martedì 3 marzo 2020

Sulle tracce della prima proteina extraterrestre, in un meteorite. -


Su un vecchio meteorite il primo abbozzo di proteina extraterrestre (fonte: Pixabay)

Si chiama emolitina e risale alle origini del Sistema Solare.

Il primo abbozzo di proteina extraterrestre è stato scoperto in un meteorite caduto sulla Terra 30 anni fa: è una molecola chiamata emolitina che si è probabilmente formata alle origini del Sistema Solare. Se la scoperta venisse confermata, sarebbe la prima volta che su un meteorite viene individuata "quella che pensiamo sia una proteina", scrivono gli autori della ricerca, coordinati dal fisico Malcolm McGeoch, dell'Università americana di Harvard. L'articolo è online sul sito arXiv, che raccoglie le ricerche in corso di approvazione per la pubblicazione su una rivista scientifica.

Ricca di ferro e litio, la molecola è stata individuata nel meteorite Acfer 086, trovato in Algeria nel 1990, analizzato adesso grazie alle nuove tecniche di spettrometria di massa che permettono di trovare le impronte delle molecole sulla base del loro peso. In passato su alcune meteoriti sono stati scoperti mattoni di base delle proteine, come alcuni amminoacidi, o zuccheri semplici componenti di molecole ereditarie come l'Rna, parente stretto del Dna. Sarebbe la prima scoperta di una proteina. Tuttavia perché il risultato sia confermato sono necessarie ulteriori ricerche.

Gli stessi autori dello studio non escludono che possa trattarsi di un generico polimero, ossia una molecola con più gruppi chimici. Dubbioso anche il parere di John Brucato, esobiologo dell'Osservatorio di Arcetri dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), che considera "prematuro parlare di proteina: si tratta, piuttosto, di un oligomero, cioè di una semplice catena di amminoacidi".

L'aspetto su cui gli autori si sbilanciano di più, però, è l'origine extraterrestre della molecola. Hanno infatti analizzato nell'emolitina il rapporto tra l'idrogeno e una sua variante un po' più pesante, il deuterio, per individuarne la data di nascita. I dati indicano che possa essersi formata "nel disco di gas e polveri da cui è nato il Sistema Solare circa 4,6 miliardi di anni fa".

domenica 1 marzo 2020

I buchi neri più grandi universo. Documentario in italiano

La fusione prossima ventura di due buchi neri giganti. - Nola Taylor Reed/Scientific American



Gli astronomi hanno individuato in una galassia lontana un oggetto, soprannominato Spikey, che potrebbe essere costituito da due buchi neri supermassicci prossimi alla fusione. La conferma forse arriverà questa primavera quando, secondo i modelli, Spikey dovrebbe emettere un'improvvisa e intensa vampata di radiazioni X.

https://www.lescienze.it/news/2020/02/27/news/spikey_fusione_buchi_neri_supermassicci-4686232/?fbclid=IwAR1oECJ_KEeRqALHFbGrOCmk0Nz5BD2Ku8UdqUEyvHOOuNlNySkv_HinDTI

Procurato allarme: gli agenti di viaggio querelano cinque testate per i titoli sul Coronavirus.



Procurato allarme. I giornaloni finiscono in tribunale per i titoli sul Coronavirus. Gli agenti di viaggio querelano cinque testate.

Evidentemente non è bastato il frettoloso dietrofront di ieri per salvare i giornali italiani da una denuncia per procurato allarme. Del resto l’incredibile marcia indietro con cui le principali testate hanno rinnegato giorni di allarmismo sfrenato, già denunciata da La Notizia, ha creato danni irreparabili al Paese e in particolare “alle agenzie di viaggio che hanno visto crollare il fatturato del 35% in una settimana”. A dichiararlo è il presidente dell’Associazione italiana agenti di viaggio (Aiav), Fulvio Avataneo, che ha rivelato di aver “dato mandato al nostro legale per agire con denuncia-querela contro cinque testate”, ossia Il GiornaleLiberoLa RepubblicaIl Giorno e Il Messaggero, “ma potevano essere cinquanta”. Questi con titoli sparati in prima pagina e “articoli dai contenuti ben lontani dalla verità, dove si è parlato addirittura di strage, si è condizionata l’opinione pubblica e gli effetti sono stati pesantissimi per il settore turistico ma anche per altri settori” conclude Avataneo deciso a far cessare “questo martellamento senza precedenti”.

