giovedì 24 dicembre 2020

Pronto il controesodo da Italia Viva ai dem: cinque senatori in fuga. - Giacomo Salvini

 

Dopo settimane di borbottii e di critiche a mezza bocca al capo (“A volte Matteo si sveglia la mattina, legge i giornali e fa il pazzo” si è sentito dire un senatore dem da un renziano doc), il colpo di grazia ai senatori di Italia Viva lo ha dato il sondaggio Ipsos di sabato scorso. I renziani hanno notato un dato passato inosservato rispetto alla risalita del gradimento di Conte: Matteo Renzi è il leader meno amato dagli italiani, anche dietro Vito Crimi (all’11%). Poi lunedì le dichiarazioni di Dario Franceschini (“Con la crisi si va il voto e noi andiamo con Conte”) hanno fatto emergere i malumori: una pattuglia di senatori renziani, nel caso in cui la situazione precipitasse, sarebbe pronta alla scissione per entrare prima nel Misto, con un gruppo di “responsabili” per sostenere il governo e poi rientrare nel Pd.

Sui 18 senatori renziani quelli più insofferenti sono 4-5, ma qualcuno arriva addirittura a 8. I nomi che girano sono Giuseppe Cucca, Eugenio Comincini, Donatella Conzatti, Leonardo Grimani e Gelsomina Vono. I diretti interessati smentiscono ma l’insofferenza nel partito c’è e il Pd, tramite gli ex renziani di Base Riformista di Luca Lotti e Lorenzo Guerini, osserva i sommovimenti dentro IV e non gli dispiacerebbe fare lo sgambetto all’ex capo riaccogliendo molti ex compagni.

“Sono passati da Macron a Pecoraro Scanio – sogghigna un senatore Pd – e molti non ci stanno più”. I sondaggi (Swg dà il partito al 2,8%) e le simulazioni con il Rosatellum (Iv non avrebbe nemmeno un senatore) stanno creando un clima di terrore nel ventre di Italia Viva e per questo nelle ultime ore Renzi e i suoi hanno provato a chiudere il recinto: “Noi vogliamo allungare la legislatura” ha fatto sapere Renzi. Poi il capogruppo al Senato, Davide Faraone: “La battuta di Franceschini ha preoccupato tutti i gruppi, pensi a fare meglio il ministro e lasci stare il Colle”.

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“Aspi, tentata truffa allo Stato da 18 milioni”. M.G.

 

La nuova accusa ha preso campo nelle ultime settimane e ha assunto la forma di una grande tentata truffa: 18,7 milioni di euro che, secondo la Procura e la Guardia di Finanza di Genova, Autostrade per l’Italia intendeva farsi rimborsare dallo Stato per lavori mai fatti. Un “retrofitting”, cioè un miglioramento strutturale delle barriere antirumore, che in realtà non è mai avvenuto, se non nelle pieghe dei documenti contabili. Esisteva invece eccome, ma era stato nascosto, l’antefatto: l’errore commesso dal gruppo concessionario nella progettazione delle barriere che per questa ragione venivano abbattute dal vento e non reggevano ai test anticrash, oltre a essere fissate con una resina non a norma (“sono incollate con il Vinavil”, copyright di uno dei progettisti). La tentata truffa dunque è il nuovo reato che la Procura contesta all’ex ad Giovanni Castellucci e ai suoi collaboratori, Michele Donferri Mitelli e Paolo Berti (tutti già indagati anche per attentato alla sicurezza dei trasporti e frode in pubbliche forniture).

