giovedì 21 giugno 2012

Lo scippo della Costituzione. - Stefano Rodotà




Nel silenzio generale stiamo assistendo alla manomissione di alcuni importantissimi articoli della Costituzione. Può un Parlamento di non eletti, ma di “nominati” in base a una legge di cui tutti a parole dicono di volersi liberare per la distorsione introdotta nel nostro sistema istituzionale, mettere le mani in modo così incisivo sul testo fondativo della nostra Repubblica?


Stiamo vivendo una fase costituente senza averne adeguata consapevolezza, senza la necessaria discussione pubblica, senza la capacità di guardare oltre l’emergenza. È stato modificato l’articolo 81 della Costituzione, introducendo il pareggio di bilancio. Un decreto legge dell’agosto dell’anno scorso e uno del gennaio di quest’anno hanno messo tra parentesi l’articolo 41. E ora il Senato discute una revisione costituzionale che incide profondamente su Parlamento, governo, ruolo del Presidente della Repubblica. Non siamo di fronte alla buona “manutenzione” della Costituzione, ma a modifiche sostanziali della forma di Stato e di governo. Le poche voci critiche non sono ascoltate, vengono sopraffatte da richiami all’emergenza così perentori che ogni invito alla riflessione configura il delitto di lesa economia.

In tutto questo non è arbitrario cogliere un altro segno della incapacità delle forze politiche di intrattenere un giusto rapporto con i cittadini che, negli ultimi tempi, sono tornati a guardare con fiducia alla Costituzione e non possono essere messi di fronte a fatti compiuti. Proprio perché s’invocano condivisione e coesione, non si può poi procedere come se la revisione costituzionale fosse affare di pochi, da chiudere negli spazi ristretti d’una commissione del Senato, senza che i partiti presenti in Parlamento promuovano essi stessi quella indispensabile discussione pubblica che, finora, è mancata.
Con una battuta tutt’altro che banale si è detto che la riforma dell’articolo 81 ha dichiarato l’incostituzionalità di Keynes. 

L’orrore del debito è stato tradotto in una disciplina che irrigidisce la Costituzione, riduce oltre ogni ragionevolezza i margini di manovra dei governi, impone politiche economiche restrittive, i cui rischi sono stati segnalati, tra gli altri da cinque premi Nobel in un documento inviato a Obama. Soprattutto, mette seriamente in dubbio la possibilità di politiche sociali, che pure trovano un riferimento obbligato nei principi costituzionali. La Costituzione contro se stessa? Per mettere qualche riparo ad una situazione tanto pregiudicata, uno studioso attento alle dinamiche costituzionali, Gianni Ferrara, non ha proposto rivolte di piazza, ma l’uso accorto degli strumenti della democrazia. Nel momento in cui votavano definitivamente la legge sul pareggio di bilancio, ai parlamentari era stato chiesto di non farlo con la maggioranza dei due terzi, lasciando così ai cittadini la possibilità di esprimere la loro opinione con un referendum. 

Il saggio invito non è stato raccolto, anzi si è fatta una indecente strizzata d’occhio invitando a considerare le molte eccezioni che consentiranno di sfuggire al vincolo del pareggio, così mostrando in quale modo siano considerate oggi le norme costituzionali. Privati della possibilità di usare il referendum, i cittadini — questa è la proposta — dovrebbero raccogliere le firme per una legge d’iniziativa popolare che preveda l’obbligo di introdurre nei bilanci di previsione di Stato, regioni, province e comuni una norma che destini una quota significativa della spesa proprio alla garanzia dei diritti sociali, dal lavoro all’istruzione, alla salute, com’è già previsto da qualche altra costituzione. Non è una via facile ma, percorrendola, le lingue tagliate dei cittadini potrebbero almeno ritrovare la parola.

