giovedì 18 giugno 2020

Canton Vicino. - Marco Travaglio

Cantone? Un delinquente". Il pm Ceglie, ex icona antimafia finita ...

Basta giochi di correnti e collusioni fra politica e magistratura, le toghe non devono soltanto essere indipendenti, ma anche sembrarlo. Detto, fatto. Memore degli alti moniti degli alti colli, il Csm volta pagina dopo lo scandalo Palamara e nomina a capo della Procura di Perugia – competente sui reati dei magistrati di Roma – un uomo che più lontano dalla politica non si può: Raffaele Cantone. Che non è omonimo del pm-prezzemolo-multiuso prediletto dal Pd, nominato capo dell’Autorità Nazionale Anticorruzione da Renzi, che poi accompagnò nella gita-spot alla Casa Bianca con cena chez Obama alla vigilia del referendum 2016, con altri testimonial come Sorrentino, Benigni e Bebe Vio: è proprio lui. Così ora rappresenterà l’accusa nel processo a Palamara e gestirà le indagini ancora aperte sullo scandalo Csm che coinvolge gli amici dell’amico Matteo: da Lotti a Ferri, che poco più di un anno fa tramavano con l’uomo nero di Unicost per piazzare fedelissimi in varie procure-chiave, fra cui proprio Roma e Perugia. Invano Davigo e Di Matteo han fatto notare al Csm l’inopportunità della nomina, votando con MI l’aggiunto di Salerno Luca Masini: i giochi erano già fatti, con un’inedita, spettacolare ammucchiata bipartisan pro Cantone di tutti i membri laici (dal Pd alla destra al M5S: wow!) e dei togati progressisti (Area), più l’astensione provvidenziale di Unicost su Palamara. Che purtroppo non è più al Csm con trojan incorporato, sennò sai quante ne avremmo sentite. Del resto bisognava affrettarsi: se la nomina fosse arrivata dopo la riforma del Csm annunciata da Bonafede, Cantone se la sarebbe scordata, visto che i magistrati reduci da incarichi “politici” fuori ruolo dovranno farsi due anni di purgatorio prima di accedere a incarichi direttivi. Invece Cantone, che ha lasciato l’Anac a fine anno per riaccomodarsi al Massimario, in meno di sei mesi diventa uno dei procuratori più importanti d’Italia. Per giunta a occuparsi di toghe indagate proprio per rapporti incestuosi con gli amici dell’Innominabile che lo aveva nominato all’Anac. Una palamarata 2.0 senza più Palamara.
Cantone è, naturalmente, una persona perbene e un buon magistrato (infatti Palamara&C. li aveva contro), anche se probabilmente arrugginito nell’arte delle indagini, abbandonate nel 2007. Ma è forse il più “politico”, il meno equidistante e il più equivicino dei magistrati, dunque il meno adatto a dirigere i pm di Perugia. Negli ultimi 10 anni è stato candidato (senza mai una smentita) a tutte le cariche esistenti sul territorio nazionale, escluse forse quelle a Miss Italia e a presentatore del Festival di Sanremo.
Nell’ordine: sindaco di Napoli e di Roma, governatore della Campania, presidente della Repubblica, presidente del Consiglio, ministro della Giustizia, dell’Interno e dei Trasporti (al posto di Lupi), persino presidente del Napoli Calcio e – Mara Maionchi dixit – “giudice di X-Factor”. Poi supercommissario qua e là, consulente, docente, membro di commissioni, task force, patti, tavoli e tavolini. A ogni scandalo targato Pd, da Mafia Capitale a Expo, dal Mose a Bancopoli, si mandava o si evocava San Raffaele come foglia di fico. E lui, uomo per tutti i gusti e le stagioni, non smentiva. Anzi, lasciava dire. Tanto quell’ente inutile che è l’Anac è tutto chiacchiere e distintivo. Sempre dalla parte giusta, (“Milano è la capitale morale, Roma invece è inquinata”) e persino sui processi per falso a Sala, sulla cui innocenza metteva la mano sul fuoco, mentre denunciava la Raggi per falso. Poi naturalmente Sala veniva condannato e la Raggi assolta. Dava una mano a quell’obbrobrio ostrogoto del Codice degli appalti, poi tuonava contro la burocrazia. Esaltava “l’esperienza fondamentale e coraggiosa di Antonello Montante e di Confindustria Sicilia” che “cacciano gli imprenditori collusi con la mafia”, poi Montante finiva dentro per collusione con la mafia.
Consulente del governo Monti, collaborava alla legge Severino, ma appena si applicò a De Luca disse che per lui la decadenza dopo la condanna in primo grado non valeva (anche se era già valsa per decine di amministratori). E se la presidente dell’Antimafia Rosy Bindi inseriva De Luca fra i candidati impresentabili in base alle sue imputazioni, com’era obbligata a fare per legge, lui urlava al “grave passo falso”. Quando il Pd salvava qualche ladrone forzista in Parlamento, lui trovava “doveroso che il Parlamento dissenta dai giudici”, manco fosse il quarto grado di giudizio. Le controriforme della giustizia renziane gli piacevano un sacco (persino il voto di scambio col buco e la boiata sulle ferie togate). Le riforme di Bonafede invece molto meno, perché sì vabbè il trojan, l’anticorruzione, il voto di scambio, la bloccaprescrizione, le manette agli evasori, però il problema è sempre “un altro”. Anche la trattativa Stato-mafia – malgrado le sentenze – non lo convince, perché dietro le stragi lui vede “una mano straniera: non ne ho le prove, è una sensazione”. La famosa trattativa mondo-mafia. L’estate scorsa l’Innominabile passò dal no ai 5Stelle al sì ai 5Stelle e propose un bel governo Cantone. Davigo l’avrebbe querelato. Canton Vicino tacque e lasciò dire. Come sempre. Hai visto mai.

mercoledì 17 giugno 2020

La ciliegina sulla torta. - Massimo Erbetti

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La ciliegina sulla torta è un modo, per lo più ironico, per dire che un'opera è completata.
E come la ciliegina completa la torta, Salvini, completa la sua opera di insensibilità mangiandone ben nove in meno di un minuto, mentre Luca Zaia, governatore del Veneto, sta spiegando, la grave situazione che si è verificata nell’ospedale veronese di Borgo Trento, dove i reparti di patologia neonatale e il punto nascita sono stati chiusi dopo la morte di tre neonati. Sembrerebbe che un batterio infatti abbia ucciso in un anno almeno tre bambini e ne abbia colpiti un’altra decina, di cui alcuni con gravi danni cerebrali.
E con questo gesto la "torta" è veramente al completo, come può un uomo essere così cinico da mettersi a mangiare una ciliegia dopo l'altra, mentre si parla di un dramma di queste proporzioni, non è dato sapere a noi comuni mortali.
Basterebbe una cosa del genere, in un paese normale per far dimettere un leader di un partito, ma siamo in Italia e ad alcuni soggetti tutto è concesso, anche di replicare con: "È surreale, se le stanno inventando tutte pur di fare polemiche. È proprio il caso di dirlo: siamo alla frutta"... Eh no caro Salvini, queste non sono sterili polemiche, le immagini parlano chiaro e se c'è qualcuno "alla frutta", sei proprio tu.


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Ci provano col dossieraggio. - Tommaso Merlo



Non riuscendo a stroncare il Movimento con le fake news ci provano col dossieraggio. Una tempistica perfetta. Stanno arrivando i soldi della ricostruzione e rivogliono il potere senza estranei tra i piedi. Nessuna novità. 
Il Movimento è sotto un attacco mediatico micidiale fin dalla sua fondazione e questo per il semplice motivo di essere estraneo alle lobby che comandano nel nostro paese, lobby che controllano i mezzi d’informazione e condizionano i vecchi partiti. 
Lobby che hanno schiavizzato la carta stampata e ucciso il vero giornalismo piegandolo ai loro interessi. Il tutto con la codarda complicità della categoria. Ma la potenza di fuoco contro il Movimento non ha finora sortito un granché. Ne ha ridotto i consensi, ne ha sporcato la reputazione, ma quegli scappati di casa sono ancor lì nei palazzi che contano.

Questo perché contrariamente a quanto pensavano lorsignori, quel progetto politico alieno si è dimostrato molto più solido di quanto sembrasse. Reggendo la prova del governo nazionale e realizzando rapidamente molte promesse. Esplosa la bomba del 4 marzo, le lobby speravano che un governo col Movimento non nascesse neanche. Ma si sa, le vie della politica italiana sono infinite ed ignorare del tutto il responso delle urne era troppo pericoloso. Le sinistre si sono ritirate subito schifate, mentre Salvini è stato al gioco dopo settimane di stallo. Il perché lo si è capito strada facendo. Per sfruttare il governo come palco per la sua campagna elettorale permanente e per fagocitare quel Movimento d’ingenui sprovveduti. Mossa che gli stava riuscendo. Il Movimento a lavorare, lui in giro a far comizi. Raddoppio dei consensi e lobby tutte schierate dalla sua parte. Al punto che dal Papeete Salvini si fionda all’incasso dei pieni poteri ma sbatte contro il palo. Sottovaluta la paura delle sinistre di estinguersi e quanto valga la loro parola soprattutto se in ballo ci sono delle poltrone. Parte il governo giallorosa tra incertezze e diffidenze. Il problema delle lobby è sempre lo stesso. Quegli estranei del Movimento tra i piedi. Il governo giallorosa è più pensante e lento. Affossarlo sembra un’impresa facile se non fosse per il sorgere di un grave imprevisto, Giuseppe Conte. Un premier che dopo aver schiaffeggiato Salvini in parlamento ed essersi meritato una seconda premiership, conquista la fiducia del paese. Non ci voleva. Conte dà spessore politico al governo. In casa come all’estero. Allo scoppio della pandemia le lobby si son sfregate le mani e si son date allo sciacallaggio. Gettando benzina sul fuoco del malcontento. Piantano zizzania. Tutto inutile. I cittadini si fidano di Conte e apprezzano come il governo affronta l’emergenza. Non ci voleva davvero. Le lobby cominciano a perdere la pazienza ma le fake news si rivelano armi spuntate. Tutta colpa di un giornalismo che schiavizzato dalle lobby ha perso ogni credibilità e quindi senso. Tutta colpa dei cittadini che si son stancati di venire manipolati e cercano di ragionare con la propria testa. Ma le lobby non demordono. Si preannuncia una crisi economia e sociale devastante. Evviva, un’altra grande opportunità. Le lobby spruzzano fango ma le fake news ormai sono armi spuntate. Si passa al dossieraggio. Una tempistica perfetta. Stanno arrivando i soldi della ricostruzione e rivogliono il potere senza estranei tra i piedi.

https://repubblicaeuropea.com/2020/06/17/ci-provano-col-dossieraggio/

Pure Renzi non fa una mazza. - GaetanoPedullà

MATTEO RENZI

Non può che esserci di mezzo un incantesimo, o chissà quale maledizione, per spiegare il disastro di ogni esternazione di Matteo Renzi. Prendiamo l’ultima: “il Reddito di cittadinanza educa i ragazzi a non fare una mazza”. Bene, neppure il tempo di finire questa raffinata analisi ed ecco che arrivano i nuovi numeri dell’Istat sulla povertà in Italia, relativi al periodo pre-Covid.
Per la prima volta da quattro anni, compreso quindi il periodo in cui proprio Renzi guidava il Governo, nel nostro Paese diminuiscono le persone in povertà assoluta, con una netta inversione di tendenza rispetto al passato. Nulla da festeggiare, perché ci sono ancora 4,6 milioni di cittadini che non hanno raggiunto la soglia minima di dignità economica, e la pandemia ha peggiorato la situazione, ma proprio grazie al Reddito di cittadinanza si è messa in sicurezza parte degli strati sociali più deboli, alternativamente ignorati o ingannati da una politica che prima dei 5 Stelle ha fatto sempre pochissimo per arginare le disuguaglianze.
Tant’è vero che persino adesso, pur facendo parte della stessa maggioranza che ha finanziato il Reddito di cittadinanza per quest’anno, Renzi pensa a tale strumento come a una paghetta per i giovani svogliati, e non come a un sostegno concreto a chi è ai margini, affinchè abbia una chanche per mettersi in gioco. Senza dimenticare le centinaia di migliaia di meno giovani che senza questo contributo morirebbero di fame o andrebbero ad allungare la fila dei suicidi. Mentre certi politici per aiutarli non fanno davvero una mazza.

