domenica 31 luglio 2011

L'altra Islanda che resiste all'Europa. - di Marco Santopadre.


Non è usuale, dalle nostre parti, sentir parlare di Islanda, un paese abitato da 320mila anime in tutto e relegato nelle estreme e fredde propaggini settentrionali del continente europeo. Eppure gli islandesi meriterebbero più attenzione da parte dei media, visto che sono stati i primi europei a sviluppare una risposta di massa alla gestione della crisi da parte dei governi locali e delle istituzioni economiche internazionali. Qualche giorno fa, ad Atene, durante le manifestazioni dei sindacati e degli «indignati» contro i tagli e le privatizzazioni del governo Papandreou, abbiamo incontrato Thorvaldur Thorvaldsson, un attivista della sinistra radicale islandese, e ne abbiamo approfittato per porgli qualche domanda.


Qual è il vostro giudizio sugli avvenimenti che hanno scosso l'Islanda negli ultimi anni?
La protesta popolare è esplosa nell'ottobre del 2008, dopo il collasso del sistema bancario che ha rivelato in maniera scioccante una crisi fino a quel momento latente del sistema economico capitalista. È emerso allora un movimento di massa che per mesi, ogni settimana, ha manifestato nelle piazze del paese, e in particolare davanti al parlamento. Agli inizi del 2009 la protesta ha imposto un significativo cambio di governo. Prima l'esecutivo era formato dai conservatori, e poi è passato nelle mani di socialdemocratici e verdi. Questa svolta, su pressione della piazza, ha generato una grande illusione e una grande speranza. L'idillio tra partiti di centrosinistra e movimento di protesta è durato per un po'. Nelle elezioni politiche della primavera del 2009 i due partiti hanno ottenuto la maggioranza assoluta. Ma presto la speranza di un cambiamento significativo di rotta, economicamente parlando, è stata frustrata. La gente si è resa conto che il nuovo governo stava proseguendo sulla stessa via di quello precedente, in ossequio ai diktat di banche e istituzioni internazionali. La disillusione è aumentata quando il governo di centrosinistra ha chiesto l'adesione dell'Islanda all'Unione europea, conducendo un'ingannevole campagna propagandistica secondo la quale se il paese fosse stato già membro dell'Ue le nostre banche non sarebbero fallite... Per un po' i sondaggi hanno concesso un leggero vantaggio a coloro che erano d'accordo con l'ingresso dell'Islanda nell'Unione. Ma poi, man mano che le bugie venivano smontate, i contrari hanno raggiunto una quota tra il 60 e il 70%. Anche se il governo continua a tentare di imporre questa scelta al paese, grazie alla profonda contrarietà dell'opinione pubblica il processo di adesione è stato comunque già ritardato di anni, e i negoziati veri e propri sono iniziati da poco. Se mai decideranno di indire sull'argomento un referendum, lo perderanno.


Perché siete così contrari ad entrare nell'Unione europea?
Se entrassimo nell'Ue sarebbe più difficile per noi contrastare le politiche che i vari governi adottano per scaricare la crisi sui ceti sociali meno abbienti. Potremmo dire che l'Unione ha inglobato queste politiche nel suo Dna, ne ha fatto la sua vera Costituzione. Naturalmente l'Unione è interessata anche alle nostre risorse, per questo preme affinché la nostra adesione sia rapida. Vogliono il nostro patrimonio ittico e le nostre riserve di idrocarburi. Per non parlare del controllo che potrebbero stabilire su un quadrante marino così esteso e così vicino al Polo nord, strategicamente fondamentale. Inoltre pensiamo che la nostra resistenza all'ingresso nella confederazione rappresenti un sostegno a chi, all'interno dei suoi confini, oggