domenica 13 dicembre 2020

Il “sistema del 15%”. Ecco la prova che inchioda la lega. - Stefano Vergine

 

“Dovere morale”. Soldi al partito dai nominati.

Versamenti al partito in cambio di nomine pubbliche. Posti nei più importanti cda d’Italia, nelle direzioni di ospedali e aziende sanitarie locali, nei consigli di revisione contabile delle partecipate pubbliche. Poltrone assegnate in cambio della restituzione alla Lega di una parte dello stipendio. È il “sistema del 15%” – la quota da restituire al partito per i nominati –, un sistema scritto nero su bianco. Così il Carroccio avrebbe gestito il suo potere politico negli ultimi vent’anni, con un vero e proprio sistema di finanziamento per le casse del partito, stando a quanto emerge sia da documenti inediti (in parte pubblicati in queste pagine) sia da diverse testimonianze raccolte.

Il “sistema del 15%” il Fatto lo ha raccontato, nell’inchiesta sulla Lombardia Film Commission, riportando quanto avrebbe detto il commercialista Michele Scillieri durante l’interrogatorio con i pm di Milano. Ma quello che ora siamo in grado di svelare è un meccanismo strutturato e ben collaudato, in vigore da anni. Tutto è raccontato nei dettagli da alcuni documenti contabili interni alla Lega e dalle testimonianze di tre ex leghisti che fino a pochi anni fa sedevano in posti cruciali dell’amministrazione del partito. I documenti inediti raccolgono i nomi di decine e decine di dirigenti e manager di aziende sanitarie pubbliche lombarde. Molti ancora in attività. Nomi e cifre: quelle che ognuno di loro versava alla Lega, il partito del Nord. Che, a dispetto delle intemerate d’origine contro il clientelismo romano, ha creato un sistema perfetto per controllare le nomine. Tutto fatto in modo trasparente, con bonifico bancario, così che la spesa sia anche detraibile fiscalmente. Un sistema perfetto, che si basa però su un presupposto molto scivoloso, come vedremo più avanti: la donazione deve essere spontanea.

Nero su bianco: la delibera del consiglio federale

Analizzare tutti i nomi è un lavoro lungo: questa è solo la prima puntata di un’inchiesta che pubblicheremo nella prossima settimana. Di certo il sistema del 15% è stato istituzionalizzato, formalizzato in un Consiglio federale della Lega dell’autunno 2001. Lo dimostra un documento del partito, mai pubblicato finora, firmato dall’allora segretario organizzativo della Lega Nord, Gianfranco Salmoiraghi. Il 23 ottobre del 2001 Salmoiraghi informa le varie sezioni della Lega che una settimana prima, in occasione del Consiglio federale (l’organo esecutivo della Lega), è stato deciso che sarà Giancarlo Giorgetti ad avere “l’incarico di sovrintendere alla nomina dei nostri esponenti”. Citando il verbale del Consiglio federale, Salmoiraghi aggiunge che secondo quanto deciso “è dovere morale di quanti saranno nominati, di contribuire economicamente alle attività del Movimento con importi che equivalgano, mediamente, al 15% di quanto introitato”.

Esattamente la stessa percentuale di cui ha parlato Scillieri ai magistrati di Milano pochi giorni fa. Il commercialista e socio d’affari dei contabili della Lega, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni – indagato insieme a loro per peculato nella vicenda della Lombardia Film Commission – ha messo a verbale di aver dovuto restituire al partito il 15% del suo compenso ottenuto come revisore contabile della stessa Lombardia Film Commission, un ente pubblico controllato dalla Regione Lombardia. Ma la testimonianza di Scillieri, alla luce di questi documenti inediti, potrebbe essere solo la punta dell’iceberg.