L’asse Pd-Renzi per dare più soldi alle private. - Patrizia De Robertis

L’asse Pd-Renzi per dare più soldi alle private

Trecento milioni di euro subito per evitare che restino chiuse un terzo delle 12.564 scuole paritarie (religiose e non). Le famiglie hanno smesso di pagare le rette e si rischia che, con la crisi, a settembre non rinnovino l’iscrizione. Sarebbe in bilico il sistema scolastico di alcune Regioni, dove i servizi all’infanzia si fondano per lo più sul privato. Arrivano così, immancabili, il grido d’allarme e la conseguente richiesta di soldi da parte degli istituti privati e convenzionati che si andrebbero ad aggiungere ai circa 500 milioni di euro stanziati ogni anno, scatenando l’ennesima battaglia nella maggioranza giallorosa.
La spiegazione è nei numeri. Nel decreto Rilancio, all’esame della commissione Bilancio della Camera, sono stati già stanziati 65 milioni per le paritarie a compensazione del mancato versamento delle rette da parte delle famiglie per il servizio 0-6 anni. Poi c’è stata un’ulteriore erogazione da 70 milioni per coprire fino al liceo. In totale 135 milioni per 866.805 alunni (a fronte dei 7,5 milioni iscritti al pubblico) che però per gli istituti paritari non basterebbero “neanche a coprire la metà della retta di un mese” e a pagare gli stipendi a un settore che impiega circa 230 mila addetti tra docenti, personale tecnico e amministrativo. Laddove comunque nelle strutture che non hanno fatto didattica a distanza, i dipendenti hanno comunque percepito la cassa integrazione.
L’appello delle paritarie è stato nuovamente accolto dal Pd e dal deputato Iv Gabriele Toccafondi, che da ex sottosegretario al ministero dell’Istruzione ha sempre spinto per aumentarne i finanziamenti. Negli 8 emendamenti al dl Rilancio che hanno presentato, dem e renziani chiedono – con l’appoggio di tutto il centrodestra – una detrazioni sulle rette fino a 5.500 euro, un aumento di 130 milioni per i nidi e altri 140 milioni per sopperire ai mancati incassi delle rette. Ma M5S s’è detto pronto alle barricate. “Scegliere di finanziare con fondi aggiuntivi le paritarie significa sottrarre soldi alla scuola pubblica. Chi vuole anteporre altri interessi a quelli costituzionalmente garantiti non troverà il nostro sostegno”, ha spiegato il 5 Stelle Gianluca Vacca.
Una battaglia ideologica, che diventa di sistema se però gran parte delle strutture private oggi è chiamato sostituirsi alla scuola pubblica come nel caso degli asili nido, sopperendo alla mancanza di quelli comunali o statali. Rappresentano infatti il 49% delle strutture totali e il 70% di tutte le scuole paritarie. Sono 8.957 e vengono frequentate da 524mila bimbi da 0 a 3 anni. Anche questi istituti da settembre dicono che c’è il serio rischio che non riaprano. E per chi ce la farà, la prospettiva è di riempirsi di debiti. Mentre per le famiglie, da sempre fuori dalle graduatorie pubbliche, significa non sapere dove lasciare i figli piccolissimi e scegliere tra famiglia e lavoro. Secondo Save the Children, solo 1 bambino su 4 ha accesso al nido o ai servizi integrativi per l’infanzia, e, di questi, solo la metà frequenta un asilo pubblico. Un servizio pubblico che è quasi assente in Calabria (2,6%) e Campania (3,6%), a fronte delle più virtuose Valle d’Aosta (28%) o Emilia Romagna (26,6%). Ma anche i nidi che potrebbero ripartire da subito come centro estivo devono scontrarsi contro i protocolli di sicurezza che non sono stati ancora recepiti. Iniziative considerate sperimentali ci sono in Veneto e a Bolzano. “Nessuna delle nostre 30 strutture tra Lombardia, Toscana, Lazio e Campania è riuscita a riaprire”, spiega Domenico Crea di Crescere Insieme che gestisce decine di strutture in 4 Regioni. “Non si sa ancora quale sia il rapporto educatore-bambino. Potrebbe essere indicato un rapporto 1 a 3/4 tra operatori e bambini, rapporto consigliato ma non obbligatorio”, aggiunge. Nella realtà sono state date solo delle linee guida. Le Regioni devono recepirle e inoltrarle ai Comuni, che a loro volta hanno bisogno delle autorizzazioni dell’Asl. Così, dicono le associazioni, non riusciranno a resistere a lungo.

