domenica 10 gennaio 2021

Cinque anni senza David Bowie, un genio caduto sulla Terra. - Paolo Baiamonte

 

Camaleontico e rivoluzionario, annullò i confini tra arte e vita.

Il 10 gennaio di cinque anni fa moriva David Bowie. L'8 aveva compiuto 69 anni, lo stesso giorno era uscito "Black Star", il suo testamento artistico.

Per i fan quella successione è stata uno shock: pochi sapevano che uno dei geni più rivoluzionari della storia del rock era da qualche tempo un malato senza speranze, ma in quel triste giorno del 2016 tutti capirono che quell'addio era stato preparato come l'ultimo atto di un'avventura artistica che ha cambiato il mondo. E, per certi aspetti, lo shock fu ancora più grande, quando, ascoltando le note di "Black Star", un album di una profondità lacerante, ci si trovò di fronte al capolavoro di un uomo che ha deciso di raccontare la propria fine annullando nel modo più definitivo il confine tra arte e vita.

David Robert Jones, il nome con cui era iscritto all'anagrafe di Brixton, nel Sud di Londra, ha dimostrato che una rockstar può essere molto di più di un rocker e qualcosa di diverso da una star. Per esempio un alieno caduto sulla Terra chiamato Ziggy Stardust che fece scoprire al mondo l'idea che un musicista poteva essere contemporaneamente una figura che, molto in anticipo sui tempi, metteva in gioco un'ambiguità sessuale sfrontata e al tempo stesso mescolata con il Cabaret berlinese, il teatro Kabuki, il Mimo di Lindsay Kemp.

Un artista che non fosse Bowie probabilmente avrebbe campato tutta la vita sugli allori di Ziggy, ma lui decise di liberarsi da quell'alter ego così ingombrante per assumere prima l'identità del Thin White Duke, il Duca Bianco lanciato alla conquista dell'America ma schiavo della cocaina per poi immergersi nella Berlino della metà degli anni '70 per produrre la celeberrima Trilogia Berlinese con una delle tante scioccanti svolte stilistiche. E' impressionante pensare quante cose sia stato David Bowie, quello di "Let's Dance" e quello del rock durissimo e fallimentare sul piano commerciale dei Tin Machine, un crooner dal carisma impareggiabile, un autore geniale, un'icona di stile, un esploratore di suoni, un attore, un artista che tutto sommato si è curato poco del mercato ma ha guadagnato montagne di soldi grazie ai Bowie Bond, un'operazione finanziaria senza precedenti, un pittore legato all'Espressionismo tedesco, un attore dal curriculum importante composto da film come "L'uomo che cadde sulla Terra", "L'ultima tentazione di Cristo", "Miriam si sveglia a mezzanotte", "Furyo", "Tutto in una notte", "Labirinth" e che si è concesso un autoironico cameo in "Zoolander" e un'apparizione in "The Prestige" di Christopher Nolan.

Un personaggio unico, illuminato, spinto da una curiosità inestinguibile e da un inarrestabile desiderio di conoscenza, quasi a voler comunicare che il cambiamento e la scoperta del nuovo sono un metodo per mettere ordine nel caos. David Bowie è stato e continua ad essere uno degli artisti più influenti della storia della cultura popolare, come ha dimostrato la Mostra realizzata dal Victoria and Albert Museum di Londra. Uno dei primi a capire che il Rock'n'Roll poteva essere molto di più della musica che annunciava al mondo la nascita dei giovani come categoria sociale, a intuire che si poteva andare al di là di confini e convenzioni, che attorno alla musica si poteva costruire un vero e proprio universo di segni. Perfino la morte è stata trasformata in qualcosa che andava oltre la sua ineluttabile verità. Quando, di fronte all'ultimo atto, David Duncan Jones e David Bowie sono tornati ad essere la stessa persona.

https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/musica/2021/01/08/cinque-anni-senza-bowie-genio-caduto-sulla-terra_d58b4379-647e-4a7d-b048-5dffec77ca9e.html?fbclid=IwAR3UpsgqMZm-KCqAHGO9hp566FlATeR6btgPaBDONCOiJj_EK0oXjrVOE68

Governo: Ultima chiamata di Conte a Renzi. Leader Iv: 'Basta immobilismo'. - Serenella Mattera

 

Il premier prova stringere sul Recovery e richiama alla coesione. Franceschini: 'Buon senso per evitare crisi in piena pandemia'. Di Maio: 'Non sono ammessi rallentamenti'.


Martedì il Recovery plan, poi il tavolo per il patto di legislatura e un corposo rimpasto. Ecco l'offerta finale a Matteo Renzi.

Giuseppe Conte, in asse con il Pd, la mette sul tavolo. Se Iv la respingerà - è il sottotesto - è pronta la sfida in Aula, in nome del "bene comune" e del servizio al Paese. Il messaggio di Conte è "di apertura", assicurano dal governo. Ma i renziani lo leggono come una chiamata ai "responsabili", più che a Iv. E a sera quando Renzi riunisce i suoi parlamentari per compattarli nelle ore decisive, le parole restano dure, lo scenario della crisi aperto.

