venerdì 21 settembre 2018

"Il governo Renzi promise a Ibm i dati sanitari di tutti gli italiani": ecco i contenuti dell'accordo segreto con la multinazionale. - Antonella Loi

Renzi al Watson Health di Boston firma l'accordo
Renzi al Watson Health di Boston firma l'accordo con Ibm

16 febbraio 2017

La multinazionale Usa in cambio investirebbe 150 milioni di dollari e 400 posti di lavoro nelle aree ex Expo. Tutti i dubbi dell'operazione.


"Siamo orgogliosi del nostro grande passato ma l’unico modo per salvarlo è creare una visione del futuro", proclamava Matteo Renzi nel corso del suo viaggio statunitense del marzo scorso. Quello che secondo l'ex premier era un "grande messaggio" da parte di Ibm consisteva nella promessa di insediare un centro di elaborazione dati europeo in campo sanitario, nelle disgraziate aree di Rho (Milano) che nel 2015 ospitarono Expo. Proprio lì è in programma la realizzazione dello Human Technopole, affidato all’Istituto italiano di tecnologia e ad altri centri d’eccellenza italiani. A latere potrebbe sorgere un progetto ambizioso che comprende - almeno nelle intenzioni - un investimento di 150 milioni di dollari e "l'assunzione" di 400 giovani. Ma, come spesso accade, le cose sono un po' più complesse di come appaiono. 

L'accordo "confidenziale" con Ibm

Osservando un po' meglio i termini dell'accordo sottoscritto a Boston da Renzi e Watson Healt - un sistema di "cognitive computing" fondato da Ibm -, si scopre infatti che la verità è ben più complessa. Secondo quanto scrive Il fatto quotidiano dietro l'incrocio di autografi adeguatamente documentato dai media ci sarebbe un "accordo confidenziale" - o sarebbe meglio dire "segreto"? -, per il quale lo Stato italiano si impegna a cedere i dati sanitari dell'intera Lombardia, la regione più ricca d'Italia e, con i suoi quasi 10 milioni di abitanti, la più popolosa. Di cosa si tratta?
I dati sono contenuti nella cosiddetta Protected Health Information (Informazioni personali sanitarie protette) che abbraccia tutto quanto concerne le vicende sanitarie del cittadino: dall'assistenza sanitaria alle "cartelle cliniche personali" fino alle "informazioni fiscali nominative o anonimizzate". L'accordo segreto prevede la cessione alla multinazionale americana "i diritti all'uso per la memorizzazione ed elaborazoine di tali dati a fini progettuali, nonché per l'utilizzo dei dati anonimizzati anche per finalità ulteriori a quelle progettuali, nonché per l'utilizzo dei dati anonimizzati anche per finalità ulteriori rispetto a quelle progettuali". Tutti elementi saldamente nelle mani delle amministrazioni pubbliche che li hanno raccolti. 

Materia per il Garante.

La domanda che rimane ancora inevasa (il Garante della privacy contattato da tiscali.it per ora non risponde ndr) è se il governo sia titolato a cedere attraverso un'accordo con una società privata il database dei pazienti italiani. E se la stessa Regione Lombardia, competente per materia ma che ancora non si è espressa, possa privarsi senza ostacoli di questo patrimonio. Tanto più che passaggio regionale, nel disegno renziano di allora, immaginiamo, sarebbe potuto essere più semplice, vista la riforma costituzionale "accentratrice" voluta dall'ex premier ma bocciata al referendum. Il tutto per di più messo nero su bianco nella massima segretezza, a insaputa dei diretti interessati.

I dati di tutti gli italiani nel mirino di Ibm.