L’altro fatto compiuto riguarda la riforparlamentari, costituzionale strisciante dell’articolo 41. Nei due decreti citati, il principio costituzionale diviene solo quello dell’iniziativa economica privata, ricostruito unicamente intorno alla concorrenza, degradando a meri limiti quelli che, invece, sono principi davvero fondativi, che in quell’articolo si chiamano sicurezza, libertà, dignità umana. Un rovesciamento inammissibile, che sovverte la logica costituzionale, incide direttamente su principi e diritti fondamentali, sì che sorprende che in Parlamento nessuno si sia preoccupato di chiedere che dai decreti scomparissero norme così pericolose.

È con questi spiriti che si vuol giungere a un intervento assai drastico, come quello in discussione al Senato. Ne conosciamo i punti essenziali. Riduzione del numero dei modifiche riguardanti l’età per il voto e per l’elezione al Senato, correttivi al bicameralismo per quanto riguarda l’approvazione delle leggi, rafforzamento del Presidente del Consiglio, poteri del governo nel procedimento legislativo, introduzione della sfiducia costruttiva. Un “pacchetto” che desta molte preoccupazioni politiche e tecniche e che, proprio per questa ragione, esigerebbe discussione aperta e tempi adeguati. Su questo punto sono tornati a richiamare l’attenzione studiosi autorevoli come Valerio Onida, presidente dell’Associazione dei costituzionalisti, e Gaetano Azzariti, e un documento di Libertà e Giustizia, che hanno pure sollevato alcune ineludibili questioni generali. 

Può un Parlamento non di eletti, ma di “nominati” in base a una legge di cui tutti a parole dicono di volersi liberare per la distorsione introdotta nel nostro sistema istituzionale, mettere le mani in modo così incisivo sulla Costituzione? Può l’obiettivo di arrivare alle elezioni con una prova di efficienza essere affidato a una operazione frettolosa e ambigua? Può essere riproposta la linea seguita per la modifica dell’articolo 81, arrivando a una votazione con la maggioranza dei due terzi che escluderebbe la possibilità di un intervento dei cittadini? Quest’ultima non è una pretesa abusiva o eccessiva. Non dimentichiamo che la Costituzione è stata salvata dal voto di sedici milioni di cittadini che, con il referendum del 2006, dissero “no” alla riforma berlusconiana.

A questi interrogativi non si può sfuggire, anche perché mettono in evidenza il rischio grandissimo di appiattire una modifica costituzionale, che sempre dovrebbe frequentare la dimensione del futuro, su esigenze e convenienze del brevissimo periodo. Le riforme costituzionali devono unire e non dividere, esigono legittimazione forte di chi le fa e consenso diffuso dei cittadini.

Considerando più da vicino il testo in discussione al Senato, si nota subito che esso muove da premesse assai contestabili, come la debolezza del Presidente del Consiglio. Elude la questione vera del bicameralismo, concentrandosi su farraginose procedure di distinzione e condivisione dei poteri delle Camere, invece di differenziare il ruolo del Senato. Propone un intreccio tra sfiducia costruttiva e potere del Presidente del Consiglio di chiedere lo scioglimento delle Camere che, da una parte, attribuisce a quest’ultimo un improprio strumento di pressione e, dall’altra, ridimensiona il ruolo del Presidente della Repubblica. Aumenta oltre il giusto il potere del governo nel procedimento legislativo, ignorando del tutto l’ormai ineludibile rafforzamento delle leggi d’iniziativa popolare. Trascura la questione capitale dell’equilibrio tra i poteri. 

Tutte questioni di cui bisogna discutere, e che nei contributi degli studiosi prima ricordati trovano ulteriori approfondimenti. Ricordando, però, anche un altro problema. Si continua a dire che le riforme attuate o in corso non toccano la prima parte della Costituzione, quella dei principi. Non è vero. Con la modifica dell’articolo 81, con la “rilettura” dell’articolo 41, con l’indebolimento della garanzia della legge derivante dal ridimensionamento del ruolo del Parlamento, sono proprio quei principi ad essere abbandonati o messi in discussione.




http://temi.repubblica.it/micromega-online/lo-scippo-della-costituzione/

Mons. Bergallo, titolare della Caritas per l'America latina, pizzicato ai Caraibi.



