venerdì 18 febbraio 2011

"Il 6 aprile Berlusconi vada dai giudici, non a L'Aquila"



Così Stefania Pezzopane, l'ex presidente della provincia del capoluogo abruzzese, interviene sul processo che vede il premier imputato per concussione e prostituzione minorile. La data della prima udienza coincide infatti con l'anniversario del terremoto.


6 aprile 2011. Sarà il “giorno del giudizio” per il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Il giorno in cui inizierà il processo con rito immediato che lo vede imputato per concussione e prostituzione minorile. Il premier non si sente “per niente preoccupato”. Certo è che la bufera giudiziaria che lo vede protagonista si è trasformata in un terremoto politico che ha avuto una vasta eco internazionale. E il 6 aprile il caso Ruby, dopo mesi di indiscrezioni, di intercettazioni, di presunti fatti e accuse, si sposterà definitivamente dai giornali e dal dibattito politico al Tribunale di Milano. Una data simbolica per l’Italia, che evoca immediatamente la più grande tragedia vissuta negli ultimi anni: il terremoto in Abruzzo. Una coincidenza che non è sfuggita a Stefania Pezzopane, ex presidente della provincia de L'Aquila e ora assessore nella giunta comunale. "Il 6 aprile Berlusconi non venga da noi, vada dai giudici" ha detto intervenendo alla conferenza nazionale delle donne del Pd.

L’Abruzzo è stato in un primo momento motivo di orgoglio per il governo per il modo in cui è riuscito ad affrontare l’emergenza. Ma la scia di polemiche e di inchieste collegate al sisma hanno fatto successivamente scricchiolare l’esecutivo.
Era esattamente il 6 aprile del 2009 quando, alle 3.32, una scossa di magnitudo 5.8 distruggeva il capoluogo abruzzese e molti paesi della provincia, causando 308 le vittime. L’Italia si stringeva intorno all’Abruzzo. L’esecutivo, con al fianco una Protezione civile sempre presente, gestì la situazione in modo impeccabile. La macchina dei soccorsi non vacillò. Le tendopoli allestite in tempi record, i fondi stanziati, gli alberghi della costa messi a disposizione gratuitamente. Lo Stato c’era. Poi, però, qualcosa cambiò. E con il passare dei mesi l’Abruzzo diventò un’ombra sull’immagine del governo. Un’ombra fatta di polemiche e di inchieste.

Ed ecco “il popolo delle carriole”, le proteste contro “i mancati lavori” fino alla “marcia su Roma”. Le scene degli scontri tra le forze di polizia e i terremotati, scesi in piazza per chiedere al governo la sospensione delle tasse e misure a sostegno dell’economia, raccontano di una frattura creatasi nel tempo tra l’esecutivo e gli abruzzesi. L’inchiesta G8, che ha coinvolto in prima persona lo stesso ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso, e quell’intercettazione contenuta nelle carte dell’indagine, in cui “alcuni imprenditori ridevano del sisma” pensando a come speculare sugli appalti, non hanno fatto che aggravare il quadro.



Il silenzio dei colpevoli. - di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo.



Le gravi omissioni di Nicola Mancino e Giovanni Conso sul biennio stragista '92/'93.


Nell'aula bunker di Firenze il senatore Nicola Mancino è tornato ad affrontare la questione della revoca del 41 bis per 140 detenuti decisa inspiegabilmente nel novembre del '93 dall'allora ministro di Grazia e Giustizia, Giovanni Conso.


