venerdì 16 aprile 2021

Assegno unico: tutto quello che c’è da sapere sulla riforma in 5 domande e risposte. - Michela Finizio


La legge delega approvata lo scorso 30 marzo dal Parlamento cancella sei misure già esistenti per le famiglie e le trasforma in un contributo unico per tutti i figli a carico.

I punti chiave.

  • Cos’è l’assegno unico e cosa prevede
  • Come calcolare l’assegno unico e i requisiti
  • Cosa sostituisce l’assegno unico: il nodo delle risorse
  • Qual è il budget per finanziare l’assegno unico?
  • Come e quando richiederlo: i nodi ancora da risolvere

L’assegno unico e universale è la riforma più importante mai approvata delle misure di sostegno per le famiglie. L’obiettivo è mettere ordine alle tante e diverse forme di aiuto approvate nel corso degli anni. A disegnare il nuovo contributo è la legge delega 46/2021, approvata in via definitiva lo scorso 30 marzo dal Parlamento. Ma si tratta solo della cornice del quadro che nei prossimi mesi andrà riempito con uno o più decreti attuativi dal ministero della Famiglia in accordo con le Politiche sociali e il Mef, sentita la conferenza unificata delle Regioni. Ci sono 12 mesi di tempo per approvarli, ma la volontà politica di partire già dal 1° di luglio 2021 con l’erogazione del nuovo assegno potrebbe accelerare i tempi.

1) Cos’è l’assegno unico e cosa prevede?

La legge delega 46/2021 prevede il superamento di ben sei misure esistenti a sostegno delle famiglie, in favore di un assegno unico destinato a tutti (per questo è universale) i figli a carico, dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del 21esimo anno. L’assegno potrà essere sotto forma di erogazione mensile oppure un credito d’imposta.L’importo, ancora da definire con i decreti attuativi nei limiti delle risorse disponibili, dovrà essere progressivo in base alla situazione economica del nucleo definita tramite Isee (l’indicatore calcolato dall’Inps in base a diversi parametri, anche patrimoniali), sarà compatibile con altri assegni regionali o locali e con il reddito di cittadinanza. In quest’ultimo caso, però, in fase di attuazione bisognerà definire in che modo dovranno interagire i due contributi, uno di sostegno alle famiglie con figli l’altro di contrasto alla povertà.

2) Come calcolare l’assegno unico e quali sono i requisiti?

In base alle linee guida della legge delega, l’assegno unico sarà quindi così strutturato: una quota fissa per ogni figlio a carico e una quota variabile in base all’Isee del nucleo familiare. Attualmente la definizione di “figlio a carico”, quella finora utilizzata per le detrazioni fiscali, prevede che il ragazzo non debba avere un reddito lordo superiore ai 4mila euro (o di 2.840,51 euro se maggiore di 24 anni). Sono poi previste, per legge, le seguenti maggiorazioni, la cui entità andrà definita in fase attuativa:

- per i figli successivi al secondo (quindi che va a premiare le famiglie numerose);

- per le madri giovani, con meno di 21 anni;

- tra il 30 e il 50 per cento per i figli disabili under 21, graduata in base alla condizione di disabilità (al compimento del 21esimo anno di età, se il figlio disabile è ancora a carico, il nucleo percepirà ancora l’assegno ma senza maggiorazioni).

Inoltre l’assegno unico per i figli maggiorenni tra i 18 e i 21 anni avrà un importo inferiore e, su richiesta, potrà essere erogato direttamente al figlio, purché ancora a carico, iscritto ad un percorso di studio (o tirocinio) oppure disoccupato registrato all’Anpal o volontario del servizio civile. È comunque necessaria la cittadinanza italiana o europea, oppure è necessario essere residenti (o domiciliati) in Italia insieme ai figli da almeno due anni anche se non continuativi e titolari di un contratto di lavoro almeno biennale, e in regola con il permesso di soggiorno.

3) Cosa sostituisce l’assegno unico?

L’entrata in vigore del nuovo assegno unico e universale prevede il superamento e la soppressione di sei misure esistenti, da adottare in sede di esercizio di delega. Le misure attualmente in vigore che verranno meno sono le seguenti.

1)  Le detrazioni fiscali per i figli a carico, che attualmente non raggiungono i soggetti incapienti ai fini Irpef (cioè i redditi inferiori che hanno un’imposta troppo bassa per fruire dello sconto fiscale). Come annunciato resteranno in vigore solamente, in via transitoria, quelle per i figli over 21 anni, scoperti dall’assegno unico. Dalla soppressione di questa misure si otterrà un risparmio di 7,8 miliardi di euro.

2) Gli assegni al nucleo familiare per figli minori, destinati ai soli lavoratori dipendenti (non ne beneficiano i lavoratori autonomi), per i quali ogni anno nel mese di luglio va rinnovata la domanda. Gli importi sono modulati in base al numero dei figli e al reddito familiare imponibile. Non conta l’Isee. Il risparmio da questa misura sarà pari a 4,7 miliardi di euro.