"Chiedo scusa per l'ambiguità degli scatti e per le strumentali interpretazioni che hanno suscitato". Queste le prime dell'alto prelato.

Mons. Fernando Maria Bergallo è stato coinvolto quello che i giornali chiamano 'scandalo' perchè pizzicato al mare con una donna su una spiaggia caraibica. Un tête-à-tête molto intimo che ha subito suscitato grande imbarazzo attorno al prelato.

Ricordiamo però che il Mons. Bergallo è titolare non solo della diocesi di Merlo, periferia di Buenos Aires ma anche della Caritas per l'America Latina. Si avete letto bene: il titolare della Caritas del sud-america si è fatto una vacanza ai Caraibi e le fonti meglio informate parlano anche di un hotel di lusso. Forse è questo lo scandalo vero e proprio.
Ciò non toglie gli scatti siano certamente ambigui e poco appropriati per un alto prelato.

Luigi Lusi in carcere a Rebibbia E avverte: "Ho tante cose da dire".



Il Senato dice sì all'arresto: i sì sono stati 155, i no 13, un astenuto. Il primo commento dell'ex tesoriere: "Questo è un insegnamento per tutti. Sto vivendo un incubo, voglio rispetto". Bersani: "Senatori e deputati uguali agli altri cittadini".


ROMA - Luigi Lusi è in carcere a Rebibbia. Il Senato ha autorizzato l'arresto per l'ex tesoriere della Margherita. Il voto è arrivato dopo una giornata tesa, con polemiche e interventi "velenosi" in aula. Poi lo scrutinio palese: 155 i "sì", 13 i "no" e un astenuto. E' la prima volta che i senatori votano nominalmente su una richiesta d'arresto. Il Pdl, come annunciato durante la riunione di questo pomeriggio, ha abbandonato l'emiciclo. Il primo commento: "Sto vivendo un incubo, voglio rispetto". Poi aggiunge: "Non ho detto tutto".

L'intervento di Lusi. Prima del suo intervento, l'ex tesoriere della Margherita ha rivelato di avere ricevuto tanta solidarietà, "più di quanto possiate immaginare". Poi, durante il suo intervento in Aula: "Non intendo sottrarmi alle mie responsabilità e non intendo affatto sottrarmi al processo. Mi si vuole mandare in carcere perché, parlando con i media, inquinerei il percorso investigativo. Non c'è altra motivazione". Ma "il legislatore - ammonisce Lusi - deve tenere distinta l'autorizzazione alla misura cautelare dall'istituto, ancora non previsto, dell'anticipazione della pena". Non manca una richiesta: "Non fatemi diventare un capro espiatorio". L'ex tesoriere entra nel merito delle accuse. Chiamando in causa i vertici della Margherita. "La gestione dei flussi finanziari è stata effettuata per comune assenso al fine di accantonarle per le attivitàpolitiche di diversi esponenti del partito". Dopo il voto, il messaggio a Rutelli: "ha avuto la decenza di non votare a favore del mio arresto".  

"Vado dove devo andare". E dopo il voto del Senato, Lusi è un fiume in piena. "Sto vivendo un incubo, voglio rispetto". Poi. sulle indagini: "Non ho detto tutto, c'è una marea di approfondimenti da fare". L'ex tesoriere aspetterà nella sua villa di Genzano l'ordine di esecuzione dell'arresto che gli sarà consegnato dalla Guardia di Finanza. Poi l'analisi del voto: "Sulla mia testa si è giocata una partita politica molto ampia". Poi aggiunge: "Ho notato che se la Lega non fosse rimasta in aula sarebbe probabilmente mancato il numero legale, così come ho visto che Enzo Bianco ha votato. Almeno Rutelli ha avuto l'intelligenza di non votare". Ancora: "Io voglio combattere". L'ex tesoriere della Margherita, lasciando palazzo Madama, si è congedato dai giornalisti con la frase: "Ora lasciatemi andare dove devo andare".

