giovedì 28 luglio 2011

Emilio Fede indagato per il crac di Lele Mora.


Al centro della vicenda il prestito da 2 milioni 850 mila euro concesso da Silvio Berlusconi (non indagato) all'agente dei vip, emerso nelle indagini su Ruby. Il direttore del Tg4 avrebbe trattenuto parte dei soldi destinati alla Lm Management.


Emilio Fede è indagato per concorso in bancarotta fraudolenta nell’inchiesta sull’agente televisivo Lele Mora. Si tratta della stessa indagine sul crac da 8 miloni di euro della Lm Management, coordinata dai pm milanesi Eugenio Fusco e Massimiliano Carducci, che il 20 giugno scorso ha portato all’arresto di Mora, che si trova tuttora detenuto nel carcere di Opera.

Nei giorni scorsi il direttore del Tg4 è stato interrogato negli uffici della Guardia di Finanza, dopo aver ricevuto un invito a comparire, mentre gli inquirenti oggi hanno risentito Mora. La vicenda oggetto di indagine è venuta alla luce durante le indagini sul caso Ruby e sulle notti a luci rosse di Arcore. Dalle intercettazioni era emersa l’intercessione di Fede presso Silvio Berlusconi per far avere un prestito di due milioni 850 mila euro a Mora, che lamentava difficoltà econoniche.

Il prestito sarebbe documentato anche da una scrittura privata del gennaio 2010, siglata dal giornalista e dall’agente dello spettacolo. Dei 2 milioni e 850 mila euro, Fede afferma di averne trattenuti 400 mila, mentre la Lm era già in procedura concorsuale. Mora, invece, afferma di avergli dato poco meno della metà della somma ricevuta. Le versioni dei due divergono, e gli inuirenti stanno cercando di venirne a capo. E’ indagata anche una terza persona, un factotum di Lele Mora.

”Come ho già detto altre volte”, si è difeso Fede all’Ansa, “quei soldi sono un prestito che avevo fatto a Lele e che lui mi ha restituito. Sapevo che lui era in difficoltà ma non in bancarotta, credo di aver chiarito tutto ai magistrati”.



L’Alta corte Ue boccia il ricorso di Mediaset “Recuperare incentivi per i decoder digitali”. - di Alessio Pisanò


Doccia fredda per le reti del Biscione che si sono viste respingere il ricorso dalla Corte di Giustizia di Strasburgo. Ora l'azienda di Cologno monzese dovrà restituire gli "aiuti di Stato" stanziati dal governo per l'acquisto dei decoder per guardare il digitale terrestre.


La Corte di giustizia Ue ha condannato l’Italia al recupero immediato degli aiuti di stato stanziati per l’acquisto dei decoder per il digitale terrestre nel 2004-2005 rimandando al mittente il ricorso presentato da Mediaset. Secondo le toghe di Strasburgo, i fondi stanziati sono “incompatibili con il mercato comunitario” e soprattutto “contro la libera concorrenza”.

Grazie a quei soldi, molti italiani erano riusciti a comprare i decoder a un prezzo scontato in media di 150 euro continuando così a guardare sul digitale i loro canali preferiti, tra cui anche le reti del Biscione, dopo lo switch off della televisione analogica.

Già nel 2007 la Commissione aveva bocciato l’iniziativa del governo italiano (220 milioni di euro nel 2004-2005) perché costituiva un “aiuto di Stato” a favore di quelle emittenti che offrivano anche servizi televisivi a pagamento, come per esempio Mediaset Premium.

Ai tempi erano state proprio le televisioni del Cavaliere a fare ricorso contro la decisione di Bruxelles. La Commissione, infatti, pur ritenendo il passaggio dalla tv analogica a quella digitale un “obiettivo di interesse comune”, aveva rilevato che aiutare solo gli operatori analogici terrestri, come Mediaset, “non risultava un provvedimento proporzionato” e “produceva distorsioni della concorrenza”. In altre parole ci guadagnava solo Mediaset e per giunta con i soldi di tutti.