“Tutti sapevano. Eri nominato e poi aiutavi la Lega”

Che tutto sia andato così per molti anni lo conferma al Fatto Daniela Cantamessa, in Lega dagli albori, segretaria di Umberto Bossi fino all’arrivo di Roberto Maroni alla segreteria federale. “Lo sapevano tutti che funzionava così – racconta – era normale: tu eri nominato dalla Lega e poi aiutavi il partito. Io però non ero in amministrazione, non vedevo personalmente le donazioni”. Chi ha conosciuto bene la macchina contabile per qualche anno è Francesco Belsito, tesoriere dal 2007 al 2012, poi cacciato per lo scandalo degli investimenti in Tanzania e condannato in via definitiva per appropriazione indebita nell’ambito della vicenda dei 49 milioni. I saldi sui conti correnti dei partito Belsito li vedeva, e spiega al Fatto che “i manager nominati nelle partecipate di Stato dovevano versare una quota del loro compenso sul conto corrente del partito, sottoforma di donazione, così la scaricavano dalla dichiarazione dei redditi. Era la prassi, lo sapevano tutti. Quelli che versavano sul conto della Lega Nord federale erano i nominati delle partecipate di Stato. I nominati nelle società locali versavano invece alle sezioni regionali. Per esempio, Regione Liguria nomina persone nella finanziaria di riferimento regionale, in quella del turismo: 7-8 partecipate in tutto. Quei pagamenti li seguiva il segretario regionale del partito. Per società come Eni, Poste, Finmeccanica o allora Invitalia, si versava invece direttamente sul conto della Lega Nord”. Chi ha visto con i suoi occhi ogni singolo versamento, almeno in Lombardia, è una segretaria che ci ha chiesto l’anonimato. Ha lavorato nell’amministrazione in via Bellerio per quasi 30 anni, e dice che almeno fino al 2015 – quando insieme ai tanti altri dipendenti è stata lasciata a casa a causa dei tagli fatti da Matteo Salvini in nome dell’austerity – il sistema funzionava così. “Tutti quelli nominati avevano l’obbligo morale di dare un tot alla Lega ogni anno, almeno quelli che venivano remunerati per quell’incarico. Chi non lo faceva riceveva una telefonata da Giampaolo Pradella, che si occupava allora degli enti locali della Lega, che gli diceva: ‘Guarda, non è arrivato il contributo, ricordati eh’. Insomma, in modo velato gli si diceva: ‘Dai il contributo, altrimenti la prossima volta non vieni più nominato’”. C’erano contratti scritti? “No, era su base volontaria, che però volontaria non era. Il discorso era semplice: ‘La Lega ti ha messo lì, e tu devi contribuire’”. Funziona ancora così nel partito guidato oggi da Salvini? Alle nostre domande, inviate ieri al segretario federale e al suo vice, Giorgetti, non è stata data per ora risposta.

1 – Continua

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/13/il-sistema-del-15-ecco-la-prova-che-inchioda-la-lega/6035488/

sabato 12 dicembre 2020

Volpi in pellicceria, Ghino di Renzi e Matteo di tacco. - Antonio Padellaro

 

Non so perché (anzi lo so) ma quando mercoledì ascoltavo l’accaldato Matteo Renzi, rivolto a Giuseppe Conte, minacciare sfracelli mi veniva in mente una famosa frase di Bettino Craxi a proposito dell’astuto, astutissimo Giulio Andreotti. Ovvero che “prima o poi tutte le volpi finiscono in pellicceria”. Certo, parliamo della lontana Prima Repubblica ma quello che andava in scena mercoledì sera nell’aula del Senato non sembrava forse uno sketch del Bagaglino? Di quelli, per intenderci, dove gli inarrivabili Pippo Franco e Oreste Lionello cucinavano la ribollita dei rimpasti, delle verifiche, dei doppi sensi sui gabinetti ministeriali, e altre simili prelibatezze, con la platea del Salone Margherita a sganasciarsi. Purtroppo, l’altra sera mancava Pamela Prati e non rideva nessuno. Dobbiamo ammettere però che la battutissima del senatore del Mugello sul perché propiziare la caduta del governo, con novecento morti al giorno, l’Italia in ginocchio e l’annunciata terza ondata del Covid, neppure Pingitore (o Dracula) l’avrebbe mai pensata. Perché (tenetevi forte) lui dice: “voglio salvare l’Italia”. A proposito di volpi e volpini qualcuno potrebbe obiettare che Renzi nel reparto delle pelli sartoriali c’era già finito dopo il catastrofico (per lui e i suoi cari) referendum costituzionale del 2016. Quando (insieme alla Boschi) aveva promesso, giurin giurello, che se sconfitto si sarebbe ritirato dalla politica.