Mancino ha affermato di non averne mai parlato con il suo collega di via Arenula, smentendo di fatto le precedenti dichiarazioni dell'ex Guardasigilli già di per sé lacunose e gravemente omertose. Le deposizioni dell'ex ministro dell'Interno hanno acuito un senso di rabbia e disgusto nei confronti di questi uomini delle istituzioni. Uomini che avevano e che hanno il dovere di essere al servizio del nostro Paese e che invece, barricandosi dietro palesi omissioni o evidenti contraddizioni, rischiano di macchiarsi del reato più infamante per un servitore dello Stato: alto tradimento.
Cosa si cela dietro ai tanti “non ricordo”, ai troppi “non so” di questi smemorati di Stato?
Non è più tollerabile sentir dire da un ex ministro della giustizia che “al momento non siamo in grado di dire nulla di sicurissimo, ma col tempo pezzi di verità verranno tirati fuori”.
Ma da chi dobbiamo aspettare che vengano fuori questi “pezzi di verità”?
Da altri uomini delle istituzioni che per codardia bussano alle procure per fornire solamente una parte di quello che sanno, prima di essere chiamati in causa da mafiosi o da collaboratori di giustizia?
Non è più ammissibile che nelle aule di giustizia rimbombino questi silenzi colpevoli!
Il silenzio di chi sa ma non parla ci induce al sospetto che entrambi tacciano per coprire uno Stato che, con la sua grave incompetenza, noncuranza e finanche complicità, porta su di sé il peso della corresponsabilità nelle stragi del '92 e del '93.
Come potevano sapere all'epoca Mancino e Conso dell'esistenza di due schieramenti di Cosa Nostra? Chi li aveva informati della fazione “terroristica” legata a Riina e di quella più “politica” capitanata da Provenzano? Solamente chi stava “trattando” ne era a conoscenza e lo avrebbe comunicato ad entrambe le personalità istituzionali.
Se così fosse i due eminenti ex ministri dovrebbero finire sotto inchiesta per falsa testimonianza, con l'aggravante di aver favorito la trattativa tra Cosa Nostra e lo Stato. A prescindere che entrambi lo abbiano potuto fare inconsapevolmente, o consapevolmente.
Mai più ruoli istituzionali a uomini come Nicola Mancino o Giovanni Conso!
Mai più ruoli istituzionali a chi ha pensato solo ai propri interessi e non al bene comune, a chi afferma di non aver affrontato questioni di rilevanza fondamentale “per rispetto dell'autonomia del ministro” quando c'era un Paese a ferro e fuoco.
Nessuna attenuante a chi ha negato e continua a negare di aver incontrato Paolo Borsellino il 1° luglio al Viminale nonostante l'evidenza di un'agenda, non sottratta da altri uomini fedeli ad un Giano Bifronte, ma solo il biasimo unito al disprezzo generale per il loro contributo nel continuare ad occultare la verità.
La richiesta di giustizia di tutti i familiari delle vittime della violenza politico-mafiosa peserà su di loro e su tutti gli altri “smemorati” come un macigno dal quale si potranno liberare solamente rompendo una volta per tutte quel silenzio colpevole.




Pio Albergo Trivulzio, consegnata la lista

L'elenco degli affittuari nelle mani di Barbara Ciabò. Pisapia: «Macchina del fango contro di me»

MILANO - Il presidente del consiglio comunale Manfredi Palmeri e il segretario generale del Comune Giuseppe Mele hanno consegnato nelle mani del presidente della commissione Casa di palazzo Marino, Barbara Ciabò, la busta con gli elenchi delle proprietà e dei nomi degli affittuari del Pat ricevuta ieri sera dal presidente del Pio Albergo Trivulzio Emilio Trabucchi. «La busta è sigillata, non è ancora stata aperta e mai rimasta incustodita», ha assicurato Palmeri a Ciabò consegnando la busta bianca davanti alla sala Commissioni.

CIABO': VINCE LA TRASPARENZA - «E' una giornata importante per la vittoria della trasparenza», ha detto il presidente della commissione Casa e demanio del Comune di Milano, Barbara Ciabò, dopo aver ricevuto la busta. La Ciabò ha spiegato che «toccherà ora ai consiglieri della commissione decidere le modalità di accesso agli elenchi», sottolineando la funzione «di controllo e indirizzo» per la quale, se ci saranno irregolarità «non sta a noi prendere provvedimenti ma ai magistrati». Le liste fornite dal presidente del Pat, Emilio Trabucchi, saranno quindi esaminate dalla commissione, ma secondo Barbara Ciabò se dovesse emergere «che alcuni politici hanno utilizzato il loro ruolo per pagare di meno di quanto pagano i cittadini nelle case popolari, il loro comportamento potrebbe essere definito moralmente indegno e dovrebbero fare un passo indietro. Ma - ha aggiunto - non me l'aspetto». Per quanto riguarda, invece, le dimissioni di Trabucchi dalla presidenza, chieste tra gli altri dal gruppo consiliare del Pd, la presidente della Commissione ha chiarito che «bisogna prima vedere se ci sono irregolarità. Certo - ha aggiunto - dall'atteggiamento tenuto dal cda qualcosa di poco trasparente si suppone».

