venerdì 13 marzo 2020

Amenità.





Lesbo è il sacchetto dell’umido dell’Europa, c’è il Coronavirus ma non il panico. - Giulio Cavalli

Lesbo è il sacchetto dell’umido dell’Europa, c’è il Coronavirus ma non il panico

Bisognerebbe inventarsi nuove parole per raccontare cosa accade su quella maledetta collina intorno al campo di Moria a Lesbo. Bisognerebbe sanguinare parole nuove che non esistono ancora per scrivere un pezzo che non rimanga impantanato solo nelle pagine di un giornale ma che si imprima a fuoco negli occhi di chi legge. In un campo profughi pensato per 3mila persone oltre 20mila disperati frugano tra le macerie della loro vita per provare a sopravviversi, schiacciati da una fuga che non li ha portati, no, nel luogo che speravano, dalla Turchia, che per fare la voce grossa con l’Europa ha aperto un rubinetto da cui escono uomini, e da un’Europa che finge di non vedere, finge di non sentire e contabilizza le vite umane come un cinico scartoffiomane seduto comodo nel suo ufficio.
Lesbo si arriva sfiniti ma c’è da sfinirsi ancora per i raid punitivi dei gruppi di ultradestra che trattano i migranti come carne da bastone per aizzare la propaganda, a Lesbo il 40% di quelli che vengono burocraticamente denominati come migranti sono ragazzini, minori, molti senza nemmeno un padre e una madre che scoprono il mondo e scoprono la cosiddetta civiltà occidentale leccando i rifiuti, mentre il governo greco ha sospeso tutte le procedure di richiesta d’asilo (contravvenendo una manciata di convenzioni internazionali che di questi tempi risuonano come lettera morta) e studia altri metodi per scoraggiare i nuovi arrivi, come se non bastassero le botte. Interessa poco, vero, ciò che accade a Lesbo perché i disperati e gli ultimi sono scesi nella classifica degli argomenti agitati dalla propaganda eppure l’ultima notizia è un pugnale: anche a Lesbo ora c’è un caso di Coronavirus, una persona di nazionalità greca ora ricoverata.
Ora, in questa storia che richiederebbe un vocabolario nuovo, immaginate cosa accadrebbe (o, cosa accadrà) quando quell’umanità assembrata e infettata dalla disgrazia di essere nata nella parte sbagliata del mondo verrà raggiunta dall’epidemia. Immaginate la virulenza, immaginate la facilità di contagio e soprattutto immaginate le cure. Quanto saremmo capaci di prenderci cura, tra l’altro della malattia che è anche la psicosi del momento, di gente di cui già non abbiamo cura? Cosa diventerebbe il campo di Moria con il Coronavirus che si appiccica ai polmoni di gente che è già devastata?
Forse per riuscire a immaginare cosa accade lì a Lesbo, nel sacchetto dell’umido dell’Europa che non si volta a guardare, si potrebbe raccontare che la notizia del Coronavirus non ha nemmeno acceso il panico tra i migranti. Come si può disperare ancora uno che ha già perso la speranza da un pezzo? «Non ho notizia di situazioni di panico – dice Maurizio Debanne, uno dei portavoce di Medici Senza Frontiere -. Sono persone che hanno perso la speranza su tutto, anche se hanno una capacità di resilienza molto forte». O forse quella che chiamano “resilienza” è una disperazione cronica che non si smuove nemmeno per il virus. Il Coronavirus in fondo sta funzionando anche da termometro sulla nostra capacità di prendersi cura degli ultimi del mondo (siano migranti, carcerati o altri disperati): a Roma l’associazione Baobab chiede alla sindaca Raggi cosa abbia in programma per occuparsi della protezione dei senza fissa dimora che sono in città per «garantire la disponibilità dei servizi essenziali di sopravvivenza per le persone in condizioni di impossibilità di provvedere a se stesse». Come potrebbe finire mette i brividi solo a pensarci.

