Mafiosi e criminali di ogni risma vengono invitati in televisione di continuo. Il presidente dell’antimafia grillino viene lasciato fuori dalla porta della televisione pubblica. I mafiosi vengono candidati e quando finiscono in galera ormai non fanno nemmeno più notizia. Al presidente dell’antimafia grillino basta una gaffe per venire massacrato come persona umanamente e politicamente indegna a reti unificate. La reazione del vecchio regime partitocratico contro Morra è stata davvero impressionante. Le sfortunate frasi sulla defunta governatrice calabrese potevano generare malintesi e andavano evitate. Il resto del discorso di Morra invece è vecchio come il mondo. I cittadini hanno il governo che si meritano. Non puoi votare per decenni le stesse classi dirigenti colluse e predatorie e poi lagnarti che non hai neanche uno ospedale decente in cui curarti. Ancora più grave se li voti per un pacco di pasta o per conformismo e menefreghismo. Ma vogliono la testa di Morra o meglio quella del governo ed ogni scusa è buona. Vedremo se la macchina del fango riuscirà ad avere la meglio. Ormai siamo oltre le fake news, siamo alla realtà parallela. Una deriva piccolissima per la democrazia e non certo solo nel nostro piccolo. Negli Stati Uniti le infermiere raccontano che molti pazienti muoiono arrabbiati e negando il virus fino all’ultimo respiro. Questo mentre alla Casa Bianca Trump nega arrabbiato la sua sconfitta fino all’ultimo giorno. Non fake news. Realtà parallela. Stesso andazzo nel nostro piccolo. Soprattutto dalle parti sovraniste. L’odio sociale cavalcato dal sovranismo li ha trascinati oltre la propaganda tradizionale. Fino a fargli sposare il complottismo strisciante. Non più manipolazione puntuale dei fatti per tornaconto politico, ma costruzione di una realtà parallela di convenienza. Emblematica la sceneggiata dell’avvocato di Trump Rudy Giuliani che ha farneticato di complotti assurdi e ridicoli mentre gli colava la tinta dei capelli sulla faccia. Il complottismo da bar è arrivato fino alla Casa Bianca passando per tutta la giungla sovranista occidentale. Realtà parallele che la rete sparge capillarmente portando milioni di persone a vivere in una bolla di menzogne. Milioni di repubblicani sono certi di brogli anche se non è emersa nessuna prova. Vivranno i prossimi anni convinti di essere stati truffati. Un danno enorme per la loro convivenza civile e per la loro democrazia. Stesso andazzo nel nostro piccolo. Coi media tradizionali impotenti perché a furia di giocherellare con le fake news han perso credibilità. Con le istituzioni impotenti perché il sovranista crede solo a quello che predica il suo sovrano. Nel nostro piccolo a Morra sono bastate delle frasi infelici ed evitabili per essere trattato peggio dei mafiosi. Questo quando il vecchio regime partitocratico con la malavita ci sguazza da sempre ed oggi pretende indignato la testa del presidente dell’antimafia grillino. Questo quando i cittadini votano la stessa malapolitica da decenni e poi piagnucolano quando non hanno neanche un ospedale decente in cui curarsi. Come se non si meritassero la politica che hanno sempre votato. Un concetto vecchio come il mondo. Ma imperversa l’odio sociale, ma imperversa il sovranismo complottista. Dal nostro piccolo bar fino alla Casa Bianca. Siamo oltre la propaganda tradizionale e le fake news. Siamo alla realtà parallela. Una deriva piccolissima per la democrazia.
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
domenica 22 novembre 2020
Incapaci di intendere e volere. - Massimo Erbetti
È vero, qualcuno ha offeso i calabresi e li ha offesi in modo indegno, reputandoli incapaci di intendere e volere e non è stato sicuramente Morra a farlo, ma chi si è stracciato le vesti per le sue parole…è offendere qualcuno dire: "...Se però ai calabresi questo è piaciuto, è la democrazia, ognuno dev’essere responsabile delle proprie scelte…."
Sapete cosa è offensivo? Cosa è veramente vergognoso? Far passare il messaggio che i calabresi non sappiano cosa votano, chi votano e perché lo votano…oppure i calabresi sono obbligati a votare certi soggetti? Perché se lo fossero veramente, la cosa sarebbe ancor più grave, ma grave veramente…in Calabria non c'è democrazia? In Calabria le persone votano, anzi più correttamente "sono costrette a votare" qualcuno in particolare?