I senatori contrari. Ecco i senatori che hanno votato contro la richiesta di autorizzazione all'arresto nei confronti di Luigi Lusi come risulta dai tabulati del voto. Per il Pdl: Diana de Feo, Sergio De Gregorio, Marcello Dell'Utri, Marcello Pera, Guido Possa, Piero Longo. Per il gruppo di Coesione Nazionale: Valerio Carrara, Mario Ferrara, Salvo Fleres, Massimo Palmizio, Riccardo Villari. Per il Gruppo Misto: Antonio Del Pennino e Alberto Tedesco.

L'interrogatorio di garanzia. Potrebbe svolgersi già nella giornata di domani l'interrogatorio di garanzia in carcere per il senatore Luigi Lusi. L'ex tesoriere comparirà davanti al gup Simonetta D'Alessandro, che il 3 maggio firmò il provvedimento con cui chiedeva l'arresto per il reato di associazione a delinquere finalizzata all'appropriazione indebita.

Le reazioni. "L'arresto di Lusi? "Ho sempre detto che senatori e deputati sono uguali agli altri cittadini". Così il segretario del pd, Pier Luigi Bersani. Tra i primi a commentare, l'ex ministro degli Interni, Roberto Maroni. "E' andata come doveva andare. L'arresto è sempre una brutta cosa ma non c'erano alternative". Enzo Carra, Udc, su Twitter: "Il Senato ha votato contro il suo Schettino. Un uomo solo muoia perchè tutti gli altri vivano". Per Felice Belisario, Idv, "il Pdl ha fatto come Ponzio Pilato: se ne è lavato le mani con un comportamento molto grave. Gli italiani sapranno valutare". Gasparri, Popolo Delle Libertà: "L'atteggiamento di voto del Pdl è stato dettato anche dalla volontà di evitare che si cancellasse lo sfondo di corresponsabilità che c'è sulla vicenda".

In latino è meglio. - Rita Pani



Così, Squinzi dice che la legge sul lavoro è una boiata, ma va fatta. In quel che resta della destra ci si domanda come sia possibile, votare una legge che è una boiata. Ovviamente avendo la memoria labile si son scordati di quando l’allora ministro calderoli (sì, era ministro) disse che la legge elettorale era una porcata, ma la avevano fatta a posta.

Poi che male c’è? Siamo in Italia, rispettosi degli usi, dei costumi, delle tradizioni, e della cultura che ci ha sempre contraddistinto in questo vecchissimo continente. Quando una legge nasce storta, basta affibbiargli un nome latino, che la renda degna di tanta vetusta civiltà. Il latinismo, ormai, ha un suono quasi esotico. In fondo abbiamo votato col mattarellum – che non voleva dire un cazzo, ma rendeva l’idea della legnata – poi abbiamo trasformato la legge in Porcellum, e non ho mai visto nessun ministro, nessun politico e nessun giornalista, vergognarsi o non riuscire a pronunciare tanta bestialità.

L’Italia è stata capace anche di latinizzare il malaffare, promulgando leggi “ad personam” o normative “pro domo sua”. Senza imbarazzi, senza alcun rossore in volto, ci insegnavano che era normale, e che se era in latino, la cosa doveva essere serissima.

Ora tocca alla legge boiata in materia di lavoro, e io so già che a breve tutti i giornalisti parlamentaristi rinomineranno la cagata con un più consono “legge ad minchiam”. Poi verranno i dibattiti televisivi – per fortuna per poco dato che l’estate incalza - e le dotte disquisizioni sulla sintomatologia di un paese che sembra malato, invece è morto, piazzandoci qua e là un latinismo che fa sempre fine ed erudito chi lo usa.

D’altronde son giorni che la fornero, con la sua voce querula da vergine lacrimante, continua a battere su un punto fondamentale della questione lavoro: “Non è corretto parlare di esodati. Bisogna chiamarli con proprio nome, cioè salvaguardati.” E converrete con me, che almeno questa volta non le si può dare torto. Di fronte a cotanta rigida fermezza nella scelta del vocabolo più consono da usare, quale importanza potrebbe assumere il fatto che ad oggi, nell’Italia post latina, culla della civiltà, nell’era dell’abbondanza internettiana, non si sappia davvero quanti siano gli esodati, salvaguardati e sodomizzati?

