Nessun passo indietro, arrocco in Parlamento e appello al «popolo» contro i magistrati. Il giorno dopo il rinvio a giudizio, il Cavaliere punta allo scontro totale.
Il meccanismo è quello di sempre. Non lanciare subito una manifestazione, ma farla chiedere dal "popolo". Così, la manovra parte come di consueto dal sito del Pdl, quello in cui vengono fatti parlare i militanti e i simpatizzanti. Fabrizio: «Perché non scendiamo in piazza anche noi per dare al Pdl il nostro sostegno?». Agostino: «Dovremmo occupare tutte le piazze di ogni capoluogo». Vittorio: «Il momento è gravissimo e dobbiamo salvare la democrazia in pericolo, fermiamo tutte le attività e tutti in piazza subito». Cathy:«Ma cosa aspettiamo a scendere in piazza e reclamare i nostri diritti di elettori?».
E così via, in un tripudio di richieste di mobilitazione. Che poi tracimano, inevitabilmente, sul "Giornale" di famiglia, secondo il quale «Berlusconi ha di nuovo accarezzato l'idea di una grande manifestazione di piazza contro la magistratura politicizzata». Perché, continua la testata del premier, «il Cavaliere ieri pomeriggio era tonico e reattivo (...) e continua a non aver alcun tentennamento né alcuna intenzione di fare passi indietro». Una certezza che si traduce nel titolone di prima pagina: «Berlusconi non cade». Sulla stessa linea il giornale gemello, "Libero": «Il passo indietro non ci sarà mai».
Insomma, smentite preventive, perché martedì sera anche tra i deputati del Pdl si era diffusa la voce (ufficiosissima, anzi rigorosamente anonima) che sarebbe stato pronto un passaggio di mano ad Alfano o a Letta. Invece, avanti tutta: arroccandosi e appellandosi alla piazza, fino alla fine.
Tutte le dichiarazione degli esponenti del Pdl sono identiche e chi non manda almeno due righe all'Ansa gridando al golpe è un traditore: «Il 6 aprile non va a processo il premier o il suo governo, ma la nostra democrazia» (Meloni);«Berlusconi è vittima di un sistema malato che tenta di criminalizzare chiunque si pone a capo dei moderati» (Giovanardi); «Non accettiamo che un confronto politico venga affrontato con mezzi impropri dalla sinistra politico-giudiziaria» (Gasparri); «Come in passato, Berlusconi sarà assolto, ma solo dopo aver sprecato milioni di euro in indagini inutili e infangato l'immagine dell'Italia» (Valducci); «Non cantino vittoria i signori della sinistra che, incapaci di battere Berlusconi nelle urne, sperano sempre e soltanto nel solito aiutino dei pm rossi» (Izzo); «Guerra persecutoria, aggressione giudiziaria, voglia di piazzale Loreto» (Giuliano Ferrara)». Fino al mitico «Berlusconi never surrender», in inglese, di Giorgio Stracquadanio. Lo stesso concetto (non manca mai la frase «giustizia a orologeria»)viene insomma declinato centinaia di volte per mostrare al Capo che non è rimasto solo nel bunker.
E in un certo senso i colonnelli e i peones del Pdl hanno ragione, perché mentre attorno al Cavaliere si erode lentamente ma continuativamente il consenso degli elettori (tutti i sondaggi ormai lo dimostrano), si rinforza invece la maggioranza parlamentare, con nuove acquisizioni dovute anche al caos dentro Futuro e Libertà.
Questa, dicono al Pdl, è adesso la priorità assoluta di Berlusconi, che anche martedì pomeriggio - appena tornato a Roma da Catania- ha alternato gli incontri con gli avvocati (Ghedini in testa) a quelli con i parlamentari che stanno lavorando per «allargare il centrodestra». L'obiettivo dichiarato è quota 330 deputati, finora la maggioranza è ferma a 315. Difficile da raggiungere, ma al premier basterebbero cinque o sei voti in più per poter sollevare il «conflitto di attribuzione» e quindi usare la Camera come arma per fermare i giudici di Milano. Anche Bossi, nonostante tutto, ha garantito il suo appoggio a questa strategia: l'allargamento della maggioranza a lui verrebbe utile perché gli consentirebbe di far avanzare le norme sul federalismo che dovrebbero essere approvate nei prossimi mesi e che al momento si sono inceppate.
Insomma, scontro a tutto campo. Perché intanto i processi vanno avanti. I processi, al plurale: il 28 febbraio riparte quello Mediaset (B. imputato di frode fiscale); il 5 marzo Mediatrade (B. indagato per appropriazione indebita); l'11 marzo Mills (B. imputato di corruzione). Un crescendo in vista del 6 aprile, quando Berlusconi sarà chiamato a rispondere di prostituzione minorile e concussione.
Un dibattimento, quest'ultimo, che dopo il rinvio a giudizio si presenta difficilissimo per l'imputato, se ci si arriverà: perchè dagli atti del tribunale è emerso che Ruby aveva rivelato a Berlusconi di essere minorenne già nel marzo del 2010, dopo diverse notti trascorse insieme, quando lui le voleva intestare una casa all'Olgettina e per il contratto era necessario sapere l'età vera della ragazza.
Fu in quel momento, rivelano Colaprico e D'Avanzo su "Repubblica", che Berlusconi si inventò la storia della «nipote di Mubarak», per poter giustificare i soldi di cui la minorenne avrebbe disposto. Ma dopo aver saputo la vera età di Ruby, il premier l'ha "rivista" in molte altre occasioni, nella piena coscienza pertanto di avere un rapporto con una minorenne. Di qui le telefonate in questura per farla liberare, il 28 maggio, nel timore che la sua relazione con una diciassettenne venisse rese pubblica. Una toppa peggio del buco, perché nel fare pressioni ai poliziotti utilizzando la storiella di Mubarak, è scattata anche la concussione.
E ora a Berlusconi non resta più alcuna verosimile arma di difesa, se non quei 320 parlamentari arroccati a difenderlo contro ogni evidenza.