Così non è stato e lui ha preferito costruirsi un partitino che ricorda quell’altra maschera che fu coniata, sempre a proposito di Craxi (corsi e ricorsi della politica). Chiamato da Eugenio Scalfari, Ghino di Tacco, come il trecentesco brigante di Radicofani che controllava l’accesso alla strada che da Firenze porta a Roma esigendo al passaggio un pesante tributo. Collocatosi proprio al confine tra la risicata maggioranza e l’opposizione, a Ghino di Renzi si dev’essere dilatato l’ego e adesso non si accontenta più “di qualche strapuntino”. Un altro paio di ministri? Di più, di più. Una bella fetta della torta del Recovery (per “salvare l’Italia”, beninteso)? Fuochino. Poi, non ha resistito e a Barbara Jerkov del Messaggero ha confidato il suo sogno nel cassetto: un governo con “un’ampia maggioranza parlamentare” per arrivare alle politiche del 2023. Magari con Matteo di Tacco premier? Mai dire mai. Siccome, in fondo, ci è simpatico vorremmo dargli, aggratis, due consigli non richiesti. A proposito di furbacchioni da Bagaglino, tenga d’occhio Matteo Salvini che si è subito fatto avanti scambiandosi con Conte un paio di messaggini dialoganti (come diceva Clémenceau: i cimiteri sono pieni di persone indispensabili). Infine, ci duole segnalargli il seguente titolo della Stampa (con puntuale cronaca di Fabio Martini) che la chiama in causa: “‘Stavolta sono tutti d’accordo con me’. Ma nessuno si fida di lui”. E qui non può mancare quell’altro proverbio che dice: quando la volpe predica, guardatevi, galline.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/12/volpi-in-pellicceria-ghino-di-renzi-e-matteo-di-tacco/6034728/

Vaccino anti Covid: quando arriverà in Italia, come prenotarsi e chi avrà le prime dosi. - Biagio Chiarello

 

Ci sarà una app per telefonini per prenotare e controllare le vaccinazioni e le prime dosi andranno al personale sanitario e agli anziani nelle residenze, che saranno vaccinati attraverso delle unità mobili anche con l’aiuto di medici in pensione e gli specializzandi. Ecco come avverrà la somministrazione di massa del vaccino anti Covid (gratuito e non obbligatorio).

Quando arriverà il vaccino Covid in Italia? Chi lo farà per primo? Quali sono le categorie privilegiate? Sarà obbligatorio? Le risposte degli addetti ai lavori non sono sempre concordanti, quindi è opportuno fare chiarezza. Il 29 dicembre dovrebbe comunque essere la data da cerchiare in rosso, come confermato anche dal commissario straordinario all’emergenza, Domenico Arcuri.

Quando arriverà il vaccino in Italia.

C'è attesa per l'okay definitivo dell'Ema, l'agenzia europea del farmaco, per la distribuzione. Il "sì" finale dovrebbe arrivare, appunto, il 29 dicembre, il successivo "semaforo verde" della Commissione Europea è atteso per i primi di gennaio e poi si potrebbe partire con il piano vaccini del governo per portare le "202 milioni di dosi nel primo trimestre del 2021" annunciate dal ministro della Salute Roberto Speranza. "Noi siamo pronti per qualsiasi giorno dopo il 29 dicembre, e siamo contenti se sarà più prima che dopo" ha spiegato Arcuri. "Noi facciamo il tifo perché la vaccinazione possa partire lo stesso giorno in tutta Europa – ha aggiunto il commissario –  e confidiamo che questo accadrà e verrà reso ufficiale nei prossimi giorni".

Chi avrà le prime dosi del vaccino.

