutti i passi svolti con le più alte Autorità egiziane sono stati ampiamente documentati e resi noti alle Istituzioni competenti a Roma dall’Ambasciatore Massari nelle sue funzioni di Ambasciatore d’Italia al Cairo”. La domanda quindi è: possibile che con tutti i funzionari informati, tra Farnesina e Palazzo Chigi, oltre ai servizi segreti, nessuno abbia detto nulla a Renzi (come lui peraltro sostiene)?

Fonti vicine al dossier, sentite dal Fatto, spiegano che già il 25 gennaio, quando viene a sapere della scomparsa di Regeni, Massari attiva i canali d’informazione interni alla sede diplomatica. Nello specifico, il “responsabile dell’intelligence (Aise) e del ministero dell’Interno presenti in ambasciata”. Ma informa direttamente anche la Farnesina e la Presidenza del Consiglio. Magari non direttamente il premier, ma di certo il suo consigliere diplomatico, Armando Varricchio (oggi ambasciatore negli Usa).

Cosa sia avvenuto in quei giorni lo ha ricostruito Massari in Commissione: viene informato il 25 gennaio della scomparsa di Regeni “con una telefonata alle 23.21 del professor Gennaro Gervasio, professore di economia presso l’Università britannica del Cairo, con il quale Giulio aveva appuntamento quella sera stessa”. Il giorno dopo, il 26, Massari interessa ufficialmente della questione, tramite una nota formale, il ministero degli esteri egiziano e pure il ministro di Stato egiziano per la produzione militare Mohamed El-Assar. Nella notte tra il 26 e il 27 proprio su disposizione di Massari un funzionario dell’ambasciata si reca presso il commissariato di polizia di Dokki per sporgere formale querela. Il 27 vengono informati i genitori di Regeni che arriveranno al Cairo tre giorni dopo. Nel frattempo le autorità interpellate da Massari escludono che Regeni fosse stato fermato o arrestato e ribadiscono di non avere alcuna notizia. Tutti passaggi sui quali l’allora Ambasciatore al Cairo sostiene di aver informato costantemente Farnesina e Presidenza del Consiglio.

Gentiloni invece viene informato il 26: “Io fui informato dalle strutture della Farnesina il 26 gennaio”, dice l’allora ministro degli Esteri in commissione Regeni il 3 settembre scorso. E solo il 2 febbraio Massari viene ricevuto dal ministro dell’Inter Ghaffar. E forse è troppo tardi: l’esame autoptico ha dimostrato le torture subite da Regeni ma anche il fatto che il giovane probabilmente fosse morto il primo febbraio.

Tutto questo senza che Renzi fosse informato neanche dal suo ministro degli Esteri? Nessuno dei personaggi direttamente coinvolti all’epoca dei fatti vuole o può tornare su quei giorni. Dallo stesso Gentiloni in giù. Ma c’è un altro passaggio dell’audizione in cui l’ex premier è quanto meno confuso: “Dicemmo alla Guidi (allora ministro dello Sviluppo economico, ndr) il 31 gennaio: ‘Vai da Al Sisi’”. In realtà la missione in Egitto della titolare del Mise era prevista da tempo. Durante l’audizione, più volte il presidente della Commissione, Erasmo Palazzotto, mostra insofferenza. “Renzi è venuto a fare un comizio, ha confuso le date, non si era preparato”, commenta poi. Possibile che sia stata solo una gaffe? O forse la gaffe è stata funzionale a cercare di scaricare le responsabilità?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/26/regeni-il-buco-di-sei-giorni-nella-ricostruzione-di-renzi/6017015/

mercoledì 14 ottobre 2020

Quanti folli che giocano col Coronavirus. - Gaetano Pedullà

 

Com’era prevedibile, siamo arrivati a quasi seimila nuovi contagi al giorno, 41 morti e i reparti Covid degli ospedali che tornano a riempirsi, ma c’è ancora un manipolo di irresponsabili che per imbecillità o miope polemica col Governo minimizza la pandemia, accusa a casaccio Conte e il ministro Speranza di azioni liberticide, paragonandoli addirittura alla polizia politica sovietica per il solo fatto di aver chiesto ai cittadini di evitare per un po’ le feste, anche in famiglia, visto che il virus non conosce parentele e nell’intimità di casa passa velocemente dai figli ai genitori e ai nonni.

