martedì 18 gennaio 2011

Viaggio nell'inferno delle carceri italiane - Riccardo Iacona - Cadoinpiedi.it




Riccardo Iacona
L'articolo 27 della Costituzione recita: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Ma nella realtà è proprio così? Come si vive nelle carceri italiane? Il numero dei suicidi cresce (65 nel 2010). E casi come quelli di Stefano Cucchi e Marcello Lonzi spingono alla riflessione.Riccardo Iacona, autore di "L'Italia in Presadiretta" (Chiarelettere) e giornalista Rai, ha realizzato un'inchiesta sul mondo carcerario italiano per Presadiretta, il suo programma in onda su Rai Tre. Ecco cosa ci racconta:


La situazione delle carceri italiane è esplosiva. Sovraffollamento, diritti calpestati, suicidi, costi alle stelle. Cosa non funziona nel sistema detentivo italiano?

Sono appena tornato da un viaggio nelle carceri italiane dal Sud al Nord, perché una delle puntate che manderemo in onda è tutta dedicata alla questione delle carceri. La prima cosa da dire è che sono dei luoghi di tortura, così come sono adesso. Il numero dei detenuti presenti nelle carceri è spesso il doppio di quelli che la struttura dovrebbe ospitarne, il che crea concretamente delle condizioni di vita impossibili. Faccio un esempio concreto che conoscono in pochissimi, perché tutti si immaginano le carceri vecchie, l'umidità. C'è anche questo, certo. Ma per esempio a Poggioreale, per il fatto che i detenuti sono più del doppio di quelli che dovrebbero essere, passano 22 ore al giorno chiusi a chiave in cella
. espandi - comprimi


A cosa è dovuto un sovraffollamento così esagerato? Si ricorre al carcere con troppa facilità?

E' la prima domanda che ci siamo posti, poiché l'aumento della popolazione dei detenuti è stata negli ultimi anni esponenziale (siamo arrivati a 70 mila detenuti). Il punto è: gli italiani commettono più reati? No. Non è così. Sono andato a parlare con gli esperti, con le persone che queste cose le studiano da un sacco di tempo. Il sovraffollamento non è altro che il risultato di una serie di leggi criminogene. Una è la Bossi - Fini, l'altra è la Giovanardi - Fini, la legge sulla tossicodipendenza, e l'altra è la ex Cirielli del 2005. Sono tutte leggi che producono carcere.
Per esempio, guardiamo cosa succede per la tossicodipendenza.
espandi - comprimi


I problemi italiani sono simili a quelli di altri Paesei, o il caso Italia fa storia a sé?

Noi siamo, dal punto di vista del trattamento carcerario, in una graduatoria molto bassa e del resto basta leggere le notizie di cronaca che purtroppo leggiamo tutti i giorni al punto che facciamo pure fatica a mantenere la contabilità, il numero dei suicidi. Certamente anche nel resto dell'Europa questa è una materia sensibile, perché si tratta di parlare all'opinione pubblica. Ogni volta che si fanno dei ragionamenti a medio e a lungo termine sul funzionamento della giustizia e sulla depenalizzazione, la sensazione è che la gente dica: "ma questi vogliono svuotare le carceri, poi ci ritroviamo i delinquenti nei quartieri, ma comunque un accanimento, questo panpenalismo che c'è in Italia, determinato da una cattiva politica che legifera male, che quando non sa cosa fare si inventa un nuovo reato. E questa roba non c'è negli altri paesi d'Europa.



Dal caso Cucchi a quello Lonzi. Morti sospette e troppi suicidi. Perché è così facile morire di carcere?

Intanto perché nel carcere non sei più una persona, sei una pratica con un numero. Molti dei ragazzi che si suicidano, per esempio, sono al primo ingresso. Sono andato a vedere come funziona questo meccanismo da vicino, devo dire che gli operatori del carcere, generalmente direttori, agenti penitenziari, psicologi, sono molto consapevoli di queste cose che ci stiamo dicendo, tant'è vero che ci hanno aperto le porte. Il viaggio che ho fatto dentro Poggioreale per me è stata un'esperienza straordinaria da questo punto di vista. Ci sono le testimonianze dei detenuti. Quando un detenuto entra nel carcere di Poggioreale, nella sezione dei primi ingressi che conta dalle 350 alle 370 persone a seconda dei periodi di sovraffollamento, a valutare psicologicamente il carcerato c'è una persona che ha un contratto di 20 ore al mese.
espandi - comprimi


Qui di seguito
Il commento del dr. Luigi Morsello, Ispettore Generale dell’Amministrazione Penitenziaria.