3) Gli assegni al nucleo per le famiglie numerose che viene erogato per 13 mesi a partire dal terzo figlio in caso di Isee inferiore a 8.788,99 euro. Previsto un risparmio pari a 300 milioni di euro.

4) Le tre misure di sostegno alla natalità, tra cui il bonus bebé, il premio alla nascita per le neo-madri e il fondo natalità per le garanzie su prestiti. Il risparmio in questo caso sarà di 1,3 miliardi di euro

4) Qual è il budget per finanziare l’assegno unico?

Dal riordino di queste sei misure si ottiene un risparmio annuo complessivo di 12,9 miliardi, che andrà a finanziare l’assegno unico. Questi fondi si andranno a sommare agli stanziamenti approvati con le ultime leggi di Bilancio, confluiti nel «Fondo per l’assegno universale e i servizi alla famiglia», dove si contano circa 3,5 miliardi per il 2021 e 6,5 miliardi a regime a decorrere dal 2022.

5) Come e quando richiedere l’assegno unico?

In questi giorni gli uffici ministeriali sono al lavoro per capire se la riforma, come annunciato, riuscirà a partire a luglio 2021. Per poter partire quest’anno sono stati stanziati ad hoc 3 miliardi di euro con l’ultima legge di Bilancio e la volontà politica va in questa direzione. Ma i tempi però sono molto stretti e le questioni da definire sono ancora molte e spinose.

Innanzitutto le famiglie beneficiarie sono 7,6 milioni ed è difficile immaginare che tutte riescano a dotarsi dell’Isee entro luglio (su questo i Caf già segnalano di essere in difficoltà: l’indicatore può essere richiesto anche online, in modalità precompilata, ma in questo periodo sono in tanti a richiedere l’Isee corrente attualizzato alla situazione degli ultimi mesi e quest’ultimo lo possono elaborare solo gli operatori).

Inoltre, in base alle prime simulazioni effettuate da Istat e dal gruppo di ricerca Arel, Fondazione E. Gorrieri e Alleanza per l'infanzia, ci si è accorti che è difficile poter garantire 250 euro a figlio e, inoltre, un certo numero di famiglie rischia di prendere meno rispetto a quanto prende oggi in base alle misure esistenti. A tal fine andrebbe inserita una clausola di salvaguardia che tuteli circa 1,35 milioni di nuclei da questo rischio, ma per poterla prevedere mancano le risorse: si stima siano necessari ulteriori circa 800 milioni di euro.

Resta, infine, da definire l’interazione dell’assegno unico con il reddito di cittadinanza, andranno poi aggiornate le piattaforme informatiche dell’Inps al nuovo scopo e bisognerà decidere se i datori di lavoro dovranno continuare a versare il contributo (Cuaf) destinato agli assegni al nucleo familiare oppure se queste risorse (circa 2 miliardi) arriveranno da altrove. Il tutto, poi, dovrà essere inquadrato all’interno dell’annunciata riforma dell’Irpef che impatterà sul fisco familiare. Per tutti questi motivi resta difficile immaginare una partenza a pieno regime nel prossimo mese di luglio e bisognerà continuare a monitorare le fasi dell’attuazione nelle prossime settimane.

IlSole24Ore

Ironizzando sul Divino, il Migliore...

 

Ironizzando.

Da fb D'attis.

Le Grandi Manovre. - Marco Travaglio

 

Dopo averlo un po’ bistrattato, diamo la parola al generalissimo Figliuolo, non prima di aver celebrato il suo ultimo trionfo sul campo: ha cinto d’assedio ed espugnato la redazione de La Stampa, che peraltro non ha opposto resistenza. Però, nella visita guidata dal direttore Giannini (in borghese), gli ha dedicato un ritratto-colloquio di rara ferocia. “L’uomo che gira l’Italia in divisa ha un pensiero fisso: ‘Dobbiamo uscire da questa situazione’”. Giusto, sante parole, bene-bravo-bis. “Un’altra giornata vissuta di corsa”, incalzano i due intervistatori de La Stampa occupata, col fiatone: “batte l’Italia senza sosta”, “è operativo, sta sul campo”, associa “la fermezza del militare, lo schematismo dell’ingegnere e la sensibilità dello psicologo” (perbacco). E Lui, scattante: “Sempre zaino in spalla, freno a mano tirato (il che spiega molte cose, nda) e strada in salita”. Qualunque cosa voglia dire. I due segugi ripartono all’attacco: “Incontri in rapida sequenza, operativi, coinvolgere, viaggiare, osservare, ascoltare, individuare”. E “pochi annunci”, anzi nessuno, anzi uno: “17 milioni di dosi a maggio, una potenza di fuoco superiore alle 500 mila al giorno”. E qui vien da grattarsi, visto che in uno dei proverbiali non-annunci ce le aveva promesse già un mese fa per metà aprile, cioè per oggi.

