giovedì 26 marzo 2020

Giuseppe Conte - Lettera al Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel.

L'immagine può contenere: una o più persone, persone sedute, vestito elegante e spazio al chiuso

L'emergenza che stiamo vivendo non conosce confini. È uno shock senza precedenti che richiede misure eccezionali di reazione, necessarie non solo a contenere la diffusione del contagio, ma anche ad arginare gli effetti negativi prodotti sul tessuto socio-economico. A livello europeo c’è necessità di uniformare le prassi sanitarie e di aumentare lo scambio di informazioni, soprattutto adesso, nella fase più acuta dell'epidemia. La risposta europea, anche sul piano economico-finanziario, deve essere poderosa, coesa, tempestiva. Per perseguire queste finalità ho scritto una lettera al Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, insieme ai leader di Belgio, Francia, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Spagna.

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Caro Presidente, caro Charles

la pandemia del Coronavirus è uno shock senza precedenti e richiede misure eccezionali per contenere la diffusione del contagio all’interno dei confini nazionali e tra Paesi, per rafforzare i nostri sistemi sanitari, per salvaguardare la produzione e la distribuzione di beni e servizi essenziali e, non ultimo, per limitare gli effetti negativi che lo shock produce sulle economie europee.

Tutti i Paesi europei hanno adottato o stanno adottando misure per contenere la diffusione del virus. Il loro successo dipenderà dalla sincronizzazione, dall’estensione e dal coordinamento con cui i vari Governi attueranno le misure sanitarie di contenimento.

Abbiamo bisogno di allineare le prassi adottate in tutta Europa, basandoci su esperienze pregresse di successo, sulle analisi degli esperti, sul complessivo scambio di informazioni. È necessario ora, nella fase più acuta dell’epidemia. Il coordinamento che tu hai avviato, con Ursula von der Leyen, nelle video-conferenze tra i leader è d’aiuto in tal senso.

Sarà necessario anche in futuro, quando potremo ridurre gradualmente le severe misure adottate oggi, evitando sia un ritorno eccessivamente rapido alla normalità sia il contagio di ritorno da altri Paesi. Dobbiamo chiedere alla Commissione europea di elaborare linee guida condivise, una base comune per la raccolta e la condivisione di informazioni mediche ed epidemiologiche, e una strategia per affrontare nel prossimo futuro lo sviluppo non sincronizzato della pandemia.

Mentre attuiamo misure socio-economiche senza precedenti, che impongono un rallentamento dell’attività economica mai sperimentato prima, abbiamo comunque bisogno di garantire la produzione e la distribuzione di beni e servizi essenziali, e la libera circolazione di dispositivi medici vitali all’interno dell’UE. Preservare il funzionamento del mercato unico è fondamentale per fornire a tutti i cittadini europei la migliore assistenza possibile e la più ampia garanzia che non ci saranno carenze di alcun tipo.

Siamo pertanto impegnati a tenere i nostri confini interni aperti al necessario scambio di beni, di informazioni e agli spostamenti essenziali dei nostri cittadini, in particolare quelli dei lavoratori transfrontalieri. Abbiamo anche bisogno di assicurare che le principali catene di valore possano funzionare appieno all’interno dei confini dell’UE e che nessuna produzione strategica sia preda di acquisizioni ostili in questa fase di difficoltà economica. I nostri sforzi saranno prioritariamente indirizzati a garantire la produzione e la distribuzione delle attrezzature mediche e dei dispositivi di protezione fondamentali, per renderli disponibili, a prezzi accessibili e in maniera tempestiva a chi ne ha maggiore necessità.

Le misure straordinarie che stiamo adottando per contenere il virus hanno ricadute negative sulle nostre economie nel breve termine. Abbiamo pertanto bisogno di intraprendere azioni straordinarie che limitino i danni economici e ci preparino a compiere i passi successivi. Questa crisi globale richiede una risposta coordinata a livello europeo. La BCE ha annunciato lo scorso giovedì 19 marzo una serie di misure senza precedenti che, unitamente alle decisioni prese la settimana prima, sosterranno l’Euro e argineranno le tensioni finanziarie.

La Commissione europea ha anche annunciato un’ampia serie di azioni per assicurare che le misure fiscali che gli Stati membri devono adottare non siano ostacolate dalle regole del Patto di Stabilità e Crescita e dalla normativa sugli aiuti di Stato. Inoltre, la Commissione e la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) hanno annunciato un pacchetto di politiche che consentiranno agli Stati membri di utilizzare tutte le risorse disponibili del bilancio dell’UE e di beneficiare degli strumenti della BEI per combattere l’epidemia e le sue conseguenze.

Gli Stati membri dovranno fare la loro parte e garantire che il minor numero possibile di persone perda il proprio lavoro a causa della temporanea chiusura di interi settori dell’economia, che il minor numero di imprese fallisca, che la liquidità continui a giungere all’economia e che le banche continuino a concedere prestiti nonostante i ritardi nei pagamenti e l’aumento della rischiosità. Tutto questo richiede risorse senza precedenti e un approccio regolamentare che protegga il lavoro e la stabilità finanziaria.

Gli strumenti di politica monetaria della BCE dovranno pertanto essere affiancati da decisioni di politica fiscale di analoga audacia, come quelle che abbiamo iniziato ad assumere, col sostegno di messaggi chiari e risoluti da parte nostra, come leader nel Consiglio Europeo.

Dobbiamo riconoscere la gravità della situazione e la necessità di una ulteriore reazione per rafforzare le nostre economie oggi, al fine di metterle nelle migliori condizioni per una rapida ripartenza domani. Questo richiede l’attivazione di tutti i comuni strumenti fiscali a sostegno degli sforzi nazionali e a garanzia della solidarietà finanziaria, specialmente nell’Eurozona.

In particolare, dobbiamo lavorare su uno strumento di debito comune emesso da una Istituzione dell’UE per raccogliere risorse sul mercato sulle stesse basi e a beneficio di tutti gli Stati Membri, garantendo in questo modo il finanziamento stabile e a lungo termine delle politiche utili a contrastare i danni causati da questa pandemia.

Vi sono valide ragioni per sostenere tale strumento comune, poichè stiamo tutti affrontando uno shock simmetrico esogeno, di cui non è responsabile alcun Paese, ma le cui conseguenze negative gravano su tutti. E dobbiamo rendere conto collettivamente di una risposta europea efficace ed unita. Questo strumento di debito comune dovrà essere di dimensioni sufficienti e a lunga scadenza, per essere pienamente efficace e per evitare rischi di rifinanziamento ora come nel futuro.

I fondi raccolti saranno destinati a finanziare, in tutti gli Stati Membri, i necessari investimenti nei sistemi sanitari e le politiche temporanee volte a proteggere le nostre economie e il nostro modello sociale.

Con lo stesso spirito di efficienza e solidarietà, potremo esplorare altri strumenti all’interno del bilancio UE, come un fondo specifico per spese legate alla lotta al Coronavirus, almeno per gli anni 2020 e 2021, al di là di quelli già annunciati dalla Commissione.

Dando un chiaro messaggio di voler affrontare tutti assieme questo shock unico, rafforzeremmo l’Unione Economica e Monetaria e, soprattutto, invieremmo un fortissimo segnale ai nostri cittadini circa la cooperazione determinata e risoluta con la quale l’Unione Europea è impegnata a fornire una risposta efficace ed unitaria.

Abbiamo inoltre bisogno di preparare assieme “il giorno dopo” e riflettere sul modo in cui organizziamo le nostre economie attraverso i nostri confini, le catene di valore globale, i settori strategici, i sistemi sanitari, gli investimenti comuni e i progetti europei.

Se vogliamo che l’Europa di domani sia all’altezza delle sue storiche aspirazioni, dobbiamo agire oggi e preparare il nostro futuro comune. Apriamo pertanto il dibattito ora e andiamo avanti, senza esitazione.

Firmato da:

Sophie Wilmès, Primo Ministro del Belgio
Emmanuel Macron, Presidente della Repubblica francese
Kyriakos Mitsotakis, Primo Ministro della Grecia
Leo Varadkar, Primo Ministro di Irlanda
Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio dei Ministri italiano
Xavier Bettel, Primo Ministro del Lussemburgo
António Costa, Primo Ministro del Portogallo
Janez Janša , Primo Ministro della Slovenia
Pedro Sánchez, Primo Ministro della Spagna


https://www.facebook.com/GiuseppeConte64/photos/a.389411158207522/880923039056329/?type=3&theater

L’inchiesta: "Lombardia contro Covid-19: i dieci errori della Regione". - Davide Milosa e Maddalena Oliva

Lombardia contro Covid-19: i dieci errori della Regione

Incapacità – Hanno sottovalutato il rischio Perso oltre un mese per contenere il virus: le prime riunioni già a inizio febbraio, ma nessuno si muove.