Non v’è dubbio che l’intervista fatta a Riccardo Iacona è molto impressionante. Egli descrive una situazione quasi da bolgia infernale che sarebbe presente nelle carceri italiane. Io che di carceri ne ho diretto una trentina in 40anni sono molto sorpreso dai contenuti dell’intervista, che sembra generalizzare situazioni di disagio estremo presenti in quella forma acuta in carceri antichi come Poggioreale a Napoli o in carceri moderne come la Dozza di Bologna. Io aggiungo carceri vecchie come San Vittore a Milano (costruito nel 1879), Regina Coeli a Roma (un convento adattato a carcere nel 1881, l’Ucciardone a Palermo (progettato come carcere nel 1800 ed entrato in funzione nel 1842).

Ve ne sono altri, ma ai fini del presente commento non interessa.

Spero che Iacona, bravo giornalista, si sia occupato anche di carceri che funzionano, come la II^ casa di reclusione di Milano-Bollate.

Per primo desidero parlare delle immagini presentate nel video. La maggior parte sembra non sia si carceri italiane, le celle sono di tipo cubicolare, delle quali ne sopravvivono poche unità (per certo ad Alessandria, carcere che io diretto, salvo da allora i cubicoli non siano stati modificati con imponenti lavori strutturali, mentre la Casa di Reclusione di Firenze, dove ho prestato servizio quale vicedirettore è stata dismessa contemporaneamente alla casa circondariale – non a sistema cubicolare – per l’entrata in funzione del nuovo carcere di Firenze-Sollicciano).

Ma soprattutto io non ho contezza di celle affiancate e numerate.

Iacona afferma che le carceri in Italia sono “luoghi di tortura” e basta, dando l’impressione che si pratica la tortura fisica, il che, ovviamente, non è vero. Quindi, si tratta di sollecitazioni anche gravi di natura psicologica, nettamente connesse col sovraffollamento, affermando – ed è vero – che alcune carceri hanno il doppio dei detenuti previsti dalla capienza.

Poi passa a descrivere la vita interna a Poggioreale, il carcere vecchio di Napoli, laddove i detenuto languono in cella per 22 ore su 24, ed è vero, per mancanza di attività trattamentali e di tempo libero pur previste dall’ordinamento penitenziario e dal suo regolamento di esecuzione. Le due ore sono distribuite nel passeggio nei relativi cortili all’aria aperta, un’ora al mattino e l’altro al pomeriggio.

Egli afferma che, rebus sic stantibus, l’esecuzione della pena detentiva sono soldi buttati via, perché ogni detenuto costa intorno ai 150 euro al giorno. Anche questo è vero come è vero che un giornalista deve svolgere attività di denuncia e non deve presentare soluzioni, che non gli competono.

Passando ad esaminare i motivi del sovraffollamento, lavoro improbo, Iacona li individua in tre leggi che definisce criminogene: 1) la Bossi-Fini; 2) la Giovanardi-Fini; 3) la ex-Cirielli.

Non chiarisce perché ma l’ambito di una intervista non consente chiarimenti agevoli.

LA BOSSI-FINI (IMMIGRAZIONE)

Fissa dei limiti molto ristretti per l'immigrazione regolare(bisogna già avere un contratto di lavoro prima di partire) e riduce la durata del permesso di soggiorno (due anni).

In pratica da un lato non tiene conto che è davvero raro che qualcuno venga assunto a distanza senza nemmeno un colloquio, e dall'altro impone il rinnovo del permesso ogni due anni indipendentemente dalla durata del contratto.

Parallelamente introduce sanzioni penali anche per quelle violazioni precedentemente sanzionate solo in sede amministrativa.

Si realizza dunque un meccanismo secondo il quale la difficoltà di adempiere alle prescrizioni induce più facilmente alla violazione. E, inoltre, sanzionare allo stesso modo comportamenti diversi significa non già scoraggiarli, ma far ritenere "conveniente" commettere il reato più grave.

LA GIOVANARDI-FINI (DROGA)

La nuova legge sulla droga, la Fini-Giovanardi, non fa più alcuna distinzione tra le varie sostanze ai fini della determinazione delle sanzioni, ossia delle pene detentive. Tutte sono state aumentate, indistintamente.

Ciò provoca l'orientamento della criminalità sullamassimizzazione del profitto. In pratica visto che il rischio di condanna è uguale, meglio spingere le droghe che costano di più e rendono di più. Naturalmente sono quelle dagli effetti più dannosi.

Morale: più di un terzo della popolazione carceraria totale è rappresentato da detenuti accusati di reati connessi agli stupefacenti.

In sintesi: la nuova legge ha eliminato il criterio della “modica quantità” per uso personale per introdurre le soglie massime consentite.