Secondo la procura sapevano che le barriere antirumore erano un obbligo per la concessionaria, previste da un piano sottoscritto con la concessione. Occorreva dunque cambiare tutto, ma sarebbe costato “150 milioni di euro”. Per questo Donferri aveva caldeggiato la soluzione “aziendalista”: abbassare le “ribaltine”, ovvero la parte superiore delle barriere, abbassate così da 5 a 3 metri, dunque meno esposte alle folate di vento. Così piegate “sembrano disegnate da Renzo Piano”, scrive divertito Castellucci in un sms a Berti. Non solo quell’intervento non riduceva il rischio crollo, ma di fatto riproponeva il problema del rumore. Così, quando i residenti si lamentavano, una nuova squadra andava a rimetterle come erano prima. Ciò che emerge ora, è il secondo tempo di quella vicenda. Nelle pieghe dei bilanci è emerso infatti che quell’attività senza meta (le ribaltine abbassate e poi rialzate) era diventata un progetto di “retrofitting”: una ristrutturazione, per cui la concessionaria rivendicava il diritto a detrarne i costi. Il trucco è spiegato in un’informativa della Finanza: “I costi per il ripristino delle barriere sono stati scomputati alla voce F2”. La voce di bilancio che indica i miglioramenti strutturali. “Un po’ come se un inquilino facesse passare spese di manutenzione ordinaria per spese straordinarie e strutturali – semplifica un investigatore – per poi accollarle al proprietario di casa”. Nell’informativa la presunta ristrutturazione viene definita senza mezzi termini “un escamotage”.

Ecco il dettaglio. “Nel novembre del 2017 (per una spesa del 2018), il direttore di tronco di Genova Stefano Marigliani presenta un primo preventivo di 55mila euro per il 2018, e di 5 milioni per gli anni successivi. Un lavoro indicato come potenziamento degli ancoraggi e inserito alla voce F2”. Marigliani viene allontanato dopo l’avvio dell’inchiesta sul crollo del Ponte Morandi. La questione dei rimborsi attraversa quindi la vecchia e la nuova gestione. Gli ultimi sono infatti stati richiesti dopo l’addio di Castellucci e lo spostamento o il licenziamento dei dirigenti investiti dalle indagini. Dopo aver sentito il nuovo management, i giudici riconoscono ai nuovi dirigenti di essere stati “ragionevolmente all’oscuro” di quanto loro stessi hanno domandato indietro allo Stato. Così dice Mirko Nanni, successore di Marigliani, che per il 2020 firma una richiesta fotocopia a quella precedente: 994mila euro per il 2020, 2 milioni 900mila euro per gli anni successivi. “Ho scoperto che quelle barriere erano difettose dalla Procura”, ha detto a verbale.

E il ministero, come controllava? Sentito a verbale come testimone, Carmine Testa, il responsabile dell’ufficio territoriale del ministero delle Infrastrutture spiega di essere stato ingannato: “Non sono in grado di dire dove si collochi la voce F2”. E ancora: “Nessuno mi aveva riferito di un adeguamento e potenziamento delle barriere”. A sgombrare il campo dai dubbi è il dirigente del Mit, Felice Morisco: “Se la concessionaria commette un errore le conseguenze rimangono a suo carico”.

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mercoledì 23 dicembre 2020

Natale a Rignano. Si tratta su tutto, dai canditi a come si aprono i regali. - Alessandro Robecchi

 

