sabato 10 giugno 2023

Il PD della Schlein - Giuseppe Salamone

 

A me non stupisce affatto che il PD della Schlein non abbia invertito la tendenza elettorale italiana. A dirla tutta non mi aspettavo nulla di diverso rispetto a quanto successo.

La fotografia di questa tornata elettorale non è altro che il consolidamento di ciò che si manifesta ormai da qualche anno a questa parte. La destra prende sempre gli stessi voti il che significa che il suo consenso va verso una stabilizzazione. Dall'altra parte, i voti che dovrebbero confluire nello schieramento opposto di cui il PD si arroga con saccenza e presunzione la guida, finiscono nel calderone dell'astensionismo sempre più pieno.

È la fotografia di un'Italia assuefatta e senza alcuno stimolo per recarsi alle urne a causa di una politica incapace di mobilitarla. Davanti a tutto ciò, la "sinistra" o presunta tale, dovrebbe essere quella parte in grado di rappresentare e incarnare una voglia di cambiamento; invece è quella parte che più di tutte risulta priva di un'ideologia, senza strategia e progetto politico valido e con una leadership tutto fumo e niente arrosto. Colori e armocromisti a parte eh...

La destra prospera perché manca la sinistra o perché siamo davanti a una "falsa sinistra" che ormai non riesce più a distinguersi dalla destra. Un consiglio non richiesto alla Schlein: vuole rappresentare un cambio di passo e una nuova rinascita per la sinistra? I temi da cui partire oggi sono i seguenti: NO alla guerra, NO all’invio di armi, NO alla servile sudditanza alla NATO e NO all'imperialismo.

Altrimenti, in queste condizioni, la destra dilagherà non solo alle prossime elezioni Europee, ma anche per il prossimo ventennio a seguire. Non perché viene vista come una speranza, ma per ritiro degli avversari senza nemmeno aver provato a giocarsi la partita. Purtroppo il problema sta sempre da un'altra parte, ovvero che per decidere qualcosa, bisogna chiedere il permesso alla Casa Bianca...

T.me/GiuseppeSalamone
Giuseppe Salamone
Giuseppe Salamone 

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Lucio Caracciolo: “Ucraina nella Nato? Saremmo in guerra”

 

(DI SALVATORE CANNAVÒ – ilfattoquotidiano.it) – Con Lucio Caracciolo, direttore e fondatore del mensile Limes, uno dei massimi esperti di geopolitica, facciamo il punto sulla situazione in Ucraina dopo l’esplosione della diga di Kakhovka.

LUCIO CARACCIOLO – Strategie “Il nuovo attacco si basa sulla tattica delle ‘cento punture di spillo’. Il crollo della diga può destabilizzare la Crimea”. Con Lucio Caracciolo, direttore e fondatore del mensile Limes, uno dei […]

Pensa che sia in atto, come il presidente ucraino Zelensky ripete da tempo, una vera offensiva ucraina?

L’annuncio che è in corso un’offensiva fa parte dell’offensiva stessa. Non dobbiamo aspettarci un’operazione in senso classico. I rapporti di forza tra Ucraina e Russia in termini numerici sono tali da impedire la concentrazione di una massa di soldati sufficiente a sfondare il fronte russo e soprattutto, successivamente, a controllare i territori riconquistati. Gli ucraini hanno finora dimostrato fantasia e abilità tattica, ma sono consapevoli di questi dati e quindi sembrano orientati ad adottare la tattica delle “cento punture di spillo”, che possono essere anche molto acuminati e velenosi. E preludere a una sorpresa finale, anche molto rischiosa.

Una tattica articolata?

Sì, basata ad esempio su attacchi di commandos nei territori russi, con un effetto destabilizzante sotto il profilo psicologico. L’idea è di mostrare ai russi la possibilità che la guerra si estenda sul loro territorio. Poi la linea del fronte ucraino non corrisponde automaticamente a una linea di possibile offensiva: l’estuario del Dniepr, ad esempio, è fuori dalla possibilità di una grande battaglia dopo la catastrofe della diga. Questo accorcia le linee difensive che i russi devono proteggere e quindi anche lo spazio che gli ucraini possono considerare per la offensiva. L’obiettivo finale di questa tattica articolata, che può durare diversi mesi, a mio avviso è quello di destabilizzare la Crimea.