Esclude le elezioni anticipate e assicura che Iv non darà mai il suo sostegno a un governo di centrodestra. Ma aggiunge che così, "nell'immobilismo" dell'esecutivo, non si può andare avanti e ribadisce che Iv è pronta all'opposizione se non vedrà accolta le sue proposte. Finora - afferma - da Giuseppe Conte non sono arrivate risposte alle richieste di Italia viva. Così Matteo Renzi chiude dopo più di quattro ore, a quanto si apprende da alcuni dei presenti, l'assemblea in videoconferenza con i parlamentari di Italia viva. Nel corso dell'assemblea, racconta più di un partecipante, è intervenuta la gran parte dei 48 parlamentari di Iv (31 deputati e 17 senatori). Con toni e accenti diversi, assicurano, avrebbero tutti confermato il sostegno all'azione di Renzi e non ci sarebbe stato nessuno smarcamento, anche se alcuni si sarebbero mostrati più prudenti sulle scelte che ci saranno da compiere nelle prossime ore, nella consapevolezza che da qui a martedì si capirà se è ancora possibile un accordo nella maggioranza o ci sarà la rottura con l'apertura della crisi di governo.

Tra i dirigenti renziani più d'uno è convinto che non ci siano più molti spiragli per ricomporre. Le dimissioni delle ministre sono sul tavolo - dice Renzi - e Iv è pronta ad andare all'opposizione, se non c'è una vistosa virata e accelerazione del governo. Cioè, almeno un Conte ter. Il voto è un "bluff" e Iv non aprirà la crisi per consegnare il governo alla destra, dice Renzi ai suoi per rassicurarli. Il gruppo è "compatto", dicono da Iv a smentire defezioni. I renziani invocano "risposte" e il testo del Recovery in fretta, perché si vada in Cdm e in Aula. Sugli altri temi, un documento di trenta punti sarebbe stato consegnato nei giorni scorsi dal Dem Goffredo Bettini al premier Conte per conto di Renzi, con indicati nodi che andrebbero dal fisco alla revisione del reddito di cittadinanza, dalla giustizia ai cantieri.

Il Pd, ma anche il M5s e Leu, spingono per l'accordo, senza più rinvii. Ma soprattutto provano a spuntare le armi al logoramento di Renzi: l'apertura sui contenuti, assicurano, è amplissima. Tanto che c'è chi non esclude una discussione anche sulla richiesta di almeno una parte del Mes. E' l'ultima chiamata, sembra avvertire il premier in un lungo post su Facebook. Al centro Conte pone il piano vaccini ("Siamo primi in Europa") per un Paese "sfibrato" e la cui "tenuta" è "a rischio". Arriverà già la prossima settimana in Cdm, annuncia, non solo un Recovery plan che è patrimonio "di tutto il Paese" ma anche un nuovo scostamento di bilancio - che dovrà essere votato a maggioranza assoluta in Parlamento - per finanziare un altro decreto ristori. La mano tesa è nel lavoro in corso per recepire le richieste dei partiti sul Recovery, con un rafforzamento del capitolo sanità (per 'sminare' il Mes), ma anche di quelli scuola e digitalizzazione delle imprese. Ed è nella volontà dichiarata di "rafforzare la coesione delle forze di maggioranza e la solidità della squadra di governo" (i partiti leggono: rimpasto). Sulla base del "contributo di tutti" i partiti il premier annuncia che sta preparando "una lista di priorità" per il prosieguo della legislatura. Ma poi c'è l'avvertimento sgradito ai renziani: a chi gli chiede "pazienza", il premier dice di essere "impaziente" di lavorare "per il Paese". Se la condizione di Renzi è che il premier si dimetta per dar vita a un Conte ter, è una condizione finora respinta.

"Fino all'ultimo lavorerò per il bene comune", scrive il presidente del Consiglio fissando il suo limite. Ma sono le ore dei "pontieri", dei mediatori. Dario Franceschini e Graziano Delrio, in asse con il segretario Pd Nicola Zingaretti, inviano all'ex segretario un messaggio: con "buonsenso e buona volontà" è possibile "evitare una crisi in piena pandemia". Altrimenti, avvertono i Dem, Iv dovrà assumersi la responsabilità di bloccare Recovery e ristori. C'è tempo fino a lunedì sera (il Cdm potrebbe essere anticipato) o martedì per trovare l'intesa o Renzi sancirà la rottura. Non impedirebbe, secondo alcune fonti, di approvare il Recovery in Cdm e voterebbe anche lo scostamento di bilancio per dimostrare che non si vuole danneggiare il Paese, ma con le dimissioni di Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, aprirebbe la crisi. Non ci sarebbero stati contatti diretti tra il leader di Iv e il premier negli ultimi giorni. I due si sarebbero sentiti, a quanto viene riferito, solo via messaggio per gli auguri di Natale e Capodanno. Poi a Renzi, sempre via messaggio, Conte avrebbe annunciato il 6 gennaio l'arrivo della proposta aggiornata di Recovery da parte di Roberto Gualtieri. Fine delle comunicazioni. Ma gli ambasciatori sono al lavoro e non si escludono contatti nelle prossime ore. Gli spazi per il rimpasto, dicono gli ambasciatori, ci sono tutti: si tratterebbe su due ministeri di peso a Iv con Ettore Rosato (Difesa, con Guerini al Viminale) e Maria Elena Boschi e per il Pd l'ipotesi di Bettini sottosegretario alla presidenza del Consiglio e la delega al Recovery ad Andrea Orlando.