Ma lui è già oltre e non-annuncia il nuovo piano: “Dal 10-15 maggio vaccinazioni in azienda. Si andrà in parallelo multiplo”. Non singolo: multiplo: e lì, attenzione, “possiamo anche decidere di vaccinare in contemporanea la fascia 30-59 anni” cioè “farli tutti insieme, ovviamente dando priorità a chi è più anziano”. I concetti di “tutti insieme” e “priorità agli anziani” parrebbero in contraddizione, ma non per chi viaggia “in parallelo multiplo”. Che poi vuol dire ’ndo cojo cojo. Tipo “vaccinare chi passa”, ma guai se qualcuno passa, saltafila senza coscienza che non è altro. Lui peraltro s’è già portato avanti: a soli 59 anni, “ho fatto Astrazeneca e sono stato benissimo”. Beato lui. “La seconda immagine – lo frustano i due watchdog, sempre a passo di carica – è anglosassone: Keep it simple, falla semplice”. Falla non nel senso di buco, ma di verbo. Obiettivo: “Consegnare al presidente del Consiglio la valigetta dei bottoni”. Prego? “Non per far partire un razzo, ma tutti i vaccini possibili”. Ah, meno male, chissà che credevamo. Sul finale chiarisce anche perché l’hanno scelto: “Sono dotato di pensiero parallelo” (non dice se multiplo o singolo) e “faccio cose normali: litigo anche con mia moglie” (dotata di pensiero meridiano). Ma sopratutto – chiosano i due segugi trafelati – “nel 1985, con il grado di tenente, ha preso servizio nella caserma Musso di Saluzzo”. E tanto ci voleva! Ha fatto tre anni di militare a Cuneo. Come Totò.

IlFattoQuotidiano

Hrw denuncia: in Qatar 'le donne ancora vittime del patriarcato'.

 

'Serve permesso uomini per viaggi, cure e gestione dei figli'.

Le donne in Qatar non hanno ancora il diritto di prendere decisioni in autonomia rispetto agli uomini su questioni fondamentali come il matrimonio, i viaggi e l'accesso a certi tipi di assistenza sanitaria, come le cure ginecologiche. Lo denuncia Human Rights Watch in un rapporto pubblicato di recente, in cui si fa appello alle autorità dell'emirato perché eliminino le norme del cosiddetto "sistema di tutela maschile".

L'ong con sede a New York, che ha intervistato decine di donne per redigere il suo rapporto, afferma che nonostante alcune iniziative intraprese in favore dei diritti delle donne, inclusa l'istruzione e la protezione sociale, il Qatar resta ancora indietro rispetto ai vicini del Golfo, se si pensa ad esempio all'Arabia Saudita, che nel 2019 ha permesso alle donne adulte di viaggiare senza permesso.

Una di loro ha raccontato di vivere in uno stato simile ad una "costante quarantena".

Il rapporto di 94 pagine, dal titolo 'Tutto quello che devo fare è legato a un uomo', analizza le regole e le pratiche del sistema di tutela maschile. Tra le altre cose, le donne non sposate sotto i 25 anni necessitano dell'approvazione di un tutore per viaggiare all'estero. E possono essere soggette a divieti di viaggio a qualsiasi età da parte di mariti o padri.

Il sistema nega inoltre alle donne l'autorità di agire come tutore principale dei loro figli, anche quando sono divorziate e hanno la custodia legale, aggiunge Hrw, secondo cui "la tutela maschile rafforza il potere e il controllo che gli uomini hanno sulle vite e le scelte delle donne e possono favorire o alimentare la violenza, lasciando alle donne poche opzioni praticabili per sfuggire agli abusi delle loro famiglie e dei loro mariti".

L'emirato - già sotto i riflettori internazionali per le condizioni dei migranti che lavorano nei cantieri per i Mondiali di calcio dell'anno prossimo - ha descritto il rapporto di Hrw come "impreciso", ma ha spiegato che farà delle indagini sui casi segnalati e punirà eventuali abusi. 

ANSA

giovedì 15 aprile 2021

“Hanno falsificato dati sul Morandi”. Lo choc del neo-Ad. - Marco Grasso

 

La rivelazione è così sconvolgente da lasciare sbigottito persino il nuovo Ad di Autostrade per l’Italia, Roberto Tomasi, l’uomo chiamato per salvare una nave in mezzo alla tempesta: “Quindi lui avrebbe forzato anche i voti sul Polcevera? Ma davvero? Non ci posso credere…”.