I più imperdonabili di questi incoscienti sono i giornalisti che blaterano di bassi indici di mortalità e insinuano che ci stanno terrorizzando (chi?) per imporre un nuovo ordine mondiale e altre cazzate tipo la favoletta della dittatura sanitaria. Seguono i virologi che improvvisamente sottovalutano la portata del problema, nonostante la loro disciplina sia sempre stata severa sulle misure di prevenzione. Poi ci stanno i soliti governatori di Regione, in astinenza se un giorno sì e l’altro pure non vanno in tv per mettersi contro il Governo, qualunque cosa faccia.

Si mandano i ragazzi a scuola? Bisogna tenerli a casa. Si chiede di collaborare con buonsenso? Ecco il governatore di turno che in un talk show accusa l’Esecutivo perché chiude troppo e in un altro perché chiude troppo poco. E che dire dei tuttologi tipo Sgarbi e Cruciani, a cui non vanno bene nemmeno le mascherine? Folli che giocano, chi per interesse e chi per vanità. Usando come posta le nostre vite.

https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/quanti-folli-che-giocano-col-coronavirus/

venerdì 17 aprile 2020

Coronavirus, tra marzo e aprile in Italia 20 per cento di decessi in più.



Rispetto al dato medio dello stesso periodo tra il 2015 e il 2019. A Bergamo morti quintuplicate:  in 39 capoluoghi del centro-nord +77% . 
Un "aumento dei morti pari o superiore al 20 per cento nel periodo 1 marzo- 4 aprile 2020 rispetto al dato medio dello stesso periodo degli anni 2015-2019" è stato rilevato dall'Istat in un aggiornamento dei dati "anticipatori parziali relativi a una lista di comuni che viene ampliata settimanalmente e che in alcun modo possono essere considerati un campione rappresentativo della intera popolazione italiana". Si tratta del maggiore incremento dei decessi riguarda gli uomini e le persone maggiori di 74 anni di età. Le differenze tra i generi sono particolarmente accentuate nei più anziani residenti al Nord, per gli uomini infatti si osserva un incremento dei decessi del 158% a fronte del 105% per le donne, nella classe di età 75 e più. (ANSA). terza diffusione di questi dati relativa ad una selezione di 1.689 Comuni.   A marzo decessi quintuplicati a Bergamo rispetto a 2015-2019 "Il consolidamento dei dati e l'estensione del periodo di osservazione mettono ulteriormente in evidenza la situazione particolarmente critica dei Comuni della provincia di Bergamo. Il capoluogo vede quintuplicare i decessi per il complesso delle cause per il mese di marzo e per i primi quattro giorni di aprile, passando da una media di 141 casi nel 2015-2019 a 729 nel 2020. Incrementi della stessa intensità, quando non superiori, interessano la maggior parte dei comuni della provincia bergamasca". Lo fa presente l'Istat in una nota sui decessi del 2020, con "informazioni utili alla comprensione della situazione legata all'emergenza sanitaria da Covid-19". "Situazioni particolarmente allarmanti - si legge ancora - si riscontrano anche nella provincia di Brescia, nel cui capoluogo i decessi per lo stesso periodo sono triplicati: da 212 nel 2015-2019 a 638 nel 2020. Va ancora rilevato come incrementi ben superiori al 200% siano presenti anche in capoluoghi come Piacenza (283%), Pesaro (246%) o Cremona (345%). Tra i Comuni verificati che entrano nella selezione per la prima volta, si segnala Bologna che presenta un incremento del 22% dei decessi dal primo marzo al 4 aprile, rispetto alla media dei decessi dello stesso periodo degli anni 2015-2019. Tale incremento si è consolidato proprio nell'ultima settimana (28 marzo - 4 aprile), in cui si sono registrati 135 decessi contro una media di 110 delle settimane precedenti". In 39 capoluoghi del centro-nord decessi a +77 per cento   L'Istat continua a fornire i dati sui decessi dal primo marzo al 4 aprile 2020 principalmente per i comuni del centronord, tra i piu' colpiti. Restano sconosciuti per l'Istat i dati di grandi città come Torino, Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Ancona, Pescara, Bari, Palermo, Reggio Calabria, Cagliari. Questo è valso sia per i dati delle prime tre settimane di marzo, sia per quelli relativi al periodo 1-28 marzo, sia per quelli, diramati in queste ore, relativi ai decessi nel periodo 1 marzo-4 aprile 2020. La questione e' dirimente, anche perché, ad esempio, i dati forniti dal comune di Roma per la mortalita' del mese di marzo 2020 segnano appena un +1,17% rispetto all'analogo periodo del 2019.     Il dato, fornito oggi dall'Istat, riguarda complessivamente 1691 comuni su 7904. I 1691 comuni sono soprattutto del centronord, nelle aree piu' colpite. Nei 39 comuni capoluogo su 111, di cui l'Istat fornisce i dati, i decessi sono aumentati nel periodo 1 marzo-4 aprile del 77% rispetto all'analogo periodo del 2019.          Il comune capoluogo piu' colpito resta Bergamo, i cui morti passano da 151 a 729 (+382,8%). Seguono Piacenza da 121 a 495 (+309,1%), Cremona da 97 a 375 (+286,6%), Pesaro da 108 a 344 (+218,5%), Lodi da 52 a 188 (+261,5%), Brescia da 210 a 638 (+203,8%), Sanluri da 6 a 21 (+250%).     Peggiora il dato di Milano: nelle prime tre settimane di marzo era al +17,4%. Nelle prime 4 settimane i decessi sono aumentati a +41%. Nel periodo dal primo marzo al 4 aprile siamo a +49,3%. Peggiora anche il dato di Genova che passa da + 33,6% di marzo a +54,4% del periodo 1 marzo-4 aprile. Bologna, che compare per la prima volta nella tabella, e' a +22%. Il comune capoluogo del centronord, i cui dati dell'Istat sono disponibili, meno colpito e' Sondrio (+6,5%). A marzo il comune capoluogo del centronord meno colpito era La Spezia, la cui mortalità è pero' aumentata da +9,9% a +20% - 

