domenica 9 febbraio 2020

Asportato tumore gigante di 12 kg, operazione record a Palermo.


Risultato immagini per tumore di 12 kg

L’asportazione di un tumore di 12 kg, un’operazione da “o la va o la spacca” con un alto rischio per la paziente, che ne era pienamente consapevole, è stata portata a termine dall’equipe dell’unità operativa di chirurgia oncologica della clinica “La Maddalena” a Palermo.
La donna di 60 anni, dell’entroterra siciliano, era stata visitata da tre centri in tutta Italia che però avevano considerato molto rischiosa l’operazione per un sarcoma addominale. Adele (nome di fantasia), soffriva da due anni quando è stata visitata dal dottor Pietro Mezzatesta che dopo aver informato la famiglia dei rischi ha dato l’ok all’operazione.
Alla donna è stata rimossa una massa enorme che occupava l’addome comprimendo gli organi: prima dell’operazione sembrava fosse incinta. L’asportazione è stata condotta lo scorso novembre da medici e infermieri che hanno lavorato in sala operatoria 5 ore.
prevenzione tumore“L’intervento era complesso per l’impossibilità a raggiungere dei piani anatomici sicuri – dice il chirurgo oncologo Lucio Mandalà che ha operato – Eravamo in presenza di una massa che occupava l’intera cavità addominale. A ciò si aggiunge la gestione anestesiologica di una paziente gravemente compromessa nella funzionalità di più organi e apparati per il tumore”.
Adele era passata da diversi centri: gli specialisti avevano escluso la possibilità di un intervento chirurgico risolutivo per l’altissima probabilità di morte e avevano optato per cure palliative con medicinali per la gestione dei sintomi. Prima dell’operazione la donna aveva baciato il marito, che nell’aprile scorso era stato sottoposto a trapianto di fegato all’Ismett, e i due figli che l’hanno abbracciata forte dandole coraggio consapevoli della delicatezza dell’intervento.
“La paziente è stata dimessa dopo il decorso post operatorio durato un mese – aggiunge Mandalà – durante il quale si sono avvicendate tutte le figure professionali della Maddalena che hanno contribuito alla ripresa fisica e psichica. La donna infatti dopo alcuni giorni dal risveglio era depressa per la sua debolezza e pensava di non riuscire più a camminare”.
Adele ha festeggiato in Natale e il capodanno nel reparto di Chirurgia ma con grande gioia ha spento 60 candeline a casa sua.
“Il buon esito di un delicato intervento chirurgico come questo, che si svolge in condizioni che definiremmo ‘al limite’ per tanti aspetti – spiega il chirurgo – è il risultato di una condivisa strategia di cure erogate da tutte le specialità presenti nel centro e certamente riempie di orgoglio un chirurgo siciliano come me questa singolare vicenda in cui due membri di una famiglia che vive in un paese al centro della Sicilia abbia avuto la possibilità di ricevere cure eccezionali, come un trapianto di fegato o l’asportazione di un tumore raro gigante, nel giro di pochi mesi a Palermo senza dover migrare verso altre regioni d’Italia o addirittura all’estero”.
L’equipe che ha operato era composta anche dai chirurghi Luigi Casà, Paolo De Marco, dagli anestesisti Sebastiano Mercadante, Patrizia Villari e Fabrizio David e dagli infermieri Francesco Marabeti e Antonio Coppola.

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Renzi perde, ma ci ripensa: Italia Viva si tiene le poltrone. - Wanda Marra



PRESCRIZIONE – L’ACCORDO TRA PD, M5S E LEU METTE NELL’ANGOLO IL PARTITINO DELL’EX LEADER DEM, DOPO GIORNI DI MINACCE. MA LUI ORA DICE: “NON CE NE ANDIAMO”.