Oltre questa soglia qualunque siano le condizioni soggettive, le circostanze del fatto, non si può mai parlare di detenzione per uso personale ma di spaccio. Dunque la pena va da 6 a20 anni.

In teoria il principio potrebbe essere giusto ma in pratica si rivela dannoso.

Ecco perché: le tabelle fissano i limiti di possesso personale di “principio attivo” – e non di stupefacente complessivamente inteso - di ciascuna sostanza.

Ora il punto è questo: un assuntore di cannabis (ad esempio) che è riuscito a trovare sostanza più “pura”, dove il principio attivo è al 20 per cento (accade spesso a coloro che se la producono da soli coltivandosi le piantine nell’orto), va in galera per 10 anni se viene beccato con 5/7 spinelli perché si suppone, automaticamente, che sia uno spacciatore.

Al contrario (cosa che accade molto frequentemente) le organizzazioni criminali, dopo la legge, hanno quasi dimezzato il principio attivo in modo che uno spacciatore di cocaina sorpreso con 20 dosi pronte per essere vendute possa agevolmente sostenere che si tratti in realtà di uso personale perché il principio attivo non supera la soglia della tabella legislativa.

Ciò provoca due conseguenze:

1) mettiamo in carcere i consumatori “privati” etichettandoli come spacciatori.

2) lasciamo liberi, e gli paghiamo anche una riabilitazione che in realtà non serve a nulla, degli spacciatori professionisti alle dipendenze della criminalità definendoli semplici consumatori.

Per giunta quella stessa criminalità, diminuendo la quantità di principio attivo, raddoppia i propri guadagni e, come non bastasse, adoperando spesso per il taglio sostanze dannose fa aumentare i morti.

LA EX-CIRIELLI (PRESCRIZIONE)

Con la riforma introdotta dalla legge 251 del 5 dicembre 2005 (la cosiddetta ex - Cirielli), il tempo necessario per la prescrizione corrisponde al massimo della pena edittale, cioè della pena prevista dal codice penale senza tenere conto di attenuanti o aggravanti che possono, in concreto, far aumentare la condanna sotto il minimo o oltre il massimo rispetto a quanto previsto dal codice.

Oggi ciò che conta è la pena massima: se è di 7 anni il reato si prescrive in 7 anni (e non in 10 come prima), se è di 10, indieci anni.

Sono però previsti due “limiti”: nessun delitto può prescriversi in meno di 6 anni (ad esempio per l’abuso d’ufficio la pena massima è 3 anni ma la prescrizione è di 6), e nessun reato contravvenzionale si può prescrivere in meno di 4 anni.

Che significa tutto questo?

Oggi, il reato di ricettazione (pena massima stabilita dal codice: 8 anni) si prescrive, appunto, in 8 anni. Prima invece siccome 8 sta tra 5 e 10 si prescriveva in 10 anni.

In sostanza la prima conseguenza della riforma è che la prescrizione è stata quasi sempre ridotta, almeno per i reati più gravi.

E visto che non è stato fatto nulla per abbreviare i tempi della giustizia questo significa che sono di più i processi che si concludono con la prescrizione.

Una seconda conseguenza è che al contrario i reati di minore importanza (come il disturbo della quiete pubblica che certo non crea alla società gli stessi problemi della corruzione) si prescrivono in tempi più lunghi.

RIASSUMENDO

Il fatto più grave è che la criminalizzazione di comportamenti non previsti come reato o l’aggravamento della sanzione detentiva per reati di minimo allarme sociale, comporta l’effetto definito massimizzazione dei profitti”. E ciò in riferimento alla clandestinità e al relativo reato, che comporta però solo una sanzione pecuniaria che l’interessato non potrà mai pagare, visto che è povero in canna, che produce la involuzione del comportamento criminoso verso altri reati, tipico quello ben più grave di spaccio di sostanze stupefacenti.

Quanto sopra è evidente soprattutto per la Bossi-Fini e perla Giovanardi-Fini, mentre la ex-Cirielli accorcia i termini di prescrizione dei reati gravi, riducendola ad almeno sei anni, e allunga tali termini per i reati contravvenzionali, che adesso si prescrivono tutti in 4 anni.

Nel redigere questi chiarimenti sulle tre leggi ho chiesto aiuto al dr. Roberto Ormanni e alla sua sapienza giuridica.

Tornando all’intervista di Iacona, i dati che egli fornisce sono impressionanti.

Il 30% di detenuti stanno in carcere per reati di tossicodipendenza o ad essa connessi, per gli stessi, sostiene a ragione Iacona occorrerebbero cure presso comunità protette esterne al carcere. Però, ve ne sono pochissime e non sono praticabili per reati commessi in stato di assunzione di droghe, di evidente maggiore gravità. Dunque le comunità potrebbero curare solo i detenuti tossicodipendenti trovati in possesso di droghe con principio attivo superiore alle tabelle.