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/istat-morti-20-per-cento-in-piu-678b12aa-026e-4b4f-a224-33c6cc5cb8a0.html
Alla Lega di Salvini non frega nulla degli italiani che muoiono, vuole riaprire tutto ugualmente!
E vota contro i coronabond, facendoci perdere una buona occasione, perchè alla Lega di Salvini non interessa il nostro bene, interessa soltanto far cadere il governo per vendicarsi di Conte e prenderne possesso con i pieni poteri.
Spero che i suoi seguaci si rendano conto di quanto sia irresponsabile ed egoista e di quanto poco tenga al bene comune.
C.

giovedì 16 aprile 2020

Milano ha perso: così la città è stata travolta dall’onda lunga del virus. - Selvaggia Lucarelli

Immagine di copertina

Un anno fa, ad aprile, Milano era il Salone del mobile, la mostra di fiori sui Navigli, le maratone che tagliavano la città, lo Yogafestival a Citylife, il Gran Ballo di Primavera alla Balera dell’Ortica. C’erano il Rum Festival, il Miart, Tommaso Paradiso che cantava “Felicità puttana” al Forum. Era la Milano dell’immaginario comune, la città in cui le cose succedono, l’Europa è più vicina, il nuovo arriva prima. Era “la città in cui si vive meglio” secondo una classifica di quei giornali che misurano il benessere coi numeri. Beppe Sala, sindaco moderno e benvoluto, posava su una copertina di Style con il Duomo sullo sfondo e il titolo “Città aperta”. Una profezia sbagliata. Del resto, perfino gli scienziati, neanche un anno dopo, si sono rivelati indovini fallibili.
Milano, poi, non è la città delle Cassandre. Qui il domani è un grattacielo nuovo, il quartiere riqualificato, le Olimpiadi invernali. Un anno dopo, Milano è una città che si guarda sulle pareti specchiate del Palazzo Unicredit e non sa più chi è. Malconcia e incredula, la città che mastica il futuro, che farà, che sarà, che non si ferma, si trova per la prima volta a maneggiare ciò che non conosce: il presente. In una narrazione capovolta, per giunta, in cui restano le fotografie di chi dalla “città delle occasioni” è scappato sul primo treno. O sul primo jet. La narrazione capovolta della città che trainava il resto dell’Italia e che ora ne è la zavorra.