Ma i renziani spiegano che non può essere un rimpasto la soluzione. Scommettono che si arriverà alla conta in Aula e che dalla crisi potrebbero nascere un governo con stessa maggioranza a guida Pd (i Dem ma anche i 5s negano) o un esecutivo di larghe intese con un premier come Mario Draghi o Marta Cartabia. Intanto i renziani denunciano la caccia (a dir loro fallita) ai responsabili da parte del premier, che sarebbe testimoniata dall'intervista in cui Ugo Grassi, senatore ex M5s ora leghista, racconta che Conte gli avrebbe offerto un incarico per non lasciare la maggioranza. Da Palazzo Chigi la smentita è secca e indignata: parole "false" e "diffamatorie" su un incontro risalente al novembre 2019.

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2021/01/09/recovery-di-maio-non-sono-ammessi-rallentamenti-_5d8d536c-5a04-4962-bf06-23bc2fb86741.html

“Se chiedi rispetto, devi darlo”. “Abbiamo solo perso tempo”. - Tommaso Rodano

 

Ieri notte - Dai porti al numero di pagine: lite totale.

Il vertice di maggioranza sul Recovery Fund è un incontro strano, con un’atmosfera da fine campionato. La squadra di Matteo Renzi, nonostante i sondaggi da retrocessione, gioca a perdere. Lo spettacolo – specie per il pubblico pagante, stremato da un anno di pandemia – è davvero modesto.

Riscaldamento. Il fischio d’inizio è venerdì sera alle 18 e 30. Si gioca a porte chiuse, in videoconferenza. A Palazzo Chigi solo alcuni ministri e la delegazione di Liberi e Uguali (Federico Fornaro e Loredana De Petris). Italia Viva diserta in blocco la trasferta: Teresa Bellanova, Maria Elena Boschi e Davide Faraone sono a casa su Zoom. Con Giuseppe Conte ci sono i ministri Roberto Gualtieri, Stefano Patuanelli, Enzo Amendola, Peppe Provenzano e i capi delegazione Dario Franceschini (Pd), Alfonso Bonafede (M5S) e Roberto Speranza (Leu). C’era una volta una maggioranza, ora due squadre: Pd, M5S e Leu in una metà campo, i renziani nell’altra. Ma la partita è condizionata dall’unico assente. Matteo Renzi controlla i suoi giocatori come alla Playstation. Tutti in difesa, si gioca per non far giocare l’altro: prima tocca a Faraone, poi Boschi e Bellanova.

Primo tempo. Il calcio d’inizio è di Conte. Il governo ha distribuito un documento di sintesi sul Recovery Fund di 13 pagine, lo introduce il premier e poi lo illustra punto per punto Gualtieri. Faraone si inserisce come un terzino di altri tempi. Non gli interessa prendere la palla o la caviglia. Mette in mezzo il solito Mes, la cybersecurity, poi i fondi per l’agricoltura e per la famiglia (i due ministeri renziani). Tutto fa legna. Il senatore siciliano lamenta ancora un problema di metodo: “Nel Consiglio dei ministri del 7 dicembre c’era un testo di 130 pagine, perché ora sono diventate 13?”. Risponde Gualtieri: “Non è questa la sede per discutere del testo definitivo. Eravamo tutti d’accordo su una riunione politica, per confrontarci sulle spese e sui saldi finali”.

Faraone continua a picchiare e stavolta butta la palla direttamente fuori dallo stadio: “Dove sono i fondi per il Ponte sullo Stretto?”. Gualtieri: “Non ci sono. È un’opera incompatibile col Recovery Fund e con i tempi certi che pretende l’Europa”.

Ma Italia Viva ha un altro problema, forse più grosso: nel frattempo Renzi è in televisione e dice di non aver mai chiesto il ponte di Messina. Però la scivolata di Faraone è filtrata dal vertice ai giornalisti, escono le prime agenzie di stampa. La partita si innervosisce definitivamente.

Secondo tempo. Faraone va in panchina, tocca alla Boschi. C’è un dettaglio nelle 13 pagine del governo che proprio non le va giù: “Non ci sono risorse per i porti del Sud”. Replica Conte, ironico: “Nel documento di sole 13 pagine vi è sfuggito il passaggio sull’incremento degli investimenti sui porti del Sud”. È a pagina 10.

È duello tra i due, l’ex ministra si inalbera, si ingarbuglia, pretende “rispetto”. Ancora il premier: “Chi chiede rispetto deve dare rispetto”. Tempo di recupero, chiude Bellanova: “Abbiamo solo perso tempo, vogliamo leggere un documento completo, è inutile convocare un’altra riunione”. Franceschini garantisce: “Trasmetteremo il testo ai ministri almeno 24 ore prima del prossimo consiglio”.

Post partita. Di fatto non vince nessuno. Italia Viva prosegue la strategia del logoramento, tutto è fermo. Negli spogliatoi non c’è terzo tempo, nessuna sportività. Il primo pensiero della Bellanova è twittare contro un blogger del Fatto Quotidiano. Renzi ha ottenuto il suo triste zero a zero.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/10/se-chiedi-rispetto-devi-darlo-abbiamo-solo-perso-tempo/6060807/

Consip, nuovi accertamenti sui contatti P. Chigi-Romeo. - Marco Lillo e Valeria Pacelli

 

Intanto l’imprenditore campano smentisce se stesso e Tiziano Renzi: ci vedemmo in un bar, ma non si parlò di gare.