È il 12 dicembre 2019. È passato un anno e mezzo dal crollo del ponte Morandi, e tre mesi dalle prime misure cautelari che hanno svelato il sistema di falsi report con cui veniva sottostimato il degrado dei viadotti di mezza Italia, per posticipare le spese in manutenzione. Eppure, fino a questo momento, nemmeno i vertici della società sospettavano che la situazione fosse così grave. Ovvero che i falsi avessero riguardato anche il viadotto caduto, e quindi potessero essere messe in relazione con la morte di 43 persone. Il “lui” a cui si riferisce Tomasi è Michele Donferri Mitelli, ex capo delle manutenzioni di Aspi, fedelissimo dell’ex Ad, Giovanni Castellucci. “Certo che è molto interessante – commenta Tomasi, al telefono con il capo dell’ufficio legale di Aspi Amedeo Gagliardi – Per gli inquirenti, intendo”. Gagliardi è stato incaricato di leggere le carte depositate. Tra di esse ci sono le registrazioni effettuate nel 2017 (un anno prima del crollo) da alcuni dirigenti Spea, società incaricata del monitoraggio delle infrastrutture, come forma di autotutela: “Ce n’è una molto dura – dice Gagliardi – una conversazione tra lui e il progettista De Angelis… tu devi fa’ così… se il numero non te torna devi… perché nel 2002 la Pila 11… l’ammaloramento non dev’esse troppo forte… Insomma, fanno tutto un ragionamento sul Polcevera”. Emanuele De Angelis era il responsabile del progetto di retrofitting del Morandi che per i pm Aspi presentò al Mit con dati edulcorati.

Ieri il gip Angela Nutini ha accolto nel processo oltre 400 intercettazioni , escludendo quelle che coinvolgono i difensori della società.

IlFattoQuotidiano

L’imprenditore che produce monoclonali a Latina: ‘Li inviamo in tutto il mondo, ma in Italia se faccio uscire una fiala dal cancello mi arrestano’. Thomas Mackinson

 

Aldo Braca è il titolare della Bsp Pharmaceuticals dove si produce l'anticorpale della Eli Lilly che finisce in tutto il mondo fuorché in Italia, dove non è autorizzato. "I ritardi sui vaccini aumentano la richiesta globale , l'Italia si muova ora o rischia che l'intera produzione venga opzionata”. Aifa non emanato un bando di studio per la ricerca che potrebbe impiegare mesi. Il dg delle malattie infettive del San Martino Bassetti: "Non ha nessuno senso e poi anche Il problema etico: perché dovrei dare un placebo ai malati quando c'è la terapia per guarirli?”

“Anche io ho dei parenti che si son presi il Covid sa? Ma ho anche mille dipendenti che controllo tutte le mattine e tanti si sono ammalati fuori di qui, rischiando la vita. Dal mio impianto esce il farmaco che può guarirli subito. Sa che mi succede se lo porto fuori da questo cancello? Succede che mi arrestano, perché in Italia non è autorizzato”. Aldo Braca è il titolare della Bsp Pharmaceuticals di Latina, azienda divenuta celebre nell’era Covid perché da lì partono i camion refrigerati che portano gli anticorpi monoclonali della Eli Lilly in tutto il mondo fuorché in Italia, dove l’Aifa non li ha autorizzati. Gli ultimi studi pubblicati confermano una riduzione del rischio di morte del 70% e tuttavia le fiale da Latina vanno in Francia per l’etichettatura e poi negli ospedali di Stati Uniti, Canada, Israele, Germania, Inghilterra e Ungheria. Non in quelli italiani. “Non ci dormo la notte, da quando ho iniziato a mandare via il prodotto. Mi fa incazzare non una, ma dieci volte. Lo scriva pure questo. Ma la prego, aggiunga: l’Italia deve darsi una mossa”.

All’imprenditore non era sembrato solo un affare, quando ha contratto l’obbligazione con la multinazionale di Indianapolis per 100mila dosi di Bamlanivimab al mese, uno dei due soli trattamenti autorizzati al mondo contro il Covid. “Era settembre – racconta – gli ospedali stavano esplodendo di nuovo. Ho subito chiesto alla Lilly “ma in Italia il prodotto ci sarà vero?”, e loro mi hanno risposto “certamente lo offriremo, poi è il ministero che decide ma noi lo proporremo”. Il resto ormai è storia.

L’Agenzia del Farmaco, che dal ministero dipende, non ha autorizzato la sperimentazione, neppure quando le fiale erano state offerte gratuitamente a questo scopo su iniziativa del virologo Guido Silvestri che da allora non si da pace. Da Atlanta chiede che si faccia chiarezza su chi, a Roma, ha la responsabilità del ritardo nell’accesso alla terapia e delle vite che potevano salvare. Eccesso di prudenza e burocrazia, inconfessabili conflitti di interesse in capo ai decisori pubblici, non s’è mai capito. Fatto sta che allo sconcerto di pochi è poi seguita la rabbia di molti. Ma nessuno, nel frattempo, si preoccupa dell’approvvigionamento. “Coi vaccini ritardano sale la domanda globale di anticorpi – avverte Braca – . Ho ancora capacità produttiva ma dopo Trump l’amministrazione Biden ha subito opzionato altri due milioni di dosi, ora la Germania. Lilly ha messo un booking molto alto, sma se non ci muoviamo presto l’intera produzione sarà opzionata”.