Roccaforte del virus, Milano è la città che per ultima uscirà dalla paura dei contagi. E non è detto che gli altri, quelli che ormai i contagi li hanno azzerati o quasi, la aspetteranno. Cosa è successo? Cosa succede a Milano? Succede che la coda dei contagi è lunga perché Milano – almeno un po’ – poteva farcela. Il virus le è girato intorno per settimane, ha aggredito prima il basso lodigiano, la Val Seriana, Brescia, Bergamo. Era chiaro che Milano non potesse godere di una immunità miracolosa, ma era altrettanto chiaro che con un contenimento efficace, si sarebbero potuti limitare i danni.
Si poteva giocare con un anticipo di quasi un mese, e invece no. Anziché dall’onda anomala che si frange senza lasciare scampo, Milano è rimasta sommersa dall’onda lunga. Il sorpasso dei contagi rispetto alla città di Bergamo con le sue bare portate via dall’esercito è avvenuto il 30 marzo. Un mese e 8 giorni dopo il paziente 1 di Codogno. Una vita, durante un’epidemia. Vuol dire che in quei 40 giorni, per tirare su il ponte levatoio, ci si è messo troppo. Vuol dire che di Milano non si sono comprese le fragilità, forse distratti dalle narrazioni sulla città performante (aggettivo osceno, molto milanese, che non a caso arriva dal linguaggio finanziario), dall’idea radicata che la sanità nel capoluogo lombardo fosse il meglio che si potesse chiedere.
A Milano, del resto, ci sono i grandi ospedali pubblici, i gruppi privati più stimati, con all’interno Facoltà di Medicina e poli didattici di università. Ci sono le eccellenze, i luminari, gli esperti, i reparti. Ci sono decine e decine di Rsa, alcune delle quali, come gli ospedali, sono una sorta di città nelle città. Migliaia di pazienti, di dipendenti, di operatori sanitari, di addetti alle pulizie e di parenti che da lì entrano ed escono tutti i giorni. E poi le case di riposo. Piene e numerose, perché qui a Milano i figli sono pochi, gli anziani sono tanti e gli stipendi sono alti.
Non esiste neppure un censimento attendibile delle case di riposo e delle Rsa a Milano. Una specie di giungla urbana invisibile, in cui il Coronavirus ha trovato il suo parco giochi. Qui stava la fragilità di Milano. Qui andavano alzate le barricate. È l’ultima flebo, più che l’ultimo aperitivo, ad aver esposto mortalmente la città. Mentre noi fotografavamo gli ultimi irresponsabili sui Navigli o in Sempione nel weekend del 6 marzo, il virus passava di letto in letto e poi dallo stetoscopio del medico giovane al vecchietto della stanza 5, dal laccio emostatico sul braccio della ragazza immunodepressa all’infermiera del piano terra, dal pigiama della signora in cardiologia allo sfigmomanometro della dottoressa che quest’anno se ne va in pensione. E che, prima di dimettere il ragazzino del reparto all’ultimo piano, ha stretto la mano a quei genitori simpatici, che la chiamavano a tutte le ore.
Il virus entrava nelle case di riposo con i figli delle domenica, viaggiava tra coperte, vassoi di paste, baci e termometri. E poi, con loro, tornava a casa. I parenti e il personale ospedaliero, chi amava e chi curava, è stato l’inconsapevole traghettatore della malattia. Andava difesa, Milano, con quel prezioso anticipo che ha avuto. Bisognava iniziare a usarli con serietà, quei numeri snocciolati a caso nei bollettini di Gallera. Contare pazienti, dipendenti di ospedali, Rsa, case di riposo e avere paura. Prevedere. Schivare il più possibile. Pretendere report dettagliati, trasparenti da tutti.
È anche l’assenza di paura che ha fregato questa città. È la sfrontatezza fessa, perennemente stampata sulla faccia di Gallera. È l’arrogante debolezza di chi non convive con l’idea che si possa perdere. Quella paura che forse ha salvato il Sud. E poi gli interessi. Tante, troppe Rsa hanno taciuto, perché se avessero parlato avrebbero dovuto chiudere. Idem troppe case di riposo, che hanno privato figli e nipoti di informazioni importanti, che hanno atteso settimane prima di ammettere il disastro. I tamponi al personale si sono fatti poco o per niente ovunque, perché va detta una verità semplice, impronunciabile: meglio un medico, un infermiere malato che un reparto senza più personale.