Sono quasi quasi 6,5 milioni gli italiani che rientrano nelle categorie ‘prioritari' da vaccinare:  1.404.037 operatori sanitari e socio sanitari, 570.287 personale e ospiti di Rsa, 4.442.048 anziani sopra gli 80 anni. Più nello specifico, le 3,4 milioni di dosi del vaccino della Pfizer (che necessitano di una catena del freddo estrema, tra i -20 e i -70 gradi) dovrebbero essere disponibili entro la fine di gennaio e saranno consegnate direttamente dall'azienda produttrice nei 300 siti indicati dal governo, ospedali e case di riposo, per la prima fase della campagna che riguarderà appunto il personale sanitario e gli anziani nelle residenze, che saranno vaccinati attraverso delle unità mobili.

Come prenotarsi.

Sarà realizzata una app per smartphone per prenotarsi e monitorare eventuali reazioni avverse con un sistema di farmacovigilanza. L’applicazione manderà l’avviso sulla data del richiamo. Arcuri ha parlato della piattaforma digitale per il vaccino: “Poste Italiane ed Eni ci stanno aiutando nell’implementazione di una app, è un sistema molto complesso nel quale ci saranno molte componenti: un call center, elementi di tracciabilità, riconoscibilità e possibilità di alimentare i sistemi informativi delle regioni e del ministero della salute nell’implementazione di una sorta di anagrafe dei vaccini uguale a quella che c’è per tutti i vaccini somministrati per la popolazione italiana”.

Chi eseguirà le vaccinazioni.

Il ministero della Salute ha ipotizzato servano 20 mila persone tra medici, infermieri, assistenti sanitari, operatori socio sanitari, personale amministrativo e anche specializzandi per la somministrazione del vaccino nella prima fase. C'è la possibilità che anche i medici in pensione possano dare un contributo per sgravare il personale degli enti locali, oltre che gli specializzandi e le farmacie.

Dove si farà il vaccino.

L'hub di stoccaggio nazionale, come ha già spiegato Arcuri, sarà all'aeroporto militare di Pratica di Mare, un sito protetto dove transiteranno tutte le 202 milioni di dosi previste in arrivo in Italia da gennaio al primo trimestre del 2022. Da lì arriverà in almeno 300 centri ospedalieri per poi giungere a destinazione, ad esempio nelle Rsa. In una seconda fase il vaccino sarà presente in 1500 punti di somministrazione e le unità mobili lo faranno arrivare direttamente a casa delle persone anziane o con problemi di salute impossibilitate a muoversi.

Gratuito e non obbligatorio.

Il vaccino contro il coronavirus sarà su base volontaria e gratuito per tutti, come ha confermato il Ministro della Salute Roberto Speranza.

https://www.fanpage.it/attualita/vaccino-anti-covid-quando-arrivera-in-italia-come-prenotarsi-e-chi-avra-le-prime-dosi/

Enorme clessidra di gas taglia in due il disco della Via Lattea.

 

Vista dal telescopio eRosita, ha bolle estese fino a 50.000 anni luce.

Una gigantesca clessidra di gas caldo, le cui bolle si estendono fino a 50.000 anni luce, sta attraversando la Via Lattea. Descritta sulla rivista Nature, è stata immortalata nel corso della sua prima scansione completa del cielo dal telescopio a raggi X eRosita, a bordo della missione spaziale russo tedesca ‘Spectrum-Roentgen-Gamma’ (Sgr), lanciata nel luglio 2019.

Il telescopio eRosita ha effettuato una scansione profonda del cielo in meno di sei mesi. Gli autori dello studio, tra i quali i ricercatori italiani dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), descrivono “un’enorme struttura gassosa a forma di clessidra, i cui lobi si dipartono dal centro della Via Lattea, al di sopra e al di sotto del piano del disco galattico”. Secondo gli esperti, “le sterminate bolle di eRosita sarebbero onde d’urto generate dall’attività energetica passata al centro della nostra galassia”.