Nel mirino di Ibm, secondo quanto risulta, non ci sarebbero solo i lombardi ma anche gli altri abitanti della Penisola Isole comprese: i "segreti" di 61 milioni di individui. Nel documento in possesso del giornale di Travaglio è scritto che l'obiettivo sarebbe proprio questo. Ibm, infatti, "ritiene cruciale avere accesso a dati dei pazienti e farmacologici, ai dati del registro tumori, ai dati genomici, ai dati delle cure, dati regionali o Agenas, dati Aifa sui farmaci, sugli studi clinici, dati di iscrizione e demografici, diagnosi mediche storiche, rimborsi e costi di utilizzo, condizioni e procedure mediche, prescrizioni ambulatoriali, trattamenti farmacologici con relativi costi, visite di pronto soccorso schede di dimissioni ospedaliere (sdo), informazioni sugli appuntamenti, orari e presenze e altri dati sanitari". Tutto lo scibile sanitario insomma.
Una mole incredibile di informazioni che Ibm potrà elaborare e trattare "in forma anonima e identificata per specifici ambiti progettuali" ma anche per finalità che esulano dalle attività primarie. In altre parole tutto ciò che verrà prodotto potrà essere sottoposto a un "utilizzo secondario". Quindi anche venduto ad altre società e, niente lo vieta, a compagnie di assicurazione come noto piuttosto fameliche di ogni informazione personale legata alla salute. 

Il "bluff" dei posti di lavoro.

Ancora una volta insomma lo Stato cede parti del suo patrimonio più intimo e prezioso, com'è quello derivante dalla salute dei suoi cittadini, a una multinazionale privata in cambio della promessa di una manciata di posti di lavoro. Attività che, viene logico pensare, lo Stato potrebbe svolgere da sé attraverso i suoi centri di ricerca. Tanto più che già all'epoca della stipula dell'accordo fra Renzi e l'Ibm, all'esultanza dell'ex premier Renzi per l'accordo portato a casa, i sindacati saltarono sul piede di guerra perché il colosso statunitense stava mandando a casa i suoi dipendenti italiani, francesi e tedeschi. Proprio nei giorni della firma, la Fiom in una nota scriveva che "Ibm in Italia sta licenziando 300 lavoratori, rifiutando di confrontarsi – in sede ministeriale – con il sindacato sul piano industriale e occupazionale, nonostante le continue ristrutturazioni che in questi anni hanno colpito il nostro paese". Era solo un anno fa.
Ecco il “Memorandum of understanding” firmato il il 31 marzo 2017:
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Ok a maggioranza da cda Rai a Foa presidente.

Ora la scelta va confermata dalla commissione di vigilanza a maggioranza di due terzi.
Il cda della Rai ha dato l'ok a maggioranza alla nomina di Marcello Foa a presidente della tv pubblica. A quanto si apprende, Foa ha ottenuto quattro voti favorevoli, quelli dell'ad Fabrizio Salini e dei consiglieri Beatrice Coletti (eletta in quota M5S), Igor De Biasio (Lega), Gianpaolo Rossi (Fdi). Rita Borioni (eletta in quota Pd) avrebbe votato contro, mentre Riccardo Laganà, il consigliere eletto dai dipendenti della tv pubblica, si sarebbe astenuto. Lo stesso Foa non avrebbe partecipato alla votazione. Si è replicato così lo stesso schema della votazione avvenuta il 31 luglio scorso. Allora la nomina di Foa non venne però ratificata dalla commissione di Vigilanza, dove il 1 agosto non ottenne la necessaria maggioranza di due terzi (27 voti su 40 componenti).
A breve sul tavolo del consiglio arriveranno anche le prime nomine della nuova gestione. In pole position per il Tg1 c'è sempre Gennaro Sangiuliano, sostenuto dal centrodestra, a meno che la spunti Alberto Matano, gradito a M5S, che potrebbe essere dirottato al Tg2. Al Tg3 si attende la conferma di Luca Mazzà (oltre che del direttore di rete Stefano Coletta), mentre alla radiofonia si parla di Paolo Corsini. Per la TGR sono in pole, sponsorizzati dalla Lega, Alessandro Casarin o Luciano Ghelfi, in lizza anche per il Tg2 qualora Matano andasse al Tg1. Per lo sport resta favorito Jacopo Volpi.
La consigliera Rita Borioni, che ha votato contro la nomina di Foa nella riunione, rende noto di aver presentato "all'inizio della seduta odierna del cda, formale diffida a procedere all'elezione di Marcello Foa, visti i chiarissimi profili di illegittimità della stessa. Nonostante ciò il cda ha deciso di procedere ugualmente. A questo punto mi riservo qualsiasi azione a tutela dell'azienda stessa. La Rai non dovrebbe forzare regole e procedure consolidate per sottostare ai diktat di alcune fazioni politiche". 
"Io non temo niente, penso che sia una persona che insieme ad altre potrà fare tanto per il servizio pubblico". Così il vicepremier Matteo Salvini ha risposto a chi gli chiedeva se temesse un nuovo no della commissione di Vigilanza sulla nomina di Marcello Foa a presidente della Rai. "Sono contento" della scelta del cda, ha detto, "e non vedo l'ora che tutti lavorino al 100%. Presentiamo persone di spessore, non amici degli amici. La Rai deve tornare a correre".