Il regolatore pubblico non ha fretta. Solo 21 gennaio l’Aifa ha emanato un “bando per lo studio randomizzato” sugli anticorpi monoclonali. A strapparlo, con la forza di un leone, è stato il presidente Giorgio Palù, altra anima inquieta per questa vicenda che sembra aver smarrito da tempo il “razionale scientifico”, posto che gli studi di fase 3 hanno confermato l’efficacia degli anticorpi e altri paesi europei, Germania in testa, hanno iniziato a rifornire gli ospedali senza aspettare autorizzazioni dall’Europa. La scadenza del 21 febbraio è stato subito posticipata al 15: “per le molte richieste di arrivate da diversi ricercatori di avere più tempo per costruire e presentare la loro proposta di studio”, fa sapere l’Aifa. Dunque, l’agenzia che per mesi ha ignorato la sperimentazione adducendo problemi regolatori e dubbi sull’efficacia, scopre ora che c’è la fila per usarli ma non per impelagarsi in studi ridondanti.

Allo “studio” si è affacciato il San Martino di Genova. Matteo Bassetti, è il direttore delle malattie infettive. “Quando ho letto il bando mi sono cadute le braccia. Non ha alcun senso proporre ora un protocollo di studio su farmaci la cui efficacia è dimostrata da dati validati di Fase III, già utilizzati come terapia da altri Paesi come la Germania. Con 500 morti al giorno noi che facciamo? Aspettiamo i risultati dello studio che potrebbe – stando al protocollo Aifa – durare fino a 12 mesi?”. La sperimentazione (tardiva) pone anche un problema di natura etica di cui pochi si preoccupano. “Come potrò chiedere a pazienti malati di accettare da volontari il placebo se il farmaco che li guarisce c’è già?”. Anziché perder tempo, conclude Bassetti, si avvi un programma allargato ad uso compassionevole. “Da medici, più della ricerca, una cosa ci interessa: che arrivino terapie che possano salvare la vita ai pazienti. Non tra sei mesi, ora”.

IlFattoQuotidiano (1 FEBBRAIO 2021)

L’alba della tecnocrazia. - Federico Nicola Pecchini

 

Per chi ancora non se ne fosse accorto, il mondo è cambiato. Per sempre. L’emergenza sanitaria in corso da oltre un anno ha segnato la fine delle nostre vecchie democrazie costituzionali e l’inizio di quello che il filosofo Giorgio Agamben definisce “il nuovo paradigma di biosicurezza”.

La normalità come la conoscevamo prima del Covid non tornerà più. È ora di abbandonare le vane illusioni e metterci definitivamente una pietra sopra. E se non volete credere a me, credete almeno al Massachussets Institute of Technology Review, che queste cose le diceva già lo scorso marzo: “Non torneremo alla normalità”, titolava la prestigiosa rivista, “Il distanziamento sociale rimarrà in vigore per molto più di qualche settimana. Sconvolgerà il nostro modo di vivere, sotto alcuni aspetti per sempre.” Quelle previsioni della prima ora si sono poi rivelate spaventosamente profetiche. Guardate ad esempio il grafico sulla curva epidemiologica del virus e ditemi se non è spiaccicato alla realtà:

Fonte: Imperial College Covid-19 Response Team — 16 marzo 2020

Si dirà che ora abbiamo il vaccino, e che una volta immunizzato il popolo col siero portentoso l’ostinato virus sarà infine sconfitto. Ma attenzione a gridare vittoria troppo presto. Un op-ed pubblicato su Bloomberg la settimana scorsa chiedeva quanto efficaci siano davvero i vaccini in relazione alle varianti, e se non dovremmo piuttosto “prepararci ad una pandemia permanente” in cui “ci toccherà vaccinarci presumibilmente un paio di volte all’anno contro l’ultima variante in circolazione”, senza però “mai raggiungere l’immunità di gregge.”

Si prospettano tempi duri per gli agofobici

E se anche il Covid dovesse scomparire, gli scienziati ci avvertono che siamo ormai entrati nell’“Era delle Pandemie”, e che al Covid ne seguiranno altre. E se anche gli scienziati si sbagliassero sulle pandemie, ci saranno comunque altre emergenze da affrontare, una su tutte l’emergenza climatica. Un report pubblicato su Nature lo scorso mese, ad esempio, sosteneva che “il mondo abbia bisogno dell’equivalente di un lockdown pandemico ogni due anni per raggiungere gli obiettivi di Parigi sulle emissioni di gas serra”. Insomma, di qualunque emergenza si tratti, possiamo star certi che non domiremo più sonni tranquilli.

L’instaurarsi di uno stato di emergenza permanente ha diversi effetti, spiega Agamben, primo fra tutti la sospensione dello stato di diritto e delle garanzie costituzionali. Una sospensione che rischia di essere definitiva, perchè se l’eccezione da eccezione diventa la regola, allora l’emergenza non è più emergenza, ma appunto una “nuova normalità”. Questo, come aveva già notato Walter Benjamin nel 1942, è uno dei sintomi tipici del passaggio da democrazia a totalitarismo. Agamben non è il solo ad essere allarmato dalla tendenza in atto: secondo diversi osservatori sui diritti civili la pandemia è stata usata dai governi di tutto il mondo come scusa per limitare le libertà personali e minare la democrazia, mentre alcuni accademici hanno sottolineato come essa abbia “innescato una deriva politica autoritaria”, provocando “abusi governativi ed amministrativi” ed accentrando il potere decisionale “fino alla sospensione di un efficace controllo democratico.”