Non si sono tamponati i cittadini, ma si è tamponato il disastro con la propaganda, con l’ospedale di plastica dorata da inaugurare a favore di telecamera, con le colpe da attribuire ai milanesi a giorni alterni. Quelli in cui i numeri erano pessimi “i milanesi vanno troppo in giro, la app dice che ci sono troppi movimenti sospetti dopo le 23”, quelli in cui erano migliori “bravi i milanesi, i vostri sacrifici sono premiati”. Nessuno, intanto, che dica la verità: a Milano si muore ancora tanto perché il virus è entrato dove ha trovato i bersagli più fragili. Tant’è che le terapie intensive, nonostante i morti siano sempre tanti, si stanno svuotando: è perché il novantenne in casa di riposo non lo intuba nessuno. Muore lì.
Non è stato il runner, il colpevole. È nell’abbandono a cui è stata destinata questa città, la colpa di questa dolorosa coda finale. Una città che oggi, 15 aprile, conta 15.000 contagiati contro gli 11.000 di Brescia e i 10.000 di Bergamo, e lo dico sapendo quanto poco valgano i numeri in questa farsa tragicomica di bollettini inaffidabili. Saremo gli ultimi, qui a Milano, ad uscirne. E ne usciremo più tardi, senza aver sfruttato il tempo e l’esperienza maturata nelle settimane che hanno preceduto l’onda lunga. Ne usciremo perché siamo stati in casa. Perché i virus, senza essere portati in giro dall’ospite, non vanno da nessuna parte. Ne usciremo perché abbiamo avuto rispetto e abbiamo avuto paura. Ne usciremo in un cimitero di morti e di morti viventi. Di sopravvissuti che sono stati abbandonati, di malati in casa che si sono auto-imposti quarantene e hanno messo un piede fuori senza sapere se erano ancora positivi. Di famiglie intere che si sono infettate perché “a Milano requisiremo hotel e strutture per isolare gli infetti” e invece balle. Ne usciremo per ultimi, sfiniti e affranti, con la sensazione che qualcosa – almeno qualcosa- qui si sarebbe potuto salvare. Si poteva proteggere. Si poteva risparmiare.
Ne usciremo con una narrazione nuova, da inventare. O forse, per un po’, finalmente senza narrazioni. E no, non basta comprare pagine di giornale per riscrivere la storia di questa primavera. Dovremo rinunciare agli slogan fighetti, all’utilizzo compulsivo di quel verbo insopportabile, “ripartire”, perché non partiremo, non correremo. Dovremo, come prima cosa, imparare a usare di nuovo le gambe. Dovremo coprirci gli occhi perché il sole ci farà male. Dovremo fare i conti con i nostri debiti e con le nostre paure, andare a trovare i nostri morti, tornare a sorridere, sotto la mascherina, ai vicini che torneranno dalle case al sud e dalle ville in montagna.
Lavoreremo in un modo nuovo, stupendoci – forse – di quanto Milano possa offrire a se stessa, prima ancora che agli altri. E quando torneremo a votare, dovremo ricordare tutto, dovremo conservare la memoria primitiva del dolore del fuoco che brucia il dito, la prima volta. Ci racconteranno, tra un po’, che abbiamo vinto. Non abbiamo vinto nulla, qui a Milano. E non dovremo permettere a nessuno di costruire carri del vincitore in dieci giorni, con le immagini in time-laps da pubblicare sui social. Dovremo tornare ad imparare e a correggere, perché forse avevamo smesso.
Dovremo tornare al presente e a guardare ciò che è davanti a noi, perché prima di “ripartire” c’è da sistemare. Non dovremo tornare quelli di prima. Dovremo tornare migliori. Perché Milano ha perso. E dovremo prenderci cura di lei. Mi piacerebbe che si ricominciasse, in questa meravigliosa città, con il tono lucido, rigoroso, sobrio di chi tornò, appunto, sapendo che c’era un cimitero troppo affollato, alle sue spalle, per concedersi sbavature gioviali. Mi piacerebbe che si ricominciasse con un: “Dunque, dove eravamo rimasti?”. Niente di più.