L’energia necessaria per alimentare la formazione di queste strutture potrebbe essere stata innescata in passato dal buco nero gigante al centro della Via Lattea, un mostro con massa pari a circa quattro milioni di volte quella del Sole. La scoperta delle bolle di eRosita, concludono gli esperti, è un passo avanti importante verso la comprensione del ciclo cosmico della materia all’interno e attorno alla Via Lattea e in altre galassie.

[nella foto: Immagini dell’enorme clessidra di gas caldo che taglia in due il disco della Via Lattea. (fonte: MPE/IKI)]

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2020/12/10/enorme-clessidra-di-gas-taglia-in-due-il-disco-della-via-lattea_a2e35e05-ca3d-4fb3-89b8-b73a52c2f093.html

La vignetta di Vauro. ilFQ

 


Conte vuole guidare la crisi, Renzi teme il voto e le fughe da Iv. - Wanda Marra e Paola Zanca

 

Come al Papeete - Il premier decide di convocare i partiti: vuole “trasparenza” sulla fiducia reciproca. Il leader di Italia Viva adesso corteggia Di Maio.

A qualcuno ricordano i giorni dell’estate 2019. Solo che qui, anziché i mojito al Papeete c’è il Natale col Covid. E per qualcuno è anche una consolazione: “Nessuno ci manderà a votare in piena pandemia”. Non è il messaggio che ha fatto recapitare il capo dello Stato, per cui dopo il Conte 2 ci sono solo le urne. Messaggio che tutti hanno ben chiaro, oramai. Anche se molti confidano nell’ancestrale capacità del Parlamento di trovare altre maggioranze, pur di non sciogliersi. Ma quel che è evidente a tutti è che, appena varata la legge di Bilancio, si scatenerà il putiferio. Quello vero, non le schermaglie di adesso. Prima di ripartire da Bruxelles, dopo il vertice europeo che ha dato il via libera al programma Next Generation, Giuseppe Conte ha deciso di non fare più finta di nulla e di provare a “guidare la crisi”. Il messaggio gliel’ha recapitato via El Paìs lo stesso Renzi, in mattinata: un’intervista in cui si è detto pronto a far cadere il governo, proprio mentre il premier italiano era impegnato a trattare al Consiglio europeo. Conte perde la pazienza: “Ci sono istanze critiche, che sono state rappresentate in modo molto vocale, molto sonoro, in varie trasmissioni tv e vari giornali. Sono molto impegnato, ma non è che non cerco di tenermi aggiornato”. E allora chiede “trasparenza”, vuole “capire che cosa nascondono, quali obiettivi”. Un confronto con i partiti che finora lo hanno sostenuto, per chiarire se la fiducia c’è ancora oppure no. Il calendario è ancora da fissare, ma avverrà “presto”, dicono da Palazzo Chigi.

La crisi è profonda. E ha Matteo Renzi come testa d’ariete, ma una marea di giallorosa dietro di lui. Alcuni perfino assetati di vendetta: “Sapevamo dall’inizio che Iv sarebbe stata una spina nel fianco: ma cosa abbiamo fatto per fermarla? Niente, abbiamo continuato a sfamarli, accontentandoli su ogni singolo dossier. E adesso ci presentano il conto”.

Per la verità, non è che il premier avesse molta scelta, visto che Iv conta 18 senatori e il Conte 2 non sarebbe mai stato possibile senza l’avallo di Renzi, allora ancora nel Pd. Lui lo sa bene e ancora una volta si trova a una curva pericolosa della sua carriera, dove la cosa che reputa più inaccettabile è finire nell’irrilevanza politica. Quindi ancora una volta si gioca l’azzardo. E mentre il premier è ancora a Bruxelles, dicevamo, lo attacca frontalmente dalle colonne di El País. Continua a sostenere, Renzi, che “non si va al voto”, perché “bisogna prima verificare che non ci sia una maggioranza alternativa”. Renzi in realtà sa benissimo due cose. La prima è che tutti stanno lavorando per un assetto diverso – senza l’attuale presidente del Consiglio – a partire dal Pd, che pure ieri, prima con Goffredo Bettini, poi con Andrea Orlando agita la minaccia del voto (“No a Papeete di Natale, o si va a votare”). Ma la seconda è che la parola elezioni deve essere disinnescata il prima possibile: perché davanti a questa eventualità, la maggior parte dei parlamentari di Iv sarebbero pronti a lasciarlo solo nella sua decisione di sfiduciare Conte, consapevoli del fatto che a rientrare in Parlamento sarebbero forse meno di una decina di loro, stando ai sondaggi. Anzi, molti si sfogano con i colleghi del Pd, alcuni vorrebbero rientrare. Insomma, Renzi potrebbe non avere i numeri per staccare la spina.

