martedì 19 gennaio 2010

Aggressione Berlusconi, Tartaglia trasferito in ospedale. Pm dispone perizia su premier

ultimo aggiornamento: 19 gennaio, ore 21:36
Milano - (Adnkronos/Ign) - La consulenza medico-legale per accertare l'entità dell'aggressione avvenuta lo scorso 13 dicembre in piazza Duomo. Tartaglia da San Vittore al reparto psichiatrico del San Carlo di Milano. Per i medici del carcere "era forte il rischio di autolesionismo".

Milano, 19 gen. - (Adnkronos/Ign) - Il procuratore aggiunto Armando Spataro ha disposto una consulenza medico-legale per accertare la prognosi di Silvio Berlusconi dopo l'aggressione da parte di Massimo Tartaglia, l'uomo che aggredì il premier lo scorso 13 dicembre in piazza Duomo dopo un comizio.

La consulenza, come ha pubblicato oggi 'il Fatto Quotidiano', dovrà accertare la durata della malattia e i tempi di guarigione del presidente del Consiglio oltre alla sussistenza di eventuali postumi. Due esperti medico-legali visiteranno dunque Berlusconi. La perizia, si apprende in serata in ambienti giudiziari, è necessaria ai fini di una corretta imputazione, oltre ad eventuali aggravanti, a carico di Tartaglia, che oggi è stato trasferito nel reparto psichiatrico dell'ospedale San Carlo di Milano.

Il trasferimento di Tartaglia è stato deciso dal gip Cristina Di Censo con il parere favorevole del pm Armando Spataro. A determinarlo le perizie periodiche inviate dai medici del Centro clinico del carcere di San Vittore dove era detenuto Tartaglia.

Secondo i medici, infatti, per Tartaglia, era forte il rischio di gesti di autolesionismo. Fin dai primi giorni di gennaio, a quanto risulta, Tartaglia sembrava essersi chiuso in se stesso e rifiutava qualsiasi colloquio e contatti con l'esterno. La modifica delle sue condizioni psichiche, a questo punto, ha convinto il gip a spostare Tartaglia in un centro dove può essere maggiormente seguito.



ferie d'agosto













L'isola caraibica colpita da quattro scosse tremende, fino a 7,3 gradi Richter
Crollate migliaia di case e anche i nuovi palazzi dell'Onu, del governo, ospedali

Haiti devastata da un terremoto
"Una catastrofe, migliaia di morti"


PORT AU PRINCE - Una notte da incubo per Haiti dopo il terribile terremoto che ha devstato l'isola caraibica poche ore fa. Squassata da quattro scosse tremende - la prima, più forte, di 7,0-7,3 gradi Richter - nel pomeriggio di ieri (poco prima della mezzanotte italiana), la capitale di Haiti Port-Au-Prince, due milioni di abitanti, si è trasformata in un attimo in una distesa di rovine, un'enorme nube grigia di polvere con migliaia di persone inghiottite sotto le macerie. Con il calare della notte, mentre i soccorritori hanno cominciato a reagire in ordine sparso, la città è diventata una macchia di oscurità totale, popolata di spettri accasciati sulle strade senza sapere dove andare.

Le scosse.
L'ipocentro delle quattro scosse è stato ad appena 10 chilometri di profondità. Ravvicinati gli epicentri, tutti in terraferma e nelle vicinanze della capitale: a 15 km a sud-ovest la prima, a 25 km. a ovest-sud-ovest la seconda e la terza, a 30 km. a sud ovest la quarta. "Tutto ha ballato, la gente urla, le case hanno cominciato a crollare. Il caos è totale" ha detto un giornalista della Reuters sul posto.

La catastrofe.
Con il passare delle ore le dimensioni del disastro, subito definito da fonti americane "un'enorme catastrofe", assumono contorni sempre più tragici: i morti e dispersi nella sola Port-Au-Prince si conterebbero già a migliaia. Nulla si sa per ora del resto del paese: comunicazioni telefoniche interrotte, nessun straccio di notizia arriva dalle fonti ufficiali.