“Renzi? È nel pallone”. La definizione che va per la maggiore è questa. Per una settimana, l’ex premier ha terremotato la politica italiana, sparato ad alzo zero contro l’equilibrio della maggioranza, intrapreso una guerra santa nel nome della prescrizione. Ma con l’intesa di giovedì notte sul lodo Conte bis tra Pd, M5S e LeU ha perso. Certo, l’accordo è fragile e soprattutto richiede una serie di passaggi parlamentari pieni di ostacoli. Ma Renzi si è rapidamente infilato in un cul-de-sac. L’obiettivo originario – con buona pace della giustizia – era defenestrare Giuseppe Conte e ottenere un nuovo governo. Come dimostra uno scambio di battute durante il vertice. “Noi non torniamo indietro sulla prescrizione”, ha argomentato Maria Elena Boschi. Per sentirsi ribattere: “Ma se si è in maggioranza insieme, bisogna trovare un punto di equilibrio accettabile. Altrimenti significa che i problemi sono altri”. Lei non ha risposto. Come dire, chi tace, acconsente. Tanto è vero che il premier è così tornato sulla questione: Iv promette battaglia? “Battaglia è una parola che non si addice tra forze di governo. Dobbiamo ritrovarci a ragionare nel merito”.
Il piano si scontra con la volontà di Sergio Mattarella, che non sarebbe disposto a far nascere un nuovo esecutivo in questa legislatura. E dunque, l’alternativa a “Giuseppi” sono quelle elezioni che Iv non può permettersi. Perché poi – dopo giorni di sovraesposizione mediatica – cala nei sondaggi, invece di crescere. Quindi, qual è l’obiettivo?
“Questi sono tutti pazzi, il Pd si è piegato”, andava argomentando Renzi ieri. Da qui a una strategia chiara, il passo non è breve. D’altra parte, è il suo limite, ormai noto a tutti: come tattico è fulminante, ma quando si tratta di elaborare progetti di lunga prospettiva, l’errore in genere gli è fatale.
La prima cosa chiara è che Iv non ha nessuna intenzione di uscire dal governo e di dare l’appoggio esterno. “Siamo una forza riformista, non cediamo al populismo nella giustizia. Non ce ne andiamo, ma se ci vogliono cacciare, ce lo dicano”, ha detto ieri mattina l’ex premier. Non ci pensa proprio a rinunciare a quella fetta di potere che ha. Tanto più che ora si gioca la partita per lui centrale delle nomine. “Vorrebbe più considerazione politica da Conte”, dicono i suoi. Significato confuso.
È stata la Boschi, nel pomeriggio, a rilanciare la linea dura: “La mediazione è una toppa peggio del buco”. Iv ha chiesto ad Alfonso Bonafede di non presentare il decreto che recepisce l’accordo nel prossimo cdm. Ma se lo farà, è pronta a non votarlo. Poi c’è il passaggio sul lodo Annibali nel Milleproroghe: i renziani diranno sì. Così come voteranno la proposta Costa che arriva in Aula il 24 febbraio per cancellare la riforma Bonafede. Fino a qui, però, grossi rischi non ci dovrebbero essere né per il governo, né per lo stesso Renzi di vedersi sfuggire il voto di mano: i numeri per mandare sotto la maggioranza alla Camera non ci sono. E in Senato? Fino a dove si spingerà l’ex premier? Potrebbe non deciderlo per parecchi mesi. Sul Milleproroghe, il governo è intenzionato a mettere la fiducia: non ci sarà modo di votare qualche emendamento “pericoloso”. Per quel che riguarda la proposta Costa, il senatore di Scandicci sarebbe pronto a ripresentarla come primo firmatario. Ma ci vorranno mesi prima che sia calendarizzata. Poi, ci saranno i voti sul Lodo Conte bis e sulla riforma del processo penale. Anche per quelli, ci vuole tempo. Non è detto, però, che Renzi non si trovi a un bivio sconveniente: dover scegliere tra una marcia indietro e un voto che rischia di far chiudere la legislatura.
Anche qui, le variabili sono tante. Quanti lo seguiranno, mettendo a rischio la propria sopravvivenza in Parlamento? Sentite Pier Ferdinando Casini, vicino ai renziani: “Renzi ha ottenuto sulla #prescrizione un risultato tutt’altro che insignificante. Non trascurerei di valorizzarlo”. Gli umori dentro Iv non sono dei migliori: il partito non dà nessuna garanzia sul futuro.
Da notare che ci sono voci che circolano insistenti da mesi. “Matteo non ne può più, è pronto a mollare la politica e a lasciare tutto a Maria Elena”, si racconta nei corridoi del Senato. Che alla fine lo faccia davvero, magari per dedicarsi alle sue attività parallele (e molto retribuite), come le conferenze in giro per il mondo, è tutto da dimostrare. Finora la politica l’ha tenuto in ostaggio come una sorta di amante tossica, nonostante la discesa rovinosa. Ma il fallimento del suo progetto è un dato ormai conclamato. E la delusione è tanta.

sabato 8 febbraio 2020

Doppia lente gravitazionale per Gaia16aye. - Giuseppe Fiasconaro


Illustrazione artistica del sistema stellare binario scoperto grazie all’effetto di lente gravitazionale che esso provoca sul percorso della luce proveniente dalla stella Gaia16aye, posta più distante lungo la stessa linea di vista. Crediti: M. Rębisz.