OSCAR FARINETTI E L’APOCALISSE “MA-TE-MA-TI-CA”. - Antonio Padellaro

Oscar Farinetti e l'apocalisse “ma-te-ma-ti-ca” – infosannio

Ogni volta che vedo in tv Oscar Farinetti, sempre così placido e conciliante, mi viene in mente quel vecchio Carosello con Ernesto Calindri che, seduto come al bar, in mezzo a un infernale ingorgo di auto, serenamente sorseggiava un famoso aperitivo “contro il logorio della vita moderna”. 
Così, l’altra sera, a Otto e mezzo, dopo che il professor Massimo Cacciari, con l’abituale leggerezza sturm und drang aveva predetto: “ci sveglieremo a settembre e sarà una tragedia”, abbiamo assistito, non senza sbigottimento, alla trasformazione in diretta dell’emolliente Oscar in un profetico Cacciari al cubo: “La crisi a settembre è ma-te-ma-ti-ca” (ogni sillaba, una fucilata). 

Nessuno intende prendere sottogamba le tensioni sociali innescate dal lungo lockdown, la disoccupazione incombente, la destra che soffia sul fuoco e le difficoltà nel trovare subito la montagna di soldi necessari (se va bene quelli promessi dall’Europa arriveranno nel 2021). Ma se davvero fossimo alla vigilia di un’esplosione incontenibile (e matematica) di rabbia, impossibile non chiedersi come mai nel dibattito degli Stati generali in corso a Roma, il tema dell’insurrezione non sia, urgentemente, all’ordine del giorno. Perché delle due l’una. O si tratta di un allarme condiviso dal governo e allora il premier Conte e la ministra dell’Interno Lamorgese ne dovrebbero dare conto alla pubblica opinione, illustrando le contromisure per evitare di ritrovarsi con le barricate per le strade, soprattutto al Sud. Se invece ci troviamo di fronte a un allarmismo ampiamente e artatamente esagerato dall’opposizione, a maggior ragione, i vertici delle istituzioni avrebbero il dovere di denunciarlo, in modo chiaro e forte. Esiste una terza ipotesi, contenuta nella celebre poesia Aspettando i barbari di Konstantinos Kavafis. Gli ultimi versi: “Si è fatta notte, e i barbari non sono più venuti. Taluni sono giunti dai confini, han detto che di barbari non ce ne sono più. E adesso senza i barbari, cosa sarà di noi? Era una soluzione quella gente”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/06/17/oscar-farinetti-e-lapocalisse-ma-te-ma-ti-ca/5837657/ 