Quo usque tandem …

Rita Pani (Ad polide)


Trattativa: le rassicurazioni del Quirinale a Mancino, ecco le telefonate. - Marco Lillo

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"Adesso parlo con il Presidente e lui chiama Grasso", così Loris D'Ambrosio rassicurava Mancino sull'intervento di Napolitano. L'avocazione (il passaggio di inchiesta dal pm al suo superiore) compare su un verbale del1 9 aprile 2012 della Procura generale della Cassazione.

Avocazione. La parola che configura giuridicamente l’incubo di ogni pm, cioé lo scippo di un’inchiesta al titolare da parte del suo superiore, compare su un verbale del1 9 aprile 2012 della Procura generale della Cassazione e riguarda l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Quel documento, composto di tre pagine, dimostra che le manovre del Quirinale per mettere sotto tutela i pm Antonio IngroiaAntonino Di MatteoLia Sava e Francesco Del Bene nel loro duro lavoro sulla trattativa Stato-mafia del 1992-93 non erano solo millanterie di un consigliere giuridico del capo dello stato, come Loris D’Ambrosio, o vagheggiamenti di un politico in pensione, come Nicola Mancino. Il documento del 19 aprile è il verbale della riunione che si è tenuta quel giorno nel palazzo di piazza Cavour. Alla riunione partecipano quattro persone, oltre al procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani, e al procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, ci sono i due segretari generali, Antonio Mura e Carmelo Sgroi. Il passaggio chiave del verbale che pubblichiamo è: “Il Procuratore nazionale (il capo della Dna Piero Grassondr) evidenzia la diversità dei vari filoni d’indagine (su stragi a Palermo e Firenze e sulla trattativa a Palermo, ndr) e la loro complessità (accentuata anche dalla contemporanea pendenza di processi in fase dibattimentale).
Precisa (sempre Grasso, ndr) “di non avere registrato violazioni del protocollo del 28 aprile 2011, tali da poter fondare un intervento di avocazione a norma dell’art. 371-bis cpp”. Piero Grasso insomma dice al procuratore generale Ciani, suo superiore,che dopo avere fatto una prima riunione con le tre procure su questo tema il 28 aprile 2011, nella quale aveva fissato dei paletti, non ha nessuna intenzione di avocare l’indagine sulla trattativa, togliendone il coordinamento alla Procura di Palermo. L’unica cosa che Grasso si impegna a fare è una relazione: “Il Procuratore nazionale antimafia rimetterà al Procuratore generale un’informativa scritta”. La riunione verbalizzata è il frutto delle insistenti telefonate dell’ex presidente del Senato al consigliere giuridico del Capo dello Stato Loris D’Ambrosio e del lavorio di quest’ultimo su Giorgio Napolitano. Il presidente però, stando a quanto dice D’Ambrosio al telefono, condivide integralmente la sua impostazione gradita a Mancino e segue passo passo il tentativo di intervenire – tramite il Pg della Cassazione e il procuratore nazionale Piero Grasso – sulla Procura di Palermo, proprio come voleva Mancino. Per capire il clima è utile riportare la telefonata del 12 marzo tra Loris D’Ambrosio e Nicola MancinoD’Ambrosio afferma che il presidente si interessa personalmente della questione al punto che parlerà con Grasso personalmente . Alle ore 18 e 49 Mancino (M) chiama D’Ambrosio (D).
D: eccomi presidente… io ho parlato con il presidente e ho parlato anche con Grasso M: si
D: Ma noi non vediamo molti spazi purtroppo, perché no… ma adesso probabilmente il presidente parlerà con Grasso nuovamente… eh… vediamo un attimo anche di vedere con Esposito… qualche cosa… ma non…. la vediamo difficile insomma la cosa ecco
M: oh… ma visto che Grasso coordina Caltanissetta, non può coordinare tutte e due le procure?
