Mancava giusto un bel generale, per far capire anche ai più duri di cervice il senso dell’Operazione Draghi. E il generale, anzi supergenerale Figliuolo, è puntualmente arrivato subito dopo il superbanchiere, i supertecnici e il superpoliziotto Gabrielli. Il generalissimo si occuperà di vaccini e di tutti gli altri acquisti anti-Covid al posto di Arcuri (troppo efficiente e soprattutto sprovvisto di uniformi, stivaloni, mostrine e codici Nato). Il poliziottissimo controllerà i servizi segreti dopo averli guidati al Sisde e all’Aisi, con la stessa logica che fa dell’avvocato di B. il sottosegretario alla Giustizia. Naturalmente il dittatore era Conte, che affidava le forniture a un manager pubblico esperto del ramo e il controllo degli 007 all’autorità politica. Ora, con la giunta bancario-tecnico-poliziesco-militare, basteranno un presentat’arm, un fianco destr, un avanti marsch, un “fermo o sparo!” e un paio di missili terra-aria con le colonne sonore di Full Metal Jacket e 007-Dalla Russia con Sputnik per far piovere una marea di vaccini e piegare alla resa i cattivoni di Big Pharma. L’esultanza delle destre – Lega, FI, Iv e financo FdI – è sacrosanta: erano loro, con giornali e talk al seguito, a chiedere la testa di Arcuri, pur non sospettando di essere scavalcati a destra con l’avvento di un militare. Troppa grazia.
Resta da capire che ci stiano a fare lì M5S, Pd e LeU, che avevano chiesto la conferma di Arcuri per l’ottima partenza delle vaccinazioni (fino al taglio delle dosi) e ieri hanno appreso dai tg che era saltato. Come già sui ministeri-chiave e sul cambio della guardia alla Protezione civile, noto a Lega e FI ma non a loro, relegati al ruolo di spettatori e donatori di sangue. Per l’angolo del buonumore, ci sovviene il monito di Mattarella: “Non si cambiano i generali in piena guerra”, intesi come Conte, Speranza, Gualtieri, Arcuri, Borrelli &C. Non n’è rimasto neppure uno, a parte Speranza, che apprende dalle agenzie la decimazione dei suoi bracci operativi. Ma in fondo di “generali” prima non ce n’erano: adesso sì. Intanto, mentre ci distraggono con le grandi manovre in alta uniforme, i 32 miliardi dei Ristori attendono il decreto da due mesi. Le task force, onta e disdoro di Conte, diventano orgoglio e vanto di Draghi, che ne ha fatte 8 in una settimana (ne ha una pure Brunetta). E il Recovery Plan? A novembre era già “in ritardo” sul 30 aprile e il tiranno Conte voleva “accentrarlo bypassando il Parlamento” fra gli alti lai dei partiti e dei Cassese. Ora Repubblica informa che Draghi “ha fretta” e “se lo riscrive da solo”, con l’ausilio di tali “Franco, Giavazzi e D’Alberti”, mai visti né sentiti in Parlamento. È, citiamo sempre Rep, il “ritorno della Costituzione”, che avanza a passo di marcia. Anzi, marcetta.
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