Ma se di totalitarismo si tratta, di quale totalitarismo stiamo parlando? Se in passato lo stato d’emergenza veniva proclamato soprattutto in tempo di guerra (ancora oggi questo è l’unico caso previsto dalla costituzione italiana), le emergenze del ventunesimo secolo sembrano avere un carattere di tipo prevalentemente diverso. Ad attentare alla sicurezza generale sono oggi patogeni di origine (pseudo?) naturale, o cataclismi sempre naturali seppur provocati in larga parte proprio dalle scriteriate attività umane. Anche se in futuro dovessero scoppiare nuove guerre, difficilmente saranno combattute da grandi eserciti al fronte: più facile immaginare l’uso di armi batteriologiche, oppure climatiche, o al massimo atomiche. Ad ogni modo a farla da padrone non saranno più grandi uomini politici o generali, ma scienziati ed ingegneri. Meno giunte militari insomma, e più comitati tecnici-scientifici.

Il “nuovo paradigma di biosicurezza” infatti è un paradigma essenzialmente tecnocratico. La parola “tecnocrazia” deriva dal greco techne (tecnica) + kratos (potere) e significa letteralmente “potere della tecnica”. Il termine fu coniato nel 1919 dall’ingegnere americano W.H. Smyth e venne reso celebre negli anni trenta da un altro ingegnere americano, Howard Scott, con l’attuale significato di “sistema di governo basato su decisioni prese da tecnici”. Il movimento dei Tecnocrati, di cui Scott fu uno dei fautori, non prese il potere, ma l’ideologia tecnocratica continuò a diffondersi nella classe dirigente occidentale, tanto che il presidente Eisenhower, nel suo celebre messaggio di commiato del 1961, mise in guardia non solo dal “complesso industriale-militare”, ma anche “dal pericolo che le politiche di governo possano diventare ostaggio di una élite scientifico-tecnologica”.

Un manifesto del movimento tecnocratico negli USA durante la Grande Depressione

Il processo di tecnicizzazione degli apparati amministrativi dello stato è quindi in corso da molto tempo, e la crisi attuale non è che l’ultima tappa. Michel Foucault (1976) faceva risalire questo processo al diciassettesimo secolo, quando lo sviluppo delle scienze positive permise per la prima volta di considerare le popolazioni umane da un punto di vista meramente biologico, e cioè come masse animali infuenzate dai processi vitali quali nascita, morte, riproduzione, malattia, etc. e come tali bisognose di essere gestite, regolate e controllate. Secondo Foucault questo diede il via allo sviluppo di tutta una serie di “tecniche volte ad ottenere la soggiogazione dei corpi ed il controllo delle popolazioni, segnando l’inizio di un epoca di “biopotere”.”

Oggi, secondo Agamben, questa “medicalizzazione della vita” che era andata crescendo a dismisura negli ultimi decenni (vedi anche Ivan Illich, 1976), ha raggiunto infine l’apoteosi: essa è diventata “permanente e onnipervasiva”, invadendo e stravolgendo ogni aspetto della vita umana. La medicina pare diventata una vera e propria religione, con tanto di dogmi (il “consenso scientifico”), sacerdoti (virologi e affini) e rituali (mascherine, sanificazione delle mani, saluti al gomito, etc.). Anche in questo caso i timori di Agamben non sono solo la stravaganza di un vecchio filosofo, come vorrebbe qualche critico astioso: nientemeno che Richard Horton, caporedattore di The Lancet, la più importante rivista medica al mondo, lo scorso dicembre ha parlato esplicitamente di “democrazie che diventano tecnocrazie”, “presa degli scienziati che va stringendosi attorno al collo dei governi” e “scienza che fin troppo facilmente viene corrotta in scientismo”.

Il mondo ostaggio della pandemia

Uno dei tratti più eclatanti dell’emergenza in corso è stato l’espansione senza precedenti degli apparati di sorveglianzaSecondo alcuni studiosi, questi nuovi sistemi (dalle app di tracciamento all’imminente passaporto vaccinale) sono da considerarsi a tutti gli effetti come forme di “biosorveglianza” che integrano tecniche di sorveglianza sanitaria a tecniche basate sui big data che fino ad oggi erano state riservate alle agenzie di sicurezza nazionale. Esemplare a riguardo è il caso di Israele, dove il governo ha immediatamente rinconvertito un database segreto che tracciava i movimenti di ogni cittadino per fini di anti-terrorismo ad un sistema di monitoraggio per contagi da Covid-19.