Nuovi palazzi crollati.
A seminare la morte gli edifici più alti e più, in teoria, moderni: crollati come cartapesta ospedali, il palazzo presidenziale, vari ministeri, hotel cosiddetti di lusso nel paese più povero delle Americhe, edifici per uomini d'affari, grandi magazzini. Anche il Quartier generale della missione militare e civile dell'Onu, che nel paese disloca ben 9.000 uomini - 7.000 militari e 2.000 poliziotti - è stato quasi raso al suolo. "


Gli aiuti. Il presidente Barack Obama e la segretaria di stato Hillary Clinton hanno promesso aiuti immediati. Anche l'Italia si è mobilitata. E la Banca mondiale ha promesso l'invio di una missione di esperti per valutare i danni e stilare piani per la ricostruzione del paese.

Gli italiani. La Farnesina sta verificando le condizioni dei circa 70 italiani che vivono ad Haiti. Non si sa al momento che cosa sia loro accaduto. Tra i 70 ci sono un certo numero di dipendenti della Ghella costruzioni di Roma. Secondo fonti diplomatiche si trovano nel nord del paese, in un'area lontana dall'epicentro del terribile sisma.
(13 gennaio 2010)

lunedì 18 gennaio 2010

Mascherine e kit: il business parallelo I COLOSSI FARMACEUTICI E L’INDOTTO -INFLUENZA - Valentina Arcovio

la mappa:

Il virus
4 milioni di contagi
210 vittime (0,005%)
Pandemia influenzale?
Dai numeri proprio
no. Da ottobre
i casi di persone
contagiate dal virus H1N1
sono stati 4,1 milioni (il picco
si è registrato nel mese di novembre).
I morti sono stati in
totale 210, cioè circa lo
0,005%.
Numeri quindi di gran lunga
inferiori a quelli patiti l’anno
passato.

Le dosi
24 milioni comprate
865 mila consumate
Anche per
quanto riguarda
le dosi di
vaccino i numeri
lasciano pochi
dubbi. Il governo ne ha acquistate
24 milioni di dosi. Ne
sono state distribuite però solo
10 milioni.
Clamorosamente inferiore
il numero di persone che al
vaccino hanno preferito
sottoporsi: appena 830 mila

La spesa
Sono costate
184 milioni di euro
Sprechi? Il
contratto siglato
dal ministero
della Salute
con la Novartis
vale 184 milioni di euro. Considerato
il flop delle vaccinazioni
non un grande investimento
per la salute pubblica
e per i cittadini-contribuenti.
Ma nonostante l’evidenza di
questi risultati il governo
continua a tacere sull’intera
vicenda.

Distribuzione-uso
Poco più del 3%
in Piemonte e Lazio
Regione cha
vai distribuzione
del vaccino
che trovi. Con un
valore comune,
comunque: gli italiani non si
sono fidati.
Il rapporto tra dosi distribuite
e somministrate lo
conferma: punta massima
in Emilia Romagna (22%),
media tra il 7 e l’8% e minimi
nel Lazio (3,4%), Val
d’Aosta e Piemonte (3,1).

Paura e medicine
Analgesici
e antibiotici a go-go
L’ effetto delle
urla e delle
grida sull’allar me
influenza ha partorito
anche altri
effetti collaterali. Finiti soprattutto
nell’assalto alle farmacie
per l’acquisto di antivirali,
analgesici e altri medicinali
per scampare alla “pe -
ste” dell’H1N1.
Ovviamente e sentitamente
i produttori del ramo ringraziano.

Da: Il Fatto Quotidiano di oggi.