Ciò non consente di definire il carcere una ‘discarica sociale’, considerato che detenuti per possesso di droga per uso personale non sono la maggioranza.

Poi vi sono un 30% di stranieri ed un 20% di detenuti affetti da turbe psichiche (17.000 unità).

Infine, i detenuti autori di reati gravi sono il 4%, quindi mancano all’appello un16% di detenuti non incasellati in una categoria.

Quindi, il giornalista tocca il tema della estrema povertà. A Natale 2010 nel carcere La Dozza di Bologna il 50% dei detenuti avevano 10 euro sul conto corrente carcerario.

Quindi sono poveri già in libertà che diventano ancor più poveri in carcere, dove non ci sono, aggiungo io, attività lavorative remunerate, posto che il lavoro è considerato a ragione dal legislatore come il vero fattore risocializzante.

Quindi propone la riforma del Codice Penale, nel testo licenziato da Giuliano Pisapia, depenalizzando circa 300 tipi di reato (Bruno Tinti parlava di 200). Mi chiedo quanti di essi prevedono la carcerazione preventiva (custodia cautelare) e una pena detentiva tale da non consentire l’accesso alle misure alternative alla detenzione (4 anni pena detentiva anche residua).

Però è certo che senza intervenire sulla legislazione penale, eliminandone storture e illogicità, l’aumento dei detenuti non si fermerà.

Alcune opinioni di Iacona sembrano conseguenza di disinformazione. Chi entra in carcere non diventa un numero, non indossa la casacca a strisce col numero di matricola stampato sul petto, non viene chiamato col numero ma con nome e cognome.

Altrettanto accade per il personale del carcere.

Ciò non vuol dire, però, che si abbia molta cura, oggi, del profilo umano dei detenuti, non sempre per motivi ideologici, spessissimo per carenze di ogni genere.

Per i detenuti provenienti dalla libertà mai stati in carcere c’è un servizio specifico, chiamato “Nuovi Giunti), vero è che lo psicologo addetto nei carceri di media e piccola grandezza ha contratti di lavoro a tempo determinato di pochissime ore (Iacona dice 28, in realtà il numero di ore è variabile in ordine alle risorse economiche assegnate. Ma uno psicologo non è una unità di personale (tra l’altro, non lavoro subordinato), è una unità lavorativa qualificata.

Tra le cause di suicidio di detenuti (66 l’anno 2010) Iacona individua la vergogna per essere finito in carcere, può essere ma da sola non basta. Fortemente condizionante è il clima psicologico cupo che caratterizza il carcere, anche il meglio organizzato, che finisce col rompere un fragile equilibrio psicologico con conseguenze nefaste.

http://ilgiornalieri.blogspot.com/2011/01/viaggio-nellinferno-delle-carceri.html


"Tutto partì dalla mia denuncia"

lunedì 17 gennaio 2011

Mirafiori, la ribellione della dignità. - di Giuseppe Giulietti.


Alla Fiat hanno vinto i sì e dunque viva i no! Non si tratta di un paradosso, ma della giusta lettura politica di quanto è avvenuto in queste ore.
Nessuno di noi vuole disconoscere il risultato finale, ma non vi è dubbio che, nelle condizioni date, bisognerebbe consegnare un premio a quanti hanno respinto minacce e ricatti e hanno comunque votato no, costoro dovrebbero essere davvero nominati cavalieri del lavoro dal presidente Napolitano!

Mai si era consumata una consultazione elettorale e referendaria in presenza di una così clamorosa disparità di condizioni mediatiche, economiche, politiche.
"O si vota, o si vota sì, e se non dovesse comunque vincere il sì, chiuderò tutto e andrò all'estero", così aveva dichiarato Marchionne, raccogliendo, non a caso, l'immediato sostegno di Berlusconi, dei suoi fedelissimi e di non pochi esponenti del Pd, tutti insieme appassionatamente.
Coloro che avrebbero comunque votato no, avrebbero dovuto portare sulle spalle il peso di aver condannato alla fame i familiari, Torino, il Piemonte, l'Italia intera.
Sembrava quasi che il futuro della nazione, dei giovani, dei precari, fosse ostaggio di qualche migliaia di tute blu, veri sabotatori di ogni modernizzazione.

