sabato 9 aprile 2011

EUGENIO SCALFARI Processo breve e lungo, è la giustizia pret-à-porter.


Il mondo discute di Mubarak, noi invece della “nipote”.


«Mentre tutto il mondo si preoccupa del dopo-Mubarak, noi ci dilaniamo sulla “nipote”». Lucio Caracciolo, direttore di “Limes”, non ha dubbi: in Egitto, l’Italia – cruciale frontiera mediterranea – sta perdendo un’occasione storica: ricucire lo strappo con il Nord Africa post-coloniale e frenare l’esodo della disperazione mettendo in campo una nuova alleanza politica ed economica. «L’occasione è storica: spezzare nel più strategico paese arabo il circolo vizioso di miseria, frustrazione, regimi di polizia e terrorismo – spesso alimentato dai regimi stessi per ottenere soldi e status dall’Occidente – che destabilizza Nordafrica e Vicino Oriente fino al Golfo e oltre».

Il futuro imminente è quello di un Egitto “normale”, governato da un potere legittimato dal popolo: dopo la scintilla tunisina scrive Caracciolo su Lucio Caracciolo“Repubblica”, la nostra frontiera sud-orientale può cambiare in meglio, avvicinandosi ai nostri standard di libertà e democrazia, archiviando l’avidità autoritaria delle élite postcoloniali, impegnate a coltivare le proprie rendite e indifferenti a una società giovane, esigente. Più di qualsiasi altra nazione europea, continua Caracciolo, è proprio l’Italia che dovrebbe appassionarsi al sommovimento in corso al Cairo: «Chi più di noi dovrebbe interessarsi alla ricostruzione del circuito mediterraneo, destinato a intercettare la quasi totalità dei flussi commerciali fra Asia ed Europa, di cui saremmo naturalmente il centro?».

A nessuno come l’Italia conviene, eccome, la ricomposizione della frattura nord-sud fra le sponde del “mare nostrum”: «O davvero pensiamo sia possibile erigere una barriera impenetrabile in mezzo al Mediterraneo? Qualcuno pensa ancora che lo sviluppo del Sud del mondo sia una minaccia e non una formidabile risorsa per il nostro stesso sviluppo – anzi, la condizione perché non si arresti?». Eppure, osserva Caracciolo, «Roma tace». Il governo Berlusconi è rimasto in silenzio fino a sabato, «e quando ha parlato – via Frattini – nessuno se n’è accorto». Un guaio: «Stiamo perdendo l’occasione di incidere in una svolta storica – stavolta l’aggettivo èEgitto 66pertinente – che riguarda molto da vicino la vita nostra, soprattutto dei nostri figli e nipoti».

Se anche i militari riuscissero ad affogare nel sangue le aspettative della piazza, continua il direttore di “Limes”, la rivoluzione egiziana ha ormai sancito che il paradigma delle dinastie parassitarie, incentivato dai governi occidentali, non garantisce più nessuno: certamente non i popoli che opprime, ma nemmeno noi europei. «Quei regimi significano solo caos, repressione e miseria: l’ambiente ideale per i jihadisti. I quali, non dimentichiamolo mai, sono incistati nelle nostre metropoli. Se sbagliamo politica in Egitto, in Tunisia o in altri paesi del nostro Sud, il prezzo lo paghiamo in casa». La colpa non è solo dell’attuale governo, dice Caracciolo, ma della gigantesca rimozione che l’Italia ha compiuto di se stessa.