Oggi, dopo il fallimento del ricorso al Tribunale, l’altra doccia fredda. L’Alta Corte condivide infatti il ragionamento del Tribunale secondo cui “l’elemento di selettività basato sulle caratteristiche tecnologiche, che favorisce la tecnologia digitale terrestre rispetto a quella satellitare, ha comportato una distorsione della concorrenza, ragion per cui la misura di cui trattasi è incompatibile con il mercato comune”.

Adesso le autorità nazionali dovranno mettere mano al portafogli e calcolare loro stesse la cifra da recuperare, visto che “il diritto dell’Unione non impone alla Commissione di fissare l’importo esatto dell’aiuto da restituire”. E qui sorge un altro problema, visto che l’Italia non è esattamente uncampione di velocità nel recupero fondi. È recentemente successo con gli aiuti stanziati dall’Italia per le alluvioni e disastri naturali del 2002 che secondo l’Ue erano illegittimi e troppo alti. Condannato al recupero di tali aiuti, il governo nazionale si è fatta ulteriormente sanzionare dall’Alta Corte per il ritardo del recupero stesso, accumulando sanzioni su sanzioni.

“E’ stata bocciata una legge ad aziendam”, dice David Sassoli, presidente degli eurodeputati del Pd, che sottolinea come la decisione riaccenda i riflettori sul “confitto d’interesse del presidente del Consiglio”.


A picco le azioni delle banche. In borsa valgono la metà. - di Vittorio Malagutti



I bilanci di Unicredit, Banca Intesa, Monte dei Paschi e Banca Popolare restano zavorrati da 200 miliardi di titoli di Stato italiani e da troppi prestiti a rischio.

“Le banche italiane? Pronte ad affrontare le prove più dure, garantiva nemmeno due settimane fa Giuseppe Mussari, presidente dell’Abi cioé la Confindustria del credito. Il 15 luglio, data delle dichiarazioni di Mussari tutti e cinque i grandi istituti nazionali sottoposti agli stress test dalle autorità di controllo europee avevano superato l’esame. Promosse a pieni voti Intesa, Unicredit, Monte Paschi e Ubi, con qualche riserva il Banco Popolare. Tutto bene, allora? Proprio per niente. Perchè dal 15 luglio a oggi i titoli bancari italiani sono entrati nel frullatore dei mercati. Forti ribassi, seguiti da fiammate al rialzo. Il clima resta pesante, come dimostra la giornata di ieri.

Il fatto è che i grandi investitori internazionali vendono Italia a piene mani e se la prendono con le banche perché queste concentrano al massimo grado tutte le debolezze del nostro sistema. A cominciare dalla fortissima esposizione ai titoli di Stato, di cui le banche hanno fatto incetta negli ultimi due anni per garantirsi facili guadagni. Nei bilanci degli istituti, in base agli ultimi dati disponibili, sono parcheggiati qualcosa come 200 miliardi di Btp le cui quotazioni sono scese molto negli ultimi mesi. Di conseguenza gli stock di titoli in portafoglio alle banche si svalutano. Inoltre i banchieri vedono crescere i costi della raccolta, perché devono offrire ai risparmiatori che comprano le loro obbligazioni rendimenti competitivi con quelli dei titoli di Stato.

In prospettiva quindi i margini di guadagno degli istituti di credito italiani, già inferiori a quelli di buona parte dei maggiori concorrenti internazionali, sembrano destinati a scendere ancora. E un primo segnale concreto potrebbe arrivare già nei prossimi giorni, quando verranno resi noti i conti semestrali delle banche quotate. Gli analisti si attendono risultati stabili nella migliore delle ipotesi e comunque non proprio esaltanti.
Poi c’è il problema delle sofferenze, cioé i crediti difficili da recuperare. Alla fine del 2010 questa voce pesava per 85 miliardi nei bilanci dei primi cinque gruppi bancari (Unicredit, Intesa, Monte Paschi, Ubi, Banco Popolare), ovvero ben oltre il doppio rispetto alla fine del 2007, quando l’economia reale è entrata in crisi.