giovedì 20 settembre 2018

Donatori in rivolta contro l’Unicef. “Chiarite sui Renzi o basta soldi”. - Giacomo Amadori

L'immagine può contenere: 3 persone, persone che sorridono
14/08/2018 – Dopo gli sviluppi delle indagini sul cognato dell’ex premier e sui suoi fratelli, i sostenitori inondano l’ente di messaggi inferociti: «Vogliamo subito spiegazioni». La denuncia spetta alla casa madre di New York . Il caso dei fondi delle organizzazioni umanitarie finiti, secondo la Procura di Firenze, in modo indebito sui conti di Alessandro Conticini e in parte riciclati anche dal fratello Andrea Conticini, cognato di Matteo Renzi, sta diventando un affaire internazionale sulla direttrice Firenze, Roma, Ginevra, New York. E i donatori si stanno rivoltando sui social.
Stiamo parlando dei 10milioni di dollari di donazioni per i bambini dell’Africa che dal 2008 al 2016 l’Unicef, la fondazione Pulitzer (attraverso Operation Usa) e altre organizzazioni misero a disposizione di tre società di Alessandro Conticini (in particolare della Play therapy Africa limited).
Nel luglio del 2016 alcuni giornali rivelarono l’iscrizione sul registro degli indagati per appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio dei fratelli Alessandro, Luca (delegato insieme con il padre a operare sui conti) e Andrea Conticini.
La notizia uscì in modo semi clandestino e i principali quotidiani nemmeno la ripresero. Il motivo è presto detto: Matteo Renzi era presidente del Consiglio. Nel decreto di perquisizione non era specificata l’entità del presunto maltolto e i media parlarono genericamente di «qualche centinaio di migliaia di euro», Le case dei Conticini vennero perquisite sia a Rignano sull’Arno, dove vive Andrea con Matilde Renzi, sia a Castenaso, dove risiedevano gli altri due fratelli.
L’inchiesta venne innescata dalla Cassa di risparmio di Rimini che aveva segnalato operazioni sospette alla Banca d’Italia (gli altri due istituti utilizzati per le presunte operazioni illecite erano alle Seychelles e a Capo Verde). I magistrati cercarono subito di mettersi in contatto con le organizzazioni umanitarie e, per esempio, i referenti italiani dell’Unicef informarono la Procura che, essendo il fondo per l’infanzia un’agenzia dell’Onu, occorreva inoltrare una richiesta ufficiale attraverso la rappresentanza italiana delle Nazioni unite.
C’è stato il contatto e l’Unicef ha collaborato con gli inquirenti?
La notizia è ancora coperta dal segreto, ma due anni dopo i pm Luca Turco e Giuseppina Mione hanno spedito un invito a presentarsi ai tre fratelli per interrogarli. indicando questa volta cifre molto precise: gli indagati si sarebbero appropriati illecitamente di 6,6milioni di dollari di offerte destinandoli, secondo l’accusa, a investimenti immobiliari e societari, compreso l’acquisto di quote della Eventi 6 della famiglia Renzi (per questo il cognato Andrea è sotto inchiesta per riciclaggio). Solo 2,8 milioni sarebbero stati devoluti per scopi umanitari.
Un altro indizio che lascia immaginare che un abboccamento ci sia stato è rappresentato dal fatto che nei giorni scorsi gli inquirenti hanno inviato una rogatoria ufficiale per chiedere all’Unicef e alla Fondazione Pulitzer di presentare denuncia: infatti dall’aprile 2018 l’appropriazione indebita può essere perseguita solo su querela di parte.