Vaccino, che grande imbroglio - Sandra Amurri

La truffa dell’H1N1: più di 23 milioni di dosi inutilizzate
Gli spot del governo e la strana prelazione di Sirchia alla Novartis


Il governo
Berlusconi ha buttato via 184 milioni di euro. LaNovartis ha incassato un miliardo di euro.
Il ministero della Salute ha sottoscritto un contratto con Novartis che definire sbilanciato a favore della multinazionale svizzera è poco, ma questo lo vedremo dopo aver puntato i riflettori su un altro fatto.
Girolamo Sirchia – condannato in primo grado a tre anni per aver intascato tangenti, carcere scampato grazie all’indulto, sospeso per cinque anni dai pubblici uffici – nel 2004 quando era ministro della Sanità nel secondo governo Berlusconi, a trattativa privata (cioè senza gara pubblica) ha versato a Novartis 3 milioni di euro per avere diritto alla prelazione sull’eventuale produzione di vaccini in caso di pandemia. Ed è arrivata l’influenza H1N1.

"Costruita" la pandemia, il governo Berlusconi ha acquistato il vaccino dallaNovartis con un contratto che per le sue clausole previste è stato tenuto segreto, come "denuncia" la Corte dei Conti. 24 milioni di dosi per un costo di 184 milioni di euro da pagare anticipatamente con l’impegno da parte del governo di accollarsi la responsabilità di eventuali effetti collaterali e del pagamento nel caso di danni a terzi per motivi che non fossero attribuibili a difetti di fabbricazione.
A conti fatti i vaccini ritirati e distribuiti alle Asl sono stati pari al valore di 10 milioni contro i 184 pagati. E ne sono stati inoculati solo 865 mila. Il resto? Finiranno al macero visto che scadranno tra poco. Risultato: spreco enorme di soldi pubblici di cui nessuno risponderà. Morale: i cittadini sono stati ingannati tre volte in un colpo solo.

La prima quando l’allora viceministro e oggi ministro della Salute,
Ferruccio Fazio, ripeteva che eravamo di fronte a una pandemia mortale di dimensioni inimmaginabili creando tra la popolazione il panico.
Il secondo quando presi dall’ansia i cittadini si sono recati nei presidi ospedalieri per essere vaccinati e hanno scoperto che dovevano firmare il consenso informato in quanto il vaccino non aveva superato tutti i test obbligatori per essere immesso in commercio.
La terza quando hanno scoperto che lo Stato, cioè loro, aveva acquistato 24 milioni di dosi per 184 milioni di euro e ne aveva utilizzate 865 mila per 10 milioni di euro.

Tutt’altro esempio arriva invece dalla Polonia dove il primo ministro,
Donald Tusk ha accusato le case farmaceutiche di voler scaricare la responsabilità per eventuali effetti collaterali in quanto il vaccino non era stato sufficientemente testato. E il ministro della Salute, il medico Ewa Kopacz, ha rincarato la dose aggiungendo che se le aziende produttrici non accettavano di assumersi la responsabilità legale per ogni caso di persona danneggiata i vaccini non erano acquistabili.
Stessa cosa ha fatto la Finlandia decidendo che chi voleva vaccinarsi poteva farlo a proprie spese e a proprio rischio e pericolo perché lo Stato non avrebbe né finanziato né distribuito quel vaccino.

In Italia invece sono stati buttati via 184 milioni di euro nonostante il parere contrario di moltissimi farmacologi – compreso quello del direttore dell’Istituto di ricerca "Mario Negri" di Milano,
Garattini, secondo cui la corsa al vaccino si spiega con "la grande pressione delle industrie che ne avrebbero tratto forti guadagni" – che si trattava di un virus "dalla mite virulenza" e acquistare il vaccino non sarebbe stato "un grande affare".

Per i cittadini ma non per la Novartis, ovviamente. A questo si aggiunge che il vaccino, non casualmente a esclusione di quello americano, contiene lo squalene che secondo una ricerca condotta alla Tulane Medical School sui veterani della Guerra del Golfo vaccinati per l’antrace con un vaccino contenente l’immuno-coadiuvante MF59 (contenente lo squalene) ha dimostrato che "il 95% che ha sviluppato la Gulf War Syndrome, che ha causato migliaia di morti, aveva anticorpi verso lo squalene".