E’ vero che di recente il trend di aumento delle sofferenze ha rallentato il passo. E anche i prestiti alla clientela hanno ripreso ad aumentare. Tutto questo però non basta ancora, soprattutto se la ripresa economica resta debole come negli ultimi mesi. Di conseguenza le banche saranno costrette ad accantonare ancora somme importanti a copertura dei crediti a rischio, penalizzando così il conto economico.

Se si sommano tutti questi fattori negativi, Btp, sofferenze, bilanci deludenti, il minimo che può succedere in Borsa è il tiro a segno sugli istituti con targa italiana. E il ribasso è amplificato dai programmi computerizzati di trading che vendono in automatico titoli, oppure strumenti derivati con azioni come sottostante, sulla base di complessi algoritmi. Una batosta tira l’altra e le quotazioni si stanno pericolosamente avvicinando ai record negativi fatti segnare nel marzo 2009, nel pieno della bufera finanziaria globale. Anzi, a ben guardare, il Monte Paschi ha già superato, al ribasso, quella soglia.

Le grandi banche italiane, come Unicredit e Intesa, ormai valgono in Borsa meno della metà dei loro mezzi propri. Per il Banco Popolare questo rapporto è addirittura arrivato al 20 per cento, per il Monte dei Paschi si aggira intorno al 30 per cento. Valori lontani da quelli dei maggiori concorrenti internazionali tedeschi, francesi, britannici che in media vantano mezzi propri pari o di poco superiori alla capitalizzazione borsistica. E allora, se le banche italiane sono così penalizzate la colpa non può essere solo delle scommesse al ribasso degli speculatori. Il problema è che gli investitori temono che i banchieri tricolori si siano infilati in un tunnel di guai da cui faticheranno molto a uscire.



Giarre, concorso con "profezia" "Ecco chi saranno i vincitori". di MASSIMO LORELLO


Una lettera anonima anticipa i risultati delle selezioni: indovinati 4 nomi su oltre 1700 candidati. I primi 35 prescelti dovranno affrontare una seconda prova. La missiva spedita anche alla Procura.


Una premonizione misteriosa, un'inquietante profezia, un giallo dai risvolti enigmatici da due settimane inquieta la città di Giarre. Il 23 agosto si sono svolte le selezioni per sette posti di vigile urbano. La graduatoria dei 564 candidati che si sono sottoposti all'esame è stata pubblicata dall'amministrazione municipale appena pochi giorni fa. Eppure, prima ancora che le prove cominciassero, proprio il 23 agosto, qualcuno prevedeva come sarebbero andate a finire le cose.

Questo qualcuno, che non ha nome, era talmente certo della sua previsione da metterla per iscritto in una lettera spedita alla Procura di Catania, alla guardia di finanza e persino ai vigili del fuoco. Nella missiva, l'anonimo veggente ha citato sei dei candidati che si sarebbero piazzati nei primi sette posti. La profezia si è rivelata corretta ma fino a un certo punto. L'anonimo ha azzeccato quattro nomi: i figli di tre dipendenti comunali e la figlia di un sindacalista Cisl. Considerato che complessivamente i candidati erano 1.706 (tanti hanno presentato la domanda al concorso) la sua previsione è da ritenersi degna almeno del mago di San Remo.
Il pronostico è diventato un caso anche su Facebook, dove s'avanzano sospetti sulla correttezza della prova d'esame. L'assunzione avverrà dopo una ulteriore prova d'esame aperta ai primi 35 concorrenti, ma i primi sette (tra i quali i quattro del pronostico) hanno ottenuto tutti punteggi superiori a 150, mentre dall'ottavo candidato in poi i punti precipitano sotto quota 92.

Il sindaco, Maria Teresa Sodano (Mpa) non si scompone: "Non mi occupo di chi fa parte delle graduatorie e non rispondo agli anonimi. So che partecipavano figli di dipendenti e di amministratori: in un piccolo centro è fisiologico che questo accada. Ma garantisco sull'assoluta trasparenza della prova".