Paolo Rozera, direttore generale di Unicef Italia, spiega: «Il nostro ufficio legale internazionale si sta relazionando con la magistratura italiana e ha comunque tre mesi di tempo per presentare denuncia e rispondere ai magistrati».
Ma perché dopo due anni il fondo per l’infanzia dell’Onu non ha ancora ritenuto di comunicare ai donatori la propria posizione ufficiale su questo caso?
«Io ho fatto delle richieste all’ufficio di Ginevra che le ha girate a quello di New York».
Facciamo notare a Rozera che la presa di posizione dell’Unicel è fondamentale, altrimenti potrebbe sembrare che l’agenzia sia complice o che sia tutto in regola. Il dg ha ben chiaro il problema: «Sui social tutti vogliono avere risposte entro la giornata, ma ci sono delle procedure da rispettare. La gente scrive: “Voi dell’Unicef dovete dare spiegazioni se no noi non vi faremo più le donazioni”. Ma noi non c’entriamo niente e per questo abbiamo interesse a mettere subito dei paletti. Spero che presto arriverà una posizione ufficiale dell’Unicef New York. Posso assicurarle che da noi i controlli sono serrati, abbiamo bisogno della fiducia dei donatori e non ci possiamo permettere danni d’immagine».
Quindi vi costituirete parte civile contro i Conticini?
«Se la magistratura ci invita a fare querela evidentemente è convinta di avere qualcosa in mano e, se le accuse saranno accertate, l’Unicef agirà per riavere indietro i propri soldi. Sa quanti vaccini si possono comprare con tutto quel denaro?».
L’avvocato dei tre fratelli, Federico Bagattini, annuncia: «Entro settembre-ottobre noi presenteremo una memoria e ci faremo interrogare per dare tutte le spiegazioni del caso. Ci eravamo offerti di farlo a novembre-dicembre ma ci siamo sentiti presi in giro. Addirittura uno dei miei assistiti comprò un costoso biglietto aereo e all’ultimo il pubblico ministero ha cambiato programma e ha fatto saltare tutto. Probabilmente non gli andava bene sentirli in quel momento. Però i tempi della difesa li detta la difesa».
Dunque, dopo due anni di indagini, gli inquirenti non hanno ancora una versione dei Conticini in mano?
«Sostanzialmente no», ammette Bagattini. Il quale, prima di chiudere la telefonata, lancia un avvertimento: «State attenti a non esagerare con i titoli, perché si rischia la querela. Oggi un quotidiano ha scritto: “Sei milioni di euro nei conti dei Renzi”. È ipotizzabile la diffamazione». E Matteo Renzi, su Facebook, ha rincarato la dose: «Un’indagine aperta da ben DUE (maiuscolo, ndr) anni su un fratello del marito di una mia sorella per presunte irregolarità (presunte), nel suo lavoro di dirigente della cooperazione. Prove? Dopo due anni di indagini non risultano, le vedremo al processo. Ma tanto basta solo evocare la vicenda per andare sui giornali oggi – esattamente come due anni fa – con un’altra condanna: quella dei titoli ad effetto. E con i social che sputano sentenze. Vedremo che cosa diranno le sentenze. Anche quelle per risarcimento danni perché essere buoni va bene, ma il mutuo di casa lo pagheremo con i risarcimenti». Il riferimento è al milione di euro che ha preso in prestito per il villone di via Tacca a Firenze. Pare di capire che l’ex premier sia alla ricerca di nuove entrate. 
LaVerità 11 agosto 2018