Che sono tempi bui lo abbiamo già detto, vero? Che non sarà il solito Natale lo abbiamo letto da qualche parte, giusto? Bene, metà del lavoro è fatto. Ora passiamo a trattare l’argomento “Feste-in-pochi-e-in-zona-rossa”, con piccoli accorgimenti e trucchi per passare in armonia i giorni più santi dell’anno, quelli in cui si celebra la gloria del bambinello. No, non quello là che pensate voi, un altro bambinello, quello di Rignano.
Le settimane della vigilia sono state agitate e ricche di discussioni. Si faceva l’albero, e lui minacciava di fare il presepe, in subordine, ok, fare l’albero ma che non sembri un cedimento! Vuole scegliere le luci, poi appendere almeno una pallina ma non si può mettere il puntale finché non c’è la Bellanova. Alla fine, dopo estenuanti tira e molla, si è fatto l’albero, lui ha messo una pallina gialla sul terzo ramo dal basso e ha rilasciato gioiose dichiarazioni in cui “Senza di me sarebbe stato un Natale senz’albero!”.
Questo il pregresso. Ma veniamo al magico giorno della festa. Il gioco dell’oco. Non c’è gusto a fare la tombola in quattro o cinque, e anche il Mercante in Fiera perde molto del suo fascino senza il nonno rincoglionito a cui bisogna dire le cose tre volte. Quindi, un consiglio: il gioco dell’oco. Funziona sempre. Tabellone, dadi, sapienti tattiche e qualche variante nelle regole: un giocatore parte con due punti e mezzo, tira i dadi, spariglia, minaccia, piange, supera, arretra, arringa le folle, rilascia sette interviste al giorno sulle sue impareggiabili strategie, e alla fine resta… con due punti e mezzo. Non è successo niente, ma ci siamo divertiti. Lui un po’ meno, ma dice che ha vinto. Tutti allegri.
Il panettone. Altro snodo cruciale del Natale, la cerimonia del panettone. Ma attenzione, c’è un commensale deciso a sollevare qualche problema. Non vuole i canditi, come ha dichiarato al Corriere due settimane fa. Non vuole l’uvetta come ha rivelato in un retroscena già all’inizio del mese. Contesta che il panettone sia tagliato a fette triangolari. Valuta nuove maggioranze tra i commensali per aprire il pandoro, ripetendo che non fa tutto questo casino per avere una fetta di panettone in più. Ma poi, a pensarci, chi metterebbe lo zucchero a velo sul pandoro? Vuole che la stesura sia collegiale. Allora torna al panettone, vuole tagliarlo lui, in subordine far aprire lo spumante a Rosato. Qualche consiglio agli altri commensali: è Natale, non litigate, dategli una fettina più grossa e vedrete che si placa. Di spumante, bevetene parecchio, ne avrete bisogno.
I regali. Ci avviciniamo al dramma. L’apertura di pacchi e pacchettini è un momento che rivela molto della natura umana, da come si esprimono gioia e sorpresa, a come si mascherano le delusioni. Le famiglie più sagge sanno che azzeccare il regalo per il ragazzo difficile è fondamentale, e qui potete sbizzarrirvi, giocare sui bei tempi andati (un bel modellino di aereo presidenziale), o puntare sulle sue abilità alla Playstation, con nuovi games fantasy, tipo “Rottamator”, un eroe sparatutto che finisce a spararsi in un piede. Un consiglio per farlo felice: il modellino Lego della Farnesina da montare, che ci tiene tanto. Per i carrarmatini del Risiko bisogna aspettare che si liberi un posto alla Nato, portate pazienza.
Nel frattempo si è fatta sera, siamo un po’ storditi e stanchi. Ci meritiamo un po’ di relax, magari la tivù, un telegiornale. Dove compare un tizio che dice che è stato un Natale bellissimo. Per merito suo. Dovremmo ringraziarlo.

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Meglio camerieri che servi. - Gaetano Pedullà

 

Ci sono molti modi di fare la cameriera, o il cameriere. C’è chi si spezza la schiena per portare a casa il pane. E chi se ne sta su comode poltrone, anche in Parlamento, svolgendo l’unica funzione di attaccare l’asino dove vuole il padrone. I primi pagano il prezzo della loro dignità, i secondi incassano per averla svenduta.

Dunque dare a qualcuno della cameriera, come ha fatto ieri Sgarbi rivolgendosi alla Raggi, non implica necessariamente un’offesa, anche se l’intenzione non era certo di farle un complimento. Il dibattito politico – si dirà – è sceso da tempo a livelli primordiali, e chi insulta si qualifica da sé, soprattutto se ha finito gli altri argomenti, e allora una parolaccia o un’allusione sono le soluzioni più facili per buttarla in caciara.