«Abbiamo dimenticato che per secoli l’Egitto è stato fecondato dalla nostra diaspora», ricorda Caracciolo: un’area che un secolo fa ospitava un milione di connazionali, operai e artigiani, ma anche banchieri, architetti e burocrati pubblici. Nell’Egitto di allora «l’italiano era lingua franca, usata nell’amministrazione pubblica». Era italiano il fondatore delle Poste egiziane, così come le diciture dei primi francobolli. «Decine di migliaia di italiani, tra cui molti ebrei, abitavano il Cairo e Alessandria, dove i segni del “liberty alessandrino” sono ancora visibili». Un legame che è rimasto forte nell’egittologia: «A Torino abbiamo il più importante museo di antichità egizie dopo quello del Cairo», devastato in questi giorni. «Finanziare e sostenere la messa in sicurezza del Museo del Cairo e dei suoi reperti – Egitto 62sostiene Caracciolo – significa non solo salvare un giacimento culturale di valore universale, ma un atto di rispetto per la pietra angolare dell’identità egiziana».

Eppure, continua il direttore di “Limes”, nell’immaginario collettivo (ossia televisivo) sembra che l’Egitto sia un qualsiasi pezzo d’Africa, un arcipelago di miserie e arretratezze, su cui svettano le Piramidi e scintillano le spiagge di Sharm el-Sheikh. «Ma da dove spuntano i giovani anglofoni che maneggiano Twitter e Facebook – già ribattezzato Sawrabook, “libro della rivoluzione” – e rischiano la vita per la libertà?». La realtà è che «per anni abbiamo vissuto di verità ricevute», mentre «la società civile egiziana cresceva, si strutturava». I Fratelli Musulmani? Mubarak ce li ha “venduti” come come banda di terroristi, e invece oggi si scopre che sono uno dei cardini di un’opposizione civile composita, fatta di «laici, cristiani, nazionalisti, socialisti, gente che semplicemente non ne può più della “repubblica ereditaria”».

Quanto meno daremo ascolto e supporto alle loro istanze, avverte Caracciolo, tanto più il rischio di una deriva islamista diverrà concreto. «E’ quanto sperano Suleiman e gli altri anziani ufficiali drogati da decenni di potere incontrastato: per riproporre e rivenderci il muro contro muro». Obama e alcuni leader europei forse cominciano a capirlo: fra cautele ed esitazioni invitano a voltare pagina. Loro, ma non noi italiani: «Continuiamo ad aggrapparci a un Egitto che non c’è più», conclude Caracciolo: «L’Egitto che prova a nascere non lo dimenticherà. La sua sconfitta sarà la nostra. La sua vittoria, solo sua» (info: www.repubblica.it).


http://www.libreidee.org/2011/01/il-mondo-discute-di-mubarak-noi-invece-della-nipote/


Cederna: mi vergogno di chi non si vergogna di questa Italia.


Nella testa ho due voci, due musiche, due biglietti nel portafoglio: “mi vergogno” e “a testa alta”. Li leggo quasi sempre di seguito, li leggo ogni giorno. Mi vergogno di non riuscire a leggere i giornali; mi sforzo, ma non ci riesco più – be’, non tutti: qualcuno ovviamente lo leggo. Non riesco più a guardare la televisione, ma di questo non mi vergogno: mi vergogno dello schifo che mi fa questa politica; mi vergogno del Capo, mi vergogno dei servi, mi vergogno delle menzogne sulle facce, nelle voci; mi vergogno quando li vedo, mi vergogno quando li sento parlare, mi vergogno di non riuscire a pensare al mio paese senza vergogna.

Mi vergogno di non riuscire a chiamarlo “mio”, questo paese. Mi vergogno di un paese senza testa. Mi vergogno di capire quello che sta succedendo e di Giuseppe Cedernaaccettare la mia impotenza senza urlare di rabbia e di sdegno. Mi vergogno di svegliarmi ogni mattina sperando sia successo qualcosa. Che novità ci sono? Nulla. Si nuota con un po’ più di affanno nella solita melma.

Mi vergogno a casa, mi vergogno all’estero. Mi vergogno di chi non si vergogna. Mi vergogno di non vergognarmi abbastanza. Mi vergogno per le donne costrette ad indossare il Burqa, mi vergogno per quelle che allegramente si tolgono le mutande intascando la busta pesante. Mi vergogno per le donne usate, umiliate, sfruttate, i giovani senza lavoro, i cassintegrati, i disoccupati, i disperati, gli immigrati.