Le case del Trivulzio
Le case del Trivulzio Le case del Trivulzio Le case del Trivulzio Le case del Trivulzio Le case del Trivulzio Le case del Trivulzio Le case del Trivulzio

BUSTA SIGILLATA - Il presidente del Pio Albergo Trivulzio, Emilio Trabucchi, giovedì sera aveva portato in busta chiusa al presidente del Consiglio comunale, Manfredi Palmeri, l'elenco degli inquilini (leggi i primi nomi) con i dati degli immobili pubblici. «Oggi è una giornata importante - ha detto anche Manfredi Palmeri - perché abbiamo dimostrato che la privacy c'entra poco o nulla con i doveri di trasparenza nella gestione di beni pubblici. Un obbligo che non deve riguardare soltanto il Comune di Milano, ma anche enti, come il Pio Albergo Trivulzio, che gestiscono beni della comunità». Il presidente Palmeri ha garantito che la busta consegnata alla commissione, da lui ricevuta nella serata di ieri, è rimasta inviolata. «Per rispetto del Consiglio comunale - ha assicurato Palmeri, mostrando i sigilli del plico - non ho aperto questa busta e l'ho fatta sigillare alla presenza del segretario generale».

LA MORATTI: ANDARE A FONDO - Il sindaco di Milano Letizia Moratti è intervenuta venerdì mattina sulla vicenda: «Sono felice che il presidente del Trivulzio abbia deciso di consegnare gli elenchi al Consiglio Comunale, ma non basta - ha detto il primo cittadino a Radio 105 -: io chiederò quali sono i criteri con cui sono stati indetti i bandi, voglio essere sicura che nulla è stato dato se non attraverso i bandi, voglio essere sicura che ci saranno dei criteri di assegnazione che rispettano i criteri dei bandi e voglio che questi criteri siano resi noti». «Il Trivulzio ha una sua autonomia e quindi non si può intervenire se non indicando quali devono essere dei criteri che il Trivulzio deve avere. Io ho sempre chiesto e continuerò a chiedere la massima trasparenza» ha aggiunto la Moratti.

PISAPIA: MACCHINA DEL FANGO - «Spero che Saviano abbia torto e che il fango non entri tra le armi della campagna elettorale», ha scritto candidato sindaco del centrosinistra Giuliano Pisapia in un intervento pubblicato sul suo sito, dove dichiara pubblicamente che la sua compagna Cinzia Sasso abita in affitto in un appartamento di proprietà del Pio Albergo Trivulzio. La giornalista ha anche scritto una lettera al Corriere, spiegando di abitare da 22 anni, da sola, in quella casa, e di aver disdetto il contratto di locazione con il Pat già nel 2008, mentre Pisapia da oltre 30 anni vive in un altro appartamento, di proprietà, vicino al Tribunale. Su questo fatto, secondo Pisapia, «c'è stato un vortice di telefonate anonime, nel puro stile della macchina del fango». Per questo il candidato sindaco ha voluto raccontarlo dal suo sito, «prima che lo leggiate sui giornali: la mia compagna abita da molti anni, da prima che noi ci conoscessimo - ha scritto l'avvocato - in un appartamento di proprietà di un ente pubblico». Fatto che «non è un reato», «mentre certo è un problema - commenta Pisapia - l'incapacità degli enti che dispongono di un patrimonio immobiliare di gestire al meglio le proprie disponibilità. E state certi che contro quelle inefficenze io mi batterò». Pisapia trova che usare questa vicenda privata «per colpire me attraverso di lei» sia «un'ingiustizia insopportabile».

http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/11_febbraio_18/elenco-nomi-trivulzio-affitti-inquilini-comune-moratti-pisapia-19045571365.shtml



Sequestro Abu Omar. Diverso governo stessa strategia. -di Leo Sisti



Quando D'Alema chiedeva agli Usa "una mano" contro i magistrati. Da Wikileaks nuove conferme.

Il titolo è tutto un programma: Abu Omar-Preemptive letters. Ovvero: “Abu Omar-lettere preventive”. Protagonista: Massimo D’Alema. I nuovi documenti di Wikileaks sull’Italia si arricchiscono di nuovi, sconcertanti retroscena sulle indagini per il sequestro dell’imam egizianoAbu Omar, rapito nel 2003 a Milano dalla Cia e dal Sismi. E il tema è delicato: come mettere i bastoni tra le ruote all’indagine che il pm Armando Spataro stava conducendo su quell’episodio.