In queste condizioni i sì avrebbero dovuto raggiungere percentuali bulgare, una quasi unanimità. Invece no! Invece è scattata una ribellione profonda, un fastidio non solo verso la intesa, ma anche vero i toni e i modi disgustosamente autoritari con i quali si è tentato di imporre il ricatto.
Centinaia e centinaia di donne e di uomini di Mirafiori, pur preoccupati quanto quelli che con altrettanta sofferenza hanno votato sì, hanno comunque scelto di difendere la dignità loro e quella di tanti altri lavoratori, ai quali ora si cercherà di applicare il metodo Marchionne, come ha già anticipato la signora Marcegaglia.

Nei giorni scorsi politici di ogni colore, giornalisti e persino qualche prete hanno più volte invitato la Fiom e la Cgil al senso di responsabilità, alla necessità di rispettare il voto e di restare in fabbrica. Dopo questo risultato lo chiederanno con la stessa petulanza e con la stesa determinazione anche a Marchionne? Gli chiederanno di deporre i panni del caudillo e di rinunciare a quelle parti dell'intesa che sono lesive persino dei diritti costituzionali e dello statuto dei lavoratori? Ci permettiamo di dubitarne.

Per queste ragioni continueremo a sostenere l'appello di MicroMega e ci impegniamo sin da oggi a compiere ogni sforzo per favorire la più ampia adesione e partecipazione allo sciopero del prossimo 28 gennaio che, a questo punto, dovrà essere anche la giornata di chi ancora crede nella Costituzione e in quei valori di libertà, legalità, dignità, senza i quali la declamata modernizzazione rischia di assomigliare alle più arcaiche forme di neo feudalesimo.


domenica 16 gennaio 2011

"Ho realizzato la fusione fredda" Annuncio choc del fisico Focardi.



Bologna, 13 gennaio 2011 - È UNA CHIMERA della scienza da decenni. Un sogno chiamato fusione nucleare fredda. Il team di fisici dell’Università di Bologna, capitanati dal professor Sergio Focardi, ha annunciato di averne scoperto il segreto e ha dato appuntamento domani a un ristretto gruppo di ricercatori e giornalisti per assistere alla diretta dimostrazione. Al contrario della fissione, che ‘spezza’ un atomo con conseguente emissione di energia, la fusione nucleare è l’unione di due nuclei atomici che produce un terzo, nuovo, elemento con altrettanta emissione di enormi quantità di energia. È la reazione che tiene accese le stelle, la stessa che fa brillare il sole, laddove le condizioni di temperatura sono talmente estreme da permettere una fusione tra atomi. Com’è allora possibile riprodurla sulla Terra?

LA FUSIONE ‘fredda’ — alle temperature ordinarie — in realtà non è mai stata realizzata. Benché più volte scienziati di tutto il mondo ne abbiano dato annuncio, regolarmente smentito da tentativi successivi, la fusione fredda rimane un attraente campo di studio: ottenere una ‘fornace stellare’ di energia sulla Terra da un apparato ingombrante appena come un tavolo rivoluzionerebbe i consumi delle società e certamente varrebbe immediatamente il Nobel. Una scommessa interessante per Focardi che, con il partner e inventore del reattore, l’ingegnere Andrea Rossi, ha messo nero su bianco il metodo in fase di brevettazione mondiale. Una scommessa, perché, per ora, il team non si è ancora presentato con le carte in regola di fronte alla comunità dei colleghi: l’articolo redatto, dopo essere stato rifiutato dalle riviste scientifiche accreditate, è stato pubblicato autonomamente su Journal of nuclear physics, una rivista on-line fondata dagli stessi autori e nel cui comitato scientifico appare come primo nome lo stesso Focardi. Ma una scommessa interessante, perché se l’esperimento riuscisse e fosse riproducibile dimostrerebbe che il sistema di controllo della revisione paritaria, ‘peer review’, che nel mondo valida secondo pareri e criteri standard l’idoneità di ciò che viene prodotto dalla comunità scientifica, è sì garantista ma troppo rigido: come un filtro antispam che però respinge anche le e-mail importanti.

«DALL’ESPERIMENTO abbiamo ottenuto rame — ha detto Focardi –— e riteniamo che la sua comparsa sia dovuta alla fusione dei nuclei atomici di nichel e idrogeno, proprio gli ‘ingredienti’ che alimentano il nostro reattore». Poiché idrogeno e nichel ‘pesano’ insieme meno del rame deve essersi liberata molta energia, dal momento che «nulla si crea e si distrugge». E infatti: «La massa mancante — spiega Focardi — si è trasformata in energia e noi l’abbiamo misurata: è nell’ordine di qualche chilowatt, duecento volte superiore all’energia che c’era all’inizio della reazione».