Giuseppe Conte: "La pace fiscale si farà: è imprescindibile. E non è un condono". -



"La pace fiscale si farà: è imprescindibile", "non è un condono", "così come, con gradualità, attueremo flat tax, reddito di cittadinanza e riforma della legge Fornero". Lo dice in una intervista a tutto campo in apertura di prima pagina a La Verità il premier Giuseppe Conte, che sul crollo di Genova fa sapere che si chiederà ad Autostrade di anticipare i soldi, "e poi la ricostruzione avverrà a prescindere dal loro intervento". E sulle tensioni nella maggioranza, in vista della manovra, evidenzia di "non aver mai visto vacillare" il ministro Tria.
Alla domanda se il reddito di cittadinanza comincerà dalle pensioni, il premier risponde: "Al momento non mi sento di fare anticipazioni. Mi limito a osservare che l'impatto di questa riforma sarà subito significativo", "perché il reddito di cittadinanza funzioni davvero - aggiunge - bisogna prima riformare i centri per l'impiego". Sulla pace fiscale spiega: "Noi proponiamo un meccanismo totalmente diverso dove l'azzeramento delle pendenze è funzionale per partire con un nuovo rapporto con il fisco".
Conte parla anche del ministro Tria: "Non ha minacciato le dimissioni. Se lo avesse fatto lo avrei saputo, e non mi risulta". Sul rapporto con i vicepremier dice: "Sono molto presenti perchè è una condizione che ho posto io". "Io penso - spiega - che Lega e Cinque Stelle offrano una rappresentazione e un percorso istituzionale alla rabbia e all'insoddisfazione popolare. Io stesso ho accettato l'incarico perchè sono convinto che serva una soluzione alla frattura fra elite e popolo. Perciò dico che sono orgogliosamente populista".
"Questo governo - sottolinea - ha condiviso in modo corale la strategia sull'immigrazione. E ci possiamo permettere di dire no all'accoglienza indiscriminata perchè nel nostro progetto c'è attenzione alla tutela dei diritti fondamentali". "Non siamo razzisti. Dobbiamo sottrarci a questo ricatto che nasce da una soggezione culturale". Sul tema, Conte sferza il presidente francese Macron: "Diciamo che la sua posizione non è in linea con le conclusioni da lui stesso approvate al Consiglio europeo".
Sul crollo del ponte di Genova Conte conferma che la procedura per la revoca delle concessioni autostradali è avviata, "non si interrompe con il prossimo decreto", "sarebbe stato gravemente irresponsabile, politicamente e giuridicamente, se non avessimo avviato la procedura di contestazione".