È il 6 aprile 2007 quando dall’ambasciata degli Stati Uniti a Roma parte un cablogramma destinato al Dipartimento di Stato, allora retto dal segretario di Stato Condoleeza Rice. È classificato “S/FN” (Secret/No Foreigners), il massimo grado di segretezza, quindi occhi non americani non possono prenderne conoscenza: strettamente vietato. Il rapporto si riferisce alla visita, 18 giorni prima, di Massimo D’Alema, ministro degli Esteri nel governo guidato da Romano Prodi, proprio dalla Rice, a Washington. Una cena a tu per tu, il 19 marzo, tra i due massimi rappresentanti delle rispettive diplomazie. Un clima un po’ freddino, sottolineato dalle parole del portavoce della Rice, sulle “turbolenze” tra i due paesi, a causa di due vicende: quella di Nicola Calipari, il funzionario del Sismi ucciso in uno scontro a fuoco con soldati Usa in Iraq e, appunto, Abu Omar.

D’Alema brinderà comunque all’amicizia tra i due paesi. Ma quell’atmosfera riserverà una sorpresa. Chiosa infatti, nella primavera di quattro anni fa, l’estensore della nota che ha come responsabile l’ambasciatore americano in Italia Ronald P. Spogli: “D’Alema ha chiuso il meeting, durato un’ora, osservando di aver chiesto al Segretario se il Dipartimento poteva scrivergli qualcosa spiegando che gli Usa non avrebbero agito sulla richiesta di estradizione, se fosse stata presentata, nel caso Abu Omar. Questo, ha chiarito, poteva essere usato preventivamente dal Goi (Government of Italy, il governo italiano, ndr) per eludere l’azione dei magistrati italiani che volevano l’estradizione degli americani coinvolti (nel rapimento, ndr)”.

Traduzione. Spataro si arrabattava perché gli agenti della Cia venissero estradati dagli Stati Uniti ed ecco che salta fuori la richiesta “preventiva” di D’Alema: una lettera, da Washington, a lui, nella quale in pratica gli Usa assicuravano la loro “inerzia” su una eventuale procedura di estradizione. Quel che è avvenuto in seguito lo sappiamo dalle cronache. Il ministro prodiano della Giustizia,Clemente Mastella, si guarderà bene dall’inoltrare, oltre Oceano, l’istanza dei pm di Milano, tornati alla carica proprio tre mesi prima del viaggio americano di D’Alema, nel gennaio 2007. Silenzio assoluto. Che equivale a “inerzia”.

Del resto che la materia fosse scottante, discussa anche, come si legge nei dispacci di Wikileaks, “con l’ambasciatore italiano a Washington”, Spataro lo aveva capito da tempo. Un’altra conferma viene ancora dalle carte di Julian Assange. Dispaccio di fine giugno 2006, quindi un anno prima della “missione” di D’Alema in terra americana, quando, dopo le elezioni di primavera, il governo Prodi è appena subentrato a quello di Silvio Berlusconi. Commento: “Il ministro Mastella ha fin qui posto un freno alle continue richieste di estradare presunti agenti della Cia presumibilmente implicati in un’operazione di rendition (sequestro, ndr) dell’imam Abu Omar.

Prodi ha rifiutato di fornire dettagli sul fatto che gli italiani ne fossero potenzialmente al corrente, ritenendo fosse indispensabile proteggere informazioni considerate segrete per la sicurezza nazionale”. Insomma, su Abu Omar, Prodi è sulla stessa lunghezza d’onda del suo predecessore Berlusconi: coprire. Il cablo prosegue infine mettendo l’accento sulle conseguenze di tutto questo: il gelo (“chilling effect”) “sulle tradizionali, fruttuose relazioni di lavoro sia con i servizi di intelligence esterni, Sismi, e interni Sisde”. Il che si era già verificato “con l’amministrazione Berlusconi, quando il fatto era scoppiato”.



Wikileaks, "Berlusconi danno per l'Italia"

Fuga di «giudizi» americani in 4 mila
rapporti segreti intercettati

Il premier Berlusconi
Il premier Berlusconi
MILANO - Una governance inefficiente e irresponsabile. Frequente uso di istituzioni pubbliche per conquistare vantaggi elettorali. Fragilità italiane che fanno del nostro Paese «il miglior alleato» degli Usa. O meglio un «forte alleato» a cui l'America si prepara a «chiedere». Parola di Wikileaks. Ovvero dell'ambasciatore Ronald Spogli. Documenti segretissimi, come sempre sfuggiti da servizi segreti e controlli per approdare al sito di Assange. E che ora il Gruppo Espresso pubblica.