Il meccanismo resta tuttavia un alchemico mistero: «Non possiamo spiegare come si possa innescare la fusione fredda ma la presenza di rame e la liberazione di energia ne sono testimoni: abbiamo le prove sperimentali ma non quelle teoriche». Se l’apparato Focardi-Rossi è un cappello da prestigiatore o un reattore a fusione nucleare fredda non si può stabilire senza la teoria. Per questo le riviste hanno rimandato al mittente l’articolo.

Domani allo stabilimento Gm System, in via dell’Elettricista (zona industriale Roveri), si replicherà l’esperimento davanti a testimoni accreditati. L’energia attesa dal reattore è pari a quella che soddisferebbe i bisogni di un paio di appartamenti. Inoltre verranno misurate le radiazioni emesse dall’apparato come conferma dell’origine nucleare dell’energia prodotta.

di MARCO PIVATO

http://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cronaca/2011/01/13/441795-realizzato_fusione_fredda.shtml

Bossi, ciò che io penso di lui.


Per capire chi è Bossi e che cosa possa rappresentare, non c'è bisogno di leggere un libro.

Bossi, diplomato alla scuola "radio elettra" per corrispondenza, è quello che si inventò una laurea in medicina senza averla mai conseguita, gli mancavano, infatti, 11 esami e la tesi di laurea.



Bossi è il classico scanza-fatiche che ha capito che la politica poteva dargli ciò a cui aspirava: guadagnare senza lavorare.

Ha avuto la fortuna di conoscere gente che lo ha introdotto negli ambienti politici, dandogli anche uno spunto in più, quello di un'ideologia "secessionista" che trasformò in seguito in "federalista".

Lui, in effetti, non ha mai avuto una fede politica propria, lui è solo un opportunista.

Una prova del suo opportunismo è che, pur avendo accusato Berlusconi di essere un mafioso che ha creato la sua fortuna con capitali prestati dalla mafia, ora è divenuto suo alleato.

Bossi, tra i politici italiani, è il più "falso".

Ed è anche uno spergiuro: pur avendo giurato fedeltà alla bandiera italiana, non ha disdegnato definirla carta igienica.

Lui segue un suo fine personale: guadagnare tanto senza far nulla.

Peccato che vi siano tanti imbecilli che lo seguano e gli hanno permesso di raggiungere il suo scopo.

Berlusconi e la "prostituta minorenne" sui giornali di tutto il mondo. - di ENRICO FRANCESCHINI




LONDRA - Silvio Berlusconi torna al centro dell'attenzione dei media internazionali, con giornali, siti internet e telegiornali di mezzo mondo che dedicano ampio spazio alla nuova inchiesta giudiziaria sul primo ministro italiano. I titoli si assomigliano, da "Berlusconi sotto indagine per la prostituzione" sul Financial Times a "Silvio e la prostituta di 17 anni" sul Sun fino a "Ruby Rubacuori e le accuse di sesso che potrebbe far cadere Silvio" sul Daily Mail. E perfino la stampa russa, per la maggior parte strettamente controllata dal Cremlino, parla oggi per la prima volta della vicenda, nonostante i noti legami di amicizia fra Berlusconi e il primo ministro Putin, che secondo le indiscrezioni circolate fino ad ora sarebbe stato ospite del leader del Pdl proprio in occasione di una delle serate in cui anche la minorenne marocchina si trovava nella sua villa.

"Ilda la Rossa segnala grossi guai per Berlusconi" è il titolo dell'Observer, edizione domenicale del Guardian di Londra. "Per un uomo che dice di amare le donne, Ilda Boccassini può essere un'eccezione", scrive il corrispondente Tom Kingstone da Roma, ricordando che il procuratore milanese, "soprannominata la Rossa per il colore dei capelli e le sue simpatie progressiste", veniva descritta come "una tigre che non si ferma davanti a niente" dai mafiosi su cui ha condotto numerose inchieste. Le accuse ora rivolte a Berlusconi, con la richiesta di un processo rapido, saltando la fase preliminare, reso possibile dalla decisione della Corte Costituzionale di eliminare l'immunità giudiziaria di cui godeva il primo ministro, nota l'Observer, può risultare in "un duro colpo" per il leader italiano: "Abbandonato dalla moglie a causa di precedenti scandali sessuali con giovani donne, il premier è sopravissuto a un voto di fiducia in parlamento alla fine dello scorso anno, ma il suo governo sta in piedi per un pelo e difficilmente può permettersi un nuovo dramma a base di sesso".