L'autodeterminazione dei popoli, vale per tutti, ma non per i calabresi? Ci sono dubbi sulla veridicità delle elezioni calabresi? Perché chi dice che Morra offende fa passare questo messaggio.
Ognuno è responsabile delle proprie scelte…o lo sono tutti tranne i calabresi? Se io fossi calabrese, mi sentirei offeso, umiliato e denigrato, da chi afferma il contrario, significherebbe che non sono in grado di scegliere i miei rappresentanti…
C'è poi chi per portare avanti la tesi dell'incapacita di intendere e volere dei calabresi è andato dalle parole ai fatti ed è il caso di RAI 3, che ha pensato bene di non mandare in onda, l'intervista a Morra, motivandola cosi:
"Lo abbiamo invitato tre giorni fa, poi le sue parole hanno stravolto lo scenario. Parole offensive nei confronti della memoria di Jole Santelli e nei confronti dei calabresi"... Anche in questo caso, qualcuno si erge a paladino dei calabresi perché loro non hanno la capacità di farlo?
Ma non finisce qui :
"La direzione della Rai ha deciso che il senatore Nicola Morra questa sera non doveva essere qui"....la direzione ha deciso? La direzione? A quale titolo? Per quale assurdo potere? E potere conferito da chi?...Si chiama "servizio pubblico", non dittatura pubblica.
E poi l'apoteosi: "Sono molto in imbarazzo" afferma la conduttrice "ma probabilmente questa è la scelta giusta"...scelta giusta per chi? Per cosa?... Scelta giusta per i calabresi che non sono in grado di decidere qualcosa da soli, che non sanno cosa e chi votano…e hanno bisogno di un tutore? Di qualcuno che indirizzi le loro scelte?...Si è proprio vero qualcuno ha vergognosamente offeso i calabresi…ed è stato chi li ha fatti passare per un popolo incapace di intendere e volere.
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Tutti contro la Rai che caccia Morra (già in sala trucco). - Gianluca Roselli
Antimafia - Il presidente oscurato.
Alla fine la bomba deflagra tra i piedi di mamma Rai. E in particolare dell’ad Fabrizio Salini, che venerdì sera, insieme al direttore di rete Franco Di Mare, ha deciso di bloccare la partecipazione di Nicola Morra alla trasmissione Titolo V su Rai3. Morra era già arrivato nella sede Rai di Napoli, dove sarebbe dovuto essere ospite della puntata insieme a Jasmine Cristallo, Sergio Rizzo e il direttore del Mattino Federico Monga.
Era già in sala trucco quando è arrivato lo stop da Viale Mazzini. E a quel punto ha dovuto girare i tacchi e andarsene. “Ero già arrivato presso gli studi Rai di Napoli quando ho appreso dalla vicedirettrice di Rai3 che, per decisione della direzione di rete, veniva annullata la mia partecipazione al programma. Questo dovevo dirvi e questo vi dico. Credo non si debba aggiungere altro”, ha scritto Morra in un post di Facebook delle 21.20 di venerdì.
Ma cosa è successo nelle ore precedenti? Come mai si è arrivati a sbarrare le porte di un programma della tv pubblica al presidente della Commissione antimafia? Occorre fare un passo indietro. Per tutto venerdì era montata la polemica per le parole di Morra su Jole Santelli. “Era noto a tutti che fosse gravemente malata ma i calabresi l’hanno votata lo stesso. Ognuno è responsabile delle proprie scelte”, aveva detto il senatore giovedì ai microfoni di Radio Capital, in un ragionamento un po’ fumoso. Parole che avevano provocato attacchi da ogni dove, compresa la presa di distanza da parte del M5S. Dal centrodestra, invece, si evocavano a gran voce le sue dimissioni. E critiche arrivavano anche dal Pd.
Dunque venerdì Morra era atteso a Titolo V. L’invito era arrivato martedì per una puntata in cui si doveva tornare a parlare della Calabria, dopo lo scoop della trasmissione sul mai redatto piano Covid del commissario alla Sanità Saverio Cotticelli, poi costretto a dimettersi. Nel tardo pomeriggio, mentre impazzano le polemiche sul caso Morra-Santelli, qualcuno in azienda si accorge che in serata Morra è atteso in Rai e scatta l’allarme rosso. Franco Di Mare inizia a chiedersi se sia il caso di confermare l’ospitata e, alle 8 di sera, si confronta con Salini. Che ne parla con il suo staff. Secondo alcune fonti parlamentari, poi, Salini e Di Mare alzano il telefono e parlano con alcuni big pentastellati. Fatto sta che, a 20 minuti dalla messa in onda, Salini e Di Mare decidono di cancellare la partecipazione di Morra. L’obbiettivo dei piani alti di Viale Mazzini è di evitare ulteriori possibili gaffe da parte del senatore.