L’obiettivo strategico?

Il Donbass interessa ormai relativamente poco a Kiev. Parliamo di un territorio devastato da quasi dieci anni di guerra, abitato in gran parte da una popolazione filo-russa, visto che gli ucraini se ne sono quasi tutti andati. La priorità per gli ucraini è la regione che da Zaporizhzhia porta in Crimea. Se riescono a scavalcare i russi metteranno in crisi Mosca. Per puntare a destabilizzarne il gioiello geopolitico: Sebastapoli.

E cosa significa destabilizzare?

Destabilizzare vuol dire rendere la vita impossibile ai russi in quell’area e in prospettiva tagliarne i collegamenti con la madre patria. In questo senso l’aspetto strategico del crollo della diga consiste nel tagliare l’acqua dolce alla Crimea. Non sarà per niente facile trovare alternative da parte russa. Già oggi in Crimea arriva acqua inquinata e presto dal bacino del Dniepr potrebbe arrivarne poca o niente.

L’esplosione della diga danneggia quindi la Russia?

La crisi idrica in Crimea è senza dubbio un vantaggio notevole per l’Ucraina. Se poi la Crimea fosse davvero allo stremo, per i russi si aprirebbero due alternative: o una umiliante resa, che forse lascerebbe loro il Donbass ma senza la Crimea; oppure il rilancio di una offensiva più ampia con una mobilitazione generale in Russia. Il passaggio dalla “operazione speciale” alla vera e propria guerra. Rischio esistenziale per Putin.

Ha preso quota nelle ultime settimane l’ipotesi della “pace tedesca” con l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e la concessione di territori alla Russia. Ipotesi che è stata rilanciata anche da Henry Kissinger. Che ne pensa?

Intanto è interessante che festeggiando il suo centesimo compleanno, Kissinger si sia smentito rispetto all’Ucraina nella Nato, cui prima era contrario. Però dobbiamo essere consapevoli che far aderire subito l’Ucraina alla Nato significa che noi oggi saremmo in guerra con la Russia: quel che gli Usa e molti europei non vogliono. Quindi non mi sembra una soluzione, almeno di sconfitta totale della Russia. Non è un caso che gli Stati Uniti segnalino costantemente a Kiev che di Nato oggi non si deve parlare.

Che giudizio dà della missione di pace a opera di monsignor Zuppi?

Non so che cosa abbia prodotto, al di là di quello che si è letto sulla stampa. Certamente il Vaticano si muove da tempo, con alcuni risultati, sulle questioni umanitarie, favorendo lo scambio di prigionieri o il ritorno a casa dei bambini e dei ragazzi rapiti dai russi. Non credo che la Santa Sede possa dire una parola decisiva sulle questioni di fondo. Come può la Chiesa cattolica dirimere il conflitto tra due chiese ortodosse?

Il Vaticano però continua ad agire con molta determinazione, quasi non volesse lasciare nulla di intentato.

Si tratta di una delle missioni della Chiesa cattolica, tentare l’impossibile, e molte volte ha saputo lasciare il segno. Del resto la Santa Sede è stata tra le prime a dire che bisognava ragionare sulla pace.

Chi si frappone maggiormente alla sua missione, gli ucraini o i russi?

Le due posizioni si tengono. Si potrebbe immaginare freddamente a tavolino un compromesso che muova dall’attuale linea del fronte, dichiari un cessate il fuoco indicando una forza internazionale di interposizione e poi avviare un lungo negoziato sugli assetti finali, che potrebbe durare anni. Ma tutto questo è impossibile oggi, perché sia Putin che Zelensky non possono accettare l’attuale situazione sul terreno. Ovvero, non possono venderla come vittoria al proprio pubblico.

Sembra una trappola senza soluzione, come potrebbe finire la guerra?

A oggi sembra poter finire solo per esaurimento di uno o entrambi i contendenti. A soffrire di più è l’Ucraina, basti guardare il dato demografico: da 53 milioni di abitanti l’Ucraina è passata a 30 milioni, con in più una perdita di capitale fisico che, secondo la Banca mondiale, equivale a 400 miliardi. Per questo la ricostruzione ucraina sarà molto importante. Noi dovremmo impegnarci su questo dossier per non lasciare quel Paese in balia della Russia, del caos interno o di entrambe le cose. Urge il cessate-il-fuoco, per quanto provvisorio. Tutto il resto è secondario.