"La polizia perquisisce le case delle show-girls ospitate da Berlusconi" a Milano 2, è il titolo del Sunday Times, secondo cui è verosimile che il caso "complicherà il tentativo di Berlusconi di costruire una forte maggioranza parlamentare dopo avere vinto di un soffio il voto di fiducia del mese scorso". Un altro quotidiano inglese, l'Independent, titola sulla "scoperta di un harem di 14 donne tenuto da Berlusconi" nel complesso di appartamenti di Milano 2 che fu la sua prima iniziativa immobiliare. "Le donne vivevano in quegli appartamenti senza pagare l'affitto e ricevevano grosse somme di denaro in contanti dall'uomo politico miliardario in cambio di sesso", scrive il giornale londinese, sottolineando che anche fra gli alleati di Berlusconi cresce la convinzione che, se le accuse rivolte al premier dai magistrati milanesi si riveleranno vere e se essi hanno effettivamente in mano una "pistola fumante", ossia una prova schiacciante, come la loro determinazione lascia credere, allora "Berlusconi sarebbe nei guai come non gli è mai capitato prima".

Il Guardian parla della "devastante possibilità per Silvio Berlusconi di essere messo sotto processo per un reato sessuale". E il Times, titolando a tutta pagina sul fatto che "i magistrati investigano Berlusconi per sesso con una prostituta minorenne", un reato - nota il quotidiano - che comporta una pena carceraria di 3 anni, afferma in un editoriale a parte che le nuove accuse "possono rivelarsi problematiche anche per un politico dalla incredibile capacità di resistere come Berlusconi". Il giornale di proprietà di Rupert Murdoch elogia nell'editoriale Ilda Boccassini, definendola come un magistrato "molto ammirato per il suo coraggio, la sua professionalità e la sua indipendenza", che è stata amica personale di Giovanni Falcone, "il giudice assassinato dalla mafia" e ha affrontato sia Cosa Nostra che la Ndrangheta calabrese nella sua lunga carriera.


Leggi anche:
Caso Ruby, “Berlusconi non si presenterà dai pm di Milano”. Poi i legali smentiscono.

Via Olgettina 65, il palazzo delle veline.

I Pm: “Ruby ad Arcore fino al primo maggio e da Spinelli lauta ricompensa per Lele Mora.





B. sapeva che Ruby era minorenne. - di Gianni Barbacetto


Tra le prove chiave una telefonata del premier a Nicole Minetti in cui dice che nessuno può dimostrare che la ragazza non aveva ancora compiuto diciotto anni

Tra le “prove evidenti” che la Procura di Milanoha squadernato per chiedere il giudizio immediato di Silvio Berlusconi, c’è una telefonata intercettata: tra Nicole Minetti e il presidente del Consiglio.

È l’estate 2010 e le indagini sul caso della ragazza marocchina Karima el Mahroug detta Rubystanno decollando. Il procuratore aggiunto che ha preso in mano le carte sulla minorenne, Pietro Forno, va a interrogarla a Genova, nella comunità protetta in cui vive, pur non rinunciando a molte serate “libere”. Ruby è una ragazza irrequieta, al tempo stesso spavalda e fragile. Dopo i suoi contatti ravvicinati con il presidente del Consiglio, è seguita a distanza da alcune persone. Da Nicole Minetti, la soubrette di Colorado Cafè diventata così intima di Silvio da essere stata imposta nelle liste elettorali, con elezione assicurata, nel listino del presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. Dall’impresario Lele Mora, che assieme al direttore del Tg4 Emilio Fede l’ha catapultata nel “giro” del presidente, facendola arrivare fino ad Arcore. Dall’avvocato Luca Giuliante, fedelissimo del presidente della Provincia di Milano Guido Podestà, tesoriere lombardo del Pdl e legale di Lele Mora nelle questioni tributarie.

Nicole Minetti ha già dovuto farsi carico di Ruby, correndo in questura la fatidica notte tra il 27 e il 28 maggio 2010, a chiedere che le fosse affidata la minorenne, indicata ai funzionari, da una telefonata molto autorevole, come “la nipote del presidente egiziano Mubarak”. Bene, Minetti qualche mese dopo è al telefono proprio con Silvio Berlusconi e, fedele al suo mandato, lo informa di un nuovo pericolo: Ruby è stata interrogata a Genova da un magistrato arrivato da Milano (è l’aggiunto Pietro Forno). Il presidente del Consiglio le risponde e le dice che non è allarmato, che non c’è da preoccuparsi. “Non importa, tanto non potranno mai dimostrare che io sapevo che è minorenne”. Così dice il presidente. Peccato che la sua voce rimanga registrata nei file degli investigatori della Procura di Milano. Certo: il presidente del Consiglio non può essere intercettato. Ma a essere controllati erano i telefoni di Nicole Minetti. E parlando con lei, Berlusconi offre incautamente agli investigatori la prova che, invece, sapeva: sapeva che Ruby Rubacuori, più volte ospite ad Arcore nelle nottate del Bunga bunga, non aveva ancora compiuto i 18 anni.

