Un articolo pubblicato su ApJL offre per la prima volta una descrizione completa del meccanismo di espulsione di materia guidata dal campo magnetico nella fase tra il merging e il collasso a buco nero dell’oggetto risultante. Ottenuta grazie a una simulazione di durata record, la descrizione è in grado di spiegare la cosiddetta “componente blu” della kilonova poi osservata. Media Inaf ha intervistato il primo autore dello studio, Riccardo Ciolfi dell’Inaf di Padova.
Avete presente la prima storica fusione fra due stelle di neutroni, osservata il 17 agosto 2017 da telescopi a terra e nello spazio e, contemporaneamente, dagli interferometri per onde gravitazionali Ligo e Virgo? Subito dopo la fusione vennero prodotti un lampo di raggi gamma “corto” e una kilonova. Esattamente come previsto dai modelli, si disse all’epoca. In realtà, analizzando con calma i dati, gli astrofisici hanno in seguito individuato alcuni aspetti che i modelli non riescono a spiegare. Per esempio, restano incerti i meccanismi fisici che hanno portato all’espulsione del materiale all’origine della kilonova. In particolare, a essere complessa e controversa è la spiegazione della cosiddetta “componente blu” della kilonova: quella emersa per prima, nell’arco di un giorno dalla fusione, osservata nelle bande blu e ultravioletta e associata a una quantità di materiale pari a circa 0.02 masse solari espulso a una velocità elevatissima, attorno al 20-30 per cento della velocità della luce.
Ora uno studio firmato da Riccardo Ciolfi dell’Inaf di Padova e dallo studente di dottorato Jay Vijay Kalinani dell’Università di Padova, pubblicato il 10 settembre scorso su The Astrophysical Journal Letters, offre la prima descrizione completa di un potente meccanismo di espulsione di materiale guidato dal campo magnetico, attivo nella fase tra la fusione delle due stelle di neutroni e l’inevitabile collasso a buco nero dell’oggetto risultante. Ed è un meccanismo in grado di espellere la quantità di materiale ad alta velocità necessaria a spiegare la kilonova “blu”. Per arrivare a questo risultato, Ciolfi e Kalinani hanno realizzato quella che è, a oggi, la più lunga simulazione di coalescenza di stelle di neutroni in presenza di campi magnetici. Una simulazione in grado di coprire il primo fondamentale quarto di secondo di evoluzione dopo la fusione.
Ciolfi, cos’è accaduto in quel quarto di secondo? Provi a spiegarcelo come se fosse la telecronaca di una partita. Il fischio d’inizio è l’istante zero, quello in cui i nuclei delle due stelle di neutroni si sono fusi in unico oggetto. Poi?
«Nei primi 50 millisecondi, la forte rotazione differenziale della stella di neutroni massiva – quella prodotta dalla fusione – amplifica il campo magnetico fino al punto in cui quest’ultimo ha un effetto diretto sulla dinamica del sistema».
Cioè?
«Se prima il campo magnetico era passivo, si limitava a essere trascinato e gradualmente amplificato dalla rotazione, a partire dai 50 millisecondi partecipa attivamente all’evoluzione e l’energia magnetica non cresce più. Nei 50 ms successivi, dunque fino a circa 100 ms dalla fusione, il campo magnetico è abbastanza forte da indurre una lenta e continua espulsione di materiale dagli strati più esterni della stella di neutroni. Poiché fino a questo momento la geometria del campo magnetico è ancora relativamente disordinata, il materiale viene espulso in modo quasi isotropo: una densa nuvola di materiale in lenta espansione circonda quindi la stella di neutroni».
Ed è passato il primo decimo di secondo… A questo punto che succede?
«Da circa 100 a 250 millisecondi, il campo magnetico, per l’effetto del continuo twisting dovuto alla rotazione differenziale nel core della stella di neutroni, acquisisce gradualmente una forma elicoidale lungo l’asse di rotazione. Nel frattempo, gradienti radiali di pressione magnetica spingono e accelerano ulteriormente lungo l’asse il materiale strappato alla gravità della stella. Questo risulta in una crescente espulsione di materiale nella regione polare [vedi figura in apertura, ndr], con aumento sia della massa espulsa che della velocità di espansione del materiale stesso».
Ormai siamo in zona Cesarini…
«Sì, a questo punto – attorno ai 250 ms dopo la fusione – la rotazione differenziale nel nucleo della stella di neutroni, vero motore di tutto ciò che è accaduto finora, è praticamente consumata e la spinta tende gradualmente a cessare. Questo implica che anche il materiale espulso emerge, per il 90 per cento, nell’intervallo tra i 50 e i 200 ms dopo la fusione. Ma non tutto il materiale espulso avrà la velocità necessaria ad allontanarsi all’infinito. La porzione che sfugge potrà poi contribuire a dare origine al fenomeno noto come kilonova, mentre un’altra parte resterà legata alla gravità della stella, e sarà quindi destinata a ricadere su di essa. A questo riguardo, il fatto che il campo magnetico, una volta sviluppata la forte spinta lungo l’asse, sia in grado di impartire un’accelerazione aggiuntiva al materiale fa tutta la differenza».
Riccardo Ciolfi, ricercatore all’Inaf di Padova
Perché?
«Perché la quantità – dunque la massa – e la velocità del materiale che riuscirà ad arrivare ad infinito aumentano sensibilmente rispetto al caso in cui il campo magnetico non è presente, raggiungendo i livelli richiesti per spiegare la kilonova “blu” osservata nell’agosto 2017».
Ecco, a proposito del “colore” della kilonova: nel vostro studio leggo che distinguete fra una componente rossa ad alta opacità e una blu a bassa opacità. Cosa sono queste componenti?
«L’opacità del materiale indica quanto la radiazione al suo interno trova resistenza nel diffondersi, e dipende dal tipo di elementi in esso sintetizzati. Se le condizioni di alta temperatura e densità di neutroni – condizioni che dipendono dalla cosiddetta “frazione elettronica”, vale a dire dal rapporto fra elettroni e barioni – sono tali da spingere la catena di reazioni nucleari r-process abbastanza avanti da formare gli elementi più pesanti (tipo oro e platino, ma anche e soprattutto il gruppo dei lantanidi), allora quel materiale avrà un’alta opacità, causata proprio da questi elementi. E un’alta opacità implica che la radiazione emerge più tardi, circa una settimana dopo, e appare più “rossa” (in realtà, arriva addirittura nell’infrarosso). In questo caso si parla di componente “rossa” della kilonova. Se, al contrario, la frazione elettronica non consente la formazione degli elementi più pesanti, l’opacità del materiale resterà relativamente bassa. In questo caso il segnale emergerà prima, circa un giorno dopo la fusione, e apparirà più spostata verso il blu e l’ultravioletto. In questo caso si parla di componente “blu” della kilonova».
La kilonova da voi studiata, quella dell’agosto 2017, era rossa o blu?
«Nel caso della kilonova associata all’evento Gw 170817 si vedono sia una componente blu che una componente rossa. Quella blu è difficile da spiegare, perché richiede un meccanismo in grado di espellere materiale in quantità e velocità entrambe piuttosto elevate. Ebbene, il meccanismo che mostriamo noi, basato sulla spinta del campo magnetico, è in grado di farlo. Dunque si tratta di un meccanismo molto promettente per risolvere il puzzle».
https://www.media.inaf.it/2020/09/23/campo-magnetico-kilonova/?fbclid=IwAR32uNbTqQO6mxocTfmNsMgwuFzrBWJPKFxyTE67miIfISFolagw0rJH560