Coronavirus, il racconto di un italiano che vive in Cina: “Due diverse app sui nostri telefoni, così il governo controlla che rispettiamo la quarantena”. - Ilaria Mauri

Coronavirus, il racconto di un italiano che vive in Cina: “Due diverse app sui nostri telefoni, così il governo controlla che rispettiamo la quarantena”

Il New York Times aveva rivelato in un suo recente articolo l'esistenza di una delle due app e ora un italiano appena rientrato lì dall'Italia spiega a Ilfattoquotidiano.it come in realtà le applicazioni usate dal governo siano due e racconta la sua esperienza di messa in quarantena.

Due diverse applicazioni installate sugli smartphone di milioni di persone che registrano i loro dati personali e monitorano tutti i loro spostamenti. Tempestività, controllo e coinvolgimento attivo della popolazione. Così la Cina verifica che i suoi abitanti rispettino la quarantena imposta per sconfiggere l’epidemia di coronavirus e riesce a risalire a tutte le persone con cui è entrato in contatto chi risulta poi essere infetto. Un sistema di sorveglianza complesso, che mette in secondo piano privacy e libertà individuali, ma che dopo 50 giorni sta iniziando a dare risultati: negli ultimi giorni a Wuhan, città focolaio del contagio, sono stati registrati appena una decina di casi al giorno. Niente se paragonato ai numeri a tre cifre di due settimane fa. Il New York Times aveva rivelato in un suo recente articolo l’esistenza di una delle due app, spiegando che in questo modo Pechino sta “creando un modello per nuove forme di controllo sociale automatizzato che potrebbero persistere a lungo dopo che l’epidemia si sarà placata”, e ora un italiano appena rientrato lì dall’Italia spiega a Ilfattoquotidiano.it come in realtà le applicazioni usate dal governo siano due e racconta la sua esperienza di messa in quarantena.
Marco (nome di fantasia, dal momento che per questioni di sicurezza non possiamo svelare la sua identità) vive in Cina, da 15 anni e poco prima dell’inizio del Capodanno Cinese è tornato in Italia assieme alla moglie per trascorrere le vacanze. Dovevano essere tre settimane di ferie ma poi sono diventate sei: “Siamo partiti il 1 marzo, per evitare di fare la quarantena ad Hong Kong dove il mio primo volo era diretto abbiamo optato deciso di arrivare a Guangzhou facendo scalo a Mosca (che ha adibito un intero terminal solo per chi transita da e per la Cina). Una volta atterrati ci hanno fatti scendere per primi dall’aereo, ci è stata controllata la temperatura due volte in aeroporto, ci hanno fatto diverse domande e ci hanno fatto aspettare due ore in aeroporto prima di rilasciarci un documento con cui abbiamo potuto passare la dogana. Quando siamo arrivati al palazzo dove viviamo ci è venuto incontro un gruppo di persone dell’amministrazione locale che sapeva del nostro arrivo e ci hanno controllato ancora la temperatura, poi ci hanno fatto firmare delle carte e ci hanno chiesto di scaricare un’applicazione spiegandoci di registrarci con i nostri dati personali perché ci sarebbe servita in seguito durante la quarantena“.
Una volta riusciti a salire in casa, per Marco e la moglie è iniziata la quarantena vera e propria, che dura 14 giorni e al termine della quale saranno sottoposti a controlli medici per accertare che stiano effettivamente bene e possano tornare a condurre la vita di sempre. L’isolamento ha poche regole ma ben precise: “Non possiamo uscire di casa e dobbiamo misurare la temperatura due volte al giorno e tramite l’applicazione comunicare il valore alle autorità. Possiamo comprare online solo beni di prima necessità che poi ci saranno lasciati alla porta: le consegne vengono tutte gestite dall’amministrazione condominiale, che fa da referente alla polizia. Ogni tot tempo (ancora non ci è chiaro quanto) degli incaricati del governo verranno a verificare che noi stiamo effettivamente rispettando queste indicazioni”, spiega. E per chi viola le prescrizioni ed esce di casa, la polizia arriva a mettere i sigilli alla porta.
C’è poi anche un’altra applicazione con cui il governo riesce a individuare e bloccare le catene del contagio, avvisando le persone che devono mettersi in quarantena: “La situazione qui, da quel poco che sono riuscito a vedere, è sotto controllo anche perché il governo cinese traccia tutti tramite un’altra applicazione che abbiamo già installato da tempo sugli smartphone dove deve essere fatto il login inserendo le proprie generalità. Questa genera poi un QRCode che deve essere scannerizzato ogni volta che per esempio si accede a un edificio, si entra in un ufficio pubblico, si prende il treno o la metropolitana, così che il governo ha la possibilità di rintracciare tutti i movimenti. Così sanno subito anche se qualcuno è entrato o sta entrando in contatto con persone risultate infette e possono intervenire tempestivamente. L’utilizzo di questi QRCode è previsto in praticamente tutte le situazioni e registra se qualcuno esce di casa mentre è in quarantena e si sposta o anche solo se compra del cibo. Con questo metodo però il governo cinese sta facendo tutto il possibile per tenere le persone a casa e cercare di circoscrivere il più possibile l’epidemia – conclude Marco -. Ora stiamo a vedere come finirà il mio isolamento”.
Questo sistema è stato adottato da Pechino nei confronti di oltre 760 milioni di cinesi, ovvero più della metà degli abitanti dello Stato più popoloso del mondo. In più, fin da subito sono stati cancellati voli, treni e autobus da e per la città sono stati soppressi, come anche il trasporto pubblico interno. Si è monitorato chi entrava nel Paese, nelle città, nei villaggi e persino nei condomini. Niente panico, solo ordine e controllo. Le immagini delle città cinesi completamente deserte sono diventate un simbolo e in questi giorni sono state spesso confrontate quanto stava accadendo in Italia, dove – prima che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dichiarasse con due diversi decreti l’istituzione di una zona rossa per tutto il Paese e poi la chiusura di bar, ristoranti e negozi – per settimane si è assistito a scene di locali della movida affollati e gente a spasso imperterrita per i centri commerciali.