Andrea Scanzi: “Orfini la dice giusta, peccato sia Orfini”. - Andrea Scanzi




Sabato scorso è accaduto un prodigio inaudito: Matteo Orfini è parso dire qualcosa di sensato. Addirittura condivisibile. L’evento, di cui certo si occuperanno i libri di storia, ha stupito milioni di persone in Italia e ancor più nel mondo, perché Orfini è da sempre idolo delle folle e delle masse, che varca con agio i confini nazionali, europei e financo mondiali. A lui il Pianeta Terra sta stretto. Orfini è uomo dalle mille doti. Vive da sempre dentro il partito, ma non si è mai accorto di Mafia Capitale. Amava definirsi “giovane turco”, senza mai esser stato né turco né giovane. Più dalemiano di D’Alema, di cui tuttora scimmiotta la timbrica sabinaguzzantesca e quel gusto astratto per il politichese, ne è da anni uno dei più massimi detrattori, a conferma di un’altra sua cifra distintiva: la coerenza. Una coerenza che gli ha permesso di trasformarsi in turborenziano dopo esser stato fermamente (va be’) antirenziano, garantendosi con ciò lo scranno di presidente del Pd. Un ruolo che Orfini ha interpretato da par suo: fedelissimo a una linea che non c’era e non c’è, il virgulto romano 44enne ha saputo contribuire fattivamente alla distruzione del partito. Tale apocalisse, lenta e inesorabile, lo ha visto in prima linea come fiancheggiatore zelante e privo di guizzi: nelle direzioni rideva alle battute del Tondo di Rignano ridimensionando il dissenso allo stesso, nelle interviste dava la colpa ai 5 Stelle o a Minniti (l’unico nel Pd ad averci cavato qualcosa), nei talkshow induceva tutti alla catalessi. Nei rari ritagli di tempo, Orfini soleva rilassarsi dando consigli su Twitter agli allenatori del Milan (poi tutti esonerati), oppure interpretando lo spot di un noto marchio di patatine, o magari chiedendo a Carlo Verdone la parte di Fabris nel remake di Compagni di scuola.
Dopo un periodo di parziale inabissamento, Orfini è tornato sabato a palesarsi. E lì ha avuto luogo il Prodigio. Ascoltiamo il Verbo del Profeta, giacché egli ci ha parlato: “Cambiare nome non basta, il partito non funziona. Sciogliamolo”. Inaudito: Orfini ha detto il giusto. Certo che cambiare nome non basta. Certo che il partito non funziona. Certo che il Pd va sciolto. E’ vero, si potrebbe ricordare al nostro nuovo Mahatma che a tali considerazioni c’è arrivato un po’ tardi, ma non è il caso di essere puntigliosi: Orfini è nel giusto, que viva Orfini! Mentre stavo sostituendo il poster di Rosario Dawson sadomaso con quello di Orfini in pigiama cremisi, ho però voluto leggere di nuovo l’intervento-prodigio di Orfini. Ho così scoperto che l’intervento integrale era un po’ diverso: “Cambiare nome non basta, il partito non funziona. Sciogliamolo e rifondiamolo”. Tristezza, dolore, afflizione: Orfini non era più il Profeta, ma era già tornato Orfini. In quel finale “e rifondiamolo” c’è l’ennesima prova di non avere ancora capito nulla. Non è che il Pd non funzioni per un maleficio della storia: non funziona perché è composto – perlomeno nella sua dirigenza nazionale – da gente come Orfini. Una volta sciolto, va sì rifondato: Orfini è però l’ultimo a doversene occupare. Lui deve fare altro: il mimo, l’ufologo, il tronista dalla De Filippi. Quello che vuole. Ma il politico proprio no. Un “nuovo Pd” può avere senso solo se dentro non ci saranno più gli Orfini, gli Andrea Romano, le Boschi e compagnia cantante. Se devono essere gli Orfini a rifondare il Pd, evitatevi la fatica ed evitateci il maquillage: state così sulle palle al mondo reale che gli italiani, anche quelli di sinistra, pur di non votarvi sarebbero disposti ad appoggiare chiunque. Persino Salvini.
(Il Fatto Quotidiano, 18 settembre 2018)

mercoledì 19 settembre 2018

Roma, mazzette e case dal costruttore Scarpellini: arrestato sindaco di Ponzano, Enzo De Santis. Indagato anche Verdini. - Giuseppe Scarpa - Maria Elena Vincenzi

Roma, mazzette e case dal costruttore Scarpellini: arrestato sindaco di Ponzano, Enzo De Santis. Indagato anche Verdini
Il sindaco di Ponzano Romano, Enzo De Santis accompagnato dai carabinieri (ansa)

Il primo cittadino del comune alle porte della Capitale eletto con una lista civica di area centrodestra. Perquisite anche le case di Denis Verdini e di Luciano Ciocchetti, ex vicepresidente Regione Lazio. Indagato Mirko Coratti, ex presidente Assemblea capitolina. Tutti avrebbero ricevuto favori, in particolare l'uso gratuito di abitazioni nella Capitale.

Favori, mazzette e la disponibilità di case senza pagare alcun affitto dal costruttore Sergio Scarpellini. I carabinieri del Nucleo investigativo di Roma hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere per corruzione nei confronti di Enzo De Santis, sindaco di Ponzano Romano, comune a nord di Roma, popolarissimo tra i suoi concittadini ed eletto primo cittadino nel 2016 con una lista civica di area centrodestra con il 100 per cento dei voti. Indagine che nasce dalle dichiarazioni rese nelle scorse settimane agli inquirenti dallo stesso Scarpellini.