Ma sulla decisione del nostro governo pesa anche l’ombra del conflitto di interessi che è stato solo apparentemente risolto con la nomina di Fazio ministro della Salute, ruolo ricoperto da
Maurizio Sacconi la cui moglie Enrica Giorgetti è direttrice generale di Farmindustria.
Certo la Novartis che ha prodotto il vaccino non è un’azienda italiana. Ma come si può ignorare che Farmindustria aderisce in ambito internazionale alla Federazione europea (EFPIA) e a quella mondiale (FIIM–IFPMA)? Oltre al fatto che il ministero della Salute, attraverso la AIFA (Agenzia italiana farmaci), stabilisce i prezzi dei farmaci, quali ritirare dal commercio e quali no. Ha il controllo su Farmindustria (che riunisce oltre 200 imprese del farmaco operanti in Italia, nazionali e a capitale estero) rispetto all’avviamento dell’impresa, alla natura degli stabilimenti, ai prodotti, all’immissione in commercio e alla presentazione del prodotto (etichetta, foglio illustrativo e pubblicità) ecc.

Conflitto denunciato da Antefatto.it? , ignorato dai media e descritto dalla britannica Nature, una delle più antiche e prestigiose riviste scientifiche nell’articolo “Clean hands, please” (Mani pulite, per favore) in cui si legge: “Per di più le connessioni tra i ministeri della Sanità e del Welfare con il sistema industriale sono sgradevolmente strette: per esempio la moglie del ministro Maurizio Sacconi è direttrice generale di Farmindustria, l’associazione che promuove gli interessi delle aziende farmaceutiche".


Come evitare processi per mafia - Marco Travaglio

Come ogni assoluzione eccellente, anche quella di Calogero Mannino, arrestato 15 anni fa per concorso esterno in associazione mafiosa, ha scatenato la solita grandinata di luoghi comuni, falsità e scemenze assortite. Non si sa se dovute a ignoranza o a malafede (o forse a entrambe, visto che vengono dagli stessi che accettano solo le sentenze di assoluzione, infatti stanno beatificando il pregiudicato Craxi).

1) "Mannino non andava nemmeno processato: è stata una persecuzione politica della Procura di
Caselli". In realtà la procura s’è sempre limitata a chiedere. Mannino fu arrestato da un gip e i ricorsi dei difensori furono respinti dal Riesame (3 giudici) e dalla Cassazione a sezioni unite (9 giudici); poi – consulenze medico-legali alla mano – il Tribunale di Palermo (3 giudici) respinse la richiesta di scarcerazione per motivi di salute. Furono proprio i pm a farlo liberare anzitempo. Poi fu assolto con formula dubitativa in tribunale, condannato a 5 anni e 4 mesi in appello, sentenza annullata dalla Cassazione che però ritenne giusto riprocessarlo in appello, dove fu assolto sempre con formula dubitativa, sentenza confermata definitivamente l’altro giorno. Quindi una dozzina di giudici hanno stabilito che era giusto processarlo.

2) "E’ stato un errore giudiziario e ora bisogna riformare la giustizia tagliando le mani ai pm e votando il ‘processo breve’, visto che la durata del processo è colpa dei pm". Il processo è durato così a lungo perché l’Italia è l’unico paese al mondo con tre gradi di giudizio automatici che spesso, come in questo caso, diventano cinque. Ma anche perché la giustizia è senza uomini né mezzi. E, in questo caso, anche a causa della legge
Pecorella, che abolì l’appello del pm paralizzando il processo finché la Consulta non la cancellò.