Mafia, Gratteri: salto di qualità grazie ai rapporti con il potere.


Risultato immagini per gratteri

“Perché i ladri di polli in Italia sono diventati mafia e altrove sono rimasti ladri di polli?”. Così il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, in seguito all’introduzione del Direttore Mario Caligiuri, ha iniziato la sua lezione al Master in Intelligence dell’Università della Calabria. Una domanda a cui il magistrato ha immediatamente dato una risposta, prima di tutto realizzando un quadro storico del fenomeno mafioso. Ha ricordato lo scioglimento del Comune di Reggio Calabria nel 1869 a causa di brogli elettorali con minacce, vessazioni e metodi mafiosi, così ha ricordato successivamente come la criminalità sfruttò la ricostruzione dopo il terremoto che colpì la regione nel 1908.

Il salto di qualità di boss e picciotti nostrani, ha affermato il Procuratore, avvenne negli anni Settanta, in seguito alla nascita della Santa, “che può essere considerata la più grande invenzione della 'Ndrangheta, uno spartiacque poiché, per esempio, non si discuteva più chi dovesse vincere un appalto ma se dovesse essere costruita un’opera”. Ci fu una vera e propria evoluzione dell’organizzazione mafiosa, che salì di grado e cominciò ad entrare in contatto con il mondo massonico e con il mondo dell’imprenditoria e della politica. Infatti, ha chiarito, "i sequestri di persona erano serviti per comprare ruspe e camion, e per costruire case”, ricordando che "per frenare la rivolta di Reggio capoluogo, il Pacchetto Colombo prevedeva la realizzazione di una serie di opere pubbliche, tra le quali la realizzazione del centro siderurgico a Gioia Tauro e dell'impianto della liquilchimica a Saline Joniche. La 'Ndrangheta si è arricchita realizzando i lavori, maturando la consapevolezza di poter contare di più. Si è quindi adoperata per cambiare le regole del gioco. Infatti, i giovani boss hanno ucciso i vecchi rappresentanti delle 'ndrine, come Antonio Macrì, che aveva un grande peso all'ateneo di Messina, e Domenico Tripodo”.

Una mafia quindi che si arricchisce sempre di più e che attualmente, grazie alle relazioni con il potere è riuscita ad infiltrarsi nell’economia, condizionando così la costruzione di appalti e opere pubbliche, e inoltre indirizzando la politica. Come ha spiegato Gratteri "il problema degli appartenenti alla élite della 'Ndrangheta è come giustificare la ricchezza, tanto che sono tra quelli che pagano con più puntualità tutte le tasse", evidenziando che "le imprese mafiose hanno successo perché sono competitive, aggiudicandosi con alti ribassi i lavori pubblici e privati. In questo quadro, sono fondamentali i rapporti con la politica e la pubblica amministrazione”.

Le relazioni con la politica.
Il Procuratore ha fatto riferimento ai rapporti che la mafia ha intrapreso in questi anni con la politica, chiarendo che il suo successo è dovuto alla sua presenza 365 giorni all’anno sul territorio, “molto più della rappresentanza politica”. Inoltre, negli ultimi anni, il rapporto con quest’ultima si è considerevolmente ribaltato: “Prima ai politici si chiedeva il posto di bidello oppure il trasferimento del militare, mentre adesso si propongono pacchetti di voti in cambio di utilità”.

Gratteri poi ha spiegato il motivo per cui la ‘Ndrangheta non segue le ideologie politiche, e quindi si relaziona ogni volta con lo specifico partito che sale al potere: “Perché punta sempre sul cavallo vincente per non rimanere mai all'opposizione. Inoltre, la legge Bassanini ha favorito oggettivamente le mafie, annullando i controlli esterni". Ed ha quindi ricordato che "la 'Ndrangheta opera sotto traccia a differenza della mafia siciliana che ha sfidato lo Stato sul piano militare”.