Oggi le coliche. - Marco Travaglio


Fermo restando che certe cartacce buone per avvolgere il pesce, comunemente definite “quotidiani”, sono un po’ meno attendibili di Tiramolla, fa sempre un certo effetto constatare come chiunque sia libero di diffondere fake news a profusione nella beata indifferenza del cosiddetto Ordine dei giornalisti. L’altra sera, in una rassegna stampa, ho visto campeggiare su due cosiddette testate nazionali il mio nome cubitale con gigantografia, manco avessi sterminato un esercito. Ma ho dovuto attendere l’indomani per scoprire che avessi fatto di tanto grave per meritarmi cotanto rilievo: si trattava nientemeno che del finanziamento bancario di 2,5 milioni chiesto dalla nostra società Seif a Unicredit e ottenuto perché, con questi chiari di luna, c’è il rischio che chi ci deve dei soldi (distributori, edicole, concessionarie e investitori pubblicitari ecc.) ritardi i pagamenti e interrompa i flussi di cassa, fondamentali per un giornale che vive delle copie vendute. Un prestito puramente precauzionale per investimenti in immobilizzazioni, cui speriamo di non dover mai attingere, visto che le nostre vendite sono in aumento. Un prestito che la legge 662 del ’96 (24 anni fa, 13 anni prima che nascessimo) ha stabilito fosse garantito dal Medio Credito Centrale, se destinato a investimenti.
Sapete come ha titolato Libero, giornale di proprietà degli Angelucci che tutti noi paghiamo da 20 anni a botte di decine di milioni? “Sia benvenuto Travaglio tra gli assistiti di Stato. Pecunia non olet”. Firmato: Renato Farina che, non contento di prendere lo stipendio da noi, si faceva pure pagare il dopolavoro come “agente Betulla” nel Sismi di Pollari&Pompa. E non osiamo immaginare quali informazioni passasse, visto che non distingue un elefante da un paracarro: infatti s’è inventato un “aiuto di Stato” al Fatto, che si sarebbe “infilato fra i bisognosi strozzati dal Covid-19”, “ha approfittato del decreto sul Covid” e ora “infila la mano nelle tasche di Pantalone”. Per non essere da meno, quell’altra parodia di giornale visibile solo in tv, il Riformista dell’imputato Romeo e dell’impunito Sansonetti, ha titolato a tutta prima: “Regime: dal governo 2,5 milioni al ‘Fatto’ di Travaglio”. E giù scemenze e falsità sul finanziamento “garantito dal governo Conte… utilizzando uno degli ultimi decreti del governo, quelli che hanno come scopo il salvataggio delle nostre imprese colpite dal virus” perché “il Fatto, probabilmente potendo contare su una certa simpatia a Palazzo Chigi, è riuscito a intrufolarsi e a mettere in tasca i soldi”, dopo la nota “conquista della presidenza dell’Eni” e sempre in attesa di invadere la Polonia.
Intanto, sul web, altri noti peracottari come Nicola Porro, Littorio Feltri, Giuseppe Sottile e la fidanzata di un nostro ex passato a De Benedetti, nonché Lucia Annunziata su Rai3, il Giornale e il solito Dagospia, ripetevano la fake news confondendo una legge del ’96 col recente dl Liquidità e un normale finanziamento bancario (ricevuto in 24 anni da chissà quante centinaia di migliaia di aziende) con un aiuto di Stato, anzi del governo Conte: chi sproloquiando contro le nostre campagne su Radio Radicale (che non chiede prestiti alle banche: vive di soldi pubblici), chi azzardando paragoni con Fca (che, diversamente da noi, ha sede all’estero ma prende prestiti garantiti dallo Stato italiano, essa sì per il decreto Conte, dopo aver poppato fiumi di miliardi dalla pubblica mammella). Così la panzana ha fatto il giro delle fogne del web e l’unico quotidiano che non ha mai preso un euro dallo Stato è diventato un giornale finanziato dallo Stato. Anzi da Conte. Con questi signori ci vedremo in tribunale. Ma è stupefacente come neppure le precisazioni della nostra Ad Cinzia Monteverdi abbiano sortito rettifiche. Buon segno, comunque: i nostri record di crescita devono avere provocato coliche renali a parecchia gente.
A proposito di fake news. Si spera che una seria indagine accerti se il dossier pubblicato dal giornale della destra spagnola Abc sulla valigetta con 3,5 milioni di euro recapitata dal venezuelano Maduro a Casaleggio sr. nel 2010, otto mesi dopo la nascita dei 5 Stelle, sia autentico o – come fanno supporre alcuni errori marchiani – una patacca. Ma è interessante l’uso che ne han fatto i giornaloni e i loro siti (quelli sempre a caccia di fake news altrui). Tutti uniti su questa linea: forse il documento è falso, ma le simpatie del M5S per Caracas sono vere, dunque lo scandalo c’è comunque. Ora, è un po’ di tempo che il Venezuela elegge i suoi presidenti – prima il discutibile Chávez, poi il pessimo Maduro – senza chiedere il permesso agli Usa e ai loro leccapiedi sparsi per il mondo. Così due anni fa gli americani, non contenti dell’embargo che affama il Paese, patrocinarono il golpe del presidente dell’Assemblea nazionale Guaidó, poi fallito nel ridicolo. E tutti s’affrettarono a riconoscere il golpista contro il presidente legittimo, tranne il governo Conte (rimasto neutrale, grazie al M5S, ma sollecitando libere elezioni sotto controllo internazionale), quelli di Grecia, 
Bulgaria, Romania, Slovacchia, Irlanda, il Vaticano e, all’Europarlamento, M5S, sinistra Gue e Verdi. Nell’Italia alla rovescia dei nemici delle fake news che sparano fake news, mancava la comica (anzi la colica) finale: i tifosi del golpista che danno lezioni di democrazia a chi chiede libere elezioni.