Gli Usa hanno rivelato che dietro l’attentato al Nord Stream c’è forse l’Ucraina. Cosa vuol dire?

La rivelazione sui progetti ucraini per far saltare il Nord Stream, che viene da ambienti del Pentagono, costituisce l’ennesima pressione su Kiev. Gli Stati Uniti vorrebbero che la guerra si concludesse entro la fine dell’anno e spingono perché venga accettato un “compromesso sporco”. Biden ha interesse che il conflitto si concluda prima che la campagna presidenziale entri nel vivo. Possibilmente anche prima di una guerra atomica con la Russia.

https://infosannio.com/2023/06/09/lucio-caracciolo-ucraina-nella-nato-saremmo-in-guerra/

Continuano ad arrivare ordini dai padroni. - Giuseppe Salamone

 

Continuano ad arrivare ordini dai padroni i quali senza pudore e con arroganza ci ordinano di fare in fretta con l'undicesimo pacchetto di sanzioni.
Praticamente, attraverso le triangolazioni, le esportazioni di microchip e componenti elettronici-chiave dalla UE alla Russia sono tornate ai livelli pre 2022. Questo perché principalmente paesi come Turchia, Kazakistan, Georgia, Emirati Arabi e Armenia aiutano la Russia ad importare questi prodotti, consentendo a Mosca di aggirare le sanzioni occidentali che si dimostrano sempre più un buco nell'acqua e che danneggiano più chi le impone (noi) rispetto a chi le riceve (Russia). Altro che "faranno fallire la Russia in qualche giorno" per dirla con le parole di Enrico Letta e tre quarti di stampa inondata di bigliettoni verdi.
Le stelle e strisce non sono d'accordo per questa situazione e hanno iniziato a lamentarsi e a fare pressioni per fare in modo che l'UE sanzioni tutti quegli Stati che aiutano la Russia. In sostanza dalla Casa Bianca pretendono che l'UE applichi sanzioni a tutti quei paese "amici" della Russia, praticamente a tre quarti di mondo vista come sta messa oggi la situazione geopolitica. Qui torniamo sempre al tema dell'imperialismo, che secondo i leader occidentali tutti sono pericolosi imperialisti, irrispettosi delle "regole internazionali" e che quindi bisogna combattere fino alla vittoria tranne chi lo è veramente: gli USA! Questi ultimi possono fare ciò che vogliono, perfino comandare a casa nostra senza che un minimo dubbio possa essere sollevato. Ah, si chiama "libertà occidentale" questa...
Ora gli USA hanno sempre fatto così, questo perché gli è stato permesso di farlo. Sarebbe stata diversa la storia se invece l'UE fosse un organismo sovrano e non al servizio degli interessi della Casa Bianca. Davanti a questa chiara interferenza, un pugno di Stati autonomi dovrebbe mandare a quel paese seduta stante le stelle e strisce, dicendogli che non è possibile sanzionare tre quarti di mondo perché bisogna salvaguardare gli interessi dei propri cittadini e delle proprie aziende. Invece cosa fanno i camerieri a servizio dell'imperialismo statunitense? Lavorano sodo e con alto senso del dovere (anzi della servitù) per un nuovo pacchetto di sanzioni accogliendo erga omnes gli ordini da Washington. Però mi raccomando, gli imperialisti pericolosi sono sempre gli altri mentre noi siamo liberissimi...



Uno stato, anche il più piccolo, che non ha validi amministratori, viene soggiogato dalle potenze mondiali che tendono a sovrastare e comandare per trarre profitto da "tutto" per diventare sempre più potenti e ricche. Ma questa è una storia vecchia come il mondo, peccato che nessuno ne tragga profitto...

Cetta

venerdì 9 giugno 2023

Quando la notizia c'è…ma non si trova… - Massimo Erbetti

 

Ieri 8 giugno 2023 e precisamente alle 13:36 esce un'ANSA:
*Truffa da oltre un milione sui fondi del Pnrr, 4 arresti Inchiesta Gdf, 'contatti con 'ndrangheta e sequestro maxi villa'*
(ci ho anche fatto un post).