D: ma io glie l’ho detto pure oggi a GrassoGrasso mi ha risposto va bene. Ma io in realtà, il consiglio superiore mi ha fatto una normativa, però non mi serve niente. Questa è il… in realtà è lui che non vuole fare…
M: eh… ho capito
D: è chiaro?
M: e io non lo so dove vogliono andare a finire… 20 anni, 25 anni, 3… non lo so insomma
D: per adesso, dunque, mi ha detto il presidente di parlare con Grasso di vederlo eh… e vediamo un po’
M: eh, perché io vedo che per Macaluso (Emanuele, direttore del Riformista, molto vicino a Napolitano, ndr) batte sulla tesi dell’unicità dell’indagine
D: si, si, ma questo gliel’ho detto al Presidente… l’ho visto
M: eh, perché non è che anche sul 41 bis indaga Caltanissetta, che fa? Caltanissetta va in una direzione e quelli possono andare in un’altra direzione? Ma non lo so se c’è serietà… poi da questo punto di vista, ecco…
D: ma, io riesco, guardi, io adesso ripeto, dopo aver parlato col presidente riparlo anche con Grasso e vediamo un po’… lo vedrò nei prossimi giorni, vediamo un po’. Però, lui… lui proprio oggi dopo parlandogli, mi ha detto: ma sai lo so non posso intervenire… capito, quindi mi sembra orientato a non intervenire. Tant’è che il presidente parlava di… come la procura nazionale sta dentro la procura generale, di vedere un secondo con Esposito (procuratore generale della Cassazione uscente ndr).
D: Certo. Ma io comunque riparlerò con Grasso perché il presidente mi ha detto di risentirlo. Però io non lo so… francamente… lui è ancora orientato a non fare niente questa è la verità
M: No perché poi la mia preoccupazione e che… ritenere che dal confronto con Martelli… Martelli ha ragione e io ho torto e mi carico implicazione sul piano, diciamo, sul piano processuale
D: ecco, io insomma, noi, ecco, parlando col presidente se Grasso non fa qualcosa, la vediamo proprio difficile qualunque cosa. Adesso lo possiamo, lo possiamo rivedere magari lo vede il presidente un giorno di questi, più di questo non… (….)
D: qui il problema che si pone è il contrasto di posizione oggi ribadito pure da Martelli… e non so se mi sono spiegato, per cui diventa tutto cioè… la posizione di Martelli…. tant’è che il presidente ha detto: ma lei ha parlato con Martelli… eh… indipendentemente dal processo diciamo, così…
M: ma io non è che posso parlare io con Martelli… che fa
D: no no… dico no… io ho detto guardi non credo…ho detto signor Presidente, comunque non lo so. A me aveva detto che aveva parlato con Amato (presidente del consiglio all’epoca dei fatti,Ndr) giusto…e anche con Scalfaro… (….)
Grasso al Fatto precisa: “Ho incontrato il Presidente Napolitano solo in occasioni ufficiali, l’ultima volta il 23 maggio a Palermo e non mi ha mai parlato di Mancino. Come ho già detto me ne ha parlato D’Ambrosio e io ho sempre risposto sul piano giuridico spiegando che ho poteri di avocazione delle indagini ma nel caso in questione non sussistevano i requisiti perché il coordinamento tra Procure si era svolto secondo regole”. Quanto al verbale della riunione del 19 aprile, alla domanda del Fatto se fosse stato lui a parlare di avocazione o se ci fosse stata una richiesta del pg Ciani in tal senso, Grasso replica: “Nessuna richiesta palese. Mi chiesero come esercitavo i poteri di coordinamento. Mi sono limitato a ribadire che non vi erano i requisiti per un’avocazione e che il coordinamento si era svolto secondo le regole”.
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Tombe di famiglia, ma non per le coppie di fatto. Idv: “Gli affetti non si discriminano”. - Antonella Beccaria




La polemica è scoppiata dopo che il nuovo bando per l'assegnazione dei loculi a Castel San Pietro Terme accetta solo le persone legate da matrimonio o con parentela di secondo grado. Il consigliere Franco Grillini: "E' una questione politica". Ma il sindaco Brunori respinge le critiche: "L'articolo 41 non esclude il caso citato".