Una campagna osservativa di 500 giorni condotta dalla missione Gaia dell’Esa, insieme a osservazioni di follow-up eseguite con oltre 50 telescopi da terra e dallo spazio, ha permesso di individuare un evento di lente gravitazionale causato da un sistema binario di stelle. Tra gli autori dello studio che ne riporta i dettagli ci sono anche Valerio Bozza dell’Università di Salerno e Giuseppe Leto dell’Inaf di Catania. Li abbiamo intervistati.
Una stella lontana quasi 50mila anni luce, in direzione della costellazione del Cigno, sotto una “doppia lente gravitazionale” formata, a sua volta, da una stella binaria a 2.600 anni luce: è questo che un team internazionale di astronomi ha scoperto analizzando i dati fotometrici delle osservazioni effettuate dal 2016 al 2017 dal satellite dell’Esa, Gaia, e da numerosi telescopi da Terra. Lo studio, i cui risultati sono pubblicati su Astronomy & Astrophysics, riguarda il rilevamento di ciò che in gergo viene definito un “evento di microlesing binario” – il primo evento del genere rilevato dalla missione spaziale Gaia. E fra gli autori ci sono numerosi ricercatori dell’Inaf: Giuseppe Altavilla (Oa Roma), Gisella Clementini e Felice Cusano (Oas Bologna), Giuseppe Leto e Riccardo Sanchez (Oa Catania), Lina Tomasella (Oa Padova) e Roberto Nesci (Iaps Roma).
Tutto è cominciato nel 2016, quando – durante la sua attività di perlustrazione del cielo allo scopo di determinare la posizione, il movimento, la luminosità e la temperatura superficiale di oltre un miliardo di stelle nella nostra galassia – il satellite Gaia dell’Esa ha rilevato l’improvvisa impennata della luminosità di una stella. Il programma Gaia Photometric Science Alerts, un sistema gestito dall’Istituto di astronomia dell’Università di Cambridge, nel Regno Unito, che analizza quotidianamente l’enorme quantità di dati provenienti da Gaia, rilevata l’anomalia ha subito allertato gli astronomi, in modo che altri telescopi terrestri e spaziali potessero puntarla rapidamente e studiarla più in dettaglio.
I dati della lunga campagna di osservazioni di follow-up seguite a questo alert – ottenuti da oltre 50 telescopi in tutto il mondo, tra cui anche il telescopio Inaf di Loiano, in provincia di Bologna – hanno permesso di confermare che la sorgente – chiamata Gaia16aye o 2Mass 19400112 + 3007533 – si stava comportando in effetti in un modo davvero strano: un modo diverso da quello ascrivibile a fenomeni come esplosioni di supernova e altri fenomeni celesti.
Valerio Bozza (Università degli studi di Salerno), coautore dello studio
«Abbiamo visto la stella diventare sempre più luminosa e poi, in un giorno, la sua luminosità è improvvisamente diminuita», ricorda Łukasz Wyrzykowski dell’Osservatorio astronomico dell’Università di Varsavia, in Polonia, e primo autore studio. Un comportamento che può essere spiegato soltanto da un fenomeno conosciuto con il nome di microlensing gravitazionale: una sorta di “lente d’ingrandimento cosmica” che incrementa la luminosità della stella.
«Osservando stelle lontane, talvolta capita che un’altra stella passi davanti alla sua linea di vista. La luce della stella lontana, allora, viene deviata dal campo gravitazionale della stella vicina, che così funge da “lente gravitazionale», spiega a Media Inaf Valerio Bozza, ricercatore al Dipartimento di fisica dell’Università di Salerno e coautore dell’articolo. «Tuttavia, trattandosi di campi gravitazionali relativamente deboli, l’unico fenomeno misurabile durante questi “passaggi” è un’amplificazione temporanea della luce della stella lontana, nota come microlensing: un fenomeno grazie al quale possiamo rivelare la presenza di oggetti molto piccoli od oscuri lungo la linea di vista. Viene utilizzato, ad esempio, per studiare l’abbondanza di stelle piccole, nane brune, buchi neri e pianeti extrasolari».
Tuttavia, il comportamento di Gaia16aye, come si evince dal grafico che vedete qui sotto, riportante i dati di luminosità della stella raccolti nei quasi due anni di osservazioni di follow-up, risultava strano anche per essere spiegato dalla presenza di uno di questi oggetti cosmici
Il grafico mostra i dati fotometrici raccolti in un periodo di quasi due anni con oltre 50 telescopi in tutto il mondo, nell’ambito di una campagna di osservazione globale guidata dal satellite Gaia dell’Esa. Le misurazioni della luminosità ottenute con il satellite Gaia sono rappresentate dai rombi neri, mentre i restanti simboli colorati sono osservazioni da Terra. Crediti: Wyrzykowski et al. 2019
«Se la lente è un oggetto isolato, il microlensing produce un semplice aumento di luminosità della sorgente lontana, seguito da una discesa perfettamente simmetrica rispetto alla salita», sottolinea Bozza. «Se la lente è una stella normale, la durata del fenomeno è di qualche decina di giorni, ma può salire a diverse centinaia di giorni se la massa della lente è ragguardevole – come quella di un buco nero. Se la lente è in realtà composta da un sistema binario, l’amplificazione della luce prodotta non è la semplice somma delle amplificazioni dei singoli oggetti: la luce, infatti, riesce a trovare nuovi percorsi tra le due lenti per raggiungere l’osservatore. Quando questo accade, misuriamo picchi improvvisi di luminosità nella curva di luce, con tipiche forme a “U”».
Giuseppe Leto (Inaf – Osservatorio astrofisico di Catania)
«Nel caso di Gaia16aye la variazione di luminosità ha avuto un andamento veramente molto complesso», dice un altro dei coautori dello studio, Giuseppe Leto dell’Inaf di Catania, responsabile scientifico di uno dei 50 telescopi coinvolto nella campagna osservativa, l’Apt2 di Serra la Nave. «Questo ha subito fatto capire che l’oggetto che si è frapposto tra la stella sorgente la Terra non era un oggetto singolo. Qui sono entrati in gioco i colleghi teorici che sono riusciti, cosa per niente semplice, a riprodurre l’andamento e quindi a descrivere in maniera completa la “lente”. In questo modo abbiamo scoperto che si tratta di un sistema di due stelle grandi ciascuna circa la metà del Sole, che orbitano attorno al loro centro di massa in poco meno di 3 anni. Un sistema che non possiamo vedere, ma di cui adesso conosciamo con elevata precisione tutte le caratteristiche».
«Insomma, un puzzle veramente complicato», conclude Bozza, «che ha richiesto mesi di tentativi prima di essere risolto. La possibilità di osservare contemporaneamente lo stesso evento da due punti di vista sufficientemente distanti – la Terra e il satellite Gaia – è stato certamente un ulteriore elemento decisivo per il successo dell’analisi. Questo caso conferma come il microlensing possa consentire studi astrofisici dettagliati altrimenti impossibili con altri metodi. Oltre tutto, questo evento di microlensing con sorgente nel disco galattico è molto raro, se ne conoscono pochissimi, averlo scoperto è abbastanza eccezionale».

