giovedì 12 maggio 2022

Inps: cambiano i servizi per i pensionati - 11 Maggio 2022 - Autore: Denise Ubbriaco


L’Inps ha avviato un percorso di trasformazione culturale, tecnologica e organizzativa, nell’ambito del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), mettendo a punto una serie di soluzioni su misura per i pensionati. Misure progettate secondo il principio ‘One click by design’, cioè d’ora in poi sarà tutto a portata di click. Ma come cambiano i servizi per i pensionati?

Non sempre questo bacino di utenza ha dimestichezza con le nuove tecnologie digitali, pertanto i nuovi servizi digitali Inps accompagnano i pensionati nel mare magnum di informazioni presenti sull’argomento. Innanzitutto, l’Istituto propone un’esperienza personalizzata volta a disegnare nuovamente i classici modelli, spesso inadeguati rispetto alle necessità del cittadino, attraverso l’offerta di servizi semplici e veloci da consultare.

Vediamo dunque quali sono i nuovi servizi Inps per i pensionati.

Domanda di reversibilità precompilata e automatizzata

Quando viene a mancare il coniuge, per essere vicino al cittadino colpito dal lutto, l’Inps ha semplificato la procedura richiedere la pensione di reversibilità.

In sintesi, un sms inviterà l’utente ad accedere alla propria area MyInps in cui troverà la domanda di reversibilità precompilata.

Con questo progetto digitale si punta a:

  • implementare la creazione automatizzata delle domande precompilate di reversibilità;
  • evolvere i sistemi di calcolo della misura delle prestazioni pensionistiche;
  • liquidare in modalità automatica le prestazioni agli aventi diritto;
  • ridurre le attività per le sedi territoriali.
  • Pensioni: servizio di consulenza digitale

Probabilmente, non tutti sanno che l’Istituto nazionale della previdenza sociale fornisce anche prestazioni aggiuntive collegate alla pensione, che attualmente sono:

  • bonus quattordicesima;
  • supplemento di pensione;
  • integrazione al trattamento minimo.

Grazie al servizio di consulenza digitale, i pensionati possono scoprire se hanno diritto o meno a queste prestazioni e come richiederle. Basterà seguire un percorso virtuale guidato, semplice e intuitivo.

vantaggi del consulente virtuale consistono:

  • nell’aiutare i cittadini a godere di diritti inespressi;
  • nel migliorare la comunicazione nei confronti dei pensionati al fine di rendere più trasparenti ed efficienti i servizi;
  • nella semplificazione del flusso di domande di prestazioni aggiuntive da parte di pensionati in possesso dei requisiti;
  • nella limitazione del numero di richieste di prestazioni aggiuntive da parte da coloro che non hanno i requisiti.

Avviato nel mese di aprile, il servizio di consulente digitale dovrebbe raggiungere nel breve periodo circa 700 mila utenti, a cui sarà suggerito, tramite notifica MyInps e via email, di verificare il diritto a prestazioni integrative.

Servizi di informazione personalizzata

Il progetto Inps mira a fornire informazioni più efficienti e su misura per rispondere alle esigenze dei pensionati. In che modo? Grazie alla creazione di modalità innovative di comunicazione e proattività rispetto ai canali tradizionali.

Una video guida personalizzata accompagna il pensionato in un percorso interattivo alla scoperta dei servizi online a sua disposizione sul sito web dell’Istituto. Gli utenti possono accedere alla video guida anche tramite MyINPS o l’App IO. Sul canale YouTube dell’Inps è disponibile un video che spiega come accedere alla video guida personalizzata.

Servizio PensAMI

Come essere aggiornati sulla propria situazione pensionistica? Grazie al servizio PensAMI. Si tratta di un simulatore che consente a tutti gli utenti, anche senza autenticazione, di verificare i possibili scenari pensionistici sulla base dell’attività lavorativa svolta.

Come funziona il simulatore di scenari pensionistici? Innanzitutto, è possibile accedervi rispondendo ad alcune domande; dopodiché, il simulatore fornirà informazioni:

  • sulle prestazioni pensionistiche a cui si può avere diritto;
  • sulla data per accedere alla pensione;
  • sulla comparazione prestazioni pensionistiche con vantaggi e svantaggi legati alle proprie scelte.