Coronavirus, stop alle cartelle esattoriali: verso il rinvio delle scadenze della pace fiscale. - Anna Maria D'Andrea

Coronavirus, stop alle cartelle esattoriali: verso il rinvio delle scadenze della pace fiscale

Coronavirus, stop alle cartelle esattoriali: il nuovo decreto atteso entro venerdì 13 marzo 2020 dovrebbe rinviare i pagamenti in scadenza, anche quelli della pace fiscale, rottamazione e saldo e stralcio delle cartelle.

Coronavirus, stop alle cartelle esattoriali. Si va verso un rinvio ampio delle scadenze che dovrebbe coinvolgere anche i termini della pace fiscale e le prossime rate di rottamazione e saldo e stralcio.
Mentre slitta a venerdì 13 marzo l’approvazione del decreto economico del Governo con le misure in favore di famiglie ed imprese, arrivano dal MEF alcune anticipazioni sui contenuti del provvedimento.
Il Sottosegretario Baretta ha dichiarato che la sospensione delle scadenze fiscali sarà ampia, e ricomprenderà anche le cartelle esattoriali ed i provvedimenti di rateazione vigenti.
L’obiettivo è garantire il più possibile la liquidità di famiglie ed imprese danneggiate dal coronavirus, congelando di fatto i principali adempimenti fiscali del periodo.
Appare quindi possibile la proroga del saldo IVA e degli importanti appuntamenti del 16 marzo 2020, ma per avere conferme sarà necessario attendere venerdì, giorno in cui il Governo dovrebbe approvare il primo decreto economico da 12 miliardi di euro.

Coronavirus, stop alle cartelle esattoriali: verso il rinvio delle scadenze della pace fiscale

La sospensione dell’attività di riscossione delle cartelle esattoriali è una delle misure richieste a gran voce dalle imprese e dalle associazioni di categoria e, stando alle prime anticipazioni, dovrebbe essere una delle novità del decreto economico atteso entro venerdì 13 marzo 2020.
Il Consiglio dei Ministri dell’11 marzo ha alzato la posta sulle risorse in campo per affrontare l’emergenza coronavirus. Ben 25 miliardi di euro, di cui 12 a copertura del primo decreto economico, per i quali dal Parlamento è arrivato l’ok.
Il capitolo fiscale sarà uno dei punti al centro del nuovo decreto, e stando a quanto anticipato dal Sottosegretario al MEF Baretta si sta lavorando per rinviare anche le scadenze della pace fiscale.