E siccome sono molto, ma molto curioso, ho cercato di approfondire…di cercare più notizie in merito…e anche di vedere se ci fossero altri giornali che ne parlassero…

Allora…cercando su internet però ho avuto un'amara sorpresa…la notizia non c'è…o quasi…ne parla solo "Il Giorno" "Strettoweb" il "Corriere di Calabria" è "La Sicilia"...insomma tranne l'ANSA sembra che un milione di euro e infiltrazioni della ndrangheta sia cosa di poco conto…notizie che non destano interesse…

Devo fare una precisazione…circa 9 ore fa (dal momento in cui sto scrivendo) ANSA esce con una precisazione:
"Sono fondi pubblici e non del Piano nazionale di ripresa e resilienza quelli al centro della presunta truffa oltre un milione di euro, di cui circa 500mila euro incassati, ai danni di Simest, società del gruppo Cassa depositi e prestiti"

Il che non è che migliori la situazione, o che renda la cosa meno grave…sempre di truffa e sempre di infiltrazioni mafioso camorristiche parliamo.

E la considerazione che avevo fatto al momento dell'uscita della prima ANSA non cambia di molto, allora avevo detto: "e adesso che facciamo? Aboliamo il PNRR?"

Al massimo posso modificarlo in:
e adesso che facciamo? Aboliamo i Fondi pubblici?"

Quello che però mi colpisce più di ogni altra cosa è che nessuno ne parli…dove sta la notizia? Quando c'erano gli "scandali" dei furbetti del reddito di cittadinanza avevamo titoli a nove colonne in prima pagina, intere trasmissioni televisive di ogni genere a parlarne per giorni e giorni anche per poche migliaia di euro…
e ora invece il silenzio? Perché? Come mai?

Ma niente niente, truffe e infiltrazioni mafiose non fanno notizia perché ormai "cosa normale"?
Ma non è che niente niente, c'è qualcosa che non funziona in questo paese?
Ma non è che niente niente, un poveraccio che ruba un tozzo di pane fa indignare…e la criminalità organizzata e i potenti fanno invidia?
(…rifletteteci…riflettiamoci…) 

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Ci sono le truffe consentite, quelle loro, e quelle condannabili, quelle degli indigenti. In altri termini, chi è già ricco può rubare liberamente poichè la sua situazione patrimoniale non cambia, chi è povero non può farlo perchè non ha azzeccagarbugli da assoldare per farsi assolvere o per corrompere gli inquirenti...

cetta

Zygmunt Bauman, Amore liquido.

 

Il mercato ha fiutato nel nostro bisogno disperato di amore l'opportunità di enormi profitti. E ci alletta con la promessa di poter avere tutto senza fatica: soddisfazione senza lavoro, guadagno senza sacrificio, risultati senza sforzo, conoscenza senza un processo di apprendimento.

Basta pensare al cambiamento di valore della parola amico tra ieri e oggi in internet per capire come i rapporti siano diventati facili e superficiali. I nuovi rapporti vivono di monologo e non di dialogo, si creano e si cancellano con un clic del mouse, accolti come un momento di libertà rispetto a tutte le occasioni che offre la vita e il mondo.

In realtà, tanta mancanza d'impegno e la selezione delle persone come merci in un negozio è solo la ricetta per l'infelicità reciproca. L'amore invece richiede tempo ed energia. Ma oggi ascoltare chi amiamo, dedicare il nostro tempo ad aiutare l'altro nei momenti difficili, andare incontro ai suoi bisogni e desideri più che ai nostri, è diventato superfluo: comprare regali in un negozio è più che sufficiente a ricompensare la nostra mancanza di compassione, amicizia e attenzione. Ma possiamo comprare tutto, non l'amore. Non troveremo l'amore in un negozio. L'amore è una fabbrica che lavora senza sosta, ventiquattro ore al giorno e sette giorni alla settimana, ha bisogno di essere ri-generato, ri-creato e resuscitato ogni giorno.