Se ci fosse un titolo, sarebbe “sottovalutazioni del rischio e incapacità organizzativa”. Il film del contagio in Lombardia mostra molti errori e responsabilità precise. Cominciamo.
1. Gli incontri a Roma.
È inizio febbraio. Il virus, arrivato dalla Germania, gira nella zona di Codogno da almeno dieci giorni. A Roma, nella sede dell’Istituto superiore di sanità, il presidente Silvio Brusaferro illustra ai vari esperti regionali i rischi del nuovo Covid-19, già da settimane in Cina. A questi vertici partecipa anche il professor Antonio Pesenti, direttore del Dipartimento di anestesia-rianimazione del Policlinico di Milano, oggi a capo dell’Unità di crisi in Regione. “Prima dell’inizio dell’emergenza – spiega – abbiamo avuto tre incontri. Ogni mercoledì a Roma ci venivano illustrate le previsioni di sviluppo del virus e, fin da subito, è stato posto il problema delle terapie intensive. Era evidente che in una condizione di R con 0 superiore a 1,5 la rianimazione sarebbe andata sotto stress”. Tra il 16 e il 17 febbraio c’è un altro incontro per capire quale strumentazione acquistare. Tre giorni dopo arriva la piena. Sembra cogliere tutti impreparati, ma le evidenze erano già sotto gli occhi da giorni. L’Unità di crisi di Regione Lombardia si è addirittura riunita il 9 gennaio per la prima volta. Cosa si decide? Fino al 20 febbraio ben poco.
2. Prevenzione inesistente.
Manca un piano pandemico regionale: sul sito, l’ultimo disponibile è quello contro il virus N1H1. Data: 2009.
3. Ospedalizzazione di massa.
Quando scoppia il “caso Mattia”, la battaglia è già impari. Il virus è ovunque in Lombardia. Le terapie intensive vengono invase e, nonostante se ne fosse parlato a livello centrale già tre settimane prima, la Regione punta sugli ospedali. “È stato un disperato inseguimento all’ospedalizzazione, ma le epidemie non si vincono negli ospedali: quando arrivano lì sono già perse”, spiega una fonte molto qualificata. Con la logica dei più ricoveri possibili, dimenticando la medicina sul territorio, gli ospedali sono andati in collasso.
4. Ospedali veicoli di contagio “accidentale”.
La scelta della Regione ha trasformato i presidi sanitari in vettori per la diffusione del virus anche tra gli operatori. Tanto che la percentuale degli infetti tra i medici in Lombardia è la più alta (13%, a livello nazionale è il 9%). I casi degli ospedali di Codogno e di Alzano Lombardo (Bergamo) – chiuso dopo i primi casi e poi inspiegabilmente riaperto – hanno dimostrato che, nonostante le buone prassi di medici e infermieri, il virus ha viaggiato dal pronto soccorso ai reparti. E rischia di farlo ancora oggi, con il ricovero dei convalescenti nelle Rsa. “Poichè negli ospedali bisogna liberare posti letto, i pazienti Covid convalescenti – spiega Marco Agazzi, presidente Snami-medici di famiglia di Bergamo – vengono mandati in queste strutture col rischio che diventino dei focolai. Ma non sappiamo se questi pazienti abbiano ancora una carica virale. Ora siamo in guerra e combattiamo, ma quando sarà finita ci sarà la resa dei conti. E porteremo i nostri amministratori in tribunale”.
5. Mancate zone rosse.
Nei primi giorni di crisi il Basso Lodigiano diventa zona rossa. Il “modello Codogno” funziona. La Regione però tergiversa sul focolaio della bassa Valseriana, dove i casi sono ormai esplosi. “È evidente – spiega il professor Massimo Galli dell’ospedale Sacco – che la chiusura di Nembro e Alzano avrebbe ridotto la diffusione”. Qui non nascerà mai una zona rossa, così come nel Bresciano. Risultato: le due province contano oggi il record dei positivi (quasi 14mila su 32.346). “Abbiamo voluto difendere il Paese dei balocchi e l’economia anche di fronte alla morte”, ha detto il prof. Andrea Crisanti, virologo del “modello Vo’”.
6. I medici inascoltati.
Un medico di Bergamo – lo ha raccontato il Wall Street Journal – il 22 febbraio ha provato a farsi ascoltare, mandando una lettera in Regione per consigliare la costituzione di strutture Covid dedicate. La Regione rispedirà al mittente la proposta, salvo ripensarci giorni dopo. Un gruppo di medici sempre di Bergamo scrive al New England Journal of Medicine: “Questo disastro poteva essere evitato con un massiccio spiegamento di servizi alla comunità, sul territorio”. Cosa che non è stata fatta. Non si è investito sull’organizzazione degli interventi del territorio, esponendo i medici di base al contagio e puntando solo sull’ospedalizzazione. Solo oggi, la Regione inverte la marcia, incrementando i presidi sul territorio per tracciare gli asintomatici e tenere sotto controllo i malati domiciliari. Ma cos’hanno fatto le Aziende territoriali sanitarie finora?
7. Nessuna sorveglianza epidemiologica.
Non c’è stata, fino a ora, nessuna mappatura epidemiologica, attraverso la ricostruzione dei contatti dei positivi. Anche per colpa dell’Iss, che non è stato in grado di dare indicazioni precise su questo come sui target dei tamponi. Si è scelto di guardare solo ai sintomatici, perdendo almeno altre 30mila persone contagiate sommerse.
8. Tamponi ai sanitari.
Tra i target sfuggiti c’è la categoria più esposta: il personale sanitario. Spiega Stefano Magnone, medico a Bergamo e segretario regionale dell’Anaao: “All’inizio i tamponi venivano fatti anche al personale asintomatico. Molti erano negativi e il problema è stato sottovalutato. Adesso si mandano al lavoro medici con febbre non superiore a 37,5 e senza nemmeno fare loro il tampone. Forse perché si teme che i positivi siano così tanti, da sguarnire ulteriormente di personale i presidi ospedalieri”.
9. Personale non sufficiente.
Dicono i medici in trincea: se tu Regione mi fai aumentare i posti letti in terapia intensiva, ma il personale resta sempre lo stesso, allora mi uccidi. Se non di virus, di fatica.
10. La vocazione al privato.
Il “peccato originale” del modello Lombardia. Una galassia, quella del privato accreditato che, tranne alcune eccezioni, non sembra aver risposto a questa emergenza.

