Nuova offensiva pseudo-garantista.
Non c’è pace sotto al cielo del Partito democratico. E così, mentre Enrico Letta cerca di mettere in campo una strategia dialogante anche con la Lega di Matteo Salvini, dopo i primi mesi passati ad attaccare all’arma bianca il leader del Carroccio, tocca a Goffredo Bettini fare la mossa che spiazza tutti. In una lettera al Foglio (come aveva già fatto Luigi Di Maio una settimana fa, chiedendo scusa all’ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti, dopo l’assoluzione), nel nome del fatto che la giustizia va radicalmente trasformata, si schiera a favore dei referendum dei Radicali e della Lega. Che prevedono la responsabilità civile dei magistrati, la separazione delle carriere, la custodia cautelare, l’abrogazione della legge Severino (in modo che non ci sia nessun automatismo per quanto riguarda i termini di incandidabilità, ineleggibilità, decadenza per parlamentari, consiglieri, governatori regionali, sindaci, amministratori locali), l’abolizione della raccolta firme per la lista dei magistrati che vogliano candidarsi al Csm, l’abrogazione della norma sui consigli giudiziari.
Dice Bettini: “Non credo affatto sia giusto che questo tema sia un po’ pelosamente impugnato solo da quella destra populista, come la Lega, che amava esibire il cappio nelle aule parlamentari”. La mossa di uno degli uomini che è stato centrale nell’esperienza del governo giallorosso ha più livelli di lettura. Il primo si può raccontare attraverso le reazioni a questa uscita, all’insaputa di tutti, anche quelli a lui più vicini. Si arrabbia Letta, si arrabbiano parlamentari, membri delle Commissioni Giustizia soprattutto. Perché stanno lavorando sulla riforma Cartabia, che, per inciso, va fatta con la Lega. E dunque, quella di Bettini viene vista come l’azione di uno che non conta più come prima e dunque agita le acque, complica giochi già complessi di loro. Lo dicono tutti tra i dem, da Franco Mirabelli, capogruppo in Commissione Giustizia al Senato a Alfredo Bazoli, capogruppo alla Camera a Anna Rossomando, responsabile Giustizia dem, che le proposte della Cartabia sono più radicali. E soprattutto che arriveranno prima dei referendum. E dunque, quello di Bettini pare un assist alla propaganda di Salvini, al leader di lotta e di governo, che cerca un suo spazio, con Giorgia Meloni che glielo toglie, un giorno dopo l’altro.
“Qual è la vera posizione di Salvini? Quella di chi dice sì alla custodia cautelare o quella di chi voleva far marcire i detenuti in carcere, buttando la chiave?”, si chiedono non a caso al Nazareno.
C’è però un secondo livello di lettura. Ed è quello che alla fine Bettini apre la strada a una revisione di un certo tipo del dibattito sulla giustizia di questi ultimi 20 anni. Andando a toccare non solo il cosiddetto giustizialismo, che non è mai stato nelle corde dei dem, ma anche andando ad abbattere qualche tabù. Come, ad esempio, la revisione della legge Severino, che aveva portato alla incandidabilità di Silvio Berlusconi. D’altra parte, in una giornata densa per le tematiche della giustizia, non si sentono particolari voci di attacco verso i contabili della Lega condannati.
Si legge nella premessa alle proposte sulla giustizia del Pd: “Sotto il profilo della giustizia, la presenza di un presidente del Consiglio e di una ministra della Giustizia dalla preparazione e dalla autorevolezza inattaccabili può consentire al Paese di voltare pagina. Possiamo davvero chiudere per sempre la stagione delle contrapposizioni politiche sulla giustizia, e consegnare all’Italia un sistema più efficiente, che garantisca il rispetto della legalità insieme alla certezza del diritto e dei diritti dei cittadini, anzitutto quello di ottenere giustizia in tempi rapidi”. Eccola qui, scritta nero su bianco, la volontà di Letta di mediare con tutti, anche con la Lega. Inevitabile, d’altronde, visto che le riforme del Pnrr sono necessarie per avere i fondi europei. E poi, se si parla di ritorno della prescrizione, è più facile pensare che si possa fare asse con il Carroccio che con i Cinque Stelle.
Di certo, negli ultimi giorni, qualcosa è cambiato. Salvini ha dato ragione al Pd sulla proroga del blocco dei licenziamenti. Il Nazareno ha consegnato una replica secca al vice segretario, Peppe Provenzano, che evidenziava la giravolta, ma è un fatto che Letta ultimamente abbia ammorbidito i toni. “Dobbiamo fare le riforme con la Lega, a partire da quelle della giustizia e del Fisco”, ha detto e ridetto. Che cosa è successo?
Prima di tutto, c’è stato l’ennesimo confronto con il premier, Mario Draghi. E il segretario del Pd ha voluto smettere di offrire il fianco a chi lo cominciava a dipingere come il picconatore del governo. “Se non ora, quando?”, ha ribadito ieri sera, da Bruno Vespa, a proposito delle riforme. Senza la Lega, le riforme non si fanno. E il Pd parte da una debolezza prima di tutto numerica, nelle truppe parlamentari. Dunque, Letta non può che cercare dei punti di convergenza, una volta che ha visto fallire il tentativo di spingere Salvini a uscire dal governo e dar vita alla maggioranza Ursula. In questa fase magmatica della vita politica italiana, poi, si assiste a una convergenza di fragilità: i partiti contano sempre meno, rispetto alla forza personale del premier e dei suoi tecnici, ai moniti di Sergio Mattarella, persino alle raccomandazioni europee, rispetto a specifici provvedimenti. Così gli estremi, pur rimanendo estremi, si toccano.
Senza contare che nelle Commissioni parlamentari leghisti e dem si parlano di continuo, senza problemi di comunicazione. Dato di realtà che fa dire alla Rossomando: “Salvini si fidi di più dei suoi parlamentari, invece di fare azioni propagandistiche”. Ma in questa confusione di ruolo e di obiettivi, va anche detto che i dem aspettano con ansia di vedere gli emendamenti leghisti alla riforma Cartabia. La scommessa che si possa lavorare insieme la fanno, si aspetta la controprova della realtà. A proposito di rapporti di forza.
IlFQ