Perché Christine Lagarde ha affossato l’Italia. - Alessandro D'Amato

christine lagarde

Christine Lagarde ha parlato e ha dimostrato che il silenzio è d’oro. L’erede di Mario Draghi sullo scranno più alto della Banca Centrale Europea, alla sua prima vera emergenza (il Coronavirus), ha subito dato una pessima dimostrazione delle sue capacità, con la sua frase sui compiti di Francoforte riguardo lo spread che ha fatto crollare le Borse e impennare il differenziale tra BTP e Bund proprio quando ci si aspettava la solidarietà europea. E il tutto accade mentre la crisi attuale del differenziale rischia già di costarci due miliardi di euro.

Perché Christine Lagarde ha affossato l’Italia.

“Non siamo qui per chiudere gli spread, ci sono altri strumenti e altri attori per questi problemi”, ha detto la Lagarde. Tradotto: non guardate alla Bce per la soluzione di questa crisi, non è compito nostro. Ovvero l’esatto contrario dell’assunzione di responsabilità di Mario Draghi con il Whatever it takes che ha reso da un giorno all’altro inutile la speculazione sullo spread. Riuscendo, spiega oggi Stefano Feltri sul Fatto, nel capolavoro di trasformare un dramma sanitario in una nuova crisi finanziaria. E cercando di correggere solo dopo qualche ora in una intervista con la tv CNBC (“sono determinata a evitare la frammentazione della zona euro”). Quando ormai è troppo tardi.
“CHIUDERE GLI SPREAD” significa ridurre le differenze tra quanto spendono due diversi Stati della zona euro per finanziarsi sul mercato, cioè per il debito che serve e servirà a finanziare le misure straordinarie di sostegno all’economia contro gli effetti del coronavirus. In teoria dentro la moneta unica tutti dovrebbero pagare lo stesso tasso di interesse, visto che ci si indebita tutti in euro. Ma negli ultimi anni, dopo la crisi della Grecia nel 2009, le differenze sono aumentate perché i mercati hanno iniziato a dare un prezzo al rischio che i Paesi più fragili possano uscire dall’euro. La Lagarde scarica la responsabilità sull’Eurogruppo, il coordinamento dei ministri delle Finanze dei Paesi della moneta unica, e la Commissione europea.
 https://www.nextquotidiano.it/perche-christine-lagarde-ha-affossato-italia-spread-coronavirus/?fbclid=IwAR2w0wm2FihS28RlJK9xh8u9Cnr-PP2OwzdJJC9TQqQRqaEGT59pSqk3uCY

Coronavirus: Mattarella avverte l'Europa: 'Aiuti e non ostacoli l'Italia'. - Michele Esposito