Il traffico di droga.
Ovviamente nell’intervento di Gratteri non poteva mancare il riferimento ad uno degli utili più consistenti della criminalità organizzata, il traffico di droga. Un’attività che ha permesso alla mafia calabrese di entrare a far parte del mercato internazionale, in cui i più grandi produttori di cocaina allo stato naturale, sono Colombia, Bolivia e Perù. Il Procuratore ha quindi sottolineato che “la 'Ndrangheta acquista tutto ciò che è in vendita sul mercato per imporre il prezzo. Se intervenisse l'Onu, si potrebbe trattare direttamente con i coltivatori di piante di coca facendo la conversione delle culture, attraverso specifici incentivi. Si spenderebbe meno di un sesto di quanto adesso sta costando la lotta alla droga”. Ed ha continuato dicendo che per questo motivo “è impossibile contrastare la marijuana, che si può coltivare dovunque, oppure le droghe sintetiche, che si realizzano in laboratorio e sono particolarmente dannose. Negli Stati Uniti è ritornato preponderante il consumo di eroina, perché costa la metà della cocaina, e il fentanil, che sta decimando migliaia di giovani nei campus”.

Parlando poi della presenza sul nostro territorio delle mafie estere, come quella albanese o quella nigeriana, e della convivenza di quest’ultime con la mafia italiana, il Procuratore ha evidenziato come "il pericolo della mafia albanese è in crescita nel Nord Italia, in Olanda, in Germania, in Belgio ed è particolarmente forte perché non viene adeguatamente combattuta nei territori di origine. È presente anche in Sud America, per ora insieme alla 'Ndrangheta ma è anche in grado di organizzare viaggi autonomi in Europa". La mafia nigeriana al momento è forte sul piano militare ma non è infiltrata con la politica e l’imprenditoria.

Contrasto organizzato a livello comunitario.
Infine il magistrato ha rimarcato la velocità di evoluzione e di trasformazione delle mafie, che costantemente cambiano la propria struttura sociale, rendendone molto più difficoltoso il contrasto. Infatti Gratteri, in riferimento ad una carenza di cooperazione delle attività di opposizione tra i paesi europei, ha chiarito come “l'Italia ha maturato una particolare esperienza nella lotta alle mafie sia come legislazione che come professionalità ma nessuna delle agenzie europee di contrasto alla criminalità si trova nel nostro Paese, segno della nostra debolezza sul piano internazionale. Infatti, ad esempio, Eurojust ed Europol si trovano all’Aja”. Ed ha continuato affrontando il tema dell’omologazione dei codici, in vista di un contrasto organizzato a livello comunitario, sottolineando che “come base di partenza non si sceglie mai il nostro sistema giudiziario, pur se riconosciuto il più avanzato nel campo della legislazione antimafia. L'unificazione comunitaria dei codici non può infatti avvenire partendo magari dal sistema lettone”.

http://temi.repubblica.it/micromega-online/mafia-gratteri-salto-di-qualita-grazie-ai-rapporti-con-il-potere/

Giustizia, Caselli: “La prescrizione? Una patologia che nega elementari principi di equità e alimenta un doppio processo”. - Rossella Guadagnini



Lungaggini dibattimentali e procedure barocche hanno trasformato il processo in un percorso accidentato, pieno di ostacoli, insidie e cavilli, osserva il magistrato. Un ‘brodo di coltura’ per avvocati spregiudicati, grazie anche alla prescrizione che non si interrompe mai. Nel nostro sistema penale coesistono due distinti codici: uno per i ‘galantuomini’, l’altro per i cittadini comuni.

Tutti i nodi vengono al pettine: quando c’è il pettine, chiosava con perfidia lapidaria Leonardo Sciascia, scrittore e formidabile ragionatore. Da questione tecnica la prescrizione in Italia è divenuta "una questione politica nel senso peggiore del termine, una rissa da stadio. Si parla di orrore, catastrofe, follia, apocalisse, ergastolo permanente, bomba atomica, si arriva al tanto citato ‘vaffa’, si parla di ricatti... Non è così". A sostenerlo è l'ex procuratore di Palermo e di Torino, Gian Carlo Caselli a cui abbiamo chiesto di fare chiarezza su questo nodo gordiano della giustizia.

Prescrizione sì, prescrizione no, prescrizione forse: a che punto siamo?
L’interruzione definitiva della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, la cosiddetta riforma Bonafede, è legge dello Stato dal 1 gennaio di quest’anno e quindi adesso è pienamente in vigore. All’interno del progetto di riforma del processo penale - approvato dal Consiglio dei Ministri nei giorni scorsi - è stato inserito un emendamento che, in sostanza, fa scattare la prescrizione definitiva soltanto dopo la sentenza di condanna di primo grado e non anche dopo quella di assoluzione. Peraltro, modi e tempi dell’eventuale approvazione dell’emendamento sono tutti da stabilire. Intanto, sulla riforma Bonafede si sta scatenando una battaglia campale, con tentativi di cancellarla del tutto portati avanti dalla minoranza parlamentare, appoggiata in modo spregiudicato dal gruppo renziano. In ogni caso, la riforma Bonafede ci avvicina agli altri Paesi europei: il nostro, infatti, è l’unico - con la Grecia - a non prevedere interruzioni definitive della prescrizione, ma soltanto sospensioni temporanee.