mercoledì 25 marzo 2020

L’economia – Conte, Macron e altri 7 leader Ue chiedono i coronabond. Berlino: “Nostra idea non cambia. Sì al Mes con le regole in vigore”. Centeno: “Entro il 5 aprile dettagli su come usarlo”.

L’economia – Conte, Macron e altri 7 leader Ue chiedono i coronabond. Berlino: “Nostra idea non cambia. Sì al Mes con le regole in vigore”. Centeno: “Entro il 5 aprile dettagli su come usarlo”

Lettera congiunta di nove capi di Stato in vista del vertice di domani. Ci sono anche Spagna, Belgio, Portogallo e Irlanda. Ma il governo tedesco frena. Le borse Ue, che avevano aperto positive, cambiano rotta. Lo spread tra Btp e Bund resta a 187 punti. La fiducia delle aziende tedesche ai minimi dal 2009.
Dopo averlo ufficialmente proposto allo scorso vertice dei capi di Stato, rendendolo pubblico con un’intervista al Financial Times, il premier Giuseppe Conte rilancia l’idea dei “coronabond“. E il fronte dei favorevoli, che già comprendeva la Francia e la Spagna oltre alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, si allarga. Sono infatti nove i leader che hanno firmato una lettera congiunta indirizzata al presidente del Consiglio d’Europa Charles Michel (Leggila qui) in cui – in vista della nuova videoconferenza in agenda domani – chiedono il varo di uno “strumento di debito comune emesso da una Istituzione dell’Ue per raccogliere risorse sul mercato sulle stesse basi e a beneficio di tutti gli Stati Membri”. Oltre alle firme di Conte e del presidente francese Emmanuel Macron, ci sono quelle dei capi di Stato di Francia, Portogallo, Slovenia, Grecia, Irlanda, Belgio e Lussemburgo. Ma Berlino continua a fare muro contro l’ipotesi di un’emissione di bond con rischi condivisi. “Sugli eurobond l’idea del governo tedesco e della cancelliera non è cambiata: anche in tempi di crisi è ancora necessario che controllo e garanzia restino nella stessa mano”, ha detto il portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert.
La pandemia è “uno shock senza precedenti”, scrivono i leader Ue. Per questo, “abbiamo bisogno di intraprendere azioni straordinarie che limitino i danni economici e ci preparino a compiere i passi successivi. Questa crisi globale richiede una risposta coordinata a livello europeo”. Per i leader è necessario attivare “tutti i comuni strumenti fiscali a sostegno degli sforzi nazionali”, in particolare “lavorare su uno strumento di debito comune emesso da una Istituzione dell’Ue per raccogliere risorse sul mercato sulle stesse basi e a beneficio di tutti gli Stati Membri, garantendo in questo modo il finanziamento stabile e a lungo termine delle politiche utili a contrastare i danni causati da questa pandemia”, si legge ancora nella lettera. “Questo strumento di debito comune dovrà essere di dimensioni sufficienti e a lunga scadenza, per essere pienamente efficace e per evitare rischi di rifinanziamento ora come nel futuro”.
Berlino dal canto suo ritiene che si stia mettendo in piedi “già una considerevole serie di misure per contrastare gli effetti economici del Coronavirus” a livello europeo. “Anche l’enorme pacchetto in via di approvazione al Bundestag darà degli effetti anche per gli altri Stati europei”, ha rimarcato, rimandando poi all’efficacia del Mes. Anche sul fondo salva Stati non sono mancate puntualizzazioni riguardo ai contenuti della lettera inviata dal presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno ai capi di Stato e di governo: “Il governo tedesco ritiene che il Mes possa essere uno strumento utile, se fosse necessario, per elargire sostegno veloce agli Stati, con le regole in vigore“, ha rimarcato Seibert.
Centeno, nella sua missiva, scrive che c’è “ampio sostegno” a un ‘Pandemic Crisis Support’ nell’ambito del Mes attraverso le linee di credito condizionali Eccl, “in un modo coerente con la natura esterna e simmetrica dello choc da Covid-19″. Il sostegno del fondo “sarà usato per i costi collegati all’epidemia, sanitari ed economici. Nel lungo periodo, gli Stati dovranno assicurare un percorso sostenibile“. “Propongo di sviluppare le necessarie specificazioni tecniche prima della fine della settimana prossima“, è la conclusione.
Con l’elevarsi della tensione tra le cancellerie hanno girato di nuovo in territorio negativo le Borse europee, che avevano aperto in forte rialzo spinte dal rally di Wall Street che ha segnato il maggior rialzo dal 1933 e dall’intesa trovata negli Usa sul pacchetto di misure da 2mila miliardi di dollari per l’economia americana. Il cambio di segno si è registrato dopo le 12, anche sull’onda dell’emotività scatenata dal contagio del principe Carlo. Lo spread tra Btp e Bund, che aveva aperto a 187 punti con il rendimento del decennale italiano all’1,54%, rimane quasi invariato.
Intanto dal mondo delle imprese arrivano pessimi segnali. La fiducia delle aziende tedesche è crollata ai minimi dal 2009, ossia dai tempi della crisi finanziaria globale, dopo le chiusure di aziende e attività per rallentare la diffusione del virus. L’indice Ifo, che misura la fiducia delle imprese in Germania, è sceso a 86,1 a marzo da 96 di febbraio. “L’economia tedesca è sotto shock”, commenta il presidente dell’Ifo Clemens Fuest prevedendo un calo della produzione totale tra l’1,5% e il 6% quest’anno a seconda della durata delle restrizioni.

Lettera di Conte e di altri 8 leader Ue
per chiedere i Coronabond contro la crisi

Il premier Giuseppe Conte © EPA

La lettera, in vista del vertice europeo di domani, è firmata da Spagna, Francia, Portogallo, Slovenia, Grecia, Irlanda, Belgio, Lussemburgo e Italia.