Zygmunt Bauman, Amore liquido.
#filosofia #amore #vita 

Nella foto: autoritratto del pittore Leon Bonnat

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Amore smitizzato, mercanteggiato, surrogato; troppo impegnativo per gettarvisi in abbandono totale (come meriterebbe il vero amore) se si vuole mantenere sempre il controllo...

cetta

giovedì 8 giugno 2023

Dal riciclaggio agli stagionali. Pieno di infrazioni da Bruxelles. - Carmine Gazzanni

 

(La Notizia - Carmine Gazzanni) Il ministro Raffaele Fitto avrà sicuramente un bel da fare considerando che, tra le sue deleghe, non c’è solo la gestione del Pnrr ma anche gli affari di politica europea. Sembrerebbe una inezia ma invece non lo è. Specie dopo aver visto la mole delle procedure di infrazione che Bruxelles ha aperto contro il nostro Paese. Al momento, andando a visionare la banca dati ufficiale, ne risultano ben 82. E qui se ne trova di ogni. Basti pensare che la più “vecchia” risale addirittura al 2003. Venti anni fa. E riguarda la “non corretta applicazione delle direttive 75/442/CE sui ‘rifiuti’, 91/689/CEE sui ‘rifiuti pericolosi’ e 1999/31/CE sulle ‘discariche’”.

RISULTANO APERTE 82 INFRAZIONI CONTRO L’ITALIA. ALCUNE PROCEDURE AVVIATE DALL’UE E MAI CHIUSE RISALGONO A 20 ANNI FA

In pratica, l’Italia non ha rispettato le norme comunitarie in materia di gestione delle discariche. Un tema, come noto, scottante e per il quale – proprio in virtù di questa procedura – l’infrazione si è tramutata in una condanna milionaria che ancora paghiamo. Non è l’unica procedura giunta a sentenza pecuniaria, d’altronde. E i conti sono inverosimili. Altro che Pnrr. Secondo un recente dossier consegnato un mesetto fa alla Camera parliamo di circa un miliardo di euro che l’Italia ha pagato all’Ue per sei procedure di infrazione che gravano sul nostro Paese.

Nel dettaglio, la relazione quantifica in 877,9 milioni le sanzioni pecuniarie a nostro carico alla data del 31 dicembre 2021. Nell’elenco i 281,8 milioni per le nuove discariche in Campania e i 252,8 milioni sempre per discariche abusive su tutto il territorio nazionale (la procedura del 2003, per intenderci) e anche i 114 milioni per il mancato recupero degli aiuti concessi alle imprese nel territorio di Venezia e Chioggia.

Ma gli esperti di palazzo Madama fanno notare che, “non essendo stata ancora archiviata nessuna delle infrazioni allo stadio di sentenza, le somme versate dall’Italia a titolo di sanzione risultano, per il protrarsi delle penalità di mora, sensibilmente maggiori rispetto a quelle indicate” dal documento governativo, che ha un orizzonte fino al 30 giugno 2022. Di qui la sollecitazione a presentare relazioni con dati aggiornati alla fine del semestre precedente a quello di presentazione.

Un salasso, dunque. E parliamo solo di sei infrazioni mai sanate e dunque giunte a sentenza. Immaginiamo se tutte le procedure oggi aperte – lo ricordiamo: sono 82! – finissero allo stesso modo cosa significherebbe per il nostro Paese. Ma, al di là delle sei infrazioni già menzionate, per cosa ci bacchetta l’Ue? Un po’ per tutto. Si va da una riguardante lo stabilimento ex Ilva di Taranto (risale al 2013) alle famosissime quote latte. Fino alle “condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in Italia”. E anche qui ce ne sarebbe da dire considerando che la procedura risale al 2012. A spiccare, però, sono soprattutto le questioni ambientali. Si va dal livello delle Pm10 fino addirittura alla “cattiva applicazione della direttiva relativa alla qualità dell’acqua destinata al consumo umano”, relativamente ai “valori di arsenico”.

E ancora la mancata “programmazione nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi”, altro nervo scoperto del nostro Paese. Ma, come detto, ce n’è per tutti i gusti. Perché una procedura riguarda, ancora, la Xylella fastidiosa, un’altra la gestione dell’autostrada Civitavecchia-Livorno, un’altra la “normativa italiana relativa all’aliquota ridotta dell’imposta di registro per l’acquisto della prima casa non di lusso in Italia”. Fino addirittura ai ritardi nei pagamenti per le spese di giustizia. L’Italia certamente fa poco a quanto pare per rimettersi in regola, ma anche l’Ue ci mette del suo se pensiamo che ci contesta pure la “diffusione delle specie esotiche invasive”.