Per approfondire le singole tematiche e chiarire ogni altro dubbio è possibile cliccare sui link diretti alle schede delle prestazioni pensionistiche presenti sul sito dell’Istituto.

https://www.laleggepertutti.it/568510_inps-cambiano-i-servizi-per-i-pensionati

Massimo Fini: “Quando Putin eravamo noi, i Veltroni dov’erano?” - Massimo Fini

 

Nell’orgia di retorica che ci ha investito dopo l’aggressione della Russia all’Ucraina, credo che la Palma d’Oro – ed era davvero difficile primeggiare in una competizione in cui si sono cimentati tutti o quasi – spetti di diritto a Walter Veltroni.

Mettendosi sulle spalle di Elie Wiesel (fa sempre comodo appoggiarsi a un ebreo anche se in questo caso gli ebrei non c’entrano nulla) l’onorevole Veltroni bolla l’indifferenza con cui gli occidentali, categoria cui mi onoro di non appartenere, stanno assistendo alla tragedia ucraina. A me non pare proprio. Ma quale indifferenza? L’Europa, totalmente sottomessa ai voleri di Joe Biden che sta conducendo, attraverso il burattino Zelensky, una sua personale guerra contro l’ex Unione Sovietica, sta riempiendo di sanzioni la Russia e di armi l’Ucraina.

Scrive l’indignato Veltroni, promosso per demeriti politici a editorialista della Gazzetta dello Sport e del Corriere della Sera, autore di film inguardabili: “Ci sembrano normali, davvero normali, l’invasione di un Paese sovrano, i bombardamenti sui civili – tremila morti dice l’Onu – le fosse comuni, gli stupri di donne e bambini, la sistematica distruzione di case e acquedotti? Siamo talmente narcotizzati da non stupirci più?” (Corriere della Sera, 6.5.22).

Certo che non sono normali. Ma siamo “narcotizzati” dalle violenze occidentali perpetrate negli ultimi vent’anni. Come non era normale l’invasione e l’occupazione dell’Afghanistan nel 2001, durata vent’anni, che ha causato 300 mila morti civili, cifra per difetto perché nessuno si è mai preso la briga di calcolarli in modo serio, e di 70 mila combattenti talebani che però non si sono mai abbandonati ai piagnistei di Zelensky né se la sono data da catilinari votati alla morte come quel comandante o sub comandante del dubbio battaglione Azov intervistato l’altro giorno da Sky Tg 24.

Al contrario, il capo dell’Emirato Islamico d’Afghanistan, il Mullah Omar, legittimamente al potere, se è legittimo un potere che si conquista dopo una guerra combattuta contro i prepotenti, è stato regolarmente infamato e accusato di ogni genere di nefandezze insieme ai suoi talebani che continuano a esserlo. Chi era allora l’aggredito? L’Emirato Islamico d’Afghanistan. Chi erano allora gli aggressori? Gli americani col codazzo dei loro servi occidentali e anche non occidentali (la nobilissima e democratica Turchia). Eppure per i bombardamenti a tappeto su Kabul, su Kandahar, su Mazar-i Sharif, su Kunduz, “la sistematica distruzione di case e acquedotti”, la cancellazione a suon di bombe di ospedali come quello di Medici Senza Frontiere a Kunduz, l’uso di gas tossici e armi chimiche, i proiettili all’uranio impoverito, l’onorevole Veltroni, e tutti i Veltroni dell’Occidente, non si è mai indignato. Quando siamo noi gli aggressori vale tutto. Anche le torture abbondantemente utilizzate a Guantanámo. Del resto i Talebani erano dei “terroristi” e forse nemmeno propriamente degli esseri umani. Come oggi, per la Russia di Putin, gli ucraini sono solo dei “nazisti”. Peraltro in vent’anni, prima che gli occupanti, fra cui c’erano anche gli italiani, fossero cacciati nel più ignominioso dei modi, nessuna voce, nemmeno quella del Papa che è pronto a chiagne per ogni cosa, si è mai levata a difesa degli afghani, tantomeno quella di Walter Veltroni.