Oltre all'arresto del sindaco sono state perquisite le case di Denis Verdini sia a Roma che a Firenze, col sospetto che anche l'ex parlamentare di Ala, che risulta indagato, abbia ricevuto finanziamenti illeciti. E viene passata al setaccio anche la casa romana di Luciano Ciocchetti, ex vicepresidente della Regione Lazio con la giunta di centrodestra guidata da Renata Polverini.

Nell'inchiesta risultano indagati anche Mirko Coratti, ex forzista poi Pd, già coinvolto in Mafia Capitale  (ex vice presidente dell'Assemblea capitolina col sindaco Alemanno poi col sindaco Marino) e condannato in secondo grado a 4 anni e sei mesi, e un consigliere comunale di Ponzano. In particolare, Coratti per 8 anni avrebbe usato gratuitamente un appartamento in piazza Cavour, nel quartiere Prati. E avrebbe ottenuto anche un contributo di 10 mila euro alla sua fondazione Rigenera. In cambio, l'ex esponente del Pd  avrebbe più volte favorito il costruttore nei suoi piani immobiliari. I carabinieri, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal pm Barbara Zuin, hanno posto sotto sequestro 287 mila euro. Per Verdini, si parla anche della sede della sua fondazione in via Poli, accanto Fontana di Trevi: l'avrebbe ottenuta da Scarpellini in comodato d'uso dal giugno del 2016 al giugno del 2017. 

Sostanzialmente il finanziamento illecito ai partiti riguarda la locazione gratuita di diverse case che l'anziano costruttore romano, arrestato il 16 dicembre del 2016 e ora libero, avrebbe dato ai politici di vari partiti ma, per quanto riguarda il sindaco di Ponzano finito in manette, case a parte, secondo la procura di Roma dal 2011 al 2016 avrebbe ottenuto da Scarpellini circa 412 mila euro sotto forma di sponsorizzazione di una squadra di calcio della Valle del Tevere e di contributo a una società di sua figlia. Nei mesi scorsi invece il sindaco De Santis era finito al centro di contestazioni dopo il via libera dato dalla sua amministrazione alla realizzaione di un grande impianto biogas.  Dopo la rivolta dei comitati ambientalisti, la richiesta di chiarimenti sul progetto era approdata lo scorso maggio anche alla Città Metropolitana con un’interrogazione del consigliere  Alessio Pascucci.

Tutti avrebbero ricevuto anche altri favori di vario genere da Sergio Scarpellini, l'immobiliarista romano già arrestato dai carabinieri per corruzione il 16 dicembre 2016 assieme all'allora dirigente del Comune di Roma Capitale Raffaele Marra nella giunta Raggi. Il costruttore pagava mazzette e dava case gratis per sbloccare progetti edilizi, per facilitare la vittoria di appalti pubblica. In una recente intervista, Scarpellini si era difeso dicendo: "Per me è un onore dare case gratis ai politici, io aiuto tutta Roma"
 
Il gip del Tribunale di Roma, su richiesta della locale Procura, ha inoltre disposto a carico degli indagati il sequestro di beni per circa 750.000 euro, ritenuti profitto delle tangenti ricevute.


https://roma.repubblica.it/cronaca/2018/09/18/news/corruzione_arrestato_sindaco_di_ponzano_romano-206727849/

Formigoni: in appello la condanna sale a 7 anni e 6 mesi.

Roberto Formigoni


L'ex presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni è stato condannato in secondo grado a 7 anni e 6 mesi di reclusione dalla Corte d'appello di Milano per corruzione nel procedimento legato al crac del San Raffaele e al dissesto finanziario della Fondazione Maugeri di Pavia. Le due strutture ospedaliere lombarde avrebbero ricevuto, favoriti da Formigoni, versamenti non dovuti dalla Regione Lombardia e parte di quei fondi, attraverso alcuni intermediari, sarebbe servita per pagare benefit e utilità all'ex numero uno del Pirellone.