Riparte nei tempi supplementari l’inchiesta Consip. Dopo l’avviso chiusura indagini contro Alfredo Romeo, Tiziano Renzi, Carlo Russo e Italo Bocchino per la presunta turbativa d’asta e il presunto traffico di influenze sulla gara FM4 da 2,7 miliardi, i pm Paolo Ielo e Mario Palazzi hanno acquisito l’informativa depositata nel procedimento napoletano su Romeo per altri fatti. L’informativa riguardava i messaggi trovati nel telefonino di Carlo Russo. Dopo averla letta i magistrati romani hanno deciso di dare nuove deleghe di indagine ai Carabinieri. Poiché l’inchiesta era stata già chiusa però nelle indagini integrative non possono essere ri-interrogati gli indagati per chiedere conto dei nuovi elementi. Per esempio i pm non potranno chiedere conto a Domenico Casalino dell’incontro con Tiziano Renzi e Carlo Russo avvenuto il 22 aprile 2015 alle 15 in un bar dell’Eur a Roma raccontato da Casalino al Fatto nell’articolo “L’incontro ignorato dai pm fra Tiziano Renzi e l’ex Ad” del 30 ottobre 2020. Non potranno nemmeno chiedere di nuovo a Tiziano Renzi dell’incontro con Alfredo Romeo raccontato, sempre al Fatto e non ai pm, da Romeo.

Cosa potranno fare allora i magistrati romani? Potrebbero convocare Eleonora Chierichetti, completamente estranea alle indagini. Perché i pm potrebbero sentire a sommarie informazioni la ex collaboratrice storica di Matteo Renzi nell’inchiesta in cui è indagato il padre dell’ex premier? Nell’informativa i carabinieri napoletani ricostruiscono cosa sia avvenuto ad aprile 2015. Il 10 aprile di quell’anno pochi minuti dopo le 9 del mattino, Tiziano Renzi “comunicava a Russo il numero del cellulare di Eleonora Chierichetti”. Già collaboratrice di Matteo Renzi ai tempi in cui era presidente della Provincia e poi sindaco a Firenze, la Chierichetti in quel momento è nella segreteria di Palazzo Chigi, impegnata alle dipendenze del sottosegretario Luca Lotti. Due ore dopo aver ricevuto il contatto da Tiziano Renzi, Russo scrive: “Eleonora buongiorno, scusa se ti disturbo. Posso chiamarti? Grazie, Carlo Russo”. Dall’informativa non emerge il motivo di questo contatto. Tre giorni dopo, però, il 13 aprile 2015, alle 14.52, Paola Grittani, collaboratrice fidata di Alfredo Romeo, invia a Russo il numero della Romeo Gestioni. “Dr. Ecco il numero della segreteria dell’avvocato. Si preoccuperanno di passare la telefonata n. 081******* saluti”. Appena due minuti dopo Russo invia quel numero al cellulare della Chierichetti: “081******* avv Romeo”.

Che cosa è successo dopo? Ci sono stati contatti tra Palazzo Chigi e ‘l’avv Romeo’? Quando Il Fatto si occupò della vicenda, l’ex ministro Lotti spiegò di non aver mai incontrato Romeo e di non averlo mai contattato telefonicamente. Romeo su questa circostanza ha precisato di non aver parlato con Matteo Renzi e ha spiegato così la ragione di quello scambio di messaggi: “Avrei avuto piacere che a concludere (un convegno a Roma poi tenutosi nel novembre 2015, Ndr) fosse il presidente del Consiglio (…) mi aveva chiamato in aprile anche una signora della Segreteria di Palazzo Chigi. Mi aveva dato assicurazioni ma non se ne fece niente”.

Il 18 dicembre scorso la Procura di Roma ha chiesto il processo per Tiziano Renzi, il suo amico Carlo Russo e l’imprenditore Romeo con altri perché, nell’impostazione dei pm, Russo si faceva promettere denaro per sé e per Tiziano Renzi (che ha sempre negato di conoscere le interlocuzioni tra Russo e Romeo) in cambio della propria mediazione sull’ex ad di Consip, Luigi Marroni (estraneo alle indagini) affinché favorisse le società dell’imprenditore campano nella gara Fm4.

Tiziano Renzi ha negato nell’interrogatorio di marzo 2017 con i pm di Roma di avere incontrato Alfredo Romeo. Nel maggio del 2017 però nel libro “Di padre in figlio” (edito da PaperFirst) pubblicammo la trascrizione di una telefonata tra Matteo e Tiziano Renzi alla vigilia di quell’ interrogatorio. Tiziano, mentre era intercettato dai pm di Napoli, escludeva con poca convinzione al figlio che lo incalzava di aver fatto incontri al ristorante con Romeo ma diceva di “non ricordare i bar”. Matteo Renzi dopo la pubblicazione difese il padre e chiese persino le scuse pubbliche ai giornalisti che rilanciavano la notizia del possibile incontro con Romeo, senza fare verifiche, a suo dire. Il Fatto svelò però nell’estate 2017 un’altra conversazione intercettata sempre nel 2016 in cui Russo e Romeo parlavano di un incontro in un ‘barettino’. Ipotizzammo fosse proprio ‘il bar’ dimenticato da Tiziano nella telefonata con Matteo. Allora Romeo si fece intervistare da Repubblica il 18 agosto 2017 e negò l’incontro. Però gli investigatori guardarono meglio i tabulati telefonici in loro possesso individuando la sovrapposizione delle celle agganciate dai tre cellulari il 16 luglio 2015, a Firenze. La linea di Russo, Romeo e Tiziano però restò la stessa. Il primo marzo del 2019 a Repubblica che gli chiedeva “È proprio sicuro di non aver mai incontrato Renzi Senior?”, Romeo tronfio e sicuro rispondeva: “Mai. L’ho detto e l’ho ripetuto non è il caso di tornarci”.