Nove leader europei, tra i quali il premier Giuseppe Conte e il presidente francese Emmanuel Macron, hanno firmato una lettera congiunta per chiedere, in vista del vertice europeo di domani, la creazione dei 'Coronabond' per fronteggiare la crisi economica dovuta alla pandemia. La lettera è firmata da Spagna, Francia, Portogallo, Slovenia, Grecia, Irlanda, Belgio, Lussemburgo e Italia. Lo conferma Palazzo Chigi.
"Dobbiamo riconoscere - scrivono i leader - la gravità della situazione e la necessità di un'ulteriore reazione per rafforzare le nostre economie oggi, al fine di metterle nelle migliori condizioni per una rapida ripartenza domani. Questo richiede l'attivazione di tutti i comuni strumenti fiscali a sostegno degli sforzi nazionali e a garanzia della solidarietà finanziaria, specialmente nell'Eurozona. In particolare, dobbiamo lavorare su uno strumento di debito comune emesso da una Istituzione dell'Ue per raccogliere risorse sul mercato sulle stesse basi e a beneficio di tutti gli Stati Membri, garantendo in questo modo il finanziamento stabile e a lungo termine delle politiche utili a contrastare i danni causati da questa pandemia". Secondo i nove leader, "vi sono valide ragioni per sostenere tale strumento comune, poiché stiamo tutti affrontando uno shock simmetrico esogeno, di cui non è responsabile alcun Paese, ma le cui conseguenze negative gravano su tutti. E dobbiamo rendere conto collettivamente di una risposta europea efficace ed unita. Questo strumento di debito comune dovrà essere di dimensioni sufficienti e a lunga scadenza, per essere pienamente efficace e per evitare rischi di rifinanziamento ora come nel futuro".
   Per quanto riguarda le risorse da mettere in campo nella lettera si sottolinea che "i fondi raccolti saranno destinati a finanziare, in tutti gli Stati Membri, i necessari investimenti nei sistemi sanitari e le politiche temporanee volte a proteggere le nostre economie e il nostro modello sociale". Ma i leader suggeriscono anche che "con lo stesso spirito di efficienza e solidarietà, potremo esplorare altri strumenti all'interno del bilancio Ue, come un fondo specifico per spese legate alla lotta al Coronavirus, almeno per gli anni 2020 e 2021, al di là di quelli già annunciati dalla Commissione. Dando un chiaro messaggio di voler affrontare tutti assieme questo shock unico, rafforzeremmo l'Unione Economica e Monetaria e, soprattutto, invieremmo un fortissimo segnale ai nostri cittadini circa la cooperazione determinata e risoluta con la quale l'Unione Europea è impegnata a fornire una risposta efficace ed unitaria".
La presidente della Bce Christine Lagarde, nella videoconferenza dell'Eurogruppo di ieri, ha spinto i ministri a considerare la creazione di Coronabond sotto forma di 'una tantum', per aiutare l'economia della zona euro. Secondo quanto si apprende da fonti Ue, per Lagarde l'utilizzo delle Enhanced Conditions Credit Line (ECCL) del Mes è solo un passo iniziale, mentre bisognerebbe esplorare ulteriormente i Coronabond, non a tempo indeterminato, ma legati soltanto a questa emergenza.

“De Angelis spaccia futili pettegolezzi per notizie serie”. - Andrea Scanzi



Scoperta la soluzione per uscire dalla pandemia: far sì che quel frescone di Giuseppe Conte telefoni al politologo nonché virologo nonché sex symbol Alessandro De Angelis, affinché quest’ultimo – forte del suo carisma da battipanni vilipeso – detti chiaramente all’inetto presidente del Consiglio cosa fare.