Mi capita spesso in tv, soprattutto se infrango certi luoghi comuni: i 5 Stelle sono incapaci, Conte è il peggior premier della storia, la sindaca di Roma ha fatto più danni dell’uragano Katrina. Opinioni legittime tanto quanto quelle diametralmente opposte, con però due aspetti in comune. Partiamo dal più evidente: chi scarica ogni genere di livore su Governo e 5S è lasciato generalmente libero di farlo, e può andare avanti con autotreni di bugie senza che nessuno interrompa o puntualizzi, mentre se è l’opposto, la contestazione o la parolaccia sono immediate.

Meno visibile ma non meno determinante è però l’altra caratteristica dei distributori a senso unico di ingiurie e corbellerie: o hanno una tessera di partito o sono al servizio di qualche editore. Ma non chiamateli camerieri, che si offendono.

https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/meglio-camerieri-che-servi/

Italia Viva alza bandiera bianca. Ma spaccia la resa per vittoria. Bellanova esulta: la task force sul Recovery Plan non c’è più. Invece ci sarà perché prevista dall’Unione europea. - Raffaella Malito

 

Matteo Renzi sembra uno di quei bambini che prima fanno i capricci e poi, quando si convincono che è ora di farla finita, devono trovare il modo di “rientrare nei ranghi” senza perdere la faccia. Dunque se, da una parte, abbandona i toni aggressivi e gli ultimatum all’indirizzo di Giuseppe Conte, dall’altra ci tiene a mantenere viva la tensione. Ecco allora che, al termine dell’incontro a Palazzo Chigi col premier, finalizzato a ridefinire il Recovery plan, la delegazione di Iv si lascia andare a nuovi segnali distensivi ma nello stesso tempo tira un po’ la corda, riproponendo la questione dell’attivazione del Mes.

“Il problema di questo Paese non è se Bellanova o Bonetti si dimettano ma dare risposte ai cittadini. La task force nel testo del Recovery non c’è più, dunque avevamo ragione. Ora discutiamo nel merito delle questioni. Oggi si è fatto un passo avanti”, dichiara il capo delegazione Teresa Bellanova. Eppure come un disco rotto continua a risuonare la richiesta di attivazione del Mes: “Se nel documento che ci è stato consegnato continuano a esserci solo 9 miliardi per la sanità, perché non si riflette sulla possibilità di utilizzare i 37 miliardi del Mes, che hanno minori condizionalità rispetto a quelle del Recovery?”, chiede Bellanova, rilanciando la richiesta sul Salva Stati avanzata dal suo leader anche ieri nella consueta newsletter.

A Iv sul Mes risponde Leu: “La strumentalità a volte è commovente, qui il problema non è di accaparramento dei soldi ma di rafforzare i progetti che intrecciano la sanità con gli altri” pilastri del piano, “il green soprattutto”, dice la capogruppo al Senato, Loredana De Petris, che era nella delegazione di Leu che ha incontrato il premier dopo Iv. “Serve mettere in campo una strategia di lungo respiro che tenga insieme green, salute e infrastrutture sociali e questo significa anche un riequilibrio delle risorse”, spiega De Petris. Per Federico Fornaro (Leu) “è fondamentale che questa massa di investimenti abbia la cornice di una riforma del lavoro. Servono una nuova legge sulla rappresentanza e ammortizzatori sociali per rendere più stabile il lavoro, combattere la precarietà e aumentare i salari”.

Il premier, il giorno prima a Pd e M5S, ha spiegato che sulla governance ci sarà una riflessione seria e condivisa, che non sarà una struttura invasiva ma ha tenuto il punto: ce la chiede l’Europa. Il ministro per gli Affari Ue, Enzo Amendola, ha ribadito il concetto: “A pagina 33 la Commissione Ue chiede che ci siano strutture per il monitoraggio, per aiutare le pubbliche amministrazioni. La Commissione chiede che ogni Paese si organizzi con una struttura, che non sostituirà i ministeri, ma aiuterà la Pa a fare un lavoro positivo”. E ancora: “Avevamo 600 progetti, ora ne abbiamo 52 e saranno razionalizzati e resi coerenti”.