Le certezze di Boccassini e Forno
Eccole, dunque, le “prove evidenti” che i pm Ilda Boccassini, Pietro Forno, Antonio Sangermano e il procuratore della Repubblica Edmondo Bruti Liberati ritengono di aver già raccolto, tanto da chiedere il giudizio immediato per Berlusconi, saltando l’udienza preliminare. Nella telefonata ha ammesso di sapere che era minorenne. Le presenze di Ruby ad Arcore in almeno sei occasioni (il 14 febbraio, San Valentino; il 24, 25 e 26 aprile, festa della Liberazione; il 1 maggio, festa del Lavoro; il 4 e il 5 aprile, Pasqua e Pasquetta) sono provate inconfutabilmente dalla presenza del cellulare della ragazza nella “cella” di Arcore.

Per far scattare l’accusa di prostituzione minorile, nell’unico caso in cui il codice punisce (con una pena da 6 mesi a 3 anni) il cliente di una prostituta, e cioè quando questa ha un’età compresa tra i 14 e i 18 anni, resta da provare che Ruby ad Arcore non abbia parlato di filosofia, ma abbia avuto rapporti sessuali con il padrone di casa. Per questo ci sono i racconti delle molte ragazze presenti, che hanno parlato del Bunga bunga nelle intercettazioni e negli interrogatori. Ci sono anche le immagini riprese con i telefonini dalle protagoniste? La procura smentisce e il procuratore Bruti Liberati allarga le braccia e sospira: “Permettetemi che queste prove me le tenga per me”.

Ci sono, comunque, anche i pagamenti: buste con centinaia, migliaia di euro, approntate daSalvatore Spinelli, l’uomo-portafoglio di Silvio Berlusconi. Troppi per premiare innocenti serate organizzate per assicurare il riposo del guerriero. E a cui si aggiungono anche gli affitti pagati nella casa residence di via Olgettina, a un passo dall’ospedale San Raffaele: una vera tana delle ragazze a disposizione del presidente. Ruby continua a smentire: “Non ho mai fatto sesso con il premier”, ha dichiarato ieri a Sky Tg24. “Silvio mi ha dato soldi perché aveva saputo della mia situazione difficile”. Ma nelle perquisizioni dei giorni scorsi alle ragazze sono stati trovati migliaia di euro, tutti in banconote da 500, e anche una busta con su scritto “Silvio”.

Nel decreto di perquisizione degli uffici di Spinelli, la Procura di Milano spiega che Minetti, Fede e Mora, “in concorso con ulteriori soggetti”, hanno “continuativamente svolto un’attività di induzione e favoreggiamento della prostituzione di soggetti maggiorenni e della minore El Mahroug Karima, individuando, selezionando, accompagnando un rilevante numero di giovani donne, che si sono prostituite con Silvio Berlusconi, presso le sue residenze, dietro pagamento di corrispettivo in denaro da parte di quest’ultimo, nonché gestendo e intermediando il sistema di retribuzione delle suddette ragazze a fronte dell’attività di prostituzione svolta”. La prosa è cruda, ma chiara.

Il plico nei Palazzi della politica romana
Tutto il resto, tutto il malloppone delle “prove evidenti” che condurranno Silvio Berlusconi diritto al giudizio immediato per prostituzione minorile e per concussione (per le pressioni esercitate nelle notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 sui funzionari della Questura di Milano, affinché rilasciassero Ruby), sta nell’invito a comparire spedito al presidente del Consiglio e nelle 300 pagine mandate alla Camera per rinnovare la richiesta di perquisizione degli uffici di Spinelli, considerati “pertinenza della segreteria politica dell’onorevole Silvio Berlusconi”.

Sarà la Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera a decidere. Intanto il plico è arrivato a Montecitorio ed è stato chiuso in cassaforte. Lo ha comunicato il presidente della Giunta,Pierluigi Castagnetti: “È arrivato alla Camera, ma non è stato aperto. Io mi trovo in Sicilia e ho anticipato il mio rientro a Roma da martedì a lunedì proprio per questo”. Anticipata di due giorni la riunione dell’organismo, che era prevista, su tutt’altro argomento, per mercoledì. “Visto che i pm hanno chiesto il giudizio immediato”, commenta Castagnetti, “si può immaginare che i magistrati ritengano di disporre già di prove sufficienti. Dunque la nostra decisione potrebbe non rivelarsi decisiva ai fini processuali”. Ma intanto il materiale che, secondo la Procura di Milano, incastra Berlusconi è approdato nei Palazzi della politica romana.

Dal Fatto Quotidiano del 16 gennaio 2010