ASTRONOMIA: Venere SUPERSTAR e 3 Pianeti in Congiunzione con la LUNA. Ecco Cosa Succederà in questo Mese. - Stefano Rossi

Il firmamento darà spettacolo in questo mese

Il cielo darà spettacolo in questo mese di febbraio. I protagonisti principali saranno i pianeti più importanti del sistema solare. In primis Venere che dopo la Luna è l'oggetto naturale più luminoso del cielo.
Ebbene, Venere come detto brillerà magnificamente subito dopo il tramonto e lo potremmo osservare quasi alto nel cielo verso Sudovest.


Oltre a Venere ci saranno anche Giove, Saturno e Marte che dal 18 febbraio si troveranno, poco prima dell'alba, quasi allineati e inoltre in congiunzione con la Luna (sia il 18 sia il 19 sia il 20).
Ultima congiunzione degna di nota e più facilmente visibile sarà quella tra Luna e Venere, prevista per il giorno 27 dopo il tramonto.

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Le cene eleganti. - Marco Travaglio

Se a qualcuno serviva la prova che B. non conta più nulla, gliel’ha fornita ieri Giuseppe Graviano. Erano 15 anni che minacciava di cantare, ma poi non si decideva mai: B. poteva ancora rendersi utile, meglio tenerlo vivo e sotto ricatto. Ora non più. Per capire la sua improvvisa conversione da stragista a cantante basta questa frase lancinante: “Adesso sto dicendo solo qualcosa, ma posso dire ancora tante altre cose”. Il boss di Brancaccio non è un collaboratore di giustizia, tenuto a dire tutta la verità e, se non la dice, punito con la revoca del programma di protezione per sé e i suoi cari. È un mafioso condannato a vari ergastoli per le stragi del 1992-’94, sentito al processo “’Ndrangheta stragista” come imputato di reato connesso con la facoltà di mentire; e, se mente, rischia la condanna per calunnia, cioè il solletico per chi di galera uscirà solo da morto. Ma, come per tutti gli imputati che parlano (fatto eccezionale, per i mafiosi irriducibili), non basta il suo status per togliere credibilità alle sue parole: prima di affermare che mente (o dice la verità), bisogna dimostrarlo.
Delle tre cene “eleganti” con B., non sapremo forse mai. Ma certo mente sulle stragi, di cui dice di non saper nulla e invece furono opera sua; ma ne aveva già parlato in carcere, intercettato a sua insaputa, a proposito della “cortesia” chiesta da B. nel luglio ’92 quando “voleva scendere” in politica e saltò in aria Borsellino. Mente negando l’incontro col suo killer Gaspare Spatuzza al bar Doney di Roma nel gennaio ’94, vigilia della fallita strage dell’Olimpico e della discesa in campo di B., ormai assodato. Mente per omissione su Dell’Utri, decisiva “cerniera” fra Cosa Nostra e B. Mente sul nonno “commerciante di ortofrutta” che investe 20 miliardi nei cantieri e nelle tv di B.. Non per gli investimenti: dei valigioni di contanti di Bontate&C. parlò già 30 anni fa Rapisarda, l’amico-nemico di Dell’Utri. Ma per il mestiere del nonno, impegnato in ben più lucrose attività. Gli elementi già accertati da sentenze irrevocabili (sulle stragi e su Dell’Utri) insegnano però che Graviano dice anche cose vere e verosimili. Pure quando usa abili accorgimenti, come lo schermo del defunto cugino Salvatore (un morto su cui scaricare qualcosa fa sempre comodo). Il fatto già accertato che B. versasse semestralmente centinaia di milioni a Cosa Nostra, dal 1974 al ’92 (sentenza definitiva Dell’Utri) o al dicembre ’94, quand’era già premier (sentenza Trattativa di primo grado), rende probabile che fosse socio in affari dei clan mafiosi. Il fatto che B. pensasse a Forza Italia già nel ’92, l’aveva già raccontato il testimone Ezio Cartotto.
Cioè il consulente ingaggiato da Dell’Utri dopo Capaci per studiare il progetto del partito Fininvest. Ora Graviano data il progetto politico addirittura a prima della strage di Capaci (23 maggio 1992): il che, se confermato, getterebbe una luce nuova sull’omicidio Falcone, ritenuto finora sganciato dalla trattativa e dai “mandanti esterni”. La cui esistenza, dopo le parole di Graviano, diventa ancor più probabile di quanto già non fosse sulla scorta di decine di mafiosi pentiti ed elementi fattuali, visti i rapporti personali e societari che il boss racconta (e solo in minima parte). Anche la seconda fase della trattativa Stato-mafia, quella gestita – secondo i giudici di primo grado – da Dell’Utri per agevolare a fine ’93 e poi ricattare nel ’94 il governo B. con la minaccia di riprendere le stragi interrotte, riceve una formidabile conferma: anche Graviano, dopo tanti pentiti, ribadisce la promessa berlusconiana di “modificare il Codice penale”, poi mantenuta solo in minima parte. Sull’ergastolo e il 41-bis, peraltro, il boss condivide la posizione di gran parte dei politici e opinionisti, oltreché della Consulta ultimo modello e della Corte di Strasburgo: “Sono state fatte leggi