Lei l’ha paragonata a una patologia: in che senso?
Il combinato disposto delle lungaggini processuali, delle procedure barocche, dei troppi gradi di giudizio e dei costi elevati ha finito per fare del processo un percorso accidentato, pieno di ostacoli e trappole, infarcito di regole travestite da garanzie che, in realtà, sono insidie o cavilli: un brodo di coltura ideale per gli avvocati agguerriti, spregiudicati e costosi che puntano all’impunità, grazie anche alla prescrizione che non si interrompe mai. Con il risultato che nel nostro sistema penale hanno finito per coesistere di due distinti codici. Uno per i "galantuomini" (cioè le persone che appaiono, in base al censo o alla collocazione politico-sociale, per bene a prescindere...); l’altro per cittadini “comuni”. Nel primo caso il processo mira soprattutto a che il tempo si sostituisca al giudice, vuoi con la prescrizione che inghiotte ogni cosa; vuoi - male che vada - ammorbidendone gli esiti con indulti, condoni, scudi e leggi ad personam assortite. Nel secondo caso, invece, pur funzionando malamente, spesso il processo segna irreversibilmente la vita e i corpi delle persone.

C’è dunque una specie di ‘doppio binario’ della giustizia?
Sta qui l’origine della patologia della prescrizione, perché - per come era congegnata prima della riforma - è stata (ed è storia anche degli ultimi 50 anni) al centro del sistema fondato su un doppio processo, fonte di ingiustizia e disuguaglianze che si risolvono nella negazione di elementari principi di equità. Un sistema dove, in realtà, è la prescrizione infinita (senza mai uno stop definitivo) che contribuisce fortemente a far proseguire certi processi. Ciò che, sul versante costituzionale della ragionevole durata, dovrebbe preoccupare anche quanti pongono il problema “a senso unico”, ossia guardando unicamente ai presunti effetti della riforma della prescrizione. Mentre a indignare dovrebbe essere proprio il ‘doppio processo’, che costituisce di per sé un ossimoro costituzionale davvero insostenibile.

E’ usata così largamente la prescrizione?
La percentuale italiana di prescrizioni è del 10/11%, contro quella dello 0,1/2% degli agli altri paesi europei; a fronte - va sottolineato - di statistiche che collocano la magistratura italiana ai primi posti per produttività (altro che “fannulloni”…). Significa che ovunque la prescrizione funziona come mero rimedio fisiologico contro i pochi scarti che l’ingranaggio non è riuscito a trattare, mentre da noi ha finito per strutturarsi come fenomeno assolutamente patologico. Nel senso che da misura circoscritta a pochi casi limite, è stata trasformata in una voragine che inghiotte senza ritorno processi in quantità enorme. Sicché il sistema giustizia, in tutti questi casi, produce il suo esatto contrario: denegata giustizia per le vittime e verso i presunti responsabili. Ciò accade, di solito, per i processi di maggior impatto politico-sociale: penso al disastro ferroviario di Viareggio.

La sua riforma è cosa da giustizialisti?
La contrapposizione tra giustizialisti e garantisti è sempre più ridicola e strumentale. La praticano soprattutto coloro che si autoproclamano garantisti, spesso ignorando che il vero garantismo è veicolo di eguaglianza: non può essere degradato a strumento di sopraffazione e privilegio, con l’obiettivo di disarmare la magistratura di fronte al potere economico e politico, oppure di graduare le regole in base allo status sociale dell’imputato. Quanto alla parola giustizialismo, pochi ricordano che essa non esisteva neppure nel lessico italiano, se non con riferimento... al peronismo. Se non sbaglio fu Giuliano Ferrara a trasferirla ai problemi della giustizia, facendone una specie di cartellino rosso da brandire “a prescindere” (per squalificarlo) contro chi la pensa altrimenti. Giustizialista - per i sedicenti garantisti – è, in sostanza, chi cerca soluzioni non di comodo, ma è animato dall’etica della responsabilità dei risultati nel rispetto delle regole.