La delegazione di Iv ha preso qualche giorno di tempo per esaminare la documentazione illustrata nel corso dell’incontro. Già lunedì faranno pervenire un loro contributo di sintesi così come faranno le altre forze politiche. Subito dopo partiranno i tavoli di confronto. Amendola conferma quanto già detto da Conte sulla volontà di voler parlamentarizzare il processo: “Dopo la sessione di bilancio, ci saranno altri incontri al Mef. Presenteremo poi una proposta al Parlamento e successivamente ne discuteremo anche con gli enti locali e gli attori sociali. L’Italia è uno dei pochi paesi in Europa che ha deciso di lavorare sul Recovery con il Parlamento. Vogliamo condividere tutti i passaggi”. Obiettivo: “Ci auguriamo che per metà febbraio si possano già presentare i piani nazionali”.

Rimane tra gli alleati lo stupore per i comportamenti del leader di Rignano: “Noi avevamo capito che volesse lavorare con noi per fare un patto di legislatura e invece ci siamo ritrovati con la possibilità di interruzione della legislatura”, dice Andrea Orlando del Pd che non si stanca di ribadire: “Non vediamo la possibilità di altre maggioranze, riteniamo che non ci siano altre formule praticabili come governi tecnici che non hanno portato benissimo”. Tagliente il ministro Francesco Boccia: “Si minacciano ultimatum che diventano penultimatum con liturgie che allontanano i cittadini dalla politica”.

Rimane sullo sfondo l’ipotesi di un rimpasto da varare a gennaio dopo la sessione di bilancio. Un’uscita di emergenza che, secondo alcuni, potrebbe definitivamente ricomporre la situazione saziando la fame di potere dei renziani. Nel mirino la delega ai Servizi segreti che il premier ha voluto mantenere nelle sue mani. Se Conte si decidesse a mollarla, quella potrebbe essere la prima pedina che avvierebbe il riassetto dell’attuale squadra di governo.

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Solo Cassese sa come si fa l’amatriciana. - Antonio Padellaro

 

Quando lavoravo all’Espresso, nelle settimane mosce, a un certo punto della riunione di redazione, c’era sempre qualcuno che proponeva d’intervistare Norberto Bobbio. Inevitabilmente, il mortorio era scosso da un fremito, e subito qualcuno esultava: magari! Conoscendo la ritrosia dell’illustre pensatore e necessitando di un araldo adeguato alla prestigiosa incombenza, il direttore indicava Nando Adornato che, provvisto di una laurea in Filosofia, possedeva le credenziali giuste per telefonare a un filosofo. Purtroppo, la fiduciosa attesa era regolarmente infranta dal mogio ritorno del messo il quale allargando le braccia e scuotendo la testa confermava i peggiori presagi: Bobbio ringraziava, ma non se la sentiva e rinviava la conversazione, sicuramente pregna di significati, a un futuro imprecisato.

Quanto più fortunati sono i giornalisti di oggi a cui mai viene mai precluso il privilegio di un colloquio con il professore Sabino Cassese, che se non è Bobbio poco ci manca. Ormai, non c’è giorno che non sia scandito dal sorgere del sole e da un’intervista graziosamente elargita al Paese dal facondo prof. È tale l’intensità del suo dire che lo immaginiamo provvisto di una batteria di cellulari, con lui, zac, sempre lesto a rispondere al primo squillo, ma anche al secondo e al terzo per non fare torto a nessuno. Bisogna ammettere che nella corsa al Cassese stravincono i colleghi del Foglio, che rappresentano un po’ la Juve della specialità. Tanto che, secondo le malelingue, il cattedratico risiederebbe in subaffitto presso quel giornale, per non disperdere neppure una stilla del suo nettare. Come è noto la dottrina di Cassese, in ogni articolazione, è tesa a dimostrare che il governo Conte è peggio della pandemia, e che peggio del governo Conte c’è solo Conte. Pur tuttavia, in una Casseseide pubblicata ieri su Libero (secondo la metratura di almeno una pagina, certificata presso il Bureau dei pesi e delle misure di Parigi), a una osservazione birichina dell’intervistatore, ovvero “Qualcuno parla di lei al Quirinale (non sarebbe male)”, l’accademico sembra prendere la cosa molto sul serio senza smentirla affatto. Chissà se una volta issato sul Colle Cassese potrebbe ancora deliziarci con le sue interviste spazianti da Conte all’universo mondo. Come un altro professore, non meno titolato, quell’Alessandro Cutolo che, ai tempi della nostra infanzia, conduceva in tv Una risposta per voi, dove scioglieva qualunque enigma. Dall’esito della battaglia delle Termopili, alla vexata questio sull’amatriciana: meglio il guanciale o la pancetta? Statene certi che Sabino Cassese lo sa, basta intervistarlo.