Nell'ennesimo giorno nero, ieri, per contagi e decessi il premier Giuseppe Conte lavora ad una partita parallela e altrettanto importante: quella di evitare il collasso economico dell'Italia. Un'Italia verso la quale l'Ue stenta a muoversi. Anzi, la sensazione, nelle più alte istituzioni italiane, è che in Europa non ci sia ancora la piena consapevolezza della portata "pandemica" dell'emergenza Covid-19. E, in serata, è il presidente Sergio Mattarella a muoversi in prima persona. "L'Italia sta attraversando una condizione difficile e la sua esperienza di contrasto alla diffusione del coronavirus sarà probabilmente utile per l'Unione Europea. Si attendono quindi, a buon diritto, quanto meno nel comune interesse, iniziative di solidarietà e non mosse che possano ostacolarne l'azione", è il monito del capo dello Stati.
L'asse tra Palazzo Chigi e il Quirinale è saldo. Al Colle non è sfuggito un dato: dopo le parole della Lagarde lo spread è salito a livelli altissimi. Ma l'intervento di Mattarella va oltre arrivando dopo atteggiamenti dell'Ue considerati di noncuranza, scherno, che hanno investito il contrasto alle merci o la chiusura alle frontiere. Atteggiamenti che hanno irritato non poco Mattarella, portandolo ad intervenire nettamente a difesa dell'Italia. In questo il governo è unito. "La Bce è un presidio, è un bene che Lagarde abbia precisato le sue parole (sullo spread, ndr)", sottolinea in serata il titola del Mef Roberto Gualtieri. E, sempre in serata, dall'Europa arriva un'apertura, sia sullo stop al Patto di stabilità sia sull'esclusione del 100% delle spese per l'emergenza Covid-19 dal deficit. Decisione che andrebbe incontro, quindi, a quello che il governo si attende. Conte lo accenna anche alla Cancelliera Angela Merkel, con la quale condivide l'esigenza di mettere l'emergenza coronavirus al primo posto dell'agenda Ue. Ma la sponda, per ora teorica, di Berlino non basta. E non basta neanche la linea, filo-italiana di Ursula von der Leyen. A Palazzo Chigi lo sanno e, non a caso, Conte ripete in tutti i suoi contatti europei lo stesso concetto: il Covid-19 è un'emergenza globale, non italiana.
Per questo la risposta della presidente della Bce Christine Lagarde è ritenuta dal governo italiano insoddisfacente sia nelle parole sia nell'entità del Qe messo in campo. "Qui il problema non è la flessibilità, questo è un tema che deve essere considerato già superato", spiega una fonte governativa. Il pressing di maggioranza e opposizione, peraltro, è costante. Le parole di Lagarde("non siamo qui per ridurre gli spread, non è la funzione della Bce") irritano tutti, dal Pd alla Lega. E fanno impennare proprio lo spead in Italia.
Il M5S va oltre e chiede lo strappo più netto: la chiusura della Borsa di Milano. Conte si limita ad un semi-avvertimento: "mi aspetto che l'Eurogruppo di lunedì dovrà avere sul tavolo esclusivamente l'emergenza coronavirus", sottolinea, con implicito riferimento alla fermezza italiana di volere un rinvio dall'ok al Mes. Il tema Ue si incrocia con le proteste per la decisione di tenere aperte le fabbriche. Ma Conte non ha intenzione di fare marcia indietro. Certo le difficoltà reali degli operai e dei datori di lavoro nell'assicurare loro condizioni di sicurezza adeguate inducono a rispondere con i fatti prima che con le parole. Ma, come spiega una fonte di maggioranza, chiudere le fabbriche mentre nel resto dell'Ue tutto è aperto significherebbe dare un colpo ferale all'economia italiana. Sull'incontro tra governo e parti sociali che si terrà domani a Palazzo Chigi, spiegano fonti Dem, le prime sollecitazioni al premier sono arrivate dal vicesegretario Andrea Orlando.
La linea del Pd, sul tema, non è precostituita. Dalla segreteria riunitasi (in video) nel pomeriggio sono emerse due priorità: chi può lavorare da casa deve essere messo nelle condizioni di farlo; chi deve andare a lavorare per necessità primarie deve essere messo nelle (rigide) condizioni di sicurezza del caso. Il puzzle è complicato. E, proprio per questo, Conte sottolinea anche in queste ore la necessità di una linea lucida e realista. "Il governo fa quello che occorre fare", spiegano nell'esecutivo. E, a Palazzo Chigi, non sono passate inosservate le parole di questa mattina del Papa, che ha invitato a pregare per le autorità di governo chiamate a decisioni non facile.
La Bce alza il Qe, con un piano di acquisti netti aggiuntivi di 120 miliardi di euro per il 2020 e taglia la crescita dell'anno a 0,8%, 1,3% nel 2021, lanciando anche una nuova tranche di maxi-prestiti alle banche per fornire 'immediato sostegno alla liquidità del sistema finanziario'. Fermi i tassi. Via libera dell'Ue al primo aiuto di Stato alle impreseLa Fed tira fuori il bazooka, inietta 1.500 miliardi di dollari. Donald Trump è sicuro: 'I mercati rimbalzeranno, e lo faranno in modo forte'. Ma Wall Street affonda e il Dow Jones perde il 10%, il calo maggiore dal lunedì nero del 1987 e il calo maggiore di sempre in termini di punti: ne ha persi 2.352,27. Non va meglio allo S&P 500, che chiude la peggiore seduta dal 1987
PER LE BORSE IERI UNA GIORNATA DA DIMENTICARE -  Peggiore giornata della loro storia recente per le Borse europee, travolte dalle vendite sugli sviluppi dell'emergenza Coronavirus: a Piazza Affari l'indice Ftse Mib chiude in calo del 16,9% a 14.894 punti. Si tratta ampiamente del maggiore ribasso in una sola seduta dalla nascita dell'indice nel 1998 e supera il precedente record negativo successivo al referendum sulla Brexit del 24 giugno 2016, quando la perdita finale della giornata fu del 12,4%. Londra ha concluso con uno scivolone del 10,9%, Parigi e Francoforte con il medesimo ribasso del 12,2%.