Sepolti l’uno accanto all’altro? È possibile, ma solo se sposati o se parenti fino al secondo grado. Nulla da fare invece per le coppie di fatto. A riportare d’attualità il dibattito è quello che accade a Castel San Pietro Terme, centro di quasi 21 mila anime ancora viventi in provincia di Bologna. Qui poche settimane fa è stato pubblicato pubblicato un bando per le “concessioni di gruppi familiari nel cimitero comunale del capoluogo”.
La pratica è stata affidata alla Solaris, la società che dal 2008 ha in carico la gestione dei cimiteri comunali, e per gli abitanti della cittadina emiliana c’è tempo fino al 16 luglio per richiedere uno dei dieci “gruppi familiari” raggruppati nella batteria 23 del locale camposanto. In altre parole, si tratta di 2 loculi a gruppo che, per 15 mila euro Iva compresa da versare alla sottoscrizione del contratto, sono accessoriati anche di lapide.
La particolarità della vicenda sta nei criteri di assegnazione. Criteri che, definiti nel burocratese del bando, parlano di “persone congiunte con un residente con rapporto di coniugo o parentela entro il secondo grado”. In termini più chiari, a farsi inumare vicine possono essere solo persone sposate con rito civile o religioso o nelle cui vene scorre lo stesso sangue. Escluse invece le coppie di fatto ed esclusi più in generale tutti i conviventi legati solo da vincoli affettivi privi di effetto di legge.
Le modifiche al regolamento? Grillini (Arcigay): “Questione politica”. Per motivare il requisito di parentela, a Castel San Pietro Terme si richiama il regolamento di polizia mortuaria, che all’articolo 41 parla di “loculi denominati ‘gruppi familiari’”. Al suo interno viene riportata la frase che si trova anche nel bando e che prevede un’unica eccezione: la tumulazione di cassette o urne cinerarie solo per “giustificati motivi” da sistemare eventualmente anche in un unico tumulo, se lo spazio lo consente. Tra i casi particolari niente invece a proposito dei vincoli extra familiari.
Uno dei primi a reagire è stato il segretario cittadino dell’Idv, Antonio Lannutti, che ha detto di condividere la parte del bando che dà priorità ai residenti. Ma non gli sta bene il resto: “Gli affetti non dovrebbero mai essere discriminati”. Concorda con lui – e chiede che il regolamento di Castel San Pietro Terme venga modificato – Franco Grillini, presidente onorario dell’Arcigay, oltre che deputato e consigliere regionale per l’Emilia Romagna.
Annunciando in quest’ultima veste un question time apposito, aggiunge che “siamo alla follia. Perché a persone che hanno vissuto insieme non garantire la sepoltura vicini? Questa è una questione puramente politica che in altri Comuni italiani è stata risolta e anzi, a questo proposito, sembra essere più garantito un diritto post mortem mentre quello in vita è ancora negato”. Inoltre “l’episodio in sé può essere definito come ‘minore’, tuttavia è significativo di un modo di vedere del tutto ideologico e fuori da ciò che è la vita reale delle persone”.
Il sindaco di Castel San Pietro Terme, Sara Brunori, è intervenuta per respingere le critiche. A proposito dell’articolo 41 del regolamento, che risale al 2004, dice che “non esclude la possibilità del concessionario di essere sepolto insieme al proprio convivente”. E fa riferimento a un altro passaggio in cui si dice che “la concessione è nominativa, le domande dovranno specificare i nominativi di tutti gli aventi diritto alla sepoltura nel blocco richiesto e avranno diritto alla sepoltura solo le persone indicate nella concessione”. Formula di cui sembra riconoscersi la poca chiarezza. E in merito il sindaco aggiunge che la formulazione dell’articolo dovrà essere rivista per evitare le “interpretazioni strumentali”. Così facendo, dunque, si cercherà di approcciare un “tema delicato che va affrontato tenendo conto delle molteplici sensibilità presenti nella nostra comunità”.
Coppie di fatto in vita e in morte: dove accade in Italia. Casi diversi ne esistono e dovrebbe capitare – ma non sempre succede – laddove ci si è dotati registri delle unioni civili. “Può accadere che il registro esista, ma che la possibilità di tumulazione per coppie di fatto non sia contemplata”, prosegue Grillini. “Il problema è che i registri talvolta si limitano a essere una raccolta di principi con scarsi effetti pratici. E invece proprio con materie come quelle mortuarie, ma anche con questioni legate alla sanità, devono essere riempiti”.
Andando a vedere alcuni comuni in questo è possibile, uno dei casi di concessione di loculi familiari anche alle coppie di fatto risale al 2007 e si è concretizzato nel lecchese, a Cassago Brianza, dove l’allora giunta di centrosinistra ha introdotto la modifica al regolamento cimiteriale mentre infuriava il dibattito sui Dico (diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi), mai riconosciuti dalla legge negli anni a seguire.
E poi è accaduto anche a Rimini, che ha modificato il suo regolamento di polizia mortuaria nel 2008 introducendo, laddove si parla di “diritto d’uso delle sepolture” (articolo 53), il concetto di nucleo familiare anagrafico. Un concetto che si estende a “vincoli affettivi coabitanti e aventi dimora abituale nello stesso comune”, secondo la definizione che ne dà Ergo, l’Azienda per il diritto agli studi superiori dell’Emilia Romagna.
Lo stesso è stato proposto due anni più tardi in Sardegna, ad Alghero, dove il provvedimento è dato discusso come “ovvio riconoscimento a chi ha deciso di condividere una vita insieme”. Parola del consigliere Valdo Dinolfo, schieramento di centrodestra. Nell’aprile scorso la stessa scelta è stata inoltre effettuata a Golnate Olona, comune della provincia di Varese guidato anche in questo caso da un sindaco di centrodestra, Barbara Bison.
La quale, convivente more uxorio con il suo compagno e madre di un bambino concepito fuori dal matrimonio, aveva dichiarato: “Non vedo per quale ragione una prerogativa di chi è sposato non possa essere estesa a chi si vuole bene, ma non ha contratto matrimonio”. Così, aggiungendo al regolamento comunale solo la parola “convivente”, il diritto è stato esteso sia agli eterosessuali che agli omosessuali.