Scrive ancora l’onorevole Veltroni: “Ma la comunità e il diritto internazionale non possono prescindere dall’integrità dell’Ucraina e dalla sua sovranità, dalla riconquista della possibilità per quel popolo di tornare a vivere e a decidere autonomamente il suo destino”. Evidentemente gli afghani non avevano il diritto di “decidere autonomamente del proprio destino”, se lo sono dovuti riprendere con la forza delle armi e del loro coraggio.

L’onorevole Veltroni si indigna perché con la sua aggressione la Russia ha violato l’integrità di uno Stato sovrano. Vero. Ma non era uno Stato sovrano l’Iraq di Saddam Hussein? Non era uno Stato sovrano la Libia del colonnello Muammar Gheddafi? Eppure l’Iraq e la Libia nel momento in cui sono stati aggrediti (2003 e 2011) erano Stati accreditati all’Onu. Evidentemente per l’onorevole Veltroni, e per tutti i Veltroni dell’Occidente, Stati sovrani sono solo i nostri o quelli dei nostri amici o quelli di chi ci fa comodo (come l’Egitto del molto commendevole Abdel Fattah Al Sisi o, perché ha il gas, l’Algeria dei generali tagliagole che nel 1991 con un colpo di Stato occuparono il potere o piuttosto se ne riappropriarono dopo decenni di una dittatura sanguinaria). Non era uno Stato sovrano la Serbia di Slobodan Milosevic? Eppure una grande Capitale europea come Belgrado fu bombardata dagli americani per 72 giorni a favore dell’indipendentista Kosovo. Il che non legittima i bombardamenti di Putin su Kiev, ma gli offre un prezioso precedente per bombardarla a favore degli indipendentisti del Donbass (la situazione Serbia-Kosovo e Ucraina-Donbass è simmetrica).

Veltroni scrive anche di “oceaniche manifestazioni” quando fu invaso e occupato l’Iraq nel 2003. Le ha viste solo lui, forse in sala di montaggio.

Veltroni scrive che l’indifferenza è una brutta cosa. Ma peggiore dell’indifferenza è la retorica di cui l’onorevole Veltroni, e tutti i Veltroni dell’Occidente, utilizza a piene mani piegando e falsificando, a suo uso e consumo, i dati della realtà.

https://infosannio.com/2022/05/12/massimo-fini-quando-putin-eravamo-noi-i-veltroni-doverano/

Draghi a mani vuote. Usa: sempre più armi. - Wanda Marra

 

NEL COMUNICATO CONGIUNTO IL “NEGOZIATO” SPARISCE - “Biden non lo giudico”. Il premier: “Alleati con visioni diverse”. Ma non dice la sua. “Costruire la pace”. Ma non dice come. Usa: più armi che a Kabul.

Mentre Mario Draghi si stava addentrando a spiegare che “bisogna riflettere sugli obiettivi di questa guerra”, viene decretata la fine della conferenza stampa all’Ambasciata italiana a Washington. Eppure il ragionamento sull’Europa che è “l’alleato degli Usa, quindi le sue visioni non sono in contrasto ma stanno cambiando e dobbiamo parlarne” sarebbe stato effettivamente cruciale per leggere la visita del premier italiano negli States.

Ieri un Draghi visibilmente stanco ha risposto (da solo, perché la Casa Bianca non ha voluto fare una conferenza stampa congiunta) alle domande dei giornalisti italiani, raccontando i contenuti del bilaterale con il presidente degli States, Joe Biden. Più di un’ora, con gli ultimi 10 minuti di faccia a faccia. Ne aveva dato già notizia un comunicato congiunto della Casa Bianca e di Palazzo Chigi. Nel testo salta agli occhi soprattutto un’assenza: non compare la parola negoziato. Si parla di “pace” che però va ricercata “attraverso il sostegno all’Ucraina e l’imposizione alla Russia dei costi”. Nessun impegno comune per il dialogo.