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Passione legittimo impedimento, così slittano i processi. - Gianni Barbacetto

 

Sono tornati i bei tempi del “legittimo impedimento”, quelli in cui i processi a Silvio Berlusconi erano bloccati all’infinito. Ieri, a Milano, era in calendario un’udienza del processo Ruby ter, in cui il leader di Forza Italia è imputato di corruzione in atti giudiziari, con l’accusa di aver pagato una trentina di testimoni affinché non raccontassero che cosa succedeva davvero durante (e dopo) le “cene eleganti” di Arcore, nella bollente estate 2010 del bunga-bunga.

L’udienza non si è tenuta: rinviata al 27 gennaio 2021, su richiesta dell’avvocato Federico Cecconi. Per un cavillo. Innescato già il 30 novembre, quando Cecconi aveva presentato un’istanza per chiudere in anticipo l’udienza: l’accusa aveva sostenuto che le due ville di Bernareggio progettate da Mario Botta, date in uso gratuito da Berlusconi a due testimoni – Barbara Guerra e Alessandra Sorcinelli – hanno un valore non di 900 mila euro ciascuna, ma di 1,1 milioni di euro. Allora bisogna cambiare il capo d’imputazione, ha chiesto il legale. Il Tribunale ha accolto la richiesta e sospeso l’udienza. Riconvocata ieri. Ma andata a vuoto: perché il cambio del capo d’imputazione deve essere notificato agli imputati, che devono avere 20 giorni per prenderne atto. Ieri di giorni ne erano passati solo 19. Ecco scattare la richiesta di rinvio da parte della difesa, che la settima sezione penale del Tribunale di Milano ha dovuto concedere.

Questa volta è scattato il cavillo. Ma da mesi i processi a Berlusconi vanno a rilento. C’è stato il blocco dei tribunali per la pandemia, le udienze saltate perché Berlusconi era risultato positivo al Covid-19, lo stop per i problemi di cuore dell’ex presidente del Consiglio. Prima ancora, i “legittimi impedimenti” erano stati politici. Tutto questo in una fase in cui il fondatore di Forza Italia si è riaccreditato presso i partiti come leader dell’opposizione “responsabile” e dialogante, o addirittura come interlocutore della maggioranza di governo.

I processi Ruby ter in corso sono tre: oltre a quello di Milano, con 28 testimoni coimputati, ci sono quello di Roma, dove coimputato è Mariano Apicella, il cantante che allietava le cene eleganti, accusato di aver ricevuto 157 mila euro dall’ex presidente del Consiglio; e quello di Siena, dove è processato in compagnia di Danilo Mariani, il silenzioso pianista delle serate del bunga-bunga, che ha ricevuto generosi bonifici per circa 170 mila euro.

A Roma, il processo è ancora nella fase iniziale. L’avvocato Franco Coppi aveva chiesto lo stop nel 2019 per la campagna elettorale per le Europee, poi per il Covid, infine per i “seri problemi cardiologici” dell’imputato. Il dibattimento partirà sul serio solo a maggio 2021. A Siena, dove il processo era invece quasi a sentenza, tutto è stato bloccato fino all’anno nuovo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/22/passione-legittimo-impedimento-cosi-slittano-i-processi/6044747/