In ogni caso non tutte le assoluzioni significano che l’imputato è stato processato per errore. Per capire se lo è stato, bisogna leggere le motivazioni. Qui anche i giudici che hanno assolto Mannino hanno ritenuto provati molti dei fatti contestati dall’accusa: un pranzo con un gruppo di ufficiali medici e con due boss; la partecipazione alle nozze fra
Maria Silvana Parisi e Gerlando Caruana, figlio di Leonardo, boss di Siculiana; i rapporti con gli esattori mafiosi Nino e Ignazio Salvo, ai quali Mannino – da assessore regionale alle Finanze – concesse in gestione l’esattoria di Siracusa; gli incontri in casa sua con il boss Antonio Vella e con Gioacchino Pennino, medico palermitano di Brancaccio, esponente della Dc cianciminiana, discendente di una famiglia mafiosa, amico dei boss Giuseppe Di Maggio, Totò Greco e i fratelli Graviano, per chiedere e ottenere voti.

"È acquisita la prova – scrive il tribunale che lo assolse – che nel 1980-81 Mannino aveva stipulato un accordo elettorale con un esponente della famiglia agrigentina diCosa Nostra, Antonio Vella", e poi con altri boss.

Il "patto elettorale ferreo, avallato dall’intervento di un mafioso come Vella…costituisce una chiave interpretativa della sua personalità e consente di invalidare buona parte del capitolato difensivo, volto a rappresentare Mannino come un politico immune da contaminazioni coscienti con ambienti mafiosi o addirittura vittima di chissà quali complotti".

La questione controversa, valutata diversamente nei vari gradi di giudizio, non sono i rapporti e gli accordi coi mafiosi: è la “controprestazione” fornita da Mannino aCosa Nostra, il do ut des necessario per innescare il concorso esterno. Per i giudici del primo appello, i favori alla mafia sono provati; per il secondo appello e la seconda Cassazione, non abbastanza. Certo, è seccante restare sotto processo per tanti anni. Ma c’è un sistema infallibile per non essere accusati di mafia: non incontrare mafiosi, non andare a cena con loro né ai loro matrimoni e soprattutto non stipulare con loro “patti elettorali ferrei”. E’ dura, ma ce la si può fare.

Da Il Fatto Quotidiano del 17 gennaio

domenica 17 gennaio 2010

I consigli dalla latitanza di Craxi a Berlusconi




Un fax di tre pagine inviato all’amico Silvio fitto di consigli: dal "non ti fidare di Fini" ad "attacca l’ex pm di Mani Pulite"

di Leo Sisti




Raccontano le cronache politiche che il pranzo di giovedì tra
Silvio Berlusconi eGianfranco Fini si è concluso con una “tregua armata”. Cioè, per uno come il premier, abituato a vedere il bicchiere mezzo pieno, male.
Eppure doveva saperlo che l’attuale presidente della Camera è un osso duro. Glielo aveva preconizzato, fin dal ‘95, Bettino Craxi, di cui martedì 19 gennaio ricorre il decennale della morte.

"Diffida di Fini", gli intimava l’ex segretario socialista, latitante ad Hammamet, in Tunisia. E lo aveva raccontato, nero su bianco, in tre paginette, trovate dallaDigos, durante un sequestro di documenti ordinato dal sostituto procuratore diMani Pulite Paolo Ielo, pm nell’inchiesta sulle tangenti alla Metropolitana milanese. Era il 7 luglio di 15 anni fa e da un archivio di via Boezio a Roma, sede della Giovine Italia, creatura socialista guidata da Luca Josi, craxiano di ferro, ecco spuntare, in mezzo a tanti scatoloni lì ammucchiati, ricchi di documenti storici del Psi, le "riflessioni" di Bettino.

Sono i consigli di un anziano e navigato leader a Berlusconi su come farsi largo nelle acque torbide della politica: gli suggerisce infatti di non "imperniare lo sviluppo politico sullo stretto binomio Berlusconi-Fini, che ha perso prima ancora di incominciare. Fini perde poco, perché si può accontentare che lo salutino. Berlusconi perde".