Si arriva così al dicembre 2020. Il Fatto chiede a Romeo un’intervista e l’imprenditore ritrova la memoria: “L’incontro col papà di Renzi lo ho avuto nel luglio del 2015. Ci siamo visti per dieci minuti al banco di un bar, senza neanche sederci. Abbiamo parlato solo del convegno che stavo organizzando con l’Osservatorio Risorsa Patrimonio (…) avrei avuto piacere che a concludere fosse il presidente del Consiglio. (…) Nessuna relazione con Consip”.

Il Gip Gaspare Sturzo la vede diversamente e nota che pochi giorni dopo quell’incontro Tiziano Renzi contatta l’amministratore delegato di Consip appena nominato, Luigi Marroni, e gli chiede un incontro a Firenze. Nelle risposte scritte di Romeo alle nostre domande a dicembre (che non abbiamo pubblicato perché Romeo pretendeva fossero messe in pagina integralmente comprese, oltre alle mezze ammissioni sull’incontro fiorentino, anche alcune balle da noi restituite al mittente) c’erano altri elementi interessanti come le chat sopra riportate per organizzare la telefonata Romeo-Palazzo Chigi. Per esempio c’era la rivelazione di un fatto: Carlo Russo arrivò al cospetto di Romeo nel 2015 grazie all’allora Ad di Consip. “Casalino – ci ha scritto Romeo – mi chiese attraverso Italo Bocchino di incontrare Russo”. Dunque ricapitolando: Russo incontra Casalino, Ad di Consip da solo a febbraio 2015. Sempre Casalino – a detta di Romeo – manda Russo da Romeo tramite Bocchino. Poi Casalino, da Ad in carica di Consip, incontra Russo con Tiziano Renzi al bar dell’Eur. Infine, dopo la sostituzione di Casalino con Marroni al vertice di Consip ecco che Tiziano Renzi e Russo incontrano Romeo il 16 luglio 2015 a Firenze. Il 20 luglio 2015 poi Tiziano contatta l’Ad in carica di Consip, Luigi Marroni, nominato dal governo Renzi, per incontrarlo a Firenze e poi aggiorna sul possibile futuro incontro Russo.

Però – secondo la deposizione di Luigi Marroni, ritenuta attendibile dai pm romani – quando finalmente Russo incontra, su input di Tiziano, Marroni non gli raccomanda Romeo ma un’altra società. Quale? Mistero. Marroni non ricorda. Questa è la matassa che dovrà essere sbrogliata nell’udienza preliminare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/10/consip-nuovi-accertamenti-sui-contatti-p-chigi-romeo/6060813/

Grassi saturi. - Marco Travaglio

 

Mentre il mondo libero e progressista esulta per il maccartismo alla rovescia di Facebook e Twitter che tappano la bocca al presidente americano qualunque cosa dica, anzi ancor prima che parli (tanto ha perso), i nostri giornaloni liberi e progressisti continuano a sparare fake news come se piovesse. L’ultima, ma solo in ordine di tempo, ce la regala Repubblica con un’intervista al senatore Ugo Grassi, prof di diritto privato a Napoli, eletto nel 2018 coi 5Stelle e passato il 12 dicembre 2019 alla Lega. Titolo: “‘Giuseppe mi convoca e chiede: vuoi qualche incarico?’. Palazzo Chigi: fatti del passato”. Ecco la prova che il premier recluta personalmente i responsabili in cambio di poltrone per scalzare i renziani. Roba da Procura della Repubblica. Anzi da manicomio criminale: solo un pazzo tenta di comprare un leghista senza pensare che quello correrà a sputtanarlo. Seguono alti lai dei renziani capitanati dallo statista siculo Faraone, che grida al “governo Scilipoti-Casalino” (lui che stava nel governo Renzi-Alfano-Verdini).