Davanti alla stampa italiana, il premier mette una serie di punti fermi: non si può più considerare la Russia come “Golia” davanti a Davide. E dovranno essere gli ucraini a decidere cosa considerare vittoria. Un modo per chiarire anche che non spetta agli States decidere. Implicito, però. Perché poi alla domanda se abbia condiviso i toni di Biden (che ha evocato il “regime change”) risponde: “Non siamo venuti qui per giudicarci a vicenda”. Anche a fini interni, parlando con la stampa italiana, Draghi il negoziato lo mette sul tavolo. Genericamente, però. “Bisogna cominciare a pensare come costruire la pace”, dice, a due mesi e mezzo dall’inizio della guerra. Poi, chiarisce che anche gli Usa devono fare uno sforzo per sedersi a un tavolo e che “bisogna riattivare i contatti a tutti i livelli” (rispondendo a chi gli chiede se serve una telefonata di Biden a Putin per sbloccare la chiusura dei porti alle navi che trasportano grano).

Nelle sue parole si sente il bisogno sia di rappresentare le ragioni dell’Europa, più schierata sul negoziato rispetto agli Usa, sia di non distanziarsi troppo dall’Alleato americano. Per inciso, le affermazioni di Draghi non bastano a Giuseppe Conte, che ribadisce la richiesta al premier di riferire in Parlamento. Draghi lo farà giovedì prossimo con un’informativa (e non con un question time) su richiesta di FdI, ma comunque senza voto. Mentre il terzo decreto interministeriale per l’invio di artiglieria pesante appare imminente e quello per le missioni richieste da Biden in Ungheria e Bulgaria arriverà in Parlamento tra qualche settimana.

Sul fronte energetico, Draghi non sembra portare a casa troppe garanzie dagli States. Nessun cenno davanti alla stampa a prezzi e quantità del Gas liquido da acquistare dagli Usa per sostituire la dipendenza dal gas russo. Anche se parla della necessità di investire su rigassificatori e rinnovabili. L’ipotesi di un tetto al prezzo del gas – battaglia dell’Italia a Bruxelles – è stata “accolta con favore”, dice. Ma deve precisare: “L’Amministrazione Usa sta riflettendo più su un tetto al prezzo del petrolio, ma ne riparleremo presto”. Poi svela l’ipocrisia europea sul pagamento di gas in rubli, che si sta già facendo. C’è “una zona grigia”, con “il più grande importatore, la Germania”, che “ha già pagato in rubli e la maggior parte degli importatori di gas che hanno già aperto dei conti” con la moneta di scambio russa. Non senza aver rassicurato sul fatto che non teme l’inflazione, Draghi conclude la visita con un incontro con la speaker della Camera, Nancy Pelosi e poi all’Atlantic Council, che assegna a lui il riconoscimento di uomo politico dell’anno, mentre Claudio Descalzi, ad dell’Eni, quello di imprenditore.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/05/12/guerra-il-negoziato-non-ce-draghi-diviso-tra-usa-e-europa/6588741/

giovedì 28 aprile 2022

Draghi ignora il Parlamento e tratta con Biden e Zelensky. - Luca De Carolis, Wanda Marra

 

IL FRONTE ITALIANO - Il premier farà visita al presidente Usa il 10 maggio: ieri ha sentito il leader ucraino. No a nuovo dl sulle armi.

Oggi il ministro della Difesa Lorenzo Guerini riferirà al Copasir sul secondo decreto interministeriale per l’invio di armi all’Ucraina. Un provvedimento di Mef, Difesa e Farnesina, che contiene una lista secretata degli aiuti per Kiev. E se dalla Difesa assicurano che è la fotocopia del primo, quel che è certo è che l’invio di artiglieria pesante (cannoni, obici, semoventi) non passerà per un voto del Parlamento. Palazzo Chigi aveva fatto filtrare la possibilità di un decreto da licenziare in Consiglio dei ministri. Ma è scomparso dal tavolo, “ammesso che ci sia mai stato”, per dirla come un’autorevole fonte di governo.
Guerini ipotizza un altro invio con nuovo decreto interministeriale. Senza un voto del Parlamento. Cartina di tornasole è la dichiarazione del dem Graziano Delrio, da sempre vicino al ministro della Difesa: “Il Parlamento ha autorizzato l’invio di armi a scopi difensivi: conoscendo la correttezza del premier e di Guerini, se ci fosse un cambiamento di prospettiva ci sarebbe una discussione in Parlamento”. Un’affermazione che adombra più di un dubbio. Draghi, peraltro, non ha al momento alcuna intenzione di riferire sul tema. Al massimo, raccontano fonti di governo, potrebbe limitarsi a rispondere in un Question time.