L’Italia ha una trave piantata ben dentro l’occhio, ma in tivù e sui giornali è tutto un cicaleccio stitico di retroscenisti (sic) che vomitano articolesse sulla pagliuzza. Tipo il De Angelis, uno che ogni volta che parla suscita sulla vile plebe tre reazioni inesorabili:
1) Oddio che palle;
2) Questo qua sembra uno di quelli che, quando hanno voglia di emozioni forti, sniffano il Wcnet;
3) Oddio che palle.
Omino sbarazzino nonché assai rutilante, il De Angelis ama spacciare pettegolezzi irrilevanti per notizie irrinunciabili, attorno alle quali imbastisce interventi appassionanti come una cover dei Led Zeppelin eseguita da Sfera Ebbasta con la grattugia sulle gonadi. Il De Angelis non indovina un’analisi dall’età dei 6 anni, quando pare suonasse il banjo nella cover band aquilana dei Jackson 5, ma ciò non incrina minimamente la sua esilarante hybris. Lo scorso agosto andò avanti per giorni esigendo “elezioni subito”, idea che in effetti sarebbe risultata perfetta per Salvini e Meloni, ma che si sarebbe rivelata suicida per chi (come il De Angelis asserisce di se stesso) si definisce fiero avversario dei sovranisti.
Il De Angelis è così: politicamente miope e inconsciamente salviniano. Se si fosse votato a fine 2019, Salvini (in netto calo rispetto ad agosto) sarebbe ora a Palazzo Chigi. E la pandemia la gestirebbe lui: roba da scappare su Marte. Eppure, invece di cospargersi il capino teneramente implume di cenere, il De Angelis continua a scudisciare a prescindere il governo e (ancor più a prescindere) Conte.
Il De Angelis lo odia proprio, e anche questo è naturale: due anni fa lo trattava come un mezzo parvenu (mentre lui invece è Montanelli), e adesso che Conte è il politico più amato dagli italiani, non riesce proprio ad ammettere di avere sbagliato pure su di lui. Il De Angelis vede in Conte un trasformista alla Mastella e, nel suo agire, una continua quintessenza di inefficienza: me cojoni! Così, anche dopo il comunicato di sabato sera, il De Angelis non si è soffermato sulla trave (il contenuto del decreto), bensì sulla pagliuzza. Ovvero l’avere usato Facebook (e sticazzi?). L’essere andato in onda dopo cena e in ritardo (e sticazzi?). E il non avere fatto una conferenza stampa canonica (e sticazzi?). L’Italia combatte una battaglia campale, ma lui – pur di mitragliare a prescindere il governo – si preoccupa delle pieghe ipotetiche sulla tovaglia. Genio vero.
Sull’Huffington Post, di cui pare sia vicedirettore, il De Angelis ha tuonato: “La più grande limitazione della libertà nella storia della Repubblica affidata a un videoannuncio notturno, senza provvedimento e senza passaggio parlamentare”. Va però detto che il titolo del pezzo, pensato forse dopo essersi ammirato allo specchio, era “Sconcertante”: un’autorecensione che gli fa onore.
Altra perla del 19 marzo: “È ora di uscire dalla comunicazione da Grande Fratello”. Ovvero le stesse parole di Renzi, di cui del resto il De Angelis celebrò nel 2014 la smisurata grandezza in un libro clandestino e per nulla agiografico scritto con il noto antirenziano Mario Lavia. Più che un retroscenista, il De Angelis è una sorta di versione da discount di un mix giornalistico tra Fusani e Senaldi: il che, a ben pensarci, è francamente terribile.
Resisti per noi, magico De Angelis!