Intanto gli abboccamenti si moltiplicano. Gli uomini di Iv fanno circolare la possibilità di un governo con Di Maio premier. Tanto è vero che spuntano post Facebook di fedelissimi renziani in difesa del ministro degli Esteri “massacrato” per un congiuntivo. Ma per lui sostituire Conte avrebbe non pochi ostacoli: difficile da reggere per il Pd, insopportabile per parte del Movimento, ostativo per l’entrata di FI. E infatti dalla Farnesina smentiscono che quest’ipotesi possa mai realizzarsi.

La carta vera sarebbe un governo a guida Pd. I nomi che si fanno circolare sono quelli di Dario Franceschini e Lorenzo Guerini. Ma anche qui: M5S reggerebbe? Al Nazareno sanno che si tratta di un gioco pericoloso. Per questo, dopo aver mandato avanti per giorni l’ex premier, ieri Nicola Zingaretti l’ha stoppato: “Nessuno deve chiedere marcia indietro a nessuno”. Non è piaciuto al Nazareno l’attacco a Conte in pieno Consiglio, non è piaciuto il suo voler dettare le regole. Il Pd teme che il gioco gli sfugga di mano. E che magari anche un approdo “light” come il Conte-ter a più evidente trazione Pd ormai non sia più a portata di mano.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/12/conte-vuole-guidare-la-crisi-renzi-teme-il-voto-e-le-fughe-da-iv/6034714/

venerdì 11 dicembre 2020

Ponte Morandi, “falsi report su ispezione e verifiche antisismiche. Da ex vertici Autostrade falsità a Mit sullo stato della rete”. - Paolo Frosina e Giovanna Trinchella

 

"È eclatante - sottolineano i giudici del Riesame - la connessione qualificata tra tutte le indagini (dal crollo del Morandi, ai falsi report sui viadotti passando per le barriere e la manutenzione delle gallerie oltre alla tentata truffa), tutti riguardanti omessi e lacunosi controlli, con le correlate manutenzioni sulle strutture autostradali, al fine di risparmio sulle spese e di aumento degli utili da distribuire, con ovvio riconoscimento di rilevanti incentivi economici ai dirigenti che li permettevano - concludono -, il tutto in totale spregio della sicurezza degli utenti delle autostrade".

L’ultima inchiesta della procura di Genova su Autostrade, quella sulle barriere fonoassorbenti che ha portato temporaneamente agli arresti domiciliari anche l’ex ad Giovanni Castellucci, continua a riservare colpi di scena su altre inchieste che hanno riguardato la gestione della sicurezza di Aspi. L’ultimo riguarda il ponte Morandi, collassato il 14 agosto 2018, per cui, secondo i magistrati, vennero redatti falsi report sulle “ispezioni, sulla valutazione di sicurezza richiesta dall’ordinanza del presidente del Consiglio e sulle verifiche di sicurezza antisismiche“. Sono i i giudici del Tribunale del Riesame di Genova che lo scrivono nelle motivazioni con cui hanno revocato gli arresti domiciliari a Paolo Berti, ex direttore Operazioni centrali di Aspi, disponendo l’interdittiva per 12 mesi. Il manager, condannato in primo grado per la strage di Avellino (40 morti), intercettato diceva di aver coperto con le sue dichiarazioni le responsabilità di Castellucci. Per i giudici della Libertà inoltre “è stato artatamente inquadrato come intervento locale il progetto di retrofitting (il rinforzo delle pile 9, quella caduta, e la 10), con elusione dei controlli e avallando affermazioni inveritiere”. Fu la pila 9 a cedere. Il crollo si portò via 43 vite e provocò danni in tutta la zona, mettendo in ginocchio la città di Genova.