liberarci delle caldaie a gas entro il 2030. - Davide Sabbadin e Melissa Zill

Per decarbonizzare i consumi termici europei bisogna bandire la vendita di sistemi a fonti fossili prima del 2030. L'intervento di Davide Sabbadin dell'European Environment Bureau e Melissa Zill di ECOS.

La decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento e raffreddamento in Europa è destinata a dominare il dibattito sul clima nel 2020.
Oggi, la climatizzazione degli edifici e la produzione di acqua calda sanitaria rappresentano metà del consumo energetico annuale dell’UE, e un terzo delle sue emissioni di CO2.
Dalle energie rinnovabili alla ristrutturazione degli edifici, c’è una pressione crescente per implementare soluzioni sostenibili. Ma nonostante l’impennata delle nuove tecnologie, l’Europa finora sulla decarbonizzazione ha fatto un passo avanti e due indietro.
Eliminazione graduale delle caldaie a combustibili fossili entro il 2030
Finché i termosifoni e gli scaldabagni alimentati a combustibili fossili continueranno a essere prodotti, venduti e installati nelle nostre case, è difficile pronosticare un futuro a zero emissioni di carbonio per l’Europa.
I combustibili fossili continuano a generare oltre l’80% dell’energia termica in Europa, con le caldaie a gas a fare la parte del leone.
Molti paesi vogliono invertire questa tendenza, promettendo il passaggio alle energie rinnovabili e a tecnologie neutre dal punto di vista delle emissioni di carbonio, come le pompe di calore, che a lungo termine ridurrebbero le bollette energetiche.
Ma i progressi sono lenti, poiché la continua produzione di tecnologie e infrastrutture a combustibili fossili rende l’adozione di nuove tecnologie sempre più difficoltosa.
Il problema principale è che le soluzioni pulite sono svantaggiate rispetto alle tecnologie a combustibili fossili. Attualmente, è più costoso sostituire una caldaia a gas con un sistema più efficiente piuttosto che sostituirla con un’altra caldaia a gas. Gli incentivi finanziari in Europa non sono sempre presenti e gli installatori non sempre conoscono le alternative.
Quando le soluzioni verdi non sono incentivate attivamente, è improbabile che i consumatori cambino prodotto e così si ritrovano a scegliere fra due non-soluzioni. I produttori, da parte loro, già da tempo promuovono le caldaie a gas a condensazione come alternativa pulita alle caldaie a gas tradizionali, anche se sono disponibili tecnologie veramente pulite, basate sull’energia rinnovabile.
Inoltre, installare una nuova caldaia a gas oggi significa che quel prodotto sarà in uso per una media di 10-20 anni, di fatto andando a consumare una parte di quel “budget di carbonio” che dovremmo lasciare ai settori dove le tecnologie per ridurle non sono ancora competitive, come le emissioni dei processi industriali.
Infine, gli scienziati hanno fatto i conti, ed è emerso che non abbiamo molto tempo per ridurre le emissioni di carbonio: se vogliamo decarbonizzare il riscaldamento, è chiaro che abbiamo bisogno di un approccio olistico che affronti tutti questi problemi assieme. I sistemi di riscaldamento meno efficienti dovrebbero essere gradualmente eliminati dal mercato UE, e l’ultima caldaia a combustibile fossile dovrebbe essere venduta non più tardi del 2030.
Mettere una scadenza alla produzione di tecnologie a combustibili fossili darebbe sia ai consumatori che ai produttori il tempo di prepararsi alla transizione. Realisticamente, questo significa che la Commissione Europea dovrebbe iniziare a discuterne e a redigere proposte prima della fine di quest’anno, come parte integrante della sua Direttiva di punta sull’Ecodesign.
Efficienza energetica, energie rinnovabili e pompe di calore
Il passaggio a sistemi di riscaldamento a emissioni zero deve andare di pari passo con la ristrutturazione degli edifici.