Basta, su la testa! Donne, uomini: difendiamo la nostra dignità. Un popolo che non ha dignità è un popolo privo di tutto – della conoscenza, dell’orgoglio, della soliderietà – ed è giustamente degno di trovarsi governato da fantocci rimpolpati di vuoto.

(Giuseppe Cederna, “Mi vergogno a testa alta”, messaggio letto da Franca Rame il 13 febbraio 2011 alla manifestazione “Se non ora, quando?” in difesa della dignità femminile, che ha radunato un milione di manifestanti nelle piazze di tutta Italia).


http://www.libreidee.org/2011/02/cederna-mi-vergogno-di-chi-non-si-vergogna-di-questa-italia/



Elucubrazioni mentali pensando alla politica.


Mi sono spesso chiesta, ultimamente, a chi avrei dato, in piena coscienza e con soddisfazione, il mio consenso elettorale.
Premetto che sono di sinistra dalla notte dei tempi, lo sono con convinzione ed in antitesi con le convinzioni familiari inculcatemi.
Sono stata prima socialista, lo ammetto, ho votato per Craxi, e me ne sono pentita!
Ma mi sono resa conto che la colpa non era mia per averci creduto, ma di chi si era appropriato dell'ideologia per perseguire i propri sporchi interessi.

Poi ho votato sempre chiunque la sinistra mi proponesse, anche quella estrema, ma poi ho capito che le ideologie restano tali e non vengono mai attuate neanche da chi ritiene di esserne il rappresentante.

Ho fatto parte di un sindacato di sinistra, la CGIL, e me ne sono uscita sconvolta.
Mi sono resa conto che il sindacato è solo il trampolino di lancio per la svolta politica.
Molti miei colleghi che hanno "servito" fedelmente il sindacato e non hanno fatto gli interessi dei lavoratori, ma i loro sporchi interessi, ora sono in politica. Ed alcuni di loro hanno raggiunto anche vette importati.

Abbandonata la speranza di vedere realizzata l'ideologia comunista, mi sono aggrappata a Di Pietro; mi esaltava, diceva ciò che avrei voluto dire io, ma poi mi sono resa conto che dire ciò che si vorrebbe dire non serve a niente.

Mi piace Beppe Grillo perchè non le manda a dire, le dice, è avanti in tutto...ma troppo avanti, purtroppo.

Sono sfiduciata, avvilita, anche perchè non credo più in nulla.

E poi, con questa legge elettorale, che speranza abbiamo di poter pretendere di essere rappresentati? Eleggiamo un simbolo che è un'incognita. Chi c'è dietro quel simbolo?











venerdì 8 aprile 2011

Giappone, Fukushima: per ripulire l'oceano c'è l'alga anti-radioattività.



Il nome scientifico è Closterium Moniliferum, ma potrebbe passare alla storia come l'alga anti-radioattività. È solo l'ultima delle proposte fatte in questi giorni dagli scienziati di tutto il mondo per tentare di arginare gli effetti disastrosi dell'incidente alla centrale di Fukushima.

Se è solo dell'altro ieri, infatti, la notizia che 11.500 tonnellate di acqua contenenti particelle radioattive sono state riversate in mare dai tecnici della Tepco, già oggi ci si domanda se e come sarà possibile limitare le conseguenze di un simile gesto sull'ambiente marino. Ed è a questo punto che, dalla Northwestern University di Evanston (Illinois), è arrivata una proposta a dir poco originale.