I candidati hanno dovuto rispondere a una raffica di quiz sul diritto civile e penale, sull'edilizia, l'annona e l'infortunistica, sui sistemi informatici e sulla conoscenza della lingua inglese. I test sono stati elaborati da Alfia Serafina Nucifora, una commercialista di Catania scelta tra cinque privati che avevano presentato l'offerta. "Posso garantire in maniera assoluta che prima della prova d'esame nessuno ha visto gli elenchi con le domande - assicura Nucifora - né tantomeno le schede con le risposte". Eppure qualcuno aveva previsto (quasi) tutto. Altro che Codice da Vinci. Vallo a svelare il mistero di Giarre.

http://palermo.repubblica.it/cronaca/2010/09/07/news/giarre_concorso_con_profezia_ecco_chi_saranno_i_vincitori-6825217/


Pisapia e l' Expo 2015 - Gianni Barbacetto




Il testo integrale della lettera di Napolitano


Il capo dello Stato, Giorgio Napolitano

ROMA - Questo il testo integrale, diffuso sul sito del Quirinale, della lettera che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato al Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi (e pubblicata sul sito del Quirinale) sul tema del decentramento delle sedi dei Ministeri sul territorio.

«Mi risulta - scrive Napolitano - che il Ministro delle riforme per il federalismo e il Ministro per la semplificazione normativa, con decreti in data 7 giugno 2011 - peraltro non pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale - hanno provveduto a istituire proprie "sedi distaccate di rappresentanza operativa"; ho appreso altresì che analoghe iniziative verrebbero assunte a breve anche dal Ministro del turismo e dal Ministro dell'economia e delle finanze (quest'ultimo titolare di un importante Dicastero, anzichè Ministro senza portafoglio come gli altri tre). Come ho già avuto occasione di sottolineare al Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dott. Letta, la dislocazione di sedi ministeriali in ambiti del territorio diversi dalla città di Roma deve tener conto delle disposizioni contenute nel regio decreto n. 33 del 1871, ancora pienamente vigente, che nell'istituire, all'articolo 1, Roma quale capitale d'Italia ha altresì previsto che in essa abbiano sede il Governo ed i Ministeri».

«È altresì noto che la scelta di Roma capitale è stata costituzionalizzata con la riforma del titolo V della nostra Carta che, con la nuova formulazione dell'articolo 114, terzo comma, ha da una parte introdotto un bilanciamento con le più ampie funzioni attribuite agli enti territoriali e dall'altra ha posto un vincolo che coinvolge tutti gli organi costituzionali, compresi ovviamente il Governo e la Presidenza del Consiglio: vincolo ribadito dalla legge n. 42 del 2009, che all'art. 24 prevede un primo ordinamento transitorio per Roma capitale diretto "a garantire il miglior assetto delle funzioni che Roma è chiamata a svolgere quale sede degli Organi Costituzionali».

«Infine, recentemente e sia pure in un contesto non univoco, nel corso dell'esame parlamentare del d.l. n. 70 del 2011, sono stati discussi e votati diversi ordini del giorno finalizzati ad escludere ipotesi di delocalizzazione dei Ministeri pur nell'accoglimento, senza voto, di un o.d.g. (Cicchitto ed altri) di contenuto autorizzatorio».

«Quanto al contenuto dei citati decreti istitutivi devo rilevare che i Ministri emananti, Ministri senza portafoglio, hanno provveduto autonomamente ad istituire sedi distaccate, rispettivamente, di un Dipartimento e di una Struttura di missione, che costituiscono parte dell'ordinamento della Presidenza del Consiglio».

«Poiché ai fini di una eventuale sua elasticità, il decreto legislativo n. 303 del 1999, all'articolo 7, attribuisce al Presidente del Consiglio la facoltà di adottare con DPCM le misure per il miglior esercizio delle sue funzioni istituzionali, ritengo che l'autorizzazione ad una eventuale diversa allocazione di sedi o strutture operative, e non già di semplice rappresentanza, dovrebbe più correttamente trovare collocazione normativa in un atto avente tale rango, da sottoporre alla registrazione della Corte dei Conti per i non irrilevanti profili finanziari, come affermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 221 del 2002».

«Peraltro l'apertura di sedi di mera rappresentanza costituisce scelta organizzativa da valutarsi in una logica costi-benefici che, in ogni caso, dovrebbe improntarsi, nell'attuale situazione economico-finanziaria, al più rigido contenimento delle spese e alla massima efficienza funzionale».