Ieri invece ha annunciato la sua visita negli Usa: bilaterale con Biden il 10 maggio. Sanzioni alla Russia, aiuto all’Ucraina e anche clima, al centro della visita, come fa sapere la Casa Bianca. Draghi ha chiamato Volodymyr Zelensky, ribadendo “il pieno sostegno” del governo italiano. L’altro ha ringraziato anche per l’accoglienza dei rifugiati. Si è parlato poi del “coinvolgimento dell’Italia nei futuri accordi di sicurezza dell’Ucraina”. Ovvero della possibilità che il nostro Paese sia tra i garanti della sicurezza, a negoziati avviati. I due hanno parlato anche della visita a Kiev del premier, ma su data e modalità dovranno risentirsi. Curiosa situazione, visto che il viaggio era stato annunciato da Palazzo Chigi come imminente. Intanto lì fuori c’è sempre Giuseppe Conte a chiedere di distinguere tra armi offensive e difensive. “Confine labile” come ha ammesso al Fatto il leader dei 5 Stelle, che però deve mantenere il punto politico. Per questo chiederà ancora che Draghi e Guerini riferiscano in aula sugli armamenti. “Probabilmente anche con una richiesta diretta al presidente del Consiglio” dicono dal M5S. Nell’attesa, ieri Conte ha fatto visita all’ambasciatore della Gran Bretagna a Roma, Ed Llewellyn.

Due ore di incontro, secondo i 5Stelle, chiesto dal diplomatico: perché a Londra vogliono capire dove possa arrivare l’ex premier. Di certo da ieri Conte può sentirsi più sollevato, perché ha incassato il sostegno del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. “Il faro resta l’articolo 51 della Carta dell’Onu sulla legittima difesa, per garantire la sovranità e l’integrità dell’Ucraina” ha sostenuto il 5Stelle da Strasburgo, citando quella norma su cui Conte martedì aveva impostato la sua linea: sì ad armamenti per l’autotutela, no per un’eventuale controffensiva. Distinzione “complicata”, a detta di Matteo Salvini, “perché mica c’è il missile difensivo e il missile offensivo, è soggettivo”.

Però anche il leghista ritiene che Draghi debba riferire in aula: “Sulle armi serve assolutamente un passaggio parlamentare, anzi io chiedo un incontro di tutti i leader sulla pace, perché si parla solo di razzi e missili”. Una (parziale) convergenza che infastidisce il Pd. Ma la vera partita potrebbe essere quella di un documento in cui precisare quali armi inviare. “Ora non pensiamo a mozioni o risoluzioni” sostengono dai piani alti del M5S.

Però a Un giorno da pecora ne ha parlato il vice capogruppo in Senato, Gianluca Ferrara: “Una mozione contro l’invio di armi pesanti è un’ipotesi da tenere in considerazione”. Altre voci a 5 Stelle di Palazzo Madama raccontano una versione un po’ diversa: “Sarebbe meglio una risoluzione di maggioranza, legata all’intervento di Draghi in aula”. Un testo attento alle sfumature, per scongiurare tensioni o crisi di governo. Ammesso che Draghi in Parlamento ci vada.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/28/draghi-ignora-il-parlamento-e-tratta-con-biden-e-zelensky/6573088/

Salomonicamente. - Marco Travaglio

 