incostituzionali, perché la Corte costituzionale li sta dichiarando incostituzionali… Le leggi fatte per non farci uscire dal carcere…”. Parole che lo iscrivono d’ufficio nel fronte “garantista” in ottima compagnia. Su altri punti ricorda male: tipo quando dice che “Berlusconi fu un traditore, perché quando si parlò della riforma del Codice penale e di abolizione dell’ergastolo, un avvocato di Forza Italia mi disse che stavano cambiando il Codice penale e Berlusconi aveva detto di non inserire quelli coinvolti nelle stragi”. In realtà l’ergastolo lo abolì il centrosinistra, scavalcando B., nel 1999 estendendo il rito abbreviato (con relativi sconti di pena) anche ai reati di strage; e lo ripristinò solo due anni dopo, in seguito alle proteste dei pm antimafia e delle vittime delle bombe. Ora, tra le “tante altre cose” che Graviano potrebbe raccontare, potrebbe esserci l’indirizzo dell’appartamento a Milano 3 usato per gli incontri fra lui, il cugino e B.. E magari esibire la “carta privata”, cioè il presunto contratto societario fra i Graviano e B.: volete che non l’abbia conservata come arma di ricatto?
Noi molte di queste cose le abbiamo sempre scritte o sospettate. E una certezza l’abbiamo sempre avuta: che B. sia consapevolmente ricattato e ricattabile da Cosa Nostra da quasi mezzo secolo. Bastava leggere la sentenza Dell’Utri, la più rimossa da politici e giornalisti che hanno sempre finto di non vedere e non sapere, anche dopo la condanna a 7 anni per mafia, continuando a spacciare la verità per “teorema” e a buttare in politica una storia che è stata sempre e soltanto criminale. Ora, in attesa delle puntate successive, tocca alle Procure indagare sulle parole di Graviano: quella di Firenze che ha già riaperto l’indagine su B. e Dell’Utri per le stragi del ’93; e quella di Caltanissetta che dovrà farlo per quelle del ’92. L’unica inchiesta che non si può più riaprire è quella di Palermo su B. per concorso esterno. Sapete perché? Perché è caduta in prescrizione.

venerdì 7 febbraio 2020

Cavilli di battaglia. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 7 Febbraio

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Dicevamo delle tecniche e delle tattiche dilatorie per allungare i processi e mandarli in prescrizione. Quelle che molti avvocati di imputati eccellenti usano a piene mani, salvo poi negare di saperne niente. I processi a B. ne hanno offerto il catalogo più esaustivo, nel silenzio-assenso dell’avvocatura organizzata e altri improvvisati cultori della “ragionevole durata”.

All Iberian. B. e Craxi sono imputati dal 1996 per finanziamento illecito (23 miliardi di lire in Svizzera da Fininvest-All Iberian nel 1991, subito dopo la legge Mammì) e B. anche per i falsi in bilancio sulle centinaia di miliardi di fondi neri del sistema offshore All Iberian. Giugno ’98: dopo un anno e mezzo il processo, salta su un legale di B.: “La Procura non ha citato la Fininvest come parte lesa dei falsi in bilancio”: cioè come vittima dei reati del suo padrone e degli altri top manager Fininvest. Così la Fininvest non ha potuto costituirsi parte civile contro B., che non ha potuto chiedersi i danni da solo. Pare una barzelletta, invece è tutto vero. Il processo per tangenti prosegue, ma quello per falso in bilancio deve ripartire dall’udienza preliminare. Lì i pm citano come parte lesa la Fininvest, che ovviamente non si costituisce contro B., che intanto ha guadagnato 2 anni. Il processo-bis riparte nell’ottobre ’98, ma si riblocca subito: i difensori dicono che il capo d’imputazione è generico, non si capisce la differenza tra Fininvest Spa e gruppo Fininvest. I nuovi giudici annullano il rinvio a giudizio: terza udienza preliminare sulle stesse carte. B. finge di voler patteggiare e avvia trattative con i pm. Ma bluffa: pretende una condannina a 3 mesi, commutabile in multa. La Procura gli ride in faccia, ma intanto s’è perso altro tempo. Il terzo rinvio a giudizio arriva a fine 1999 e il secondo dibattimento parte a maggio 2000: tre anni e mezzo buttati. Gli avvocati ricusano la nuova presidente, che sarebbe prevenuta anche se ha dato loro ragione annullando il primo rinvio a giudizio. La Corte d’appello respinge l’istanza, ma la Cassazione l’accoglie: altri 9 mesi di udienze buttati. Il processo riparte per la terza volta il 27 marzo 2001. La difesa B. ricusa i due giudici a latere: respinta. Poi B. “riforma” il falso in bilancio: pene più basse, prescrizione più breve e niente più reato se la società è quotata e non è stata querelata da un socio. Siccome Fininvest è quotata e B. non si è querelato da solo, il reato è abolito. Nel 2005, dopo 9 anni di processo di primo grado, la sentenza: B. assolto perché “il fatto non è più previsto dalla legge come reato”. Cioè perché l’imputato se l’è depenalizzato.