Falsità al ministero sullo stato effettivo del patrimonio autostradale” – Un altro capitolo riguarda le bugie e le omissioni destinate al ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture. “Le condotte di dissimulazione e falsità”, poste in essere dalla vecchia dirigenza di Aspi, “erano destinate anche a mantenere il ministero delle Infrastrutture nell’ignoranza circa lo stato effettivo del patrimonio autostradale. È eclatante – sottolineano i giudici del Riesame – la connessione qualificata tra tutte le indagini (dal crollo del Morandi, ai falsi report sui viadotti passando per le barriere e la manutenzione delle gallerie oltre alla tentata truffa), tutti riguardanti omessi e lacunosi controlli, con le correlate manutenzioni sulle strutture autostradali, al fine di risparmio sulle spese e di aumento degli utili da distribuire, con ovvio riconoscimento di rilevanti incentivi economici ai dirigenti che li permettevano – concludono -, il tutto in totale spregio della sicurezza degli utenti delle autostrade“. Una lunga serie di omissioni e falsi.

Berti era finito ai domiciliari a metà novembre nell’ambito dell’inchiesta sulle barriere antirumore pericolose, barriere che era completamente da sostituire perché gravate da un errore di progettazione, come ha raccontato diversi testimoni. Ma i vertici di Aspi non avevano nessuna intenzione di sostituirle, sarebbe stato troppo oneroso. Eppure l’ex direttore delle operazioni centrali di Aspi, “era consapevole dell’inadeguatezza e pericolosità delle barriere fono assorbenti” ma non intervenne. Come del resto gli altri indagati Ma non solo, il dirigente seguì “la linea dell’azienda” ovvero quella del massimo risparmio sulle manutenzioni per distribuire più profitti tra i soci. “Una articolata condotta costellata – scrivono i giudici – di sapienti silenzi e inganni espliciti mantenendo nel tempo la pericolosità della circolazione. A lui spettava di fermare il treno“.

La chat cancellata dopo il crollo del ponte: “Sti cazzi…” –Non sussistendo più il pericolo di inquinamento probatorio i giudici hanno deciso di disporre l’interdizione revocando gli arresti domiciliari, ma nelle 30 pagine con cui motivano la loro decisione c’è spazio per il caso della chat cancellata. Si tratta di messaggi scambiati tra Berti ed ex responsabile manutenzioni, Michele Donferri Mitelli (per cui invece sono stati confermati i domiciliari nei giorni scorsi). È il 25 giugno del 2018, quindi due mesi prima del crollo del ponte. “Berti – scrivono i giudici asseritamente in Usa per un convegno dove sarebbero state illustrate tecniche per salvaguardare i ponti, inviava a Donferri Mitelli la proposta di iniettare aria deumidificata nei cavi del viadotto Polcevera per levare l’umidità, ma l’altro rispondeva che i cavi erano già corrosi. A quel punto Berti ribatteva: “sti cazzi ….. io me ne vado”, evidentemente conscio della possibilità di sciagure delle quali sarebbe stato chiamato a rispondere, visto che non emerge da nessuna parte che egli già sapesse del trasferimento ad Aeroporti di Roma, che sarebbe avvenuto oltre sei mesi dopo, a sua tutela, in connessione con l’imminente condanna nel procedimento di Avellino”.