Tesi confermata, del resto, anche dalla lunga nota di ieri dell’azienda, secondo cui “la decisione è stata presa poiché da ore era in corso un dibattito particolarmente acceso su un argomento molto delicato (…) pur nella consapevolezza di prendere una decisione comunque controversa, la Rai ha preferito adottare una linea di massima prudenza per evitare di alimentare altre polemiche”. Rammaricandosi poi con Morra per le modalità in cui gli è stato comunicato lo stop, gli si dice che egli “avrà altre opportunità, nelle reti Rai ed eventualmente anche a Titolo V, per esprimere i suoi punti di vista”.
Ieri, poi, se da una parte sono continuati gli attacchi a Morra con Lega e Fdi pronti a disertare i lavori dell’antimafia se il presidente non si dimette (e con Matteo Salvini che annuncia querela contro il senatore), gli attacchi si sono spostati verso la tv pubblica. Anche da parte dei 5 Stelle. “Inaccettabile la censura della Rai a Morra”, afferma Paola Taverna. “Qualcuno si dovrebbe dimettere e non è Morra”, sostiene Alessandra Maiorino. Altri, come Alessandro Di Battista, fanno muro intorno al senatore. “Hanno intervistato il figlio di Totò Riina e censurano me”, rincara la dose lo stesso Morra. E per Salini, dopo l’avviso di sfratto che gli è quasi giunto dal Pd tramite Roberto Gualtieri, arriva un’altra tegola che complica i suoi rapporti pure con una parte dei 5 Stelle.
sabato 21 novembre 2020
“Aiutò i clan a entrare nell’affare farmaci”: arrestato il ras di FI. - Lucio Musolino
È il n. 1 del consiglio regionale.
“Si manda sull’aereo… se l’azienda manda in Inghilterra la medicina… ci sono antitumorali… Giova’… antitumorali che costano duemila euro… okay? Gli ospedali li comprano a mille… nell’Inghilterra li vendono a cinquemila… gli antitumorali… quindi tu li compri a mille e li vendi a cinquemila”. Le parole di Salvatore Grande Aracri, detto “il Calamaro”, sono la dimostrazione plastica di come ’ndrangheta e politica insieme si sono mangiati la Calabria. Una regione che oggi è devastata dal virus ma in cui, fino a ieri, cosche e colletti bianchi speculavano addirittura sui medicinali destinati a chi soffre di tumore. È questo uno degli aspetti più raccapriccianti dell’operazione “Farmabusiness”. Su richiesta della Dda di Catanzaro i carabinieri hanno arrestato 18 persone. Ai domiciliari è finito anche il presidente del Consiglio regionale Mimmo Tallini accusato di aver favorito, nel 2014, quando era assessore al Personale i boss dei Grande Aracri. Per loro ha accelerato “l’iter burocratico per il rilascio di necessarie autorizzazioni nella realizzazione del ‘Consorzio Farma Italia’ e della società ‘Farmaeko’, che prevedeva la distribuzione dei cosiddetti medicinali da banco sul territorio nazionale”.
Per il procuratore Gratteri e i suoi pm, l’esponente di Forza Italia e “quegli amici” della cosca Cutro avevano “il programma delittuoso di truffare il Ssn esportando illegalmente farmaci oncologici per rivenderli all’estero con profitti spropositati”. Secondo il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e i sostituti Paolo Sirleo e Domenico Guarascio che lo hanno accusato di concorso esterno con la ’ndrangheta e scambio politico-mafioso, Tallini era il “contatto privilegiato” delle cosche crotonesi. Per il gip, che ieri ha firmato l’ordinanza di custodia, quella dell’esponente di Forza Italia è “una contiguità ’ndranghetistica che sfiora la vera e propria intraneità”.