Scandalo Mills. Nel 2005 la Procura scopre che David Mills, consulente inglese di B. per le società estere All Iberian, è stato corrotto con 600 mila dollari nel 2000 per mentire nei processi GdF e All Iberian. B. e Mills sono indagati per corruzione giudiziaria. B. vara subito la legge ex Cirielli: la prescrizione per corruzione giudiziaria scende da 15 a 10 anni. Udienza preliminare: solita ricusazione del gup, respinta. Nel 2007 il processo: ennesima gimkana fra cavilli, impedimenti e trappole varie. Nel 2008 B. torna premier e si mette al riparo col lodo Alfano: verrà giudicato solo quando non sarà più premier. Mills invece è condannato a 4 anni in primo e secondo grado per essere stato corrotto da B. La Cassazione sentenzia il 25 febbraio 2010: siccome la tangente fu incassata il 29 febbraio 2000, restano 4 giorni prima della prescrizione. Ma la Corte va dietro agli avvocati e retrodata la tangente a tre mesi prima: non quando Mills la incassò, ma quando i soldi finirono su un fondo. Colpevole e infatti condannato a risarcire lo Stato, Mills si salva per prescrizione. Intanto B. è tornato imputato, perché la Consulta ha cancellato il lodo Alfano. Il processo di primo grado avanza a passo di lumaca, anche grazie al calendario al ralenty chiesto dai legali e generosamente concesso dal Tribunale (un’udienza ogni 15 giorni). E finisce il 27 gennaio 2012 con le arringhe. Detratti i tempi morti delle leggi ad personam, la prescrizione scatta il 15 febbraio: ci sono 19 giorni almeno per la prima sentenza. Ma gli avvocati bloccano i giudici sull’uscio della camera di consiglio con l’ennesima ricusazione. La Corte d’appello, per istanze così pretestuose, di solito impiega pochi giorni per respingerle. Ma stavolta dorme per un mese e respinge solo il 23 febbraio. La sentenza arriva il 25: tempo scaduto e “reato estinto per sopraggiunta prescrizione” (10 giorni prima).

Diritti Mediaset. B. è imputato per falso in bilancio, frode fiscale e appropriazione indebita per 368 milioni di dollari nascosti all’estero gonfiando il prezzo dei film Usa acquistati da Mediaset. Fatti commessi nel 1995-98 con effetti fiscali fino al 2003. Il primo grado dura dal 2006 al 2012: 6 anni di corsa a ostacoli, mentre si prescrivono tutti i falsi in bilancio, tutte le appropriazioni e le frodi più vecchie. B. è condannato a 4 anni in primo e secondo grado, dove la prescrizione si mangia tutti i reati superstiti, salvo le ultime due frodi sugli ammortamenti 2002 (4,9 milioni) e 2003 (2,4 milioni). La prescrizione scatta il 1° agosto 2013 e, per scongiurarla, la Cassazione tratta il caso con gli altri urgenti nella sezione feriale presieduta da Antonio Esposito. B. e i suoi strillano alla negazione del “diritto alla prescrizione”: il centrodestra impone al Parlamento un giorno di serrata in segno di lutto. La sentenza arriva il 1° agosto, ultimo giorno utile, e conferma la condanna. La prima e unica definitiva, sfuggita per puro caso alla regola ferrea dell’impunità. Tant’è che ancora se ne parla, a palazzo, con comprensibile orrore. Lo capite adesso perché tutti, a parte le persone oneste e le vittime dei reati, strillano contro la legge blocca-prescrizione?