Dunque, stando a Repubblica, Conte convoca Grassi “per convincerlo a tornare nei ranghi della maggioranza” giallorosa. In mancanza di una registrazione, conta la data. L’intervistatore sente il portavoce di Conte, che in base al registro di Palazzo Chigi la situa al 31 ottobre 2019, due mesi dopo la nascita del Conte-2 e 41 giorni prima del trasloco di Grassi alla Lega. E nega che Conte gli abbia mai offerto incarichi (ma questo Rep non lo riporta). Grassi non si pronuncia: fu “qualche tempo fa, preferisco non scendere nel dettaglio”. E Rep pubblica lo stesso l’intervista, pur sapendo che non ha senso comunque. Se Conte, come dice, riceve Grassi prima che passi alla Lega, perché mai chiedergli di “tornare nei ranghi della maggioranza”, visto che già ci sta? Se lo vede dopo, come dice Grassi, perché mai rischiare la faccia convocando un neofita della Lega, ansioso di ben figurare agli occhi del suo nemico Salvini? Non basta. Conte, dice Grassi, gli dà un consiglio: “Se hai bisogno di interlocutori politici, guarda al Pd”. E lui lo trova “strano” perchè “avevo abbandonato il M5S” essendo “più in sintonia con la Lega”. E perché mai Conte chiama un neoleghista per dirgli di rivolgersi al Pd? E poi che fa: tarocca il registro di Palazzo Chigi per retrodatare lo storico incontro? Gran finale. Rep: “Che conclusioni ha tratto?”. Grassi: “Che il premier cercasse, allora come forse oggi, forze a supporto della sua maggioranza”. Maggioranza all’epoca ben salda, perché Iv non aveva ancora iniziato a rompere. Ma forse Conte, preveggente, si portava avanti col lavoro già un anno prima. Partendo dal senatore più affidabile.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/10/grassi-saturi/6060802/

sabato 9 gennaio 2021

Crisi di governo? “Per il 78% degli italiani è il momento sbagliato. E per il 58% è fastidiosa manovra di palazzo”. I dati di Noto Sondaggi. - Thomas Mackinson

 

In esclusiva per ilfattoquotidiano.it l'ultimo sondaggio settimanale sull'opinione pubblica. "Nella realtà questa situazione politica è praticamente sconosciuta agli italiani. Le priorità sono altre". Il giudizio negativo è trasversale, tanto che toglie consenso a Renzi anche tra chi lo votava. Mentre la popolarità di Conte resta in calo ma non subisce variazioni con la crisi politica. Le nuove ipotesi sul "peso" di un suo soggetto politico.

“Il 78% degli italiani, indipendentemente dal partito votato e dall’appartenenza politica, pensa non sia il momento per aprire una crisi di governo“. Non solo. “Il 58% di chi sa che c’è una crisi pensa sia solo una fastidiosa manovra di palazzo che non influirà affatto sulla vita degli italiani, la percepisce come un gioco di poltrone e di potere”. Parole di Antonio Noto che racconta in esclusiva a ilfattoquotidiano.it l’ultima rilevazione dell’osservatorio sull’opinione pubblica di Noto Sondaggi. Se dall’estero la crisi al buio innescata da Renzi appare una follia irresponsabile, anche gli italiani sembrano pensarla così, che brigare per mandare a casa l’esecutivo in piena pandemia non sia affatto una buona idea.

LA CRISI, QUESTA “SCONOSCIUTA”.
“Partiamo dal presupposto che solo il 15% degli italiani segue la politica in maniera assidua e sa quali sono i fatti politici di attualità. Solo il 10% degli italiani è a conoscenza del fatto che ci potrebbe essere a breve una crisi di governo. Quindi, al di là del giudizio che esprimono sulla possibilità che ci sia o meno, si può dire che nella realtà questa crisi è praticamente sconosciuta agli italiani”. C’è dunque un livello di percezione molto basso. Ma anche di adesione. “Il dato poi – spiega Noto numeri alla mano – è che il 78% degli italiani, indipendentemente dal partito votato e dall’appartenenza politica dice che non è il momento per fare una crisi di governo. Solo il 15% segue le cose della politica, ma anche sondando questo zoccolo duro si capisce benissimo cosa stia succedendo”. E allora, che cosa sta succedendo? “Che la crisi che riempie i giornali, fa tremare i palazzi e interroga i nostri partner europei in realtà è ignota ai più, e pure disconosciuta da quelli che la seguono, per i quali aprirla al buio in piena emergenza sanitaria non solo è poco comprensibile o irresponsabile, ma per il 58% assume anche la connotazione fortemente negativa da manovra di Palazzo”. Una bocciatura trasversale, per altro.

ANCHE I RENZIANI BOCCIANO RENZI.
“Il giudizio negativo è trasversale, prescinde dal credo politico tanto che toglie consenso a Renzi anche tra chi lo votava”. Da che ha ingaggiato il braccio di ferro con il governo e con Conte, la fiducia nel leader di Italia Viva è scesa di due punti. “Renzi non ha mai avuto livelli alti: prima viaggiava intorno al 16%, ma da che ha innescato lo strappo con successivo logoramento è calata al 14%”. Secondo le rilevazioni di Noto Sondaggi la rottura con Conte, viceversa, non ha danneggiato il premier. “La fiducia verso Conte è in decremento stabile: Conte oggi è al 38%, teniamo presente che in primavera era intorno al 49%”. Per Noto il decremento non ha a che fare con gli equilibri del governo ma con la gestione della crisi economica e sanitaria. “Non c’è stato un decremento significativo in queste settimane, che invece c’è stato su Renzi ed è ben visibile”.

“FASTIDIO NEI CITTADINI-ELETTORI”.
Che non fosse il momento di aprire una crisi lo pensano perfino gli elettori del centrodestra, l’area politica che in teoria avrebbe il massimo vantaggio dal voto. “Neppure i suoi leader gridano al voto al voto – sottolinea Noto – Tutto l’elettorato di riferimento sa che con questa crisi il centrodestra non potrà governare. La mia opinione a questo punto è che pochi lo sanno, nessuno ci crede. Quindi che qualsiasi governo esca fuori, che sia un Conte Ter o il governo con altro candidato premier, questo passaggio sarà vissuto come fastidioso dagli italiani cui in questo momento fa fatica anche solo pensarlo”.