mercoledì 20 giugno 2012

Il neo-assessore Vecchio "Un tunnel al posto del Ponte"


Il neo-assessore Vecchio "Un tunnel al posto del Ponte"


Il responsabile delle Infrastrutture ipotizza una galleria galleggiante ancorata al fondo del mare. E attacca Passera: "Non si fa nulla di concreto per velocizzare i collegamenti".


Un tunnel sottomarino al posto del ponte sullo Stretto. E' l'idea lanciata da Andrea Vecchio, neo-assessore regionale alle Infrastrutture, che polemizza con il ministro dello Sviluppo economico. "Che Corrado Passera ritenga il ponte sullo Stretto un'opera non prioritaria - dice Vecchio - può anche starci bene. Non può essere, invece, assolutamente accettato il fatto che ancora non si faccia nulla di concreto per velocizzare e migliorare il collegamento tra la Sicilia e il resto d'Italia, non prendendo nemmeno in considerazione soluzioni semplici, efficaci e a basso costo. Le stesse che sono state adottate in tantissime altre parti del mondo".

Vecchio ha qualche idea concreta: "Per quel che riguarda il collegamento ferroviario, basterebbe usare navi veloci che abbiano tre o quattro ingressi, in modo da abbattere sensibilmente i tempi di stivaggio dei vagoni e, naturalmente, quelli relativi al loro sbarco. Una soluzione quasi elementare che nessuno, a cominciare da Trenitalia, si preoccupa di adottare".

Vecchio indica anche la strada da seguire per l'attraversamento su gomma. "Si potrebbe costruire - dice - un tunnel galleggiante ancorato al fondo. Nel nostro Paese abbiamo il know how per realizzare una struttura del genere, in tempi ragionevolmente contenuti e a un costo sicuramente sostenibile".