Come era già avvenuto con il referendum del 4 dicembre 2016 conclusosi con la bocciatura della maxi-riforma della Costituzione prevista dalla legge Renzi-Boschi (61,29 per cento No contro il 38,71 Sì), anche il referendum del 20 e 21 settembre che propone di ridurre i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200 è contrassegnato da bordate polemiche, scambi di accuse tra i due schieramenti, discesa in campo di contrapposti, agguerriti comitati elettorali.
Ma a differenza di quanto avvenne nel 2016, allorché i sostenitori del No, durante e dopo l’iter parlamentare, rimasero compatti sulle loro posizioni, stavolta non pochi alfieri del No provengono dalle file di coloro che in Parlamento (e fuori) avevano detto Sì, compiendo una incredibile giravolta di cui Il Fatto (28 agosto) ha fornito ampia documentazione con nomi, cognomi e foto per i posteri.
Orbene, mentre l’opposizione di destra sarebbe favorevole al Sì (ma Berlusconi è per il No), nella maggioranza di governo, essendo scontato il Sì dei 5Stelle, promotori con FI della legge-ghigliottina, il Pd sembra orientato per il Sì come Iv, ma non si sa come voteranno quei parlamentari che nel frattempo hanno abbandonato i loro gruppi per aderire al Misto.
Referendum “all’italiana” si dirà: referendum dell’incoerenza e degli spiriti ondivaghi che si barcamenano tra i Sì e i No a seconda delle convenienze elettorali. È lo stesso fenomeno che si riproduce in Parlamento con i “voltagabbana” e che non deve stupire più di tanto essendo un derivato del trasformismo nazionale giunto dalla fine dell’800 (Depretis) ai giorni nostri, ma già nel 1844 il poeta toscano Giuseppe Giusti nel Brindisi di Girella, ricordando il Signor di Talleyrand, principe dei Voltagabbana, declamava: “Viva Arlecchino e i burattini grossi e piccini, viva le maschere d’ogni Paese…”. (Per Openpolis dall’inizio della Legislatura hanno lasciato i gruppi di origine 15 senatori e 21 deputati 5S; 17 senatori e 38 deputati Pd; 17 senatori e 54 deputati FI).
Tornando al quesito referendario va sottolineato che gli strali dei No si appuntano soprattutto sulla drastica recisione dei numeri in entrambi i rami del Parlamento. Si afferma infatti in un documento di 183 costituzionalisti che la riduzione del numero dei parlamentari “avrebbe un impatto notevole sulla forma di Stato (Repubblica parlamentare, ndr) e di governo (esecutivo con la fiducia delle Camere, ndr) in quanto il taglio lineare incide sulla rappresentatività delle Camere e crea problemi di funzionamento dell’apparato statale”. Ma si tratta di un’obiezione priva di fondamento, poiché la rappresentatività si basa non tanto sui numeri, ma sulla qualità dei rappresentanti politici nonché sulla loro competenza e capacità di perseguire, mediante le leggi, gli interessi generali della collettività, contribuendo a realizzare nelle istituzioni gli obbiettivi indicati dalla Costituzione.
Costantino Mortati, uno dei Padri costituenti, già nel 1991 aveva sostenuto che il numero di 630 deputati fosse ingente, auspicandone la riduzione, e Gustavo Zagrebelsky ricorda che “il Parlamento, fino alla riforma costituzionale del 1963, era meno numeroso (la Camera dei deputati nella 1° Legislatura del 1948-53 era di 572) e ciò non ha mai fatto lamentare difficoltà nell’esercizio delle funzioni parlamentari… mentre va preso atto dell’assenteismo, dell’incompetenza, dell’anonimato, dell’irrilevanza di molti. Prende perciò corpo l’idea di diminuire i numeri degli oziosi valorizzando gli operosi”. Argomenti condivisi da altri autorevoli giuristi quali De Siervo, Clementi, Politi Di Suni, Zaccaria, Carlassare, Nicotra, Morrone, il quale ha notato che assemblee pletoriche si ritrovano solo in dittature come Cina, Corea del Nord ed ex Urss.
È importante rilevare infine che nell’Assemblea costituente prevalse la proposta che il numero dei componenti delle Camere dovesse essere indicato non in termini rigidi ma in rapporto all’entità della popolazione (Res. II S.C. p. 187 ss.) e l’onorevole Togliatti osservò che “una cifra troppo alta distacca troppo l’eletto dall’elettore con cui egli, in qualche modo, deve comunicare con rapporti personali e diretti” (Res. cit. pag. 437)*.
* “Meno siamo e meglio stiamo, che bisogno c’è di stare in tanti?”
(Renzo Arbore – Orchestra Italiana)