PRIMA DEL LAVORO, LA SALUTE.
La conferma arriva dai dati sulle priorità del Paese, dove si misura l’allineamento delle opzioni della politica rispetto alle necessità dei cittadini-elettori. “Perché è indubbio, dai dati, che gli italiani in questo momento abbiano a cuore soprattutto l’emergenza sanitaria: lo pensa il 66% degli italiani. Prima del Covid, quando facevamo questa domanda, le prime indicazioni erano il lavoro, l’economia e il Fisco, poi la sicurezza. Il problema sanitario non rientrava neppure tra i primi 10. Adesso ha superato l’indicazione del problema del lavoro che viene dopo, al 59-60%. Poi vengono l’economia, il Fisco e tutti gli altri. C’è un’enorme differenza tra l’indicazione del problema sanitario rispetto a tutti gli altri problemi storici dell’Italia e questo non è cambiato affatto nelle ultime settimane, anzi”.

Ma chi si avvantaggia dalla crisi? “Per consenso non certo Renzi, lo si vede. Ma anche la Lega e Salvini che diamo intorno al 24,5%, quindi primo partito ma insidiato dalla Meloni. La fiducia in lei si conferma superiore a quella di Salvini mentre per lungo periodo è stato lui il leader che riscuoteva più fiducia dopo Giuseppe Conte, che resta primo, seguito proprio dalla Meloni”.

IL PARTITO DI CONTE? VALE IL 10% (MA PUO’ SALIRE)
Conte, dunque, quanto vale? “Lo quotiamo attorno al 10%. Ha avuto un decremento ma va contestualizzato perché è forse il soggetto dal potenziale più interessante in questa fase”. Noto Sondaggi lo monitora da che se ne parla, cioè dall’avvio del governo giallo-rosso. “A primavera, con la prima ondata, il consenso verso un partito cucito attorno al premier era intorno al 15%. Adesso la fiducia in Conte si è ridotta in maniera non marginale ma stabile, cioè non in conseguenza di vicende specifiche ma del logoramento che la lunga crisi ha portato”. Tanto che, per altro verso, proprio il “partito di Conte” potrebbe cambiare significativamente lo scenario. “Un eventuale suo partito prende voti non solo da Pd e M5S, anzi da loro ne prende pochi, prende molto da un elettorato che nelle ultime elezioni non è andato a votare, da elettori volatili non fidelizzati. E prende anche in maniera significativa da Forza Italia”. Quindi è anche il partito suscettibile di crescere di più, tanto che “il saldo potrebbe essere positivo con un partito di Conte, nel senso che la coalizione potrebbe valere di più della sommatoria tra Pd e M5S”.

PD, LA FORZA IMMOBILE.
E il Pd, appunto? “Il Pd è strano, gode dei problemi altrui. E’ un partito fermo, io stesso che faccio questo lavoro non so dire quale sia la sua strategia e il suo progetto politico. Eppure resta ancorato attorno al 20%. Mentre il M5S sta perdendo anche durante questa pandemia (è passato dal 16% di marzo al 14% di adesso), nella realtà il Pd rimane fermo ma c’è una spiegazione di scenario e di contesto: il PD insieme a pochi altri partiti come Fratelli D’Italia ha uno zoccolo duro ideologico, bene o male che facciano leader, dirigenti o amministratori riceve i voti di un elettorato fortemente fidelizzato per motivi ideologici. Il consenso dunque non è un indicatore del giudizio sull’operato del partito e dei suoi vertici politici. Il concetto è che posso anche essere critico su Zingaretti, ma poi voterò lì perché sono di quell’area”. Detto altrimenti, “l’elettorato della Lega è fortemente influenzato dalla figura di Salvini, il consenso del Pd non è influenzato da Zingaretti”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/09/crisi-di-governo-per-il-78-degli-italiani-e-il-momento-sbagliato-e-per-il-58-e-fastidiosa-manovra-di-palazzo-i-dati-di-noto-sondaggi/6060406/


Viareggio, la prescrizione cancella la strage. - Marco Grasso

 

In Cassazione. Ribaltato l’Appello: 11 condanne su 33 imputati, l’omicidio colposo è confermato ma estinto. Nuovo processo per l’ex ad Mauro Moretti. I parenti: “Una vergogna”.

È uno strano destino quello che fa finire questa giornata poco lontano dal luogo in cui è iniziato tutto. Non in un’aula di tribunale, ma nella sede della Croce Verde di Viareggio. A qualche centinaio di metri da via Ponchielli, a ridosso della stazione. Il teatro del disastro ferroviario in cui il 29 giugno 2009 hanno perso la vita 32 persone, investite dalle fiamme mentre stavano dormendo nelle loro case: il deragliamento di un treno merci con 14 carri pieni di gas gpl provoca un’esplosione che travolge tutto. Quando le prime voci frammentarie cominciano ad arrivare da Roma poco dopo le 14 nella sala cala una cappa di silenzio. I messaggi si rincorrono, c’è chi comincia a piangere al telefono. Qualcuno dalle ultime file urla “È una vergogna”. Altri se ne vanno prima di sapere che andrà a finire come sembra: le morti della strage di Viareggio resteranno impunite. Il primo a prendere la parola è Vincenzo Orlandini, marittimo. Il suocero invalido, Mario Pucci, 90 anni, è la vittima più anziana dell’incidente. Non poteva muoversi dal letto. È morto con la badante, Ana Habic: “È un fatto di una gravità assoluta. Ci prenderemo tempo per analizzare la decisione. Ci risiamo: un’altra tragedia italiana insabbiata con la prescrizione”.