La nobile arte. - Marco Travaglio




La Lombardia era perfettamente in grado di tirar su un ospedalino da 300 posti alla Fiera di Milano senza scomodare Bertolaso dal Sudafrica. Ma ora che Mister Wolf, più che creare posti letto, ne ha occupato uno, gli auguro sinceramente di guarire presto: sulla salute non si scherza. Siccome sono in vena di buonismo, ringrazio pure Vittorio Feltri per l’editoriale di ieri su Libero che pare scritto da Crozza. Feltri assolve, nella destra italiana, alla funzione che svolgono – senza offesa – gli immigrati in Occidente: fa quei mestieri che gli altri non vogliono più fare. Cioè dice spudoratamente le verità che gli altri preferiscono tacere, nella destra come nella salvinistra, il cui problema principale non è il virus: è Conte. Feltri scrive al “grande leader”, “sempre apprezzato per l’attività di politico instancabile”, perché lo trova preoccupantemente “depresso” e “non ravviso in te segni di risveglio”, “hai perso verve, affermi cose di cui non sei convinto”, “ammosciato” come tutti “tranne Giuseppi” Conte, che invece appare “pimpante” e “ringalluzzito” dal Covid-19. Ohibò. E il nostro eroe che fa per mettere al tappeto il fellone intruso? Niente. Non reagisce, non spara o spara a salve. Affranto dalla popolarità bulgaro-cubana del premier e dal parallelo rammollimento del Cazzaro, Feltri si piazza a bordo ring e incita il suo pugile prediletto a menare come ai bei tempi: “Tu non puoi lasciargli delle praterie di consenso, devi frenarlo, almeno zittirlo”, possibilmente “abbatterlo”. E come? Un missile terra-aria? Un colpo di ruspa? Un’ascella di felpa usata? Un rutto al mojito? No, meglio: “Cavalca la paura della gente come sai fare tu”, “reagisci come al cospetto di una nave piena di africani clandestini” e “riconquisterai la tua posizione apicale”. Il fatto che, oltreché dal virus, la gente sia terrorizzata dal rischio che abbiamo corso di farlo gestire a Salvini non sfiora proprio Vittorione.
La scena ricorda l’episodio La nobile arte ne I mostri di Dino Risi: quello dei pugili suonati Enea Guarnacci (Tognazzi) e Artemio Antinori (Gassman) sulla spiaggia di Ladispoli. Artemio, il più rintronato, riconosce a stento Enea e ripete macchinalmente, lo sguardo perso nel vuoto: “E so’ contento”, “me fa piacere”, “vuoi magna’?”. E l’altro: “Ma lo sai che ti trovo proprio in forma? Guardi ancora le donne eh? Io non so come fai, non ti alleni e sei sempre il numero uno. Col fisico che c’hai, metti al tappeto chiunque quando vuoi!”. Alla fine Enea Feltri affida ad Artemio Salvini l’arma segreta per cavalcare meglio la paura della gente e tornare più bello e superbo che pria: “Sfoltire le galere” e sposare “l’amnistia”. Comunque vada, sarà un trionfo.

Çatalhöyük, Anatolia, Turchia.