L’intercettazione tra Donferri a Berti: “T’ha pagato” – 

Proprio sul processo per la morte di 40 persone – giudizio in cui l’ex ad Castellucci era stato assolto – i giudici del Riesame ricordano come il reddito di Berti nel 2017 era triplicato e che era stato “tutelato” da Castellucci “che alla vigilia della lettura della sentenza” lo aveva fatto trasferire società Aeroporti di Roma dove il top manager era stato consigliere. Nella telefonata del 15 gennaio 2019 – quattro giorni dopo il verdetto – Berti in una telefonata intercettata dice e Mitelli: “Io ho promesso che avrei fatto delle cose .. devi fare quelle cose che hai promesso che dovevi fare… lui ha promesso che farà di tutto per alleviare .. se ne è avvantaggiato … per evitare che qualcosa arrivasse a lui, non abbiamo potuto fare quello che potevamo fare …. mi cambiava”. In una altra conversazione Berti e e Marrone, anche lui condannato in primo grado, concordano che devono farsi promettere per iscritto da Castellucci che, comunque, nonostante la condanna penale anche definitiva, non saranno stati licenziati. E nella telefonata del 30 gennaio Donferri, si legge nel provvedimento del Riesame, “ricorda a Berti che non è stato usato da Castellucci perché questi lo ha compensato adeguatamente facendogli fare carriera, ripetendo più volte: ‘T’ha pagato‘”.

L’estromissione di Tomasi dal caso delle barriere – I giudici, nel provvedimento, ricordano solo quanto tutti gli indagati fossero consapevoli della pericolosità delle barriere difettate e non in grado di sostenere il vento ma come avessero estromesso dalla vicenda Roberto Tomasi, attuale ad di Autostrade, che aveva cercato di intervenire. In una nota i magistrati riportano una intercettazione di Donferri Mitelli che dice “allora … Tomasi ha chiamato me e l’ho mandato a fare in culo, Tomasi ha chiamato Berti e l’ha mandato a fare in culo Tomasi è andato da Castellucci … Castellucci lo ha mandato a fare in culo“. In un’altra conversazione è lo stesso Tomasi che parla intercettato sul caso che dice “… gestito sempre dai soliti due (Berti e Donferri, ndr) … e gestito francamente non in modo … in modo rigoroso ……. a luglio 2017 noi facemmo delle prove sulle nuove opere e … evidenziammo … guardate … però sembra che ci sia un problema di dimensionamento su queste barriere … ecco i due … Berti e Donferri … io ne parlai con Castellucci e Berti e Donferri dissero … no la gestione la prendiamo noi … non è tua Tomasi ….. è stato uno scontro abbastanza feroce … perché Berti ha detto .. tu vuoi entrare a fare la gestione nostra …”.

“Persistente totale mancanza di scrupoli” – Come per l’ex ad Castellucci anche per Berti i giudici sostengono che “emerge in tale quadro la persistente totale mancanza di scrupoli per la vita e l’integrità fisica degli utenti delle autostrade mediante azioni ed omissioni in concorso relative, praticamente, a tutti i tipi e gli oggetti di manutenzione ed adeguamento nell’ambito della gestione delle autostrade, condotte volte tutte a una poliedrica e persistente politica del profitto aziendale, soprattutto risparmiando le spese dovute ma anche cercando di imputarle a capitoli non pertinenti perché potessero essere in parte detratte dai debiti verso la controparte, perseguito anche attraverso condotte delittuose. Ovviamente – rimarcano i magistrati – neppure può dirsi che le condotte illecite siano state da lui tenute solo nell’interesse di terzi, in quanto l’aumento a quasi il triplo delle sue già consistenti entrate emergente dalle dichiarazioni dei redditi dà la misura della tangibile riconoscenza a lui manifestata. Si noti in particolare che le condotte contestate nel presente procedimento sono state da lui tenute, nonostante l’evidenza dei cedimenti delle barriere già accaduti e nonostante che egli fosse stato in precedenza già rinviato a giudizio nel processo di Avellino, relativo alla caduta da un viadotto autostradale di un autobus pieno di viaggiatori anche a causa dell’inadeguatezza delle barriere, che non ne avevano contenuto lo sbandamento laterale verso l’esterno”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/11/ponte-morandi-falsi-report-su-ispezione-e-verifiche-antisismiche-da-ex-vertici-aspi-falsita-al-mit-sullo-stato-della-rete-autostradale/6034201/