Anche qui il terreno era stato preparato con cura negli anni precedenti. Le popolazioni sono state abituate ad una graduale “digitalizzazione” e “algoritmizzazione” dell’esistenza, con le scienze informatiche ad assumere un ruolo sempre più decisivo “nell’influenzare, formare e guidare i nostri comportamenti”. Il professor Steffen Mau spiega come attraverso le innumerevoli app di auto-monitoraggio per la salute o lo sport “gli individui si siano abituati a cedere immense quantità di dati” personali, e a farlo divertendosi. “In altre parole, siamo stati addestrati a godere della nostra stessa datificazione”. Ebbene oggi, col pretesto della pandemia, questo tipo di misure volontarie sono di colpo diventate obbligatorie. L’intera infrastruttura tecno-digitale che ci circonda, dai telefoni cellulari agli elettrodomestici, dalle automobili alle telecamere smart alle antenne wifi, sarà d’ora in avanti integrata in un’unica, grande rete di sorveglianza. Questa forma di controllo sociale ubiquo ricorda molto il “panopticon” di Foucault (1975), dove la sensazione di essere sotto sorveglianza continua trasforma gli individui stessi in agenti della sorveglianza, e finisce per fargli rispettare le normative e convenzioni vigenti anche quando non sono effettivamente sorvegliati. La partecipazione attiva della popolazione negli apparati disciplinari dello stato li rende così ancora più efficaci e pervasivi.

I social media come nuovo esempio di panopticon

È facile prevedere come i nuovi sistemi di sorveglianza resteranno operativi anche molto tempo dopo il termine della pandemia. Essi potranno servire per tenere sott’occhio la popolazione ed anticipare così l’emergere di pandemie future. E potranno anche essere utilizzati in altri campi, come ad esempio quello della prevenzione del crimine. Il nuovo paradigma di biosicurezza punta infatti sull’anticipazione dei problemi, attraverso innovative tecniche di previsione algoritmica rese possibili dall’applicazione dell’intelligenza artificiale. Il concetto di “precrimine”, fino ad oggi appannaggio dei racconti fantascientifici alla “Minority Report”, sembra sempre più destinato a diventare realtà.

Una scena dal documentario Pre-Crime (2017)

Questi sviluppi non dovrebbero sorprenderci. Essi non sono che il risultato prevedibile di un lungo processo di tecnicizzazione e razionalizzazione della società iniziato secoli orsono. Il sociologo Jacques Ellul lo aveva capito chiaramente già nel lontano 1954: “Le tecniche di polizia, che vanno sviluppandosi assai rapidamente, hanno come sbocco inevitabile la trasformazione dell’intera società in un campo di concentramento … Per essere sicuri di arrestare i criminali, sarà necessario che tutti siano sorvegliati. Sarà necessario sapere esattamente le inclinazioni di ciascun cittadino, le sue relazioni, i suoi passatempi, etc. … La polizia dovrà adoprarsi al fine di anticipare e prevenire il crimine, affinché ogni intervento diventi superfluo. Questo risultato puó essere raggiunto in due modi: primo, attraverso una sorveglianza continua … secondo, creando una clima di conformismo sociale”.

E Zbigniew Brzezinski, una delle personalità più influenti nella politica USA del dopoguerra, gli faceva eco nel 1968:

“Presto sarà possibile stabilire un controllo quasi continuo su ogni cittadino e tenere files aggiornati che contengano perfino i dettagli più personali sulla salute e sul comportamento di ogni persona, oltre alle informazioni di base. Questi files saranno oggetto di tracciatura istantanea ad opera delle autorità.

I rapidi tempi di cambiamento incentiveranno inoltre soluzioni volte ad anticipare gli eventi e a pianificarli prima che accadano. Il potere sará nelle mani di coloro che controllano le informazioni, e che possono correlarle piú rapidamente. Le istituzioni attuali, adibite ad un tipo di gestione post-crisi, saranno progressivamente sostituite da istuzioni orientate ad una gestione pre-crisi, il cui compito sarà di individuare con anticipo le crisi emergenti e di sviluppare programmi per affrontarle.”

Immagine di copertina da George Orwell — 1984

Ancora più inquietante è il fatto che nell’ultimo anno i cosiddetti governi democratici non si siano limitati ad espandere i sistemi di sorveglianza, ma abbiano anche intrapreso forme estreme di censura del dibattito pubblico e di manipolazione dell’informazione. Questa almeno è la conclusione raggiunta da uno studio pubblicato sul Journal of Human Rights. Gli autori parlano di una pericolosa tendenza alla “criminalizzazione della misinformazione”, con decine di paesi che hanno approvato misure volte a punire penalmente la pubblicazione di notizie false, molti dei quali col carcere. Di rimando, un altro studio pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, ha trovato che durante l’emergenza Covid-19 gli stati abbiano collaborato con i mass media nel creare deliberatamente un clima di panico generalizzato, provocando ansia e “scatenando fenomeni di isteria collettiva”.