In primo grado 6 anni.
In primo grado, il 22 dicembre 2016, Formigoni era stato condannato a 6 anni di reclusione e la procura generale aveva chiesto in appello di confermare la condanna aumentando la pena a 7 ani e 6 mesi.
Le accuse.
Secondo l’accusa Formigoni avrebbe ottenuto una serie di utilità, tra cui l'uso di yacht, vacanze e cene, per favorire i due enti con delibere di giunta per circa 200 milioni di rimborsi pubblici.
La requisitoria della procura. 
La procura generale nel corso della requisitoria nei mesi scorsi ha chiesto per l'ex governatore della Lombardia “il massimo della pena”, ritenendo i fatti “gravissimi” e non meritevoli di alcuna attenuante. Formigoni è stato anche condannato all'interdizione perpetua dai pubblici uffici (in primo grado l'interdizione era temporanea), al pagamento delle spese processuali e al pagamento delle spese processuali della parte civile Regione Lombardia.
Le altre condanne.
Confermate le condanne anche per i co-imputati Costantino Passerino, ex direttore amministrativo della Maugeri, la cui pena è stata alzata da 7 anni a 7 anni e 6 mesi, con la procura generale che aveva chiesto una condanna a 7 anni e 7 mesi; e per l'imprenditore Claudio Farina, accusato di riciclaggio, a 3 anni e 4 mesi come in primo grado.
La ricostruzione dei fatti.
Secondo i magistrati milanesi nel corso di un decennio, tra il 2001 e il 2011, sono stati versati «70 milioni dalla Fondazione Maugeri e circa 8-9 milioni dal San Raffaele» a fronte di versamenti derivanti da misure della Regione Lombardia come la legge non profit per «oltre 100 milioni». A fare da intermediario, per l'accusa, ci pensava l'imprenditore Pierangelo Daccò, considerato un fedelissimo di Formigoni, che nel corso del processo d'appello ha patteggiato una condanna a 2 anni e 7 mesi di reclusione che, in continuazione con i 9 anni definitivi per il crac del San Raffaele hanno portato ad una totale di 11 anni e 7 mesi. Anche l'ex assessore alla Sanità lombardo Antonio Simone ha patteggiato in appello una condanna a 4 anni e 8 mesi. Per l'accusa, Formigoni avrebbe ricevuto dalla fondazione di Pavia benefit per “6,6 milioni di euro per compiere atti contrari al suo ufficio”, attraverso l'intermediazione di Daccò e Simone e quei soldi sarebbero stati parte dei fondi versati alla Maugeri dalla Regione Lombardia per rimborsi non dovuti. Con la sentenza di oggi i giudici hanno anche confermato le confische nei confronti degli imputati raggiunti da provvedimenti di sequestro e hanno disposto la restituzione alla Fondazione Maugeri di alcune somme sotto sequestro su conti all'estero per oltre 4 milioni di euro.
La Cassazione.
Se la pena di 7 anni e mezzo di reclusione a Roberto Formigoni dovesse essere confermata anche in Cassazione, l'ex Governatore lombardo ed ex senatore potrebbe chiedere di scontarla in detenzione domiciliare e non in carcere, come prevede la legge per le persone che hanno compiuto i 70 anni di età. Formigoni ne ha 71. La corruzione, infatti, non è uno dei reati che impedisce agli ultrasettantenni di richiedere di scontare la pena definitiva, se superiore a 4 anni (altrimenti si può richiedere l'affidamento in prova ai servizi sociali), in “detenzione domiciliare ordinaria”. Tra l'altro, prima che il processo arrivi in Cassazione (30 giorni per le motivazioni e altri 30 giorni per il ricorso scontato della difesa) si dovrebbe prescrivere l'imputazione “minore” che riguarda il capitolo San Raffaele (a fine 2018). Per il capitolo principale “Maugeri”, invece, i termini di prescrizione arriverebbero fino a oltre metà del 2019.
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