Un sistema di sovvenzioni a livello europeo per la coibentazione e i doppi o tripli vetri è un passo fondamentale per rendere le nostre case più confortevoli ed efficienti dal punto di vista energetico. Un recente studio ha rilevato che la ristrutturazione su vasta scala degli edifici potrebbe far risparmiare il 36% del loro consumo energetico entro il 2030.
Case ben isolate accelererebbero anche l’adozione di nuove soluzioni, come le pompe di calore elettriche e il teleriscaldamento, che nella maggior parte dei casi possono già sostituire le tradizionali caldaie a gas.
Attualmente, le pompe di calore sono presenti in meno del 10% di tutti gli edifici europei, ma il mercato è in rapida crescita. Il parco pompe di calore presente nell’UE ha consentito un risparmio energetico finale di 164 TWh e ha prodotto 128 TWh di energia rinnovabile nel 2018, con un risparmio di 32,8 Mt di emissioni di CO2 – l’equivalente cumulato delle emissioni di Cipro, Lettonia e Lussemburgo nel 2017.
Le pompe di calore non solo possono essere neutre dal punto di vista delle emissioni di CO2, ma sono anche tra le tecnologie disponibili più flessibili. Possono funzionare in modo efficiente con energia geotermica, fotovoltaica ed eolica, mantenendo il calore nei serbatoi di accumulo e generando energia per la casa quando è necessario – anche quando le fonti di energia rinnovabile non possono essere dispacciate.
Se abbastanza grandi, possono anche essere integrate in sistemi di teleriscaldamento, per riscaldare o raffreddare intere aree.
La rivoluzione dell’idrogeno?
Non è ancora il momento dell’idrogeno domestico. Si è tentati di credere che l’idrogeno e altre forme di gas rinnovabili rappresentino il futuro del riscaldamento, ma diffondere le caldaie a idrogeno -o peggio ancora quelle a metano ma “hydrogen ready”- potrebbero costituire una scommessa davvero molto costosa sia per le famiglie che per il sistema energetico in generale.
Attualmente, la disponibilità di idrogeno verde – generato per elettrolisi con energia rinnovabile – è ancora molto limitata, e il suo costo è considerevolmente più alto di quello del gas fossile e dell’elettricità rinnovabile.
Una forma più comune di idrogeno è prodotta dal gas fossile – compreso quello liquefatto in arrivo dagli USA e prodotto attraverso il fracking- ma questa opzione ovviamente non aiuta a ridurre le emissioni e quindi e’ da considerarsi incompatibile con lo scenario desiderato di neutralita’ climatica.
Costruire un’infrastruttura adatta all’idrogeno senza prima assicurarsi che esistano forniture sufficienti di energia rinnovabile è un rischio che l’Europa non può permettersi di correre – un rischio che chiaramente comprometterebbe i suoi sforzi di decarbonizzazione.
L’idrogeno è sicuramente più prezioso in un ruolo di supporto, nell’ambito degli sforzi per decarbonizzare i settori ad alta intensità energetica, come l’industria siderurgica, dove l’elettrificazione potrebbe essere più impegnativa e soprattutto nei processi industriali dove oggi si impiega il carbone come reagente, in primis la produzione dell’acciaio.
Via via che crescono gli appelli all’azione per il clima e ci avviciniamo al punto di non ritorno, i responsabili politici avranno sempre meno tempo e spazio per fare errori. L’attenzione dovrebbe concentrarsi su soluzioni realistiche e disponibili che ci aiutino ad abbandonare del tutto i combustibili fossili.
Il tempo dei dibattiti è finito – i passi verso la decarbonizzazione devono essere fatti ora.
Davide Sabbadin è un esperto di normative dell’European Environment Bureau (EEB). Melissa Zill è responsabile di programma a ECOS. Insieme, EEB ed ECOS guidano la campagna Coolproducts – una coalizione di ONG impegnate a promuovere prodotti migliori per i consumatori e il pianeta.