L’uso massiccio delle propaganda, spiegava Ellul, è incompatibile con la democrazia. Essa “distrugge la facoltá di discernimento del cittadino. In una vera democrazia, tutto si basa sulla critica consapevole e sul libero arbitrio … La propaganda invece tende sempre al totalitarismo.” La capacità critica degli individui viene soppressa e sostituita da una irremovibile convinzione collettiva di essere nel giusto. Questa convinzione diventa sacra, tanto che le persone perdono la capacità di dubitarne e anche solo discutere di alcuni argomenti diventa tabù. Chi osa farlo viene considerato alla stregua di un traditore della patria. Che oggi siamo giunti a quel punto lo dimostrano gli appellativi rivolti ai no-vax da parte di una nutrita schiera di personaggi pubblici: si va dai “disertori”, ai “terroristi” nemici dello stato, all’equivalente di quei soldati “imboscati … che a suo tempo … venivano fucilati sul posto”.

Un poster della psicopolizia in stile 1984

Ellul notava infine un’incompatibilità radicale tra l’essere umano e la tecnica. Essa infatti, con la sua pretesa di razionalizzare ogni campo dove sia applicata, tende a ridurre ogni cosa alla sola dimensione logica, escludendo via via ogni spontaneità e creatività personale per sostituirla con operazioni standardizzate. Questo porta necessariamente ad una progressiva spersonalizzazione e disumanizzazione del mondo. Non solo, dice Ellul:

“La tecnica richiede prevedibilità e, per di più, esattezza nella previsione. È necessario quindi che la tecnica prevalga sull’essere umano. Per la tecnica, questa è una questione di vita o di morte. La tecnica deve ridurre l’uomo ad un animale tecnico, il re degli schiavi della tecnica. […] [Essa] persegue il completo rifacimento della vita e della struttura del vivente perché sono pieni di imperfezioni. Poiché l’ereditarietà è piena di imprevisti, la tecnica vuole sopprimerla in modo da creare il tipo di uomo necessario al suo ideale di società. […] Le tecniche applicate all’uomo dovranno quindi risultare nel completo condizionamento del comportamento umano. Esse dovranno assimilare l’uomo nel complesso “uomo-macchina”, la formula del futuro. Nell’accoppiamento tra uomo e macchina, una entità radicalmente nuova prenderà la luce.”

In queste parole troviamo incapsulata tutta l’ideologia eugenetica e transumanista. A detta di molti, il transumanesimo può definirsi come la “religione di Silicon Valley”, e quindi come il culto esclusivo di quella ristretta casta di tecnocrati che conoscono i segreti della tecnica e sanno dove andrà a finire. Uno dei suoi profeti, il director of Engineering di Google Ray Kurzweil, ha da tempo pronosticato che nel giro di un paio di decenni l’uomo biologico si fonderà con le macchine (nanotecnologia ed intelligenza artificiale) e diventerà un ibrido umano-robot. E a chi si ostinasse a considerare queste idee alla stregua di un delirio fantascientifico, non mi resta che ripetere le parole di Paola Pisano, già ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale sotto il governo Conte: “Saranno i robot a salvare l’Uomo … ci dobbiamo augurare il nuovo ibrido “uomo-macchina”, senza alcuna paura … Il mondo si trasforma siamo pronti ad osare?”

Il futuro è cyborg

Insomma, il futuro è tracciato. Su questo i profeti della tecnocrazia sono tutti d’accordo: la convergenza tra problematiche globali (sovrappopolazione, sovraconsumo, crisi ecologica) e la spinta intrinseca del progresso tecnico risulterà inevitabilmente nella creazione di una dittatura scientifica mondiale. Secondo Brzezinski (1970) “tale società sarebbe dominata da una élite la cui pretesa di potere politico poggerebbe su di un presunto superiore know-how scientifico. Svincolata dai limiti imposti dai tradizionali valori liberali, questa élite non esiterebbe a raggiungere i suoi obiettivi politici utilizzando le tecniche più moderne per influenzare il comportamento dell’opinione pubblica e tenere la società sotto stretta sorveglianza e controllo.” Nelle parole di Aldous Huxley, “ il ventunesimo secolo … sarà l’era dei Controllori Mondiali, del sistema scientifico delle caste e del Mondo Nuovo.” Sotto una tale “dittatura scientifica … la maggior parte degli uomini e delle donne crescerà nell’amore della servitù e non sognerà nemmeno di ribellarsi.”

Il Mondo Nuovo è quindi alle porte. Non resta altro da fare che uniformarci o preparare la resistenza. Ma prima di esaminare più da vicino le opzioni sul tavolo, nel prossimo capitolo andremo a ripercorrere la storia dell’ideologia tecnocratica fin dalle origini, e a scoprire, dietro alla sua faccia razionale, un’altra faccia, dalle tinte più fosche e misteriose.

La Nuova Alantide di Francis Bacon (1626)

FONTE: https://federiconicolapecchini.medium.com/lalba-della-tecnocrazia-bd18613f6bc6
Pubblicato da Tommesh per Comedonchisciotte.org