Nel "decalogo" Bettino scrive che Forza Italia "deve riacquistare la sua autonomia e non risultare subalterna alle esigenze di alleati infidi e ipocriti...deve riassumere il ruolo di una forza di centro, in grado di dialogare a destra e a sinistra". È la versione anticipata dell’inciucio. Craxi cita la Fininvest come protagonista di "un sistema inquinato dell’informazione politica". Raccomanda all’amico neofita alcune mosse che verranno in seguito, in parte, eseguite. Lo incita a essere intransigente ed aggressivo (contro
Massimo D’Alema e il Pci-Pds), controAntonio Di Pietro e il pool di Mani Pulite, richiedendo a gran voce una serie di inchieste parlamentari sui più svariati argomenti. Lo invita a puntare sul "rinnovamento" in un’edizione anticipata del "partito dell’amore".

La stesura dei "consigli" da Hammamet risale a giugno ‘95, all’epoca del governo di
Lamberto Dini, dopo la caduta del "Berlusconi 1". Lo si capisce dalle prime righe della nota: "La scappellata resa da Dell’Utri appena scarcerato è irresponsabile e suicida. È l’inchino degli sconfitti". Marcello Dell’Utri, storico braccio destro di Berlusconi, era stato arrestato il 26 maggio di quell’anno per le fatture false di Publitalia e liberato il 16 giugno, cinque giorni dopo il referendum, tra l’altro, su libertà di spot in tv, favorevole al Cavaliere di Arcore. Il quale, euforico per la vittoria, si proponeva di andare a festeggiare al carcere di Ivrea, sotto la cella di Dell’Utri, ancora, sia pure per pochi giorni, detenuto.

Craxi concorda: "Superato nel modo migliore il referendum". Ma se la prende con lo stesso Dell’Utri ("la scappellata"), perché, appena uscito dalla galera, elogia pubblicamente D’Alema ("È il politico maggiormente disponibile e responsabile, ha capito che l’urto frontale danneggia il solo paese").

D’Alema, lui, il nemico giurato di Bettino, così dipinto: "Il Pci-Pds è il partito che aveva più risorse e più finanziamenti illegali. Finanziato dall’interno e dall’estero. Oggi è in cattedra dando lezioni di moralizzazione. Negli ultimi anni il responsabile politico anche dell’amministrazione era D’Alema. Ora che su tutto questo non si è aperto un fronte è completamente assurdo".

La storia dimostrerà che, almeno da questo punto di vista, le cose sono andate diversamente. Perché i due, Berlusconi e D’Alema, dialogheranno insieme nella famosa Commissione bicamerale, guidata proprio da "Max" e istituita nel ‘97. Che avrebbe dovuto partorire le riforme istituzionali. E invece è stata un fallimento. Ma, Bicamerale a parte, Silvio seguirà le lezioni di Hammamet.

Come quando Bettino auspicava: "Per continuare a fare politica, occorre una linea e una squadra di combattimento". Obiettivo, i pm, ad esempio: "Il caso Di Pietro deve diventare un simbolo. Bisogna andare a fondo, giacché ne esistono tutte le condizioni". Di Pietro e i suoi "traffici che sono tanti", un escamotage utile per consentire di "avviare un campagna a vasto raggio". E ancora, nel mirino, il poolmilanese, che ha "usato strumentalmente il potere giudiziario, approfittato di determinate circostanze, violato leggi, principi costituzionali, trattati internazionali".

Infine l'ultimo appello a Silvio. Fare inchieste parlamentari su tutto: sui suicidi diTangentopoli, sulle intercettazioni telefoniche, sui finanziamenti di certe campagne elettorali dal ‘92, sui rapporti tra l’onorevole
Luciano Violante e la magistratura. Craxi dixit. E il discepolo si adeguò.

Da Il Fatto Quotidiano del 16 gennaio