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mercoledì 6 agosto 2025

Caso Almasri, se ora Meloni rischia il testacoda politico.

 

Liberare Almasri non rispecchia l’azione di un governo “legge ed ordine”. La premier ci mette la faccia: sa che è una prova del fuoco per la maggioranza.

(Flavia Perina – lastampa.it) – La premier Giorgia Meloni ha capito benissimo, e di sicuro prima degli altri, che il dibattito sull’autorizzazione a procedere contro i ministri Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano sarà una prova del fuoco per il governo, il momento di un possibile corto circuito tra ragioni di giustizia, ragioni di Stato e ragion politica della maggioranza.

Se ha aperto l’ombrello della corresponsabilità personale sui tre collaboratori è anche per questo. Come in altre circostanze è chiamata in prima persona a risolvere i pasticci e le approssimazioni dei fedelissimi, consapevole che la loro vecchia linea difensiva sulla scarcerazione e rimpatrio del generale libico Nijeem Osama Almasri, le giustificazioni tecniche, i vaghi accenni a verbali mal tradotti e a date contraddittorie, non saranno sufficienti a fare scudo all’esecutivo.

Certo, il voto d’aula favorevole ai ministri è scontato, ma tutto il resto no. A cominciare dal rischio politico connesso al salvataggio di un torturatore, con un lunghissimo curriculum criminale, un personaggio sulfureo che nelle logiche della destra avrebbe meritato il fine pena mai.

È largamente franata la linea difensiva degli esordi, quando si cercò di archiviare la questione come ennesima prova della malevolenza dei giudici (europei in questo caso) verso il centrodestra o addirittura come un complotto tedesco per riversare sull’Italia l’incombenza di un arresto complicato. Ma anche riferirsi a una manovra anti-governo della magistratura italiana è più difficile che in altri casi.

Il Tribunale dei ministri che chiede l’autorizzazione a procedere nei confronti di Nordio, Piantedosi e Mantovano è un organo collegiale costituito per sorteggio: esattamente la pratica che la destra vuole introdurre per l’elezione del Csm come massima garanzia di imparzialità.

Per di più l’inchiesta sulla liberazione e sul rimpatrio di Almasri non nasce “motu proprio” dall’iniziativa di un pubblico ministero ma dalla denuncia di un privato cittadino. C’è infine l’assennatezza con cui lo stesso Tribunale, dopo i doverosi approfondimenti, ha archiviato la posizione della premier, distinguendo (lo ha spiegato ieri il presidente del Csm Cesare Parodi, un moderato non tacciabile di faziosità) tra responsabilità penale e politica. Insomma, risulta quasi impossibile riesumare il vecchio claim: vogliono abbattere il governo per via giudiziaria.

Neppure la fuga di notizie è contestabile. L’annuncio dell’esito delle indagini preliminari l’ha data Giorgia Meloni in persona, non un quotidiano “avversario”, non una fonte interessata a intorbidare le acque, e vai a vedere quali carte e quali dettagli ha messo insieme il Tribunale, e in che misura contraddicono le spiegazioni date in aula da Nordio e Piantedosi forse nella convinzione che il caso si sarebbe inabissato senza code giudiziarie.

E tuttavia il corto circuito ha anche una natura più politica. I reati contestati ad Almasri, descritto dalle sue vittime come il sadico capo della polizia di Tripoli, torturatore e assassino anche di bambini, suscitano un rifiuto morale che non conosce destra e sinistra. Averlo di fatto graziato e persino rimpatriato con l’onore di un volo di Stato non è certo l’azione di un governo “legge e ordine”, che per di più si vanta di esercitare a tutto campo la sua sovranità.

È questo il cortocircuito che Giorgia Meloni dovrà affrontare in prima persona, perché se il dibattito d’aula ha un esito pratico già scritto – il centrodestra farà muro contro l’autorizzazione a procedere e vincerà – il risultato politico è tutt’altro che messo in sicurezza. La premier dovrà metterci la faccia. Coprire la pasticciata liberazione di Almasri con un “non possumus” in nome dell’interesse nazionale. E sperare che basti per accontentare almeno il pubblico dei suoi elettori.

https://infosannio.com/2025/08/06/caso-almasri-se-ora-meloni-rischia-il-testacoda-politico/

martedì 28 aprile 2020

“Se si riapre tutto, le terapie intensive in crisi l’8 giugno”. - Alessandro Mantovani e Marco Palombi