martedì 14 aprile 2020

Commissariateli - di Marco Travaglio su Il Fatto Quotidiano del 14 APRILE 2020

L'immagine può contenere: una o più persone

Sarebbe bello uscirne tutti insieme, ma più passano i giorni e più si comprende che sarà impossibile: non uscirne, ma farlo tutti contemporaneamente. È sempre più difficile convincere un cittadino del Molise o del Veneto che deve restare ai domiciliari chissà fino a quando perché in Lombardia e in Piemonte i contagi e i morti, anziché scendere, salgono. O meglio, si potrebbe convincerlo se, dopo i disastri fatti nei primi due mesi, le giunte lombarda e piemontese mostrassero uno straccio di strategia per aggredire il virus. Invece continuano a subirlo, inerti e in balia degli eventi, senza un orizzonte né una linea d’azione chiara. Passano il tempo a chiacchierare, a lodarsi, imbrodarsi e scaricare barile su “Roma”.

Esemplare l’assessore forzista lombardo Mattinzoli che, mentre le destre accusano Conte di rompere l’unità nazionale, lo insulta dandogli del “pezzo di merda”, minacciandolo di “riempirlo di botte”: ed è ancora al suo posto.
Indimenticabile l’assessore forzista Gallera, così garrulo fino all’altroieri malgrado il record mondiale di morti nella sua regione, e ora silente dopo la scoperta dello scandalo di Alzano (i suoi fedelissimi che vietano la chiusura dell’ospedale dopo i primi focolai) e dell’ordinanza che riversa nelle Rsa i malati Covid dimessi dagli ospedali, ma ancora infetti. Leggendario lo sgovernatore leghista Fontana, che accusa il governo di negare la cassa integrazione a 1 milione di lombardi senz’averla mai chiesta. Poi si dice stupito perché “ero convinto che la curva rallentasse più velocemente”, ma fa poco o nulla per frenarla: scarsa mappatura dei contagi, nessuna campagna aggressiva di tamponi, niente sorveglianza attiva sui contagiati, nessun piano di test sierologici, ignorata la medicina territoriale, isolamento tutto da dimostrare nelle Rsa fra reparti con sani e con malati Covid. Nulla di ciò che fa il Veneto di Zaia, leghista anche lui, ma con la testa sul collo. Solo chiacchiere e propaganda, incluso il Bertolaso Hospital che doveva creare alla Fiera “600 posti letto” e, a due settimane dall’inaugurazione e a una dall’apertura, ospita 10-12 malati con 50 medici e infermieri rubati agli ospedali pubblici. Per questo gli Ordini dei medici di tutta la Lombardia hanno lanciato un j’accuse che fa a pezzi la politica sanitaria per il passato remoto, per il passato prossimo e per il presente. E denunce simili fanno, anche in sede penale, i medici piemontesi contro le analoghe politiche (su Rsa e zero strategie) della giunta gemella del forzista Cirio, con un comitato di crisi (vedi pag. 2) che definire imbarazzante è un eufemismo.

Provate per un attimo a immaginare se la Lombardia e il Piemonte, o Milano e Bergamo, maglie nere dell’emergenza Coronavirus in Italia, fossero governate non dai “competenti” di destra&Pd, ma da “incompetenti” dei 5Stelle, tipo Appendino e Raggi. In tv e sui giornali non si parlerebbe d’altro e tutti invocherebbero le dimissioni delle due grilline, fino alla loro impiccagione sulla Mole Antonelliana e sulla Madunina. Invece non solo nessuno chiede la testa di Fontana, Cirio, Gallera, Mattinzoli, Sala, Gori e di tutta la fallimentare classe politica lombardo-piemontese. Ma i giornaloni continuano a menarla con l’“incompetenza” dei 5Stelle, che almeno stavolta non c’entrano. Su Repubblica, Francesco Merlo arriva a sostenere che la task force nominata dal premier, con “Vittorio Colao, 17 manager e professori, prima del Covid sarebbe stata derisa e calunniata dagli asini saputi che, cacciando i competenti dalla politica e dalle professioni, hanno instaurato la Cretinocrazia”: primi della lista “Grillo e Casaleggio” (che ospitano da sempre sul blog e ai V-Day premi Nobel come Stiglitz e Krugman, scienziati, esperti di nuove tecnologie ecc.).