Pochi minuti e la notizia diventa ufficiale. La Corte di Cassazione ha annullato tutte le condanne confermate in primo e secondo grado, anche quella all’ex amministratore delegato del gruppo Ferrovie dello Stato Mauro Moretti. I giudici hanno fatto cadere infatti l’aggravante della violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro. Questo fa sì che le accuse per omicidio colposo siano tutte prescritte. Rimane il disastro ferroviario. Ma ad alcune figure apicali il processo d’appello va rifatto. Anche se Moretti, paradossalmente, sarà l’unico a essere processato nuovamente per omicidio colposo, avendo rinunciato alla prescrizione. Mentre la caduta dell’aggravante grazia tutte le società coinvolte.

Daniela Rombi, che nella vicenda ha perso la figlia, ha scelto di attendere il verdetto davanti alla sede della Suprema Corte si lascia andare a un pianto disperato, che forse è l’immagine che più di ogni altra racconta questa giornata. A questo punto rompe gli indugi anche Marco Piagentini, 52 anni. Le sue cicatrici e la sua caparbietà sono una testimonianza vivente. Nell’incendio ha perso la moglie Stefania, 40 anni, e due figli, Lorenzo, 2 anni, e Luca, 4. Marco, con il corpo ustionato al 90%, è l’unico sopravvissuto della famiglia insieme al terzo figlio, Leonardo, che oggi ha 19 anni. Gli sguardi perduti che si cercano, finiscono inevitabilmente tutti su di lui: “Non ho risposte per tutto”, allarga le braccia. Anche adesso Piagentini chiede di mantenere la calma e di non buttarsi giù, anche se l’amarezza è tanta: “Sono senza parole – sospira – Oggi un colpo di spugna cancella due sentenze e undici anni e mezzo di lavoro di avvocati, magistrati e periti. È una vicenda orribile. E la conclusione è molto deludente: non siamo riusciti ad avere giustizia. La sensazione è di ritornare al Medioevo, quando la giustizia era fatta da pochi signori”.

Tutto il processo costruito dalla Procura di Lucca ruotava intorno alla carenza di manutenzione. L’origine dell’incidente sta nella rottura di un’assile: un perno fondamentale che teneva insieme le ruote del convoglio che ha ceduto. Era arrugginito, ma per ben due volte, invece di sostituirlo, era stato riverniciato. Non solo. Secondo due diverse sentenze, i treni che trasportavano materiale pericoloso viaggiavano ad alta velocità anche in prossimità di centri densamente popolati come via Ponchielli; i convogli erano sistematicamente messi su rotaia in violazione di norme sulla sicurezza risalenti agli anni ‘30; i macchinisti erano sprovvisti di alert antincendio; le carrozze non avevano carri scudo, cisterne cariche di materiali inerti che in caso di deragliamento dovrebbero proteggere gli altri vagoni.

La sottovalutazione di questi rischi, per i giudici dei due gradi di giudizio precedenti, è figlia delle politiche di risparmio di Ferrovie dello Stato, e di un sistema che ha portato negli anni alla compressione dei costi e alla parcellizzazione della manutenzione in una galassia di società italiane ed estere. Il gruppo, inoltre, non aveva un vero e proprio piano di rischio. Queste le ragioni che avevano portato alle condanne: 7 anni a Moretti, 6 anni agli ex ad di Trenitalia Vincenzo Soprano e Michele Mario Elia. E poi manager e tecnici di altre società coinvolte come Gatx Rail l’officina tedesca Jungenthal.

Le accuse di incendio doloso e lesioni gravissime erano già state prescritte in appello. Adesso tocca all’omicidio colposo, annullato senza rinvio. Per una parte dei 33 imputati la colpa nell’incidente è stata riconosciuta, ma andrà mitigata. Per altri, come Moretti, la Cassazione ha disposto un nuovo processo d’appello, per valutare le responsabilità nel disastro. I suoi difensori hanno sempre sostenuto che non potesse essere responsabile delle società controllate. La sua figura è oggetto di evocazione continua nell’evento organizzato dai familiari delle vittime, che spesso lo chiamano “mister X”. Un murale in via Ponchielli lo ritrae con la divisa da carcerato e lo slogan di Martin Luther King: “I have a dream”. La beffa più grande, dicono, è che la vittoria più sentita dell’associazione è la legge Viareggio, approvata dal ministro Bonafede, che se potesse essere applicata anche a questo caso impedirebbe la prescrizione. Finisce così, con la dignità di donne che ripiegano le magliette con i volti dei figli. Via dagli obiettivi, Piagentini si concede un abbraccio, così fugace da sembrare rubato. Domani la battaglia riparte. Oltre quel 29 giugno, giorno dei Santi Pietro e Paolo, protettori dei ferrovieri. Dettaglio che non conta più, perché per la Cassazione non è stato un incidente sul lavoro.

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