L’uomo di collegamento era un tecnico antennista e concessionario di Sky per la Calabria: Domenico Scozzafava, “l’uomo della pioggia” di Tallini, “un formidabile portatore di voti” ma anche uno “’ndranghetista fino al midollo”. È lui che, facendosi garante dei favori che la cosca riceverà dal politico, offre in dote Tallini ai Grande Aracri, consentendo ai boss di entrare nel progetto “Farmitalia” che nasce da un’idea dell’ex senatrice Anna Maria Mancuso, ex Pdl, ma oggi passata alla Lega. Nel 2013, in vacanza a Sellia Marina con il marito e con il factotum Walter Manfredi, l’ex senatrice Mancuso entra in contatto con Scozzafava, ritenuto il trait d’union tra gli ambienti criminali più pericolosi, quelli di una politica dedita alla spregiudicata ricerca di consensi e gli ambienti di un’imprenditoria parassita”.
Per i pm, la Mancuso e il marito “spariranno in pochi mesi dalla scena” e si diranno delusi “dagli amici calabresi”. Prima di suicidarsi nel 2016, il “faccendiere” Manfredi resta ed entra nell’affare del “Consorzio Farma Italia”, portando dentro il commercialista romano Paolo Del Sole che, tra i soci, si ritrova anche Giuseppe Tallini, figlio del presidente del Consiglio regionale Mimmo.
Dietro tutto c’era il giovane Salvatore Grande Aracri, che rappresentava gli interessi mafiosi degli zii, don Nicolino e Mimmo Grande Aracri. Apparentemente un semplice falegname di Brescello, il “Calamaro” è stato intercettato mentre trattava affari milionari con un soggetto svizzero. Senza ricoprire alcuna carica sociale, era lui il dominus del consorzio “Farma Italia”. Tallini lo sapeva e non ha mai preso “le distanze”. Anzi, dopo un litigio con il figlio che voleva uscire dall’affare, “si spende per convincerlo a ‘non mollare’”. “È ben a conoscenza – scrive il gip – che Scozzafava gli porta voti dagli ambienti ’ndranghetistici di Cutro nell’ambito di uno scambio di favori e di promesse di favori che hanno al centro il consorzio Farmaci”. In ballo, infatti, c’erano i quasi 10mila voti rastrellati alle Regionali del 2014. “È stata indagata – ha dichiarato il procuratore Nicola Gratteri – una famiglia di ’ndrangheta di serie A”.
Dire “no no no”: il vero talento della Ravetto. - Antonio Padellaro
Se anche non dovesse produrre conseguenze epocali nella politica italiana, il trasferimento di Laura Ravetto (più altri due) da Forza Italia alla Lega ha se non altro il merito di averci detto una parola definitiva sul mistero delle testoline televisive che fanno no, no, no. Leggiamo infatti sul Corriere della Sera che agli esordi sul piccolo schermo, la battagliera avvocata di Cuneo avrebbe potuto fare molto di più, secondo il giudizio inappellabile del presidente-padrone nonché suo mentore: “L’ho richiamata perché non scuote la testa quando parlano i comunisti”, l’avrebbe strigliata Berlusconi. Al che la parlamentare novella avrebbe replicato: “Non so se scuoterò la testa, perché così mi è più facile scuotere l’avversario”. Frase comprensibilmente contorta, in ogni caso meglio non contraddire il datore di lavoro. Eppure rivelatrice di come e perché l’arrembante Caimano avesse escogitato un possibile uso mediatico della testa, sostitutivo della precipua funzione per cui essa è stata creata, quella cioè di contenere il cervello. Personalmente, insieme a Ruby Rubacuori proclamata in Parlamento nipote di Mubarak con entusiasmo travolgente dalla falange forzista, ritengo lo scuotimento di capocce, “quando parlano i comunisti”, lo stigma di quel ventennio di cui oggi a sinistra qualcuno sente perfino nostalgia. Nella mia classifica di oltraggi corporali ritengo insuperabili i no, no, no sapientemente ritmati da Daniela Santanchè, mentre per restare in tema non mi convincono le smorfiette di Daniele Capezzone (ma sarebbe come paragonare Martufello a Totò).
Rimembranze apparentemente futili ma utili se servissero a dare una scossa, questa volta benefica, a quanti non ricordano, o preferiscono non ricordare la vergogna di un ventennio e dei suoi bavagli. A coloro che oggi nella maggioranza di governo, con la speranza di puntellare la maggioranza di governo, tentano di rivalutare la figura dell’ex Cavaliere come modello di mitezza e probità, rammentiamo tre nomi: Biagi, Santoro e Luttazzi. Cacciati dalla Rai con l’editto di Sofia, e del disonore. Quanto alla Ravetto ne comprendiamo la ritrosia all’ipotesi di trasformare il no, no, no in un sì, sì, sì “quando parlano i comunisti”. Massì Laura, meglio un mojito (e una candidatura sicura).