“Se si riapre tutto, le terapie intensive in crisi l’8 giugno”

Il documento che ha influenzato il governo. Il report dell’Istituto superiore di sanità sulla “fase 2”: “Con le scuole in funzione, una nuova ondata è certa”.
Il documento proviene dall’Istituto superiore di sanità, da una settimana è nelle mani del governo e del Comitato tecnico scientifico (che lo ha adottato) e spiega la scelta dell’esecutivo di procedere alla “fase 2” con molta cautela e scadenzando le riaperture fino a settembre (le scuole) e oltre (il comparto degli spettacoli dal vivo).
Lo studio propone 92 possibili scenari e il più drammatico è alla lettera A. Se riaprissimo quasi tutto, il tasso di riproduzione del virus Rt (cioè la previsione del numero medio di contagi a partire da una persona che ha contratto il virus, ndr) tornerebbe sopra 2, tra il 2,06 e il 2,44 per una media di 2,25 e le terapie intensive, che pure sono state potenziate, sarebbero di nuovo sature in meno di 40 giorni, l’8 giugno. Questo accadrebbe facendo ripartire industria, edilizia e commercio collegato ma anche hotel e ristoranti senza limiti d’età per i lavoratori, senza telelavoro, con le scuole aperte e il ritorno alla normalità nel tempo libero e nell’uso dei mezzi pubblici. “Riaprire le scuole – si legge nel report – innescherebbe una nuova e rapida crescita dell’epidemia. La sola riapertura delle scuole potrebbe portare allo sforamento del numero di posti letto in terapia intensiva”.
Lo scenario 1 – con le scuole aperte ma senza far ripartire i settori produttivi, l’attuale quota di telelavoro e i movimenti nel tempo libero e l’impiego dei mezzi pubblici al 10% – porterebbero il tasso Rt a 1,33 di media (1,22-1,44): le terapie intensive reggerebbero fino al 20 ottobre. 
Lo scenario C - invece delinea l’ipotesi di far ripartire le attività industriali, l’edilizia, il commercio e anche ristoranti e hotel, fermi restando il telelavoro e le scuole chiuse ma senza limiti nel tempo libero e nei trasporti: Rt andrebbe a 1,69 (1,54-1,83) e la saturazione delle terapie intensive avverrebbe il 31 agosto. 
Sarebbe però peggiore lo scenario B: tutto aperto senza telelavoro, ma con le scuole chiuse. Tasso Rt all’1,86 (1,66-1,97) e terapie intensive piene l’8 agosto.
Fin qui gli scenari senza limitazioni per fasce d’età. Ma anche con una scelta drastica come tenere lontani dal lavoro tutti gli over 50 ed evitare gli spostamenti extralavorativi degli over 60 (scenario 23), Rt salirebbe sopra 1: la stima è 1,01 (tra 0,92 e 1,09) in caso di riapertura generalizzata dei settori produttivi ma non dei ristoranti, senza riaprire le scuole né consentire piena libertà di movimento nel tempo libero. Tutte le combinazioni possibili sono considerate.
Nelle raccomandazioni finali il Comitato tecnico scientifico sottolinea che “persistono nuovi casi di infezione”, avverte che “le stime attuali di R0” sono “comprese tra 0,5 e 0,7” e che “se R0 fosse anche di poco superiore a 1 (ad esempio nel range 1,05-1.25) l’impatto sul sistema sanitario sarebbe notevole”. Di conseguenza “lo spazio di manovra sulle riaperture non è molto”. Pertanto il Cts suggerisce di riaprire solo “edilizia, manifattura e commercio correlato alle precedenti attività”, evitando “situazioni che generano forme di aggregazione (es. mercati e centri commerciali)” e “assumendo un’efficacia della protezione delle prime vie respiratorie”, cioè le mascherine.
Restano tuttavia “incertezze sul valore dell’efficacia dell’uso di mascherine per la popolazione generale dovute a una limitata evidenza scientifica, sebbene le stesse siano ampiamente consigliate”, si legge ancora nelle raccomandazioni. L’ultima condizione riguarda i “sistemi di monitoraggio della circolazione dell’infezione e sorveglianza attiva”. Vedremo se funzioneranno.