Siccome è bene attrezzarsi per tempo e non farsi trovare impreparati, stiamo studiando attentamente le Isole Salomone, simpatico arcipelago di un migliaio di atolli nell’Oceano Pacifico meridionale a Nord Est dell’Australia e a Sud Est della Papua Nuova Guinea, con 687 mila abitanti.
L’isola più grande e famosa, che ospita la capitale Honiara, è Guadalcanal (teatro dell’omonima battaglia del 1942-’43 fra Alleati e giapponesi).
Ma c’è anche Bougainville, che evoca i fiori.
Le Salomone sono uno degli Stati più poveri dell’Oceania e del mondo: agricoltura, pesca, un po’ di turismo, qualche giacimento minerario non sfruttato.
Il capo dello Stato è la regina d’Inghilterra, mentre il governo – dal 1978, fine del protettorato Uk – è espressione di un Parlamento elettivo.
Il premier dal 2019, Manasseh Sogavare, ha riallacciato i rapporti con la Cina, scaricato Taiwan e firmato un accordo di cooperazione e sicurezza con i cinesi, che li autorizza a visite periodiche nei porti in cambio
di aiuti economici.
La cosa non piace a Usa, Australia e Giappone, per la posizione strategica delle Salomone sulle rotte del Pacifico.
Sogavare ribadisce che resta neutrale, ma Washington lo accusa di voler ospitare una base militare cinese.
Nei giorni scorsi Biden ha inviato due alti funzionari nelle Hawaii, nelle Fiji, in Papua Nuova Guinea e nelle Salomone, suscitando l’ilarità del ministro degli Esteri cinese Wang Yi: “Perché gli americani si prendono la briga di visitare un Paese insulare nel quale
la loro ambasciata è rimasta chiusa per 29 anni?”.
Tre giorni fa la Casa Bianca ha minacciato di “rispondere
di conseguenza” se le Salomone oseranno ospitare una base cinese, che avrebbe “potenziali implicazioni di sicurezza regionali”.
E l’altroieri, malgrado le nuove smentite del premier, Daniel Kritenbrink, assistente del segretario di Stato per l’Asia orientale e il Pacifico,
ha rifiutato di escludere un’azione militare nelle isole.
Nessuno spiega a che titolo gli Usa pretendono di decidere con chi possa accordarsi un Paese sovrano, che non è neppure loro alleato, dunque è libero di fare ciò che gli pare.
Né con che faccia Biden impartisca lezioni alla Russia per aver fatto a un Paese confinante ciò che lui minaccia di fare a un Paese distante 9.600 km dalla California.
Né, soprattutto, a chi dovremmo inviare le armi, o almeno i pedalò, nel caso di invasione Usa
nelle Salomone.
Al nostro primo alleato Nato che si sacrifica per noi salvandoci dalla penetrazione cinese nel Pacifico?
O al popolo salomonese aggredito, in base all’articolo 11-bis della Costituzione Immaginaria che ripudia la guerra, ma ci impone di combatterle tutte con gli aggrediti?

martedì 26 aprile 2022

Il conflitto in Ucraina è il fallimento (di parte) della classe dirigente italiana. - Alessandro Orsini