E così, mentre tutti parlano d’altro per fare propaganda e/o non doversi smentire, si perdono di vista due Regioni totalmente fuori controllo che, non certo per colpa dei cittadini, rischiano di prolungare il lockdown di tutt’Italia anche dopo il 4 maggio. È vero, il virus nei primi giorni è stato sottovalutato in tutto il mondo. Ma sono trascorsi quasi due mesi e non si può più accettare che Fontana si trinceri ancora dietro “il virus particolarmente violento in Lombardia”, perché la sua violenza è stata direttamente proporzionale a vari fattori, in primis gli errori dei vertici sanitari della sua Regione: all’inizio (sull’ospedale di Alzano e la mancata zona rossa in Bassa Val Seriana), in seguito (con le Rsa e la rincorsa all’ospedalizzazione selvaggia) e oggi (zero strategie per aggredire l’emergenza). Né si può lasciare il Piemonte in balìa di una giunta di inetti che si ispirano all’unico modello da non seguire: quello lombardo. Non lo diciamo noi: lo dicono i medici, con denunce documentate a cui nessuno ha neppure tentato di replicare (se non col decisivo argomento che gli Ordini dei medici sono “al servizio del Pd”). La politica non c’entra nulla: c’entra la pelle dei lombardi e dei piemontesi e anche la sorte di un intero Paese ancora bloccato per i numeri spaventosi di quelle due regioni. Il governo, se può, pensi seriamente a commissariare le due Regioni, o almeno le loro Sanità allo sbando. Per il bene di tutti.


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domenica 5 aprile 2020

Armi di distrazione di massa. - Massimo Erbetti

La destra battezza la leadership di Salvini | L'HuffPost

Le armi di distrazione di massa, sono una serie di strumenti mediatici utilizzati dai potenti per distrarci dai problemi reali. Purtroppo ne siamo tutti vittime e lo siamo fin da bambini, quando ad esempio i nostri genitori, per distogliere la nostra attenzione da una promessa fatta e poi non più mantenuta, invece di spiegarci il, motivo di tale mancanza, ci distraggono comprandoci un gelato o un giocattolo. È facile distrarre un bambino, ma è facile, anzi facilissimo anche distrarre un popolo...facile? Direte voi...assolutamente no, noi siamo attenti, noi siamo adulti, noi non ci facciamo fregare tanto facilmente!.. Sicuri sia veramente così? Facciamo finta che un determinato partito politico, faccia un emendamento, nel quale:
".. le condotte dei soggetti preposti alla gestione della crisi sanitaria derivante dal contagio (Covid-19) non determinano, in caso di danni agli stessi operatori o a terzi, responsabilità personale di ordine penale, civile, contabile e da rivalsa..." emendamento scandaloso, vergognoso, volto a creare una categoria di uomini al di sopra della legge e mettiamo il caso che questo partito venga smascherato..cosa fa quel partito? Per prima cosa dice che ritira l'emendamento perché purtroppo è stato scritto male e che "potrebbe" essere frainteso...scritto male? Frainteso?...ma come scritto male? Ci sono le firme di 59 senatori sotto quell'emendamenro, possibile che nessuno di loro si sia accorto che è scritto male? E poi frainteso? Ma come frainteso? È chiaro, lampante, scritto nero su bianco che con quell'emendamenro si volevano salvare gli amici degli amici...e mandare al macello migliaia di operatori sanitari che ogni giorno rischiamo la vita...come uscire da questa storia con il minor danno possibile? Per prima cosa, come dicevo prima, si ritira l'emendamento...poi si rilancia dicendo che si è dalla parte degli operatori sanitari...e gli si promettono più soldi...si sa I soldi fanno comodo a tutti...e poi opera magistrale...degna di un genio..."Riapriamo le chiese per Pasqua".. E il gioco è fatto...argomento del giorno non è più l'emendamento vergogna...superato, dimenticato, messo nel cassetto, ora c'è qualcos'altro di cui parlare...la religione, argomento spinoso, c'è chi ci crede e chi no, bisogna stare attenti a come muoversi a dare giudizi, il terreno è minato...cosa fai? Critichi la scelta? Ma se lo fai, ti attiri le critiche di chi è credente, d'altra parte se non lo fai e la fai passare come una buona idea, rischi di mandare una fetta di popolazione a farsi infettare...dite la verità, vi siete già dimenticati dell'emendamento vergogna vero?...


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