Recovery, nessun ritardo: “Non esiste un caso in Ue”. - Wanda Marra
Salta sulla sedia Enzo Amendola, ministro degli Affari europei, quando legge l’apertura di Repubblica che parla di “allarme” Ue per “i ritardi” dell’Italia nella presentazione del Recovery plan. Roberto Gualtieri, ministro dell’Economia, abbozza una risata incredula. Mentre Giuseppe Conte, all’Assemblea dell’Anci, prende la questione di petto: “È stata pubblicata con grande evidenza su un quotidiano una fake news: l’Italia in ritardo sul piano di resilienza. Quella notizia non viene neppure da Bruxelles, è stata inventata di sana pianta”. Poi racconta il modo di procedere dell’esecutivo: “Lavoriamo già con la Commissione, settimanalmente, per la definizione dei progetti. Ieri sera (mercoledì ndr) sino alle 11 abbiamo avuto una riunione interna per definire la struttura normativa che consenta di garantire che il piano abbia rapida attuazione”. Presenti Conte, Amendola e Gualtieri.
“Non esiste un caso Italia a Bruxelles”, è il messaggio che il trio direttamente impegnato sul dossier ci tiene a far passare. Il supporto arriva dalla Commissione. Lo staff di Paolo Gentiloni, commissario agli Affari economici, twitta un brano della conferenza stampa di mercoledì con Valdis Dombrovskis in cui negava qualsiasi “irritazione” sui tempi della presentazione dei Piani. A chiarire a che punto sono i lavori è lo stesso Amendola: “A fine mese ci sarà un’altra riunione del Comitato interministeriale per gli Affari europei. Poi invieremo nuovi documenti al Parlamento”. Le linee guida sono state sottoposte alle Camere a metà ottobre. Il ministro nega anche problemi di rivalità: “Conte ha la conduzione, Gualtieri con il Mef e la Ragioneria di Stato ragiona sulle risorse, io coordino i lavori”.
Sono due giorni che in Italia il Recovery plan è tornato al centro della discussione. Da quando Marco Buti, capo di gabinetto di Paolo Gentiloni, ha scritto un lungo documento (di cui ha dato notizia il Corriere della Sera) in cui esprimeva preoccupazione non tanto sui tempi, ma sulle oggettive difficoltà amministrative legate alla sua gestione. Arrivando a raccomandare “una cabina di regia”. Che costruire il piano di riforme sia un’impresa complessa e spendere le risorse pure, non è un mistero. L’esecutivo sta già lavorando a una struttura di governance. Spiega Amendola: “Si sta ragionando su 4 capitoli. Governance, progetto, criteri di impatto e visione generale. Ogni settimana facciamo il punto con lo staff della Commissione”.
Ecco cosa diceva Gentiloni mercoledì: “Non credo che ci sia una irritazione o una delusione della Commissione sui tempi della presentazione del piano. Siamo in una fase in cui solo 6 o 7 paesi hanno presentato in forma molto iniziale i loro piani. Noi incoraggiamo i paesi a presentarli in una forma preliminare, perché questo aiuta il dialogo tra i governi e gli uffici della Commissione per risolvere i problemi”. Tra i grandi Paesi che hanno presentato delle bozze di piano ci sono Francia e Spagna, chiariscono fonti europee. “Linee guida”, sintetizza Amendola. Peraltro, la presentazione è fissata a metà gennaio e dunque per ora non esiste neanche lo strumento per l’invio ufficiale dei piani. Dalla Commissione chiariscono che lo stato di avanzamento è molto eterogeneo: per alcuni paesi esiste della documentazione più dettagliata, per altri ancora niente. Ma parole come “allarme” o “irritazione” non caratterizzano lo stato d’animo a Bruxelles. Senza contare che adesso il vero problema è superare il veto di Polonia e Ungheria, che rischia di bloccare tutto.
Nessun problema neanche a Roma? Ancora Amendola: “Abbiamo fatto due decreti Ristori e una legge di Bilancio nelle ultime due settimane”. Quando è arrivata la seconda ondata Covid, molti tecnici si sono trovati impegnati su altre priorità. Ma i ministeri stanno lavorando. Al netto delle difficoltà reali, l’impressione è che il Recovery sia diventato un terreno di scontro politico come il Mes, sul quale misurare insofferenze. Magari proprio da parte di settori del Pd che vedrebbero bene cambiamenti al governo.