Il valore di una classe dirigente si misura dalla sua capacità di fare previsioni. Ad esempio, il generale Vincenzo Camporini, il 14 febbraio 2022, durante una diretta a Tutta la città ne parla (Radio 3), ovvero dieci giorni prima dell’invasione russa dell’Ucraina, si era detto assolutamente certo che Putin non avrebbe mai dato l’ordine di invadere l’Ucraina. Le parole di Camporini furono queste: “Io credo che gli attori di questa questione siano attori razionali e che Putin sia una persona razionale. L’attacco militare di massa della Russia contro l’Ucraina è privo di qualsiasi credibilità”. Camporini è stato uno dei generali italiani più alti in grado, addirittura capo di Stato maggiore. Oggi si è dato alla politica. Fa il consulente alla difesa per un piccolo partito politico. Il 14 febbraio 2022, Putin aveva già ammassato 180.000 soldati al fronte. Era davvero impossibile immaginare che non avrebbe invaso l’Ucraina. Eppure Camporini giurava che non avrebbe osato tanto. Desta impressione. Ma c’è di più: durante un’audizione al Senato del 4 dicembre 2018, Confindustria chiedeva di ritirare le sanzioni contro la Russia. Quanto ai nostri governi, non si sono mai preoccupati di diversificare l’acquisto delle fonti energetiche: non hanno mai pensato che Putin avrebbe invaso l’Ucraina. Dunque, il fallimento della classe dirigente italiana riguarda i generali (non tutti, per fortuna), la classe industriale e quella di governo. Potremmo dire che siamo in presenza di un fallimento totale. Le ragioni di una condizione così avvilente sono numerose, ma, al momento, nessuno le discute, nonostante un dibattito su questa smisurata incapacità di previsione sia vitale per gli interessi nazionali dell’Italia. La tecnica per non riflettere su questo fallimento totale è parlar male di Putin. Tutte le attenzioni dei cittadini devono essere dirottate contro la Russia e, soprattutto, l’intero dibattito politico-strategico deve essere impostato in termini moralistici. Le persone vengono così indotte a ritenere che il dibattito debba affrontare una sola domanda: se sia moralmente giusto o sbagliato che la Russia abbia invaso l’Ucraina. Ciò che sta accadendo in Italia è importante perché consente di osservare, in misura ravvicinata, come la libertà di informazione possa essere “costretta” e “ristretta” anche nelle società libere. Il problema è questo: nelle società libere, le teste degli elettori non possono essere rotte con i manganelli e allora il problema è elaborare le tecniche più raffinate per controllarle attraverso la distorsione e la manipolazione dell’informazione. La prima tecnica fondamentale per il controllo dell’informazione nelle società libere in tempo di guerra consiste nel suscitare il sentimento di identità nazionale, che oggi diventa sentimento di identità europea. L’appello a essere tutti uniti svolge una funzione manifesta e una funzione latente. La funzione manifesta è quella di unire la popolazione davanti al nemico avanzante. La funzione latente, cioè quella che le persone comuni colgono più difficilmente, è quella di chiudere la bocca ai critici e a coloro che sollevano dubbi sulle scelte dei governi in carica. In questo modo, il governo non deve rompere le teste dei cittadini; deve semplicemente lasciare che il lavoro sporco sia fatto da milioni di persone comuni sollevando un’ondata di violenta intolleranza. Ecco che i critici e i dubbiosi, che sono poi la vera salvezza di un Paese in guerra, vengono “silenziati”, anche se, in apparenza, le libertà liberali sono garantite giacché l’intolleranza collettiva orientata dal governo non richiede l’approvazione di nuovi decreti o la modifica della Costituzione. Non esistono “società libere”. Esistono società più o meno libere e noi dobbiamo capire in quale siamo.

Il conflitto in Ucraina è il fallimento (di parte) della classe dirigente italiana - Il Fatto Quotidiano

lunedì 25 aprile 2022

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

 

Autodeterminazione. “Gli Usa: ‘Reagiremo se la Cina aprirà basi militari alle Isole Salomone’” (Tgcom 24, 22.4). In quel caso, noi a chi mandiamo le armi: alle Isole Salomone, agli Usa o alla Cina? Chiedo per un amico.

Tempismo. “Le armi ‘su misura’ degli Usa: ‘Ora arrivano in tempo reale’” (Repubblica, 22.4), Come se fossero già lì.

Forza nazi/1. “L’Italia non chiami nazisti i combattenti di Azov” (Stampa, 23.4). “Un fiore per il battaglione Azov” (Giuliano Ferrara, Foglio, 13.4). “Mariupol, il comandante di Azov: ‘Non siamo nazisti, combattiamo per la libertà contro il fascismo di Putin. La svastica è un antico simbolo slavo, pan-europeo, persino indiano. Per noi non ha alcun rapporto col nazismo’” (Corriere della sera, 18.4). Si tatuano le svastiche perché arredano.

Forza nazi/2. “I partigiani non avrebbero avuto dubbi sull’Ucraina” (Gianfranco Pasquino, Domani, 20.4). Avrebbero sparato al battaglione Azov.

Opposti nazismi. “’Provo imbarazzo per l’Anpi’. Dice così Maurizio Verona, sindaco di Sant’Anna di Stazzema, la Mariupol d’Italia, lì dove il 12 agosto 1944 le SS massacrarono 560 civili” (Foglio, 19.4). Prima di trasferirsi a Mariupol sotto le svastiche del battaglione Azov.

Smemorgnini. “Pochissimi italiani avevano sentito, in vita loro, la guerra così vicina… Chi possiede questi ricordi è prossimo ai 90 anni, o li ha superati” (Beppe Severgnini, Corriere della sera, 23.4). Oppure di anni ne ha pure 40 ma, diversamente da lui, si ricorda della guerra scatenata dalla Nato nel 1999 nell’ex Jugoslavia, ancor più vicina dell’Ucraina.