Il risultato, però, è che nel frattempo, sebbene qualche procedura sia stata chiusa, altre se ne affacciano all’orizzonte. Solo nel 2023 ne sono state aperte ben sei. Una, tanto per dire, riguarda il fatto che l’Italia – insieme peraltro ad altri 9 Paesi – non avrebbe pienamente recepito la direttiva comunitaria sui lavoratori stagionali. Procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia anche per il mancato corretto recepimento della direttiva dell’Unione in materia di antiriciclaggio. Il nostro Paese, insieme a Lettonia e Portogallo, “avevano notificato il pieno recepimento delle norme comunitarie, ma la Commissione europea ha individuato diversi casi di mancata conformità su aspetti ritenuti fondamentali – come, nel caso dell’Italia, la licenza o regolamentazione dei prestatori di servizi -, decidendo pertanto di inviare alle autorità nazionali una lettera di messa in mora”, si legge sul sito dell’esecutivo comunitario.

Finita qui? Certo che no. Bruxelles pochi mesi fa ha avviato un’ulteriore procedura d’infrazione contro Roma per non aver applicato correttamente le norme destinata eliminare ritardi eccessivi nei pagamenti pubblici. Nel mirino sono finite le disposizioni che consentono alla Regione Calabria di effettuare pagamenti nel settore sanitario al di là dei limiti temporali fissati dalla direttiva.

“I giovani non hanno più voglia di lavorare”. Quella storia (falsa) che i giornali scrivono da più di 60 anni. -

 

(di Charlotte Matteini – ilfattoquotidiano.it) – I giovani non hanno più voglia di lavorare. E’ ormai una delle affermazioni che ciclicamente impatta sul dibattito pubblico. Non passa giorno che sui media non sia presente un imprenditore che punta il dito contro questi presunti giovani che non vogliono più fare i camerieri, i cuochi, gli operai, gli artigiani, i commessi, gli scaffalisti e chi più ne ha più ne metta. Una tesi smentita da un recente rapporto Eures che racconta come fra gli under 35 domini il lavoro precario nel 67% dei casi e con retribuzioni decisamente più basse della media, meno di mille euro al mese per circa il 40% del campione. Non solo: secondo lo studio del think tank britannico Resolution Foundation, se i figli della generazione X (1966 -1980) hanno raggiunto i 30 anni con un reddito più alto del 30% rispetto ai baby boomers (1946-1965), per le generazioni successive il trend è totalmente invertito. Gli under 35 sono più poveri dei predecessori in media in ogni Paese Europeo. E in Italia questo gap è decisamente più marcato che altrove.

Lo studio di Fairie – Nonostante ogni studio a disposizione descriva una situazione drammatica per le nuove generazioni, la litania contro i giovani sfaticati sembra non avere fine, ma soprattutto sembra che fino a qualche hanno fa gli ex giovani, cioè i figli del baby boom o della generazione X, abbiano passato la loro vita a lavorare a qualsiasi condizione per il puro piacere di farlo, senza mai rifiutarsi. Ilfattoquotidiano.it ha dunque deciso di replicare l’esperimento del ricercatore Paul Fairie, che nell’estate 2022 pubblicò un lungo thread su Twitter raccontando “la breve storia del nessuno vuole più lavorare” attraverso gli screenshot di vecchi articoli giornalistici pubblicati nel corso dei decenni dalla stampa anglosassone. In questo caso la ricerca riguarda gli archivi storici de la Stampa e la Repubblica e il risultato non è diverso da quello di Fairie: già più di 60 anni fa i quotidiani accusavano le giovani generazioni di non aver alcuna predisposizione al duro lavoro. A quelle giovani generazioni appartengono i nostri nonni, i nostri zii, i nostri genitori.