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Mafia, Graviano: “Da latitante ho incontrato Berlusconi almeno 3 volte. Me lo ha presentato mio nonno negli anni ’80. Tramite mio cugino avevamo un rapporto bellissimo, nel 1993 abbiamo cenato insieme.” - Lucio Musolino e Giuseppe Pipitone

Mafia, Graviano: “Da latitante ho incontrato Berlusconi almeno 3 volte. Me lo ha presentato mio nonno negli anni ’80. Tramite mio cugino avevamo un rapporto bellissimo, nel 1993 abbiamo cenato insieme”

Dopo il prologo di due settimane fa, Graviano ha continuato la sua deposizione durante il processo ‘Ndrangheta stragista. E se la prima volta ha parlato genericamente di “imprenditori del nord”, questa volta ha pronunciato esplicitamente il nome di Silvio Berlusconi.
Giuseppe Graviano sostiene di aver incontrato Silvio Berlusconi. “Da latitante l’ho incontrato almeno per tre volte“. L’ultima volta risale al dicembre del 1993, poche settimane prima dell’arresto del boss di Cosa nostra e della discesa in campo del futuro presidente del consiglio. In quell’occasione, dice sempre il padrino, “con Berlusconi abbiamo cenato insieme. È accaduto a Milano 3 in un appartamento”. All’imprenditore di Arcore, sostiene sempre il padrino di Brancaccio, erano finiti i soldi di suo nonno e di altri personaggi che negli anni ’70 avevano investito nell’edilizia in Nord Italia. Anzi: a sentire Graviano Berlusconi aveva anche rapporti economici con Totuccio Contorno, uno dei primi pentiti di Cosa nostra. Rischia di provocare un vero e proprio terremoto la deposizione del capomafia di Brancaccio, l’uomo che custodisce i segreti delle stragi.
“Mio nonno investì al nord” – Dopo il prologo di due settimane fa, Graviano ha continuato la sua deposizione durante il processo ‘Ndrangheta stragista, in corso davanti alla corte d’Assise di Reggio Calabria, dove è accusato dell’omicidio di due carabinieri. E se la prima volta ha parlato genericamente di “imprenditori del nord”, questa volta ha pronunciato esplicitamente il nome di Silvio Berlusconi. Lo ha fatto confermando una pista battuta dal pool della procura di Palermo che ha indagato sulla Trattativa Stato-mafia: Filippo Quartararo, nonno materno del boss di Brancaccio, è il primo contatto tra la famiglia e i palermitani che hanno investito denaro a Milano. “Negli anni ’70 mio nonno aveva messo i soldi nell’edilizia al nord. Mio nonno materno, Quartanaro Filippo, era una persona abbastanza ricca. Era un grande commerciante di ortofrutta. Venne invitato a investire soldi al nord, nell’edilizia. Il contatto è col signor Berlusconi, glielo dico subito”, spiega Graviano al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo“.
“Venti miliardi al 20%” – Nell’aula è calato il silenzio, poi Graviano è entrato nel dettaglio degli investimenti: “Venti miliardi di lire con il venti percento. Mio nonno si rivolge a mio papà e mio papà dice: io non faccio queste cose. Quindi quando Di Carlo dice che mio papà aveva queste società a nord Italia dice una bugia: era mio nonno“, ci tiene a specificare il padrino di Brancaccio. La parte principale della deposizione deve ancora arrivare: “Quando è morto mio padre, mio nonno mi prese in disparte e mi disse ‘Io sono vecchio e ora te ne devi occupare tu. Poco dopo mio nonno, che aveva più di 80 anni, morì”. Il vecchio Quartararo muore nel 1986, Michele Graviano, padre di Giuseppe nel 1982. In quei quattro anni Graviano sostiene di aver avuto il tempo di fare la conoscenza di Berlusconi. “Dopo la morte di mio padre, mio nonno mi dice: c’è sta situazione, io sto andando avanti. Tuo papà non vuole che mi rivolgo a voi. Io e mio cugino Salvo abbiamo detto: ci pensiamo. Ci siamo consigliati col signor Giuseppe Greco. E abbiamo deciso di sì e siamo partiti per Milano. E mio nonno ci ha presentato al signor Berlusconi, abbiamo capito cosa era questa società”.
“Ho incontrato Berlusconi all’hotel Quark” – La deposizione di Graviano diventa serrata. Il pm chiede dettagli su quel primo incontro con Berlusconi: “Se non erro era l’Hotel Quark“a Milano. Chi c’era? “Mio cugino Salvatore, mio nonno Quartaro Filippo“. Berlusconi era da solo. “Sì”, risponde Graviano, aggiungendo subito: “Poi io casco latitante, quindi la situazione la comincia a seguire mio cugino Salvatore”. Insomma a sentire Graviano, il nonno aveva investito in modo occulto denaro nelle società dell’imprenditore di Arcore. E quegli investimenti sarebbero poi stati ereditati da lui e dal cugino. “Per adesso va bene, però noi dobbiamo entrare scritti che facciamo parte della società. Noi vogliamo essere partecipi, però questa cosa si andava procrastinando”, dice sempre il boss, facendo intendere che la condizione “occulta” dell’investimento doveva essere poi regolarizzata. “I nomi di quei soggetti non apparivano”, dice riferendosi al fatto che i soci occulti dell’imprenditore di Arcore non comparivano nelle partecipazioni societarie. “Ma c’era una carta privata che io ho visto, la copia di mio nonno la ha mio cugino Salvatore Graviano”. Una frase che sembra essere un vero e proprio messaggio: su quello che dice il padrino di Brancaccio, esistono o sono esistite addirittura delle prove.