Una diatriba che assomiglia a una scusa o, meglio, a un’accusa.
Sotto la contrapposizione fra garantismo e giustizialismo si nasconde, a mio avviso, il conflitto fra illogicità e buon senso. Prendiamo il caso della polemica furibonda che - dopo quella sulla prescrizione - è scoppiata sull’uso delle intercettazioni. Il problema era questo: se intercettando una persona per un reato se ne scopre un altro, la registrazione è utilizzabile anche per il nuovo reato oppure va cancellata? Discutere sull’utilizzabilità, in un processo diverso, di prove riguardanti gravi reati legittimamente acquisite in un’altra inchiesta, si può anche fare, purché si sappia che l’alternativa è tra due comportamenti: il non trascurare nulla che serva all’accertamento della verità (il buon senso), oppure privilegiare formalismi e cavilli che della verità non si curano (l’illogicità).

Gli effetti della prescrizione saranno evidenti solo nel 2025: tanto rumore per nulla dunque?
E’ proprio così: tanto rumore per nulla. Le statistiche del Ministero della Giustizia del 2018 ci dicono che la prescrizione ha colpito 117.367 processi di cui 57.707 nelle fasi iniziali (Pm, Gip); 27.747 in primo grado; 2.250 davanti al Giudice di pace; 29.216 in Appello; 646 in Cassazione. Quindi, poiché la riforma Bonafede si applica solo ai processi già conclusi in primo grado e tenuto conto che, in Cassazione sono pochissimi i processi che si prescrivono (l’1,1 %), la riforma riguarderà il 26% circa dei processi prescritto. Ossia appena il 3% dei processi trattati ogni anno. Non propriamente una catastrofe che giustifichi i toni apocalittici dei profeti di sventura contrari al provvedimento.

La riforma Bonafede in effetti scontenta molti tra magistrati, avvocati e giuristi.
A fronte dei due o tre (per altro autorevoli) che hanno fatto notizia in occasione dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario, i magistrati scontenti sono ben pochi. Gli avvocati, invece, quasi tutti e si capisce bene perché. Ma se lo dici ti saltano addosso per lesa maestà. Spesso si dimenticano i sondaggi, che valgono quello che sappiamo, ma in ogni caso concordano nel dire che i cittadini sono favorevoli alla riforma Bonafede. E qualcosa, anche questo dato, vorrà pur dire.

Quale strada le appare più percorribile?
Occorre - come dicevo al principio - restare, realisticamente ancorati ai profili tecnici dei problemi della prescrizione e delle intercettazioni. Lasciamo da parte slogan ed esagerazioni propagandistiche messe in campo contro chi ha opinioni diverse, leggiadramente etichettato come ‘forcaiolo’ o ‘manettaro’; al punto che ‘giustizialista’ appare ormai appellativo perfino garbato.

E l’Europa ci approva…
Sì, una conferma ulteriore viene ora dal “Rapporto sull’Italia” di approvazione recentissima da parte della Commissione Europea, dove si legge che la riforma della prescrizione è “benvenuta” anche perché “in linea con una raccomandazione specifica” formulata al nostro Paese, che l’Europa aveva fatto a suo tempo. La Commissione esprime un giudizio favorevole anche sulla “spazza-corrotti” e sulla lotta alla corruzione che “sta migliorando”. Seppure non faccia sconti - sia sul piano civile, che penale - circa la lunghezza del contenzioso e l’efficienza del processo, soprattutto nel grado di appello. E fornisce una serie di direttive assimilabili, in buona parte, al “disegno di legge recante deleghe al governo per l’efficienza del processo penale”.

Tutti i modi dunque vengono al pettine, per parafrasare Sciascia. E il pettine, a quanto pare, stavolta c’è.


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Rinnovabili: solare e ricerca, un futuro radioso per la green energy. - Andrea Ballocchi

Rinnovabili: solare e ricerca, un futuro radioso per la green energy

Energy storage, fotovoltaico e investimenti in green energy in crescita, il sostegno USA allo sviluppo di combustibili puliti dimostrano l’ottimo andamento di rinnovabili e ricerca.