Prezzi modici. “Zelensky al G7: servono subito 50 miliardi” (Repubblica, 19.4). Aspetta che controllo in tasca.

Slurp. “La metamorfosi di Draghi: da ‘nonno a disposizione’ a nuovo Cincinnato” (Francesco Damato, Dubbio, 19.4). Quindi si leva da piedi?

Merlate. “Questa guerra di liberazione, questa guerra di popolo, è troppo di sinistra per non rivelarsi, martirio dopo martirio, come la ‘guerra giusta’ che tormentò sino alla fine Norberto Bobbio” (Francesco Merlo, Repubblica, 21.4). “Oggi anche Totò, come Berlinguer, si sentirebbe sicuro solo sotto l’ombrello della Nato” (Merlo, ibidem, 19.4). E Peppino e Macario, allora?

Cazzullate. “Vi confesso che non ne posso più di tutte queste sottigliezze, dei tanti, troppi distinguo” (Aldo Cazzullo, Corriere della sera, 15.4). Oh, povera stella, e adesso come facciamo?

Disinformatija. “Il dietrofront dell’Anpi. Dopo le polemiche, Pagliarulo frena: ‘La resistenza armata ucraina è legittima’” (Stampa, 24.4). “Anpi, Pagliarulo corregge il tiro: ‘Quella ucraina è resistenza’” (Repubblica, 24.4). “La svolta dell’Anpi: in Ucraina doverosa la resistenza armata” (Corriere della sera, 24.4). “Pagliarulo ‘rieducato’ dall’effetto Mattarella. Dietrofront dell’Anpi: ‘Resistenza ucraina giusta’” (Giornale, 24.4). Il 10 marzo Pagliarulo scriveva a Repubblica: “La differenza tra l’invio di armi ai partigiani dagli Alleati e l’invio di armi alla resistenza ucraina dal nostro Paese è molto semplice: mentre gli Alleati erano in guerra da anni col blocco nazifascista, e quindi con la Germania occupante, l’Italia non è in guerra con la Russia. Ciò non cambia di una virgola la legittimità e la necessità della resistenza ucraina, ma rende questo paragone pericolosissimo perché l’invio di armi in Ucraina potrebbe esser letto come… cobelligeranza”. Ora ripete la stessa cosa: ma per i giornaloni è dietrofront, svolta, frenata, rieducazione. Poi questi cialtroni si stupiscono se metà degli italiani non si fidano di loro.

L’ideona. “Draghi deve opporsi a questa riforma fiscale così iniqua” (Innocenzo Cipolletta, Domani, 23.4). Probabile, visto che l’ha fatta lui.

L’esperto. “Sul Russiagate Conte ha mentito al Copasir. I rinfreschi si fanno dopo la prima comunione” (Matteo Renzi, leader Iv, Stampa, 21.4). Col dessert all’autogrill di Fiano Romano.

In fondo a destra. “Amministrative: centrodestra a caccia di candidati ex Pd” (Repubblica, 21.4). Tanto nessuno noterà la differenza.

Bateau mouche. “’Non possiamo che tifare per Macron’, ci dice Battelli (M5S), vicino a Di Maio” (Foglio, 23.4). Lo diceva già Di Maio ai Gilet Gialli.

Esclusi i presenti. “L’indignazione social trasferita nella vita. L’esibizione di sé come prova dell’esistenza. Un tribunale in servizio permanente tutto attorno a noi. La gogna democratica. È il format dei talk di successo” (Concita De Gregorio, Repubblica, 14.4). Quindi non del suo.

Il titolo della settimana/1. “La strategia della Ue: ‘Puzziamo di più e Putin perderà’” (Libero, 24.4). Decisivo il contributo di Libero.

Il titolo della settimana/2. “Gualtieri sfida l’immobilismo: basta monnezza” (Foglio, 21.4). Ma non mi dire.

Il titolo della settimana/3.“Questo tempo di guerra premia la forza tranquilla del Pd” (Domani, 15.4). Pare che dorma.

Il titolo della settimana/5. “No di Letta al gas dall’Egitto. Ci mancava Regeni” (Libero, 15.4). Non poteva evitare di suicidarsi?

Ma mi faccia il piacere - Il Fatto Quotidiano