“Ho cenato con Berlusconi” – La figura del cugino Salvatore, morto di tumore diversi anni fa, compare nei racconti di Graviano durante l’incontro in carcere con Fiammetta Borsellino. Il boss di Brancaccio aveva detto alla figlia del giudice assassinato: “Lo dicono tutti che frequentavo Berlusconi più che io era mio cugino che lo frequentava”. A Reggio Calabria conferma: “Era mio cugino Salvatore che aveva questi incontri. Io al massimo tre volte l’ho incontrato“. L’ultima risale al dicembre del 1993. “C’è una riunione a Milano. A fine del 1993, dicembre, si è arrivato alla conclusione che si regolarizzava questa situazione. E si fissa un appuntamento nel febbraio del 1994“. È durante quell’incontro alla fine del 1993 che Graviano sostiene di essersi seduto a tavola con l’ex presidente del consiglio: “È successo a Milano 3, è stata una cena. Ci siamo incontrati io, mio cugino e Berlusconi. C’era qualche altra persone che lei non ha conosciuto. Discutiamo di formalizzare le società”.
“Berlusconi disse a mio cugino che aveva pronto il partito già nel 1992” – “Incontrava Ma Berlusconi sapeva che stava incontrando un latitante? “Non lo so, penso di sì. Lo sapeva come mi chiamavo. Io ho condotto la mia latitanza nel milanese tra shopping in via Montenapoleone e teatri, insomma facevo la bella vita”. Quell’appartamento dove i Graviano incontrano Berlusconi sarebbe stato nelle disponibilità del boss di Brancaccio: “Mio cugino mi ha detto: sai mi hanno dato un appartemente a Milano 3”. Graviano ha trascorso in quella casa parte della sua latitanza? “La mia latitanza era a Omegna. Serviva a mio cugino per quando saliva a Milano“. Il pm incalza il mafioso: “Quando vi incontrate a Milano 3, ricava la certezza che i 20 miliardi sono stati investiti e tra i 20 miliardi c’era Milano 3? “Tutto cioè che aveva fatto, c’era le televisioni, Canale 5″. La pubblica accusa ha contestato a Graviano l’ormai nota intercettazione in cui il boss dice al compagno d’ora d’aria Adinolfi: “Nel 1992 Berlusca mi chiese questa cortesia, lui già voleva scendere”. A cosa si riferiva il padrino? “Già nel 1992 Berlusconi annunciò a mio cugino Salvo che voleva entrare in politica. Io non lo incontrai ma lo incontrò mio cugino Salvo a cui Berlusconi parlò di questo progetto di entrare in politica“, conferma Graviano. Specificando un passaggio cruciale per gli inquirenti: “Nel 1992, no come dicono nel 1993. Già il partito era preparato nel 1992. Prima della strage di Capaci”. E dunque quando la Prima Repubblica era ancora lontana dall’essere travolta da Tangentopoli: a cosa doveva servire un nuovo partito già all’epoca?
“Berlusconi è un traditore” – Di sicuro c’è che nel gennaio del 1994 Graviano viene arrestato a Milano insieme al fratello Filippo. Un arresto che definisce “anomalo”. “Berlusconi fu un traditore, perché quando si parlò della riforma del Codice penale e si parlava di abolizione dell’ergastolo mi hanno detto che lui chiese di non inserire gli imputati coinvolti nelle stragi mafiose”, dice Graviano quando il pm gli contesta le intercettazioni del 19 gennaio 2016, quando conversando con il boss Umberto Adinolfi, disse: “Berlusconi prese le distanze e fece il traditore”.Oggi ha confermato quella frase e ha spiegato i motivi di quel tradimento. “Un avvocato di Forza Italia mi disse che stavano cambiando il Codice penale – dice ancora Graviano – e che doveva darmi brutte notizie. Perché in Parlamento avevano avuto indicazioni da Berlusconi di non inserire quelli coinvolti nelle stragi. Lì ho avuto la conferma che era finito tutto. Mio io cugino Salvo era morto nel frattempo per un tumore al cervello. E nella riforma del Codice penale non saremmo stati inseriti tra i destinatari dell’abolizione dell’ergastolo”. E aggiunge: “Questo mi portò a dire che Berlusconi era un traditore”.
Ghedini: “Da Graviano diffamazioni” – A udienza ancora in corso è arrivata la replica di Berlusconi, attraverso una nota del suo legale, Niccolò Ghedini: “Le dichiarazioni rese quest’oggi da Giuseppe Graviano sono totalmente e platealmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà nonché palesemente diffamatorie. Si osservi che Graviano nega ogni sua responsabilità pur a fronte di molteplici sentenze passate in giudicato che lo hanno condannato a plurimi ergastoli per gravissimi delitti. Dopo 26 anni ininterrotti di carcerazione improvvisamente il signor Graviano rende dichiarazioni chiaramente finalizzate ad ottenere benefici processuali o carcerari inventando incontri, cifre ed episodi inverosimili ed inveritieri. Si comprende, fra l’altro, perfettamente l’astio profondo nei confronti del Presidente Berlusconi per tutte le leggi promulgate dai suoi governi proprio contro la mafia. Ovviamente saranno esperite tutte le azioni del caso avanti l’autorità giudiziaria”.
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