Carteggi che «svelano» un'Italia che fa la gradassa nello scacchiere internazionale. Ma che in realtà poco ha da dire e da mettere nel piatto. Sono ancora le parole dell'ambasciatore Spogli a mettere in un drammatico ridicolo «il miglior alleato». «Il lento ma costante declino economico dell'Italia compromette la sua capacità di svolgere un ruolo nell'arena internazionale», scrive l'ambasciatore nel memoriale di congedo dal suo mandato al nuovo segretario di Stato Hillary Clinton. «La sua leadership manca di una visione strategica. Le sue istituzioni non sono ancora sviluppate come dovrebbero essere in un moderno paese europeo....». È ancora Spogli a raccontare le relazioni del premier italiano. « Silvio Berlusconi, con le sue frequenti gaffes e la scelta sbagliata di parole ha offeso quasi ogni categoria di cittadino italiano e ogni leader europeo». E continua: «la sua volontà di mettere gli interessi personali al di sopra di quelli dello Stato ha leso la reputazione del Paese in Europa e ha dato sfortunatamente un tono comico al prestigio dell'Italia in molte branche del governo degli Stati Uniti». Spogli insiste molto sul «declino» dell'Italia.

Il presidenti Usa Barack Obama e il primo ministro Silvio Berlusconi durante il G8 all'Aquila (Afp)
Il presidenti Usa Barack Obama e il primo ministro Silvio Berlusconi durante il G8 all'Aquila (Afp)
E fornisce persino un consiglio al presidente Obama in vista del G8 dell'Aquila: «Berlusconi danneggia l'Italiama ci è utile e va aiutato: Obama deve salvarlo al G8 dell'Aquila».

Berlusconi non è la sola vittima dei giudizi negativi americani. Nei cable di Wikileaks si parla anche dell'eterno duello D'Alema-Veltroni. L'ambasciata americana in un rapporto parte dalla vittoria elettorale di Berlusconi nel 2008, vittoria «schiacciante» e maggioranza «solida» in entrambi i rami del Parlamento. «Veltroni - si legge - è stato indebolito politicamente dalla sua eclatante sconfitta alle elezioni del 13 e 14 aprile, così come due settimane dopo il Pd lo è stato dalla perdita della poltrona di sindaco nella città di Roma. Veltroni proponeva un modello anglosassone di governo in opposizione a quello berlusconiano, ma il precedente ministro degli esteri Massimo D'Alema, importante esponente del Pd, si è rifiutato di parteciparvi e ha iniziato a combattere Veltroni su diversi fronti. Il presidente della camera Gianfranco Fini ha detto all'ambasciatore che D'Alema ha messo Veltroni "nel freezer" e studia una modo per eliminarlo dalla leadership del Pd nel prossimo anno».

http://www.corriere.it/politica/11_febbraio_18/wiki-italia_5e7b6684-3b28-11e0-ad4e-5442110d8882.shtml


Benigni: ''Anche la Cinquetti era minorenne'' - Sanremo 17 febbraio 2011


giovedì 17 febbraio 2011

Le elezioni sono il male minore. - di Luigi La Spina




Un futuro da brivido. E’ quello che aspetta l’Italia nei prossimi mesi sull’asse Milano-Roma. Da una parte, al tribunale di Milano, un processo a Silvio Berlusconi che rischia di essere tutt’altro che breve e sicuramente pieno di ostacoli, come ha spiegato, ieri su «La Stampa», Carlo Federico Grosso. Con imbarazzanti e imbarazzate sfilate di giovani testimoni, al bivio tra la difesa personale e quella del premier. Un rito, destinato a una via crucis dilatoria, tra eccezioni di incompetenza, appelli al legittimo impedimento, richieste di annullamento di atti, e stretto tra le contemporanee udienze di altri tre procedimenti, sempre a carico del presidente del Consiglio.