Indice degli argomenti:
Il futuro dell’energia è sempre più mirato alla sostenibilità: l’attenzione alle fonti rinnovabilifotovoltaico ed eolico innanzitutto ma non solo, e alle potenzialità offerte da una gestione ottimale della produzione, sono il tratto dominante verso cui si dirigono gli investimenti globali. 
Una parte importante la svolge la ricerca e sviluppo non solo per migliorare le tecnologie esistenti, ma per avviarne e sostenerne altre. Una di queste vede protagonista il Dipartimento dell’Energia statunitense che ha annunciato pochi giorni fa un piano per sostenere con fondi fino a 100 milioni di dollari in cinque anni la ricerca sulla fotosintesi artificiale per produrre combustibili dalla luce solare.  

Rinnovabili e solare: la ricerca lavora a nuovi combustibili dalla fotosintesi.

Dei carburanti ottenuti dalla fotosintesi artificiale se ne parla da qualche anno. Ora però il filone di ricerca e sviluppo sembra vivere un rinnovato vigore proprio grazie all’annuncio del Dipartimento americano. Esso intende creare uno o due centri di ricerca dedicati, Energy Innovation Hub, per accelerare scoperte scientifiche fondamentali per arrivare a produrre carburante solare.

Come ha affermato il sottosegretario all’Energia per la Scienza, Paul Dabbar, attraverso una nota sul sito ufficiale “la luce del sole è la nostra fonte di energia più basilare, e la capacità di generare combustibili direttamente dalla luce del sole ha il potenziale per trasformare la nostra economia energetica e migliorare notevolmente la sicurezza energetica degli Stati Uniti”. 
Lo sforzo attuato  dovrà permettere agli scienziati americani “di essere all’avanguardia in un settore altamente impegnativo, ma estremamente promettente della ricerca sulla fotosintesi artificiale”.

Il filone di ricerca intende ricreare artificialmente la fotosintesi clorofilliana: le piante la usano per convertire l’energia solare in sostanze organiche utilizzando acqua e anidride carbonica. Obiettivo della ricerca è sviluppare un sistema di fotosintesi artificiale che generi combustibili partendo dagli stessi elementi. Finora però non ci sono stati progressi significativi ed è per questo che il Department Of Energy ha voluto sostenere il suo sviluppo. Si vaglieranno progetti e proposte da università, organizzazioni non profit, laboratori nazionali dello stesso DOE e altri laboratori e agenzie federali. Si partirà quest’anno e si proseguirà per altri cinque. 

Rinnovabili e investimenti: fotovoltaico e storage crescono.

Le potenzialità di sviluppo delle fonti rinnovabili e delle soluzioni dedicate trovano conferma nelle previsioni che emergono dal report di BDO, secondo cui entro il 2023 si arriverà a superare un terawatt di energia solare (per lo più da fotovoltaico) generata a livello mondiale. Entro i prossimi tre anni si registrerà anche una crescita sensibile di soluzioni energy storage e un robusto apporto, in termini di investimenti in energia pulita.

Rinnovabili e investimenti: fotovoltaico e storage crescono

Tensioni geopolitiche e incertezza economica non ostacoleranno la corsa dell’energia solare, ma nemmeno quella delle tecnologie per stoccarla. Secondo il report: “L’immagazzinamento dell’energia assumerà un ruolo chiave entro il 2023, poiché contribuirà ad aumentare l’affidabilità e la resilienza dei sistemi elettrici decentralizzati. L’adozione di soluzioni alternative di stoccaggio dell’energia, incluse le batterie a lunga durata per l’integrazione delle rinnovabili su vasta scala, crescerà almeno del 30% anno su anno fino al 2023.” 

Rinnovabili e investimenti: il buon momento per eolico e per le green energy.

Lo stesso documento evidenzia il buon momento anche per l’eolico la cui crescita proseguirà, insieme alle soluzioni di accumulo specifiche sia per l’eolico on shore che off shore.

Rinnovabili, il buon momento per l'eolico

Quest’ultima forma di produzione energetica dal vento godrà di un forte sostegno: metà degli investimenti globali in energia eolica saranno infatti rivolti a progetti e tecnologia di generazione d’energia dagli impianti posti in mari e oceani.

Il desiderio di unire produzione energetica alla sostenibilità vedrà impegnate le società legate ai combustibili fossili a un continuo investimento in soluzioni cleantech, tra cui quella per la cattura e lo stoccaggio di carbonio.

Infine si assisterà a un ritorno degli investimenti in green energy da parte di private equity e venture capital. “Che sia cleantech o climate-tech, il quadro regolatorio, economico e scientifico nei confronti di queste tecnologie spingerà l’investimento privato globale a 600 miliardi di dollari entro il 2023”, conclude il report.