A formularla è Minna Krejci, ricercatrice di microbiologia a capo di un team di scienziati statunitensi che ha condotto uno studio su questa strana alga lunga poche centinaia di nanometri (milionesimi di millimetro), la Closterium Moniliferum, appunto. Caratteristica peculiare di quella che a un ingrandimento elettronico appare come una bizzarra mezzaluna verde, è la capacità di inglobare (o raccogliere o mangiare o qualsiasi altro verbo che renda l'idea) atomi di bario e stronzio, compreso lo stronzio 90, la versione radioattiva dell'omonimo isotopo. Se le cose fossero davvero così – e probabilmente lo sono, visto che lo studio è stato presentato la settimana scorsa a un big dei meeting della chimica come quello dell'American Chemical Society, oltre al fatto che la rivista scientifica ChemSusChem ha deciso di pubblicarlo – se le cose fossero davvero così, è evidente che un'orda di tante piccole Closterium Moniliferum potrebbe fare miracoli, visto che l'acqua intorno alla centrale presenta concentrazioni di particelle radioattive elevatissime (iodio-131 7,5 milioni di volte sopra il limite di legge, tanto per dirne uno).

Tuttavia, il “potrebbe” è d'obbligo, visto che alcune variabili rimangono ancora un mistero.Una su tutte viene citata dalla stessa Krejci come possibile fossato tra il successo e il fallimento: quale sarà il tempo medio di sopravvivenza di una Closterium Moniliferum immersa in acque contaminate da radiazioni? Per far sì che lo stronzio precipiti in cristalli, l'alga ha bisogno di circa trenta minuti. Pochi? Tanti? Al momento è impossibile dirlo. Di certo, la facilità con cui si può coltivare questo prodigio della Natura rende la Closterium Moniliferum un alleato facilmente rimpiazzabile. Ma può anche darsi che la Natura si sia rotta di risolvere i casini che combiniamo: in tal caso, sarà doveroso cercare altre soluzioni. E in fretta.

http://www.greenme.it/informarsi/ambiente/4562-giappone-fukushima-per-ripulire-loceano-ce-lalga-anti-radioattivita




L'Idv a La Russa: «Volo di Stato per la partita dell'Inter? Venga in aula»

Su «Il Fatto» il caso del ministro della Difesa

Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa (Ansa)
Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa (Ansa)
MILANO - «La Russa venga in Parlamento e chiarisca di fronte al Parlamento e al Paese se davvero ha utilizzato un aereo di Stato per andare a vedere la partita dell'Inter. Se la notizia riportata venerdì dalFatto Quotidiano fosse confermata, sarebbe gravissimo, l'ennesimo privilegio di casta». Lo afferma in una nota il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando. «L'Italia dei Valori - aggiunge - presenterà un'interrogazione per fare piena luce su questa vicenda. È inaccettabile, infatti, che un ministro della Repubblica utilizzi un aereo di Stato, pagato dai soldi dei cittadini, per fini meramente personali. È un'offesa a tante famiglie che non arrivano a fine mese, ai giovani precari e agli operai in cassa integrazione o che hanno perso il proprio posto di lavoro».

I VOLI -La vicenda, scrive il quotidiano, risale al 5 aprile quando La Russa avrebbe utilizzato un volo di Stato per andare da Roma a Milano per poi tornare in nottata alla Capitale. Nell'articolo appaiono anche una serie di particolari: il volo di andata partì alle 18:30 ed era un P180 dei carabinieri, mentre quello di ritorno decollò intorno alle 23 ed era velivolo dell'aeronautica militare identificato come MM 62210. Il quotidiano, nello stesso articolo, racconta inoltre di alcuni precedenti riguardanti La Russa ma anche lo stesso Berlusconi.

CALDEROLI - Un articolo in taglio basso, sulla stessa pagina, è dedicato anche ad un volo di Stato (ma sospettato di essere impiegato per ragioni private) utilizzato da Roberto Calderoli il 19 gennaio per raggiungere Cuneo, città - ricorda il quotidiano - dove risiede la sua compagna Gianna Gancia, presidente della Provincia. (fonte: Ansa)

"I MIGLIORISTI"



A metà Anni novanta Giorgio Napolitano era leader di una corrente all'interno del Pci detta dei miglioristi che possedevano una rivista dal nome "Il moderno" finanziata dai berlusconiani di Fininvest, da Mediolanum, da Publitalia e da Giovanni Ligresti.