“Nessuno vuole fare il cuoco” – L’8 settembre 1959, La Stampa pubblica un articolo intitolato “Pochi giovani vogliono apprendere l’oscura e raffinata arte del cuoco”, nel quale viene raccontato che i ragazzi in ambito alberghiero preferiscono fare i barman o i portieri d’albergo mentre gli aspiranti cuochi sono ormai una minoranza, nonostante sia un mestiere di estremo prestigio e con potenzialità di carriera non indifferenti. Facciamo un salto avanti fino al 29 ottobre 1977, sempre La Stampa lancia l’allarme: “In Italia sono 196 giovani disposti a lavorare in campagna”. Nell’articolo si racconta che su più di quarantaseimila posti disponibili, in tutto il Paese ci sarebbero solamente 196 giovani disposti a lavorare nei campi e che i mungitori, che possono guadagnare fino a 500mila lire il mese, arrivano dalla Jugoslavia. “A volte dicono di voler lavorare in campagna, poi si scopre che intendevano un lavoro da impiegato in qualche organizzazione agricola. Altri sono attratti da ragioni ideali, ma non immaginano le difficoltà, e al primo ostacolo scappano”, si legge.

“Garantiscono la scolarizzazione di massa” – Sempre nel 1977, viene pubblicato l’articolo: “I giovani premono per il posto ma in settori saturi”. “Non è vero che non ci sia offerta di lavoro da parte del sistema produttivo, ma è un tipo d’offerta che non s’incontra con la domanda, oggi costituita in massima parte da diplomati e laureati”, dichiarava all’epoca Renato Buoncristiani, vicepresidente di Confindustria. “Da anni vado dicendo che occorre una preparazione scolastica più adeguata alla vita. Invece si è garantita la scolarizzazione di massa, ma priva di prospettive, non programmata. Senza tanta demagogia, c’è un momento nella scuola in cui si dovrebbe imporre la selezione”, rilanciava il segretario nazionale della Cisl Luigi Macario.

“Rifiutano i lavori offerti” – Passiamo al 4 novembre 1978, sempre La Stampa si domanda: “Perché molti giovani rispondono negativamente alle offerte di lavoro dell’Ufficio di collocamento?”. “A Roma ci sono quasi 63 mila giovani senza occupazione: eppure di fronte a 296 posti messi a disposizione dal Comune hanno risposto soltanto in 67”, racconta il quotidiano, ponendo l’accento sulle ragioni dei rifiuti: non è una questione di mancanza di voglia di lavorare, il problema sono le condizioni proposte. “Occorre modificare la concezione assistenziale della legge sull’occupazione giovanile. E vanno riviste anche le penali per chi rinuncia all’incarico perché attualmente se uno rifiuta il lavoro che gli viene offerto, tutto ritorna normale e a breve distanza di tempo può presentarsi un’occasione migliore, un posto più sicuro e redditizio”, spiegava il direttore generale dell’ufficio del lavoro Bartolomeo.

“Non vogliono fare sacrifici” – Surreale l’approfondimento pubblicato nel maggio del 1980: “Giovani, belli e mendicanti. I nuovi miserabili che al lavoro preferiscono l’elemosina”. “Rifiutano i sacrifici, restringono i consumi, si avvolgono in un malinteso egocentrismo”, scriveva la cronista Lidia Ravera nell’articolo dedicato ai giovani che avevano scelto di vivere da senzatetto. “Lavorare non è una cosa da persone. Guarda: lavorare ammazza. Fai una cosa di cui non ti frega niente, che non ti fa star bene. E in cambio di cosa?”. “Di soldi”. “E’ una cosa da stronzi, fare in cambio di soldi”. “Allora gli operai sono stronzi”. “No, nun è che so’ stronzi. E’ che so’ poveracci. Non sanno vivere. Operaista non lo sono mai stata, ma reprimo a stento la voglia di pigliare a calci il mio giovane interlocutore”, chiosava Ravera.

La fabbrica dei disoccupati – Passiamo al 1983, con l’articolo: “La fabbrica dei giovani disoccupati”. Nell’articolo un lungo j’accuse contro i giovani da parte degli imprenditori: “Adagiarsi nella routine è uno del difetti del nostro Paese: i giovani che hanno trovato un posto vogliono essere certi che a una certa ora si va a casa, che il weekend è sempre e comunque sacro e Inviolabile”. Dichiarazioni pressoché identiche a quelle rilanciate dalla stampa odierna ogni qualvolta viene data voce alle lamentele dell’imprenditore di turno. “Purtroppo, spesso ci si trova di fronte a due categorie di giovani: una di spocchiosi, quelli cioè che sono convinti di aver appreso tutto sui banchi dell’università: un’altra di disillusi e rinunciatari a causa del lungo peregrinare olla ricerca del primo impiego”, conclude l’articolo.