«Tutt'altra fattispecie, prevista dalla stessa Costituzione e da numerose leggi attuative, è quella della esistenza, storicamente consolidata, di uffici periferici (come ad esempio i Provveditorati agli studi e le Sovraintendenze ai beni culturali e ambientali), che non può quindi confondersi in alcun modo con lo spostamento di sede dei Ministeri; spostamento non legittimato nè dalla Costituzione che individua in Roma la capitale della Repubblica, nè dalle leggi ordinarie, quale ad esempio l'articolo 17, comma 4-bis, della legge n. 400 del 1988, che consente di intervenire con regolamento ministeriale solo sull'individuazione degli uffici centrali e periferici e non sullo spostamento di sede dei Ministeri. Inoltre, il rapporto tra tali uffici periferici e gli enti locali va assicurato sull'intero territorio nazionale nell'ambito dei già delineati uffici territoriali di Governo».

«Va peraltro rilevato che a fronte della scelta, non avente connotati di particolare rilievo istituzionale, di aprire meri uffici di rappresentanza, non giova alla chiarezza una recente nota della Presidenza del Consiglio, che inquadra tale iniziativa nell'ambito di "intese già raggiunte sugli uffici decentrati e di rappresentanza di alcuni ministeri sia al Nord che al Sud, come già in essere per molti altri ministeri", così preludendo ad ulteriori dispersioni degli assetti organizzativi dei Ministeri tanto da consentire la prefigurazione, da parte di esponenti dello stesso Governo, di casuali localizzazioni in vari siti regionali o municipali delle amministrazioni centrali. E' necessario ribadire che tale evoluzione confliggerebbe con l'articolo 114 della Costituzione che dichiara Roma Capitale della Repubblica, nonchè con quanto dispongono le leggi ordinarie attuative già precedentemente citate».

«La pur condivisibile intenzione di avvicinare l'amministrazione pubblica ai cittadini, pertanto, non può spingersi al punto di immaginare una "capitale diffusa" o "reticolare" disseminata sul territorio nazionale, in completa obliterazione della menzionata natura di Capitale della città di Roma, sede del Governo della Repubblica».

«Ho ritenuto doveroso, onorevole Presidente, prospettarle queste riflessioni di carattere istituzionale al fine di evitare equivoci e atti specifici che chiamano in causa la mia responsabilità quale rappresentante dell'unità nazionale e garante di principi e precetti sanciti dalla Costituzione».


MONDADORI PAGA PER EVITARE L'ESPROPRIO di Bruno Tinti - 27 luglio 2011

E' assai improbabile che la Cassazione ribalti la sentenza d'Appello, perché la corruzione del giudice Metta è una circostanza di fatto su cui la Corte non può pronunciarsi. Fininvest ha deciso di pagare subito per evitare un'esecuzione forzata.

MONDADORI PAGA PER EVITARE L'ESPROPRIO

Bruno TintiLa Fininvest ha versato a Cir 564,2 milioni di euro, a titolo di risarcimento per la vicenda Lodo Mondadori. Il pagamento era stato stabilito dalla sentenza della Corte d' Appello di Milano. Finivest ha dichiarato di voler ricorrere in Cassazione. Quali scenari si aprono? La Cassazione potrebbe ribaltare la sentenza d'Appello? In quel caso, Cir dovrebbe restituire il denaro a Fininvest? Abbiamo rivolto alcune domande al magistrato Bruno Tinti.