Çatalhöyük (pronuncia turca [tʃaˈtaɫhœˌjyk] - spesso scritto Çatal Hüyük fuori dalla Turchia - da çatal, "forcella"[1] e höyük, "collina"[2]), è un importante centro abitato di epoca neolitica dell'Anatolia, nella provincia turca di Konya, ai margini meridionali della pianura[3].
Il sito (ricostruito lungo una sequenza di 18 livelli stratigrafici che vanno dal 7400 al 5700 a.C. ca.) occupa una superficie di 13,5 ettari, dei quali solo un 5% è stato indagato con scavi archeologici[4].
Il sito di Çatal höyük è stato scoperto alla fine degli anni cinquanta; l'archeologo inglese James Mellaart vi ha condotto campagne di scavi tra il 1961 ed il 1965. A partire dal 1993, ulteriori ricerche sono condotte da Ian Hodder[5].
Dal 2012 il sito neolitico di Çatal höyük, che si trova 60 chilometri a sud della città di Konya ed è visitabile dai turisti, è riconosciuto dall'Unesco come parte del "Patrimonio dell'umanità".
Il villaggio era costruito secondo una logica completamente diversa da quella moderna: le case erano monocellulari e addossate l'una all'altra; essendo poi di altezze diverse, ci si spostava passando da un tetto ad un altro e per molte case l'ingresso su quest'ultimo era l'unica apertura. La circolazione e gran parte delle attività domestiche avveniva dunque al livello delle terrazze. L'assenza di aperture verso l'esterno, nonché di porte a livello del terreno, difendeva la comunità dagli animali selvatici e da eventuali incursioni di popolazioni confinanti, anche se resta oscuro il livello di conflittualità tra le diverse comunità dell'epoca. L'unica via d'accesso all'intero complesso erano scale che potevano facilmente essere ritirate in caso di pericolo[6].
A Çatalhöyük ogni abitazione era divisa in due stanze. Quella più grande aveva al centro un focolare rotondo ed intorno dei sedili e delle piattaforme elevate per dormire; in un angolo c'era un forno per cuocere il pane. La stanza più piccola era una dispensa per conservare il cibo: tra una casa e l'altra c'erano dei cortili usati come stalle per capre e pecore. Circa un terzo delle case presenta stanze decorate e arredate apparentemente per scopi culturali: sulle pareti, infatti, sono state rinvenute pitture e sculture di argilla che raffigurano teste di animali (qualcosa di analogo ai bucrani) e divinità (specialmente femminili, legate al culto domestico della fertilità e della generazione)[7]. Queste abitazioni non vanno pensate come santuari: il culto è ancora solo domestico e dà conto di una "ossessione simbolica", quella di un aggregato di umani che vivono a stretto contatto con i propri morti e che ha da tempo istintivamente associato penetrazione sessuale e sepoltura dei semi per l'agricoltura[7].
Gli abitanti della città di Çatal höyük seppellivano i propri morti, divisi per sesso, sotto il letto.
Questi, prima di essere sistemati sotto i letti, venivano esposti all'aperto in attesa che gli avvoltoi procedessero ad una completa escarnazione, con lo stesso sistema usato ancora oggi in India ed in Iran, dove i cadaveri sono depositati nelle cosiddette torri del silenzio[8].
Fra i ritrovamenti relativi alla cultura materiale sono da segnalare l'abbondante produzione ceramica (via via lustrata chiara, poi scura, poi ingubbiata di rosso, ma non ancora dipinta, come poi accadrà nel neolitico anatolico[3]) e la raffinata industria litica, realizzata per il 90% in ossidiana, pietra vulcanica vetrosa di cui la regione è ricca e di cui è attestato un intenso commercio locale fin dall'epoca protostorica[9].
Lo schema economico di base è quello tipicamente agro-pastorale, ma si segnalano scelte ardite, quali quella di coltivare frumento invece che orzo e quella di allevare bovini invece che suini.[3]
La dea madre seduta, con accanto due leonesse: rinvenuta a Çatal höyük, è un reperto neolitico (6000-5500 a.C. ca.), oggi conservata al Museo della Civilizzazione Anatolica di Ankara.
Resti delle abitazioni.
Collana d'agata.
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Cortile rurale.
Co-mingled skeletons found buried under a platform in a house. This treatment is typical of how people buried their dead, though usually there were fewer skeletons than you see here. Often city dwellers would dig up skulls and rebury them in other houses. Archaeologists believe this ritual had spiritual and historical elements, and it was a way of remembering the past.
Morti seppelliti sotto i letti.