La soluzione? Rivedere i sussidi – Ma facciamo un balzo in avanti e passiamo al 1994. Anche in questo periodo uno dei principali allarmi rilanciati dai quotidiani nazionali è quello relativo alla disoccupazione di giovani e donne. La soluzione? Rivedere i sussidi. “Un triste primato: troppi disoccupati tra giovani e donne”, titola La Repubblica. I governi devono intervenire riformando, in senso restrittivo, il sistema dei sussidi di disoccupazione, che in alcuni casi svolgono il ruolo di disincentivo al lavoro”, dichiarava l’Ocse, aggiungendo che sarebbe stato necessario rivedere la “durata dei sussidi, l’importo e le condizioni che portano alla concessione dell’aiuto”. Anche in questo caso, numerose sono le analogie con la battaglia per l’abolizione del reddito di cittadinanza. Nel 2002 da Roma parte l’allarme dei ristoratori che non riescono più a trovare cuochi. Si legge su La Stampa: “Cuochi, meno male che ci sono gli immigrati” e proseguendo riporta le dichiarazioni di Giuseppe Sinigaglia, Direttore della scuola alberghiera Enalc e Presidente nazionale dell’Associazione maitre d’hotel di ristoranti e alberghi: “Roma non ha bisogno solo di colf e badanti extracomunitarie, ma anche di addetti alla ristorazione per mantenere viva la tradizione che. diversamente, rischia di morire. E’ ormai dagli anni Settanta che la gran parte degli allievi che hanno frequentato corsi di ristorazione non riesce a inserirsi nel mondo del lavoro per motivi diversi che riguardano sia il livello di scolarizzazione che le complessità insite nel mercato del lavoro. Così mancano cuochi e, paradosso, proprio in Italia patria della cucina, gli operatori sono costretti a ricorrere ai cuochi giovani facendoli venire dall’estero”.

“Non vogliono lasciare casa” – Sempre nel 2002, esce il ritratto dei giovani romani in età da lavoro: “Vuole un “posto fisso”, è attaccato alle proprie abitudini, alla famiglia e agli amici, ha oltre 26 anni e cerca un lavoro. E’ il profilo del giovane di Roma e provincia. Conosce il computer e l’inglese, ma non vuole lavorare all’estero”, sosteneva il rapporto elaborato da Euraction. Nel maggio 2002 esce un rapporto Censis che dipinge in maniera ben poco gradevole i giovani degli anni 2000, ovvero gli attuali 40enni e dintorni: “I giovani italiani hanno sempre meno voglia di lavorare. Non è un pregiudizio ma il risultato di un accurato studio del Censis. Il patologico immobilismo dei giovani nei confronti del lavoro si celano fenomeni diversi intrecciati fra loro. Ad esempio la paura per una condizione strutturale d’ incertezza. Ma anche l’adagiarsi sul salvagente famigliare. In ogni caso la disponibilità a lasciare la cuccia calda del proprio circondario è molta bassa”, si legge su Repubblica.

Infine, per terminare questo breve excursus storico, concludiamo con le lamentele del preside di un istituto salesiano, diffuse da Repubblica nel 2003: “Non è un problema solo di mercato, ma di mentalità dei giovani che, in molti casi, non sanno accontentarsi del primo impiego per poi guardarsi attorno”, dichiarava Paolo Zuccarato, preside dell’ Edoardo Agnelli, storico istituto torinese. “Chi non ha un diploma, ha poche possibilità. L’importante è però entrare, accettare anche se non corrisponde subito alle proprie aspirazioni, magari come orario o salario. Dopo si fa sempre in tempo a cambiare”, concludeva.

https://infosannio.com/2023/06/08/i-giovani-non-hanno-piu-voglia-di-lavorare-quella-storia-falsa-che-i-giornali-scrivono-da-piu-di-60-anni/