"La Cassazione ha tre possibilità, può confermare la sentenza della Corte d'Appello, e in questo caso la Cir si tiene i suoi 550 milioni e la faccenda è chiusa; la Cassazione può anche dire "no la sentenza di appello è sbagliata per questo o quest'altro motivo, rimando tutto in appello perché si faccia un nuovo processo". E a questo punto si deve vedere che cosa può decidere l'Appello in questo nuovo processo, in cui però è obbligata a uniformarsi ai principi di diritto che la Cassazione ha esposto. Oppure, la Cassazione può dire "la sentenza della Corte d'Appello è sbagliata, De Benedetti non deve ricevere nulla e quindi il processo si chiude qui".
Queste sono le tre possibilità teoriche, bisogna però tener conto del fatto che la Cassazione decide solo su errori di diritto e non su questioni di fatto. La circostanza che Berlusconi abbia corrotto, attraverso l'avvocato Previti, il giudice Metta che gli fece una sentenza a seguito dei 400 milioni che aveva ricevuto per dare torto a De Benedetti, che in buona sostanza consentì quindi a Berlusconi di rubare la casa editrice Mondadori, non è una questione di diritto ma una circostanza di fatto, quindi è assolutamente improbabile che la Cassazione possa modificare la sentenza della Corte d'Appello perché il fatto che Berlusconi abbia corrotto il giudice Metta è una circostanza di fatto su cui la Cassazione non può pronunciarsi.
Direi che con il 99,9 per cento di probabilità la Cassazione confermerà la sentenza della Corte d'Appello e giustizia sarà fatta."

Marina Berlusconi, dopo la sentenza, aveva dichiarato che Fininvest non era intenzionata a pagare. Perché adesso l'Azienda ha deciso di versare il dovuto, e di farlo subito? Cosa avrebbe rischiato se non l'avesse fatto?

"Beh, si dice che la sentenza è provvisoriamente esecutiva, cioè la sentenza della Corte d'Appello poteva essere eseguita anche prima che la Cassazione decidesse e quindi se loro non avessero pagato la Cir avrebbe mandato gli ufficiali giudiziari a sequestrare i beni di proprietà di Berlusconi o della Casa editrice Mondadori. Dunque, si sarebbero trovati di fronte a quella che si chiama un'esecuzione forzata: se lei non paga vengono a casa sua e le sequestrano il televisore per esempio o la macchina o l'argenteria. La stessa cosa sarebbe successa con Berlusconi."

Quel che è stato pagato costituisce solo un risarcimento simbolico, o è un pagamento che risarcisce effettivamente il danno cagionato a Cir?

"E qui è una questione di diritto abbastanza intricata, la sentenza della Corte d'Appello è diversa nelle conclusioni dalla sentenza di primo grado perché la sentenza del tribunale aveva stabilito che il criterio per liquidare i beni, il risarcimento dei danni dovuto alla Cir era quello della cosiddetta perdita di chance, cioè perdita di possibilità, di potenzialità. Il giudice di primo grado aveva detto: quanto avrebbe guadagnato la Cir in questi anni se avesse avuto il controllo della Mondadori? E il giudice di primo grado aveva stabilito di fare 750 milioni, mentre la sentenza della Corte d'Appello ha seguito un criterio diverso, ha detto: quanto valeva la Mondadori nel momento in cui Berlusconi non l'ha data alla Cir come avrebbe dovuto? 550 milioni e quindi questa è la somma liquidata. Dipende dai criteri di valutazione adottati, è su questo che la Cassazione potrebbe intervenire, potrebbe cioè dire il criterio di valutazione dei beni è stato adottato male, la regola di diritto era diversa e quindi potrebbe anche far ritornare il processo alla Corte d'Appello perché determini un nuovo ammontare del risarcimento."

Considerato che all'origine della vicenda Lodo Mondadori c'è un fatto grave come la corruzione di un giudice, come mai si è deciso per un risarcimento e non per la restituzione dell'Azienda?

"Questo è un problema in effetti abbastanza complicato che però non dipende dal fatto che a monte c'è stato un reato. Io posso risarcire una persona del danno cagionato in due modi: o, come ha detto lei, ridandole quello che le è stato preso, si chiama risarcimento in forma specifica, oppure condannando quello che le ha cagionato il danno alla dazione della somma di denaro. Non so dirle perché i giudici si sono orientati verso questa seconda possibilità, probabilmente hanno tenuto conto del fatto che in tutti questi anni la Mondadori è stata gestita da Berlusconi, si sono creati dei vincoli societari molto difficili da risolvere ed ecco perché forse hanno scelto la strada della dazione di una somma di denaro equivalente al danno cagionato."