Dall’altra parte, nelle aule del Parlamento, un governo che, con una risicatissima maggioranza, cercherà di far approvare riforme fondamentali, come quella sul federalismo o quella sulla giustizia, che richiederebbero un larghissimo consenso. Sia per superare gli ostacoli di una opposizione disposta a tutto pur di non farle passare, sia per evitare, come già successo, che l’arma del referendum vanifichi il risultato di tanti sforzi. Se questo è il cupo profilo che si staglia sul nostro orizzonte, aggravato probabilmente da un conflitto istituzionale tra poteri e ordini dello Stato quale non si è mai verificato nella storia della nostra Repubblica, l’augurio non può essere quello che il meglio prevalga sul peggio, ma solamente che, tra i mali, vinca almeno il male minore.

Da molte settimane, ormai, l’interrogativo dominante è uno solo: saranno le elezioni anticipate a far uscire il Paese, in qualche modo, da questa drammatica situazione? L’ipotesi viene caldeggiata o osteggiata, alternativamente, solo per le opposte convenienze elettorali. In una prima fase, l’aveva minacciata il presidente del Consiglio, per convincere i «responsabili» a evitare il rischio di non essere più eletti nel prossimo Parlamento e per chiudere la porta a eventuali successori a Palazzo Chigi nel corso della legislatura. L’opposizione, invece, avrebbe preferito evitare la prova del voto, per avere il tempo di organizzare un’offerta elettorale agli italiani più convincente dell’attuale.

Negli ultimi giorni, le parti si sono invertite. I sondaggi sui consensi a Berlusconi non sembrano troppo rassicuranti per il presidente del Consiglio. Ma le travagliate vicende del neonato partito di Fini, con lo sfilacciamento dei suoi parlamentari, impediscono di pensare che un altro governo riesca a essere sostenuto da una maggioranza diversa. In più, il sorprendente successo delle manifestazioni delle donne ha indotto a sospettare, forse con troppo semplicismo e con forzature magari arbitrarie, che sia mutato il clima psicologico e morale dei cittadini italiani davanti ai costumi pubblici e privati del Cavaliere.

Questa improvvisa inversione tra speranze e paure ha rovesciato ipocriticamente le tesi. Berlusconi, da sempre fautore del consenso popolare come unica patente di legittimità a governare, da sempre fustigatore degli intrighi romani, delle trasmigrazioni di deputati e senatori da un partito all’altro è diventato il più rigoroso difensore della, una volta negletta, «centralità del Parlamento». Scrupoloso e legalistico cultore della «libertà di mandato» che la Costituzione prevede per i rappresentanti del popolo nelle aule di Montecitorio e di Palazzo Madama. Senza considerare che, proprio dal punto di vista politico, lo schieramento vittorioso quasi tre anni fa era del tutto diverso dall’attuale, perché comprendeva un partito che aveva in Fini addirittura il cofondatore.

L’opposizione, invece, galvanizzata, forse con troppo entusiasmo, dai verbali delle intercettazioni, dalle piazze, dai numeri dei sondaggi pensa sia questo il momento della spallata elettorale al premier. Nella convinzione, probabilmente fondata, che Berlusconi non sia minimamente disposto a lasciare la poltrona di Palazzo Chigi a un suo erede, Tremonti, Alfano o Letta che sia. E nella speranza, altrettanto probabilmente fondata, che, alla fine, sia Bossi l’unico possibile becchino di questo governo.

Come si è visto, i sofismi dialettici, le ipocrisie ideologiche possono giustificare l’inosservanza di qualunque scrupolo costituzionale, di qualunque coerenza politica e, persino, di qualunque regola della logica. L’anomalia italiana, rispetto alle democrazie occidentali più evolute, è tale, poi, da rendere del tutto inutile un confronto internazionale per trovare una via d’uscita. E’ vero che, all’estero, un primo ministro che si trovasse investito da accuse quali vengono rivolte a Berlusconi si sarebbe subito dimesso e presentato ai giudici per dimostrare, con la massima rapidità, la sua innocenza. Ma, in Francia, in Germania o in Inghilterra il detentore di un così grande potere mediatico e plutocratico non sarebbe mai arrivato a presiedere un governo e, quindi, quelle magistrature non sarebbero state messe nelle condizioni di dirimere una legittimità politica, come, di fatto, è avvenuto nel nostro Paese.

E’ vero, infine, che le elementari regole di un ordinamento liberale non affidano al popolo e alla sua maggioranza elettorale il verdetto su un caso giudiziario. Ma, nella realistica valutazione delle convenienze, questa volta degli italiani, il voto anticipato non può risolversi come il male minore?