venerdì 8 agosto 2025

La piramide di Ben Ben.

 

La piramide di Ben Ben, che ha incuriosito gli scienziati per decenni, ha apparentemente risolto il suo mistero.
La piramide è fatta di pietra nera, ma non è una pietra normale perché tutti i suoi componenti non esistono sulla faccia della Terra.
La pietra di ferro nero si trova solo nello spazio.
Un altro punto che spicca è che una pietra di ferro è molto difficile da modellare ma non difficile da rompere.
Quindi la domanda rimane: come è stato tagliato con tanta precisione negli angoli?
Come è stato lucidato il tuo viso con questa raffinatezza unica?
E come è stata fatta questa registrazione con queste iscrizioni molto accurate sulla faccia della piramide?

Gli scienziati hanno scoperto che era impossibile per qualsiasi strumento antico o moderno diverso dall'uso di uno strumento di taglio laser. Veniamo ora all'ultimo mistero: la pietra nera del meteorite di ferro, grazie alla sua composizione, trasmette nell'ambiente circostante energia elettromagnetica positiva che fa sentire psicologicamente a proprio agio chiunque si avvicini, incidendo positivamente sull'energia umana.
La piramide è nel Museo Egizio. 

https://www.facebook.com/photo/?fbid=768490705650012&set=gm.766850372968595&idorvanity=387604307559872

Agrigento, scoperto auditorium greco nella Valle dei Templi.

 

Quello che hanno appena scoperto nella Valle dei Templi vi lascerà senza parole.

Nel 2025, un team internazionale di archeologi ha portato alla luce qualcosa di straordinario ad Agrigento: un auditorium greco perfettamente conservato, nascosto sottoterra per oltre 2000 anni.

Immaginate: 200 posti a sedere in pietra calcarea, disposti in otto file semicircolari, ancora intatti. Le sedute originali su cui si sono seduti cittadini greci tra il II e I secolo avanti Cristo sono lì, come se il tempo si fosse fermato.

Ma aspettate, c'è di più. Gli archeologi hanno trovato due enormi blocchi con iscrizioni greche ancora perfettamente leggibili. Riportano i nomi di funzionari e benefattori che hanno contribuito alla costruzione di questo ginnasio ellenistico.

Questa struttura è unica nel suo genere per il Mediterraneo occidentale. Pensate: mentre noi guardiamo Netflix dai nostri divani, loro si riunivano in questo auditorium per discussioni filosofiche, spettacoli e vita sociale.

La storia continua a sorprenderci, nascondendo tesori sotto i nostri piedi. Quanto ancora ci resta da scoprire nella nostra meravigliosa Sicilia?

https://www.facebook.com/photo/?fbid=1194724082684937&set=a.447499420740744

Tutti in ginocchio, tranne Roma.

 

Roma è stata presa.
Non da un esercito, non da una rivoluzione, ma da una marea di croci, zaini, cori stonati, ragazzi che dormivano ovunque: marciapiedi, aiuole, sagrati, scalinate. Nessun rispetto, nessun permesso, nessuna regola applicata.
E intorno, autorità sorridenti, zelanti, arrendevoli.
Sembrava che l’unico dovere dello Stato fosse quello di servire la Chiesa.
La città si è trasformata in un campeggio parrocchiale permanente. I mezzi pubblici bloccati, le strade chiuse, i trasporti nel caos. I pendolari abbandonati. I lavoratori lasciati a piedi. I turisti confusi.
Tutto fermo, tutto sacrificato perché dovevano passare loro. Dovevano cantare.
Dovevano occupare.
Perché sì. Perché era il Giubileo dei giovani.
E lo Stato? Pagava. Il Comune? Spendeva. I cittadini? Subivano.
Milioni di euro di lavori straordinari, turni aggiuntivi di polizia, logistica, pulizia, gestione. Tutto finanziato con fondi pubblici.
Il Vaticano?
Non un euro.
Non una partecipazione.
Non una responsabilità.
Il Vaticano ha preso Roma, l’ha usata, l’ha spremuta, e se n’è tornato oltre il Tevere come se nulla fosse. Nessun grazie. Nessuna condivisione dei costi. Solo pretese, solo potere.
E il potere è stato accontentato.
Senza fiatare. Senza domande. Perché quando la religione cattolica chiama, lo Stato italiano si inginocchia.
La destra si inginocchia. E anche la sinistra, quando c’è, ammicca e tace.
Non importa se quei giovani che marciano felici non credono nell’aborto, non credono nel matrimonio egualitario, non credono nella parità, nel divorzio, nella libertà.
A loro è concesso tutto.
A loro è permesso bloccare, invadere, trasgredire.
A loro non serve alcun permesso.
Perché sono bianchi, cattolici, obbedienti.
Perché stanno sotto l’ala del potere più vecchio d’Europa, quello che non si vota mai, ma governa sempre.
E allora viene il dubbio, feroce, insopportabile: cos’è questo, se non una forma moderna di colonizzazione?
Uno Stato straniero che impone la sua agenda e lo fa senza contraddittorio, senza pagare, senza rispondere a nessuno.
Lo fa come se fosse un diritto naturale, divino, scontato.
E noi?Noi paghiamo.
Paghiamo con i soldi e con i diritti.
Paghiamo con la pazienza.
Paghiamo con la libertà.
Perché se un altro gruppo, qualunque altro, avesse fatto lo stesso, sarebbe stato disperso, identificato, represso.
Avrebbero chiamato tutto questo minaccia all’ordine pubblico.
Ma quando la Chiesa si muove, tutto si azzera.
La Costituzione, le regole, la laicità, la parità.
Questo Giubileo non è stato un evento. È stato un abuso.
Una dimostrazione di forza.
Un’umiliazione per chi crede ancora che lo Stato debba essere laico, giusto, uguale per tutti.
Una prova che i diritti sono negoziabili, ma i privilegi del Vaticano no.
E allora basta con le ipocrisie.
Non è fede, questa.
È occupazione.
Non è spiritualità. È logistica di propaganda.
Non è amore. È retorica che pesa come piombo.
È una religione che non ha più parole, ma pretende i microfoni.
Che non ha più fedeli, ma si compra le folle.
Che predica umiltà ma sventola crocifissi d’oro.
Che parla di poveri ma vive da principe.
E noi dovremmo pure tacere. Dovremmo accogliere.
Dovremmo ringraziare.
No. Non oggi.
Perché la Roma vera non è quella inginocchiata.
È quella stanca, inchiodata nel traffico, costretta a spostarsi a piedi mentre qualcuno canta “Gloria”.
È quella che paga, che lavora, che non ha santi in paradiso
né cardinali in giunta.
È quella che resiste.
È quella che non crede più.
Ma ricorda tutto.

mercoledì 6 agosto 2025

Caso Almasri, se ora Meloni rischia il testacoda politico.

 

Liberare Almasri non rispecchia l’azione di un governo “legge ed ordine”. La premier ci mette la faccia: sa che è una prova del fuoco per la maggioranza.

(Flavia Perina – lastampa.it) – La premier Giorgia Meloni ha capito benissimo, e di sicuro prima degli altri, che il dibattito sull’autorizzazione a procedere contro i ministri Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano sarà una prova del fuoco per il governo, il momento di un possibile corto circuito tra ragioni di giustizia, ragioni di Stato e ragion politica della maggioranza.

Se ha aperto l’ombrello della corresponsabilità personale sui tre collaboratori è anche per questo. Come in altre circostanze è chiamata in prima persona a risolvere i pasticci e le approssimazioni dei fedelissimi, consapevole che la loro vecchia linea difensiva sulla scarcerazione e rimpatrio del generale libico Nijeem Osama Almasri, le giustificazioni tecniche, i vaghi accenni a verbali mal tradotti e a date contraddittorie, non saranno sufficienti a fare scudo all’esecutivo.

Certo, il voto d’aula favorevole ai ministri è scontato, ma tutto il resto no. A cominciare dal rischio politico connesso al salvataggio di un torturatore, con un lunghissimo curriculum criminale, un personaggio sulfureo che nelle logiche della destra avrebbe meritato il fine pena mai.

È largamente franata la linea difensiva degli esordi, quando si cercò di archiviare la questione come ennesima prova della malevolenza dei giudici (europei in questo caso) verso il centrodestra o addirittura come un complotto tedesco per riversare sull’Italia l’incombenza di un arresto complicato. Ma anche riferirsi a una manovra anti-governo della magistratura italiana è più difficile che in altri casi.

Il Tribunale dei ministri che chiede l’autorizzazione a procedere nei confronti di Nordio, Piantedosi e Mantovano è un organo collegiale costituito per sorteggio: esattamente la pratica che la destra vuole introdurre per l’elezione del Csm come massima garanzia di imparzialità.

Per di più l’inchiesta sulla liberazione e sul rimpatrio di Almasri non nasce “motu proprio” dall’iniziativa di un pubblico ministero ma dalla denuncia di un privato cittadino. C’è infine l’assennatezza con cui lo stesso Tribunale, dopo i doverosi approfondimenti, ha archiviato la posizione della premier, distinguendo (lo ha spiegato ieri il presidente del Csm Cesare Parodi, un moderato non tacciabile di faziosità) tra responsabilità penale e politica. Insomma, risulta quasi impossibile riesumare il vecchio claim: vogliono abbattere il governo per via giudiziaria.

Neppure la fuga di notizie è contestabile. L’annuncio dell’esito delle indagini preliminari l’ha data Giorgia Meloni in persona, non un quotidiano “avversario”, non una fonte interessata a intorbidare le acque, e vai a vedere quali carte e quali dettagli ha messo insieme il Tribunale, e in che misura contraddicono le spiegazioni date in aula da Nordio e Piantedosi forse nella convinzione che il caso si sarebbe inabissato senza code giudiziarie.

E tuttavia il corto circuito ha anche una natura più politica. I reati contestati ad Almasri, descritto dalle sue vittime come il sadico capo della polizia di Tripoli, torturatore e assassino anche di bambini, suscitano un rifiuto morale che non conosce destra e sinistra. Averlo di fatto graziato e persino rimpatriato con l’onore di un volo di Stato non è certo l’azione di un governo “legge e ordine”, che per di più si vanta di esercitare a tutto campo la sua sovranità.

È questo il cortocircuito che Giorgia Meloni dovrà affrontare in prima persona, perché se il dibattito d’aula ha un esito pratico già scritto – il centrodestra farà muro contro l’autorizzazione a procedere e vincerà – il risultato politico è tutt’altro che messo in sicurezza. La premier dovrà metterci la faccia. Coprire la pasticciata liberazione di Almasri con un “non possumus” in nome dell’interesse nazionale. E sperare che basti per accontentare almeno il pubblico dei suoi elettori.

https://infosannio.com/2025/08/06/caso-almasri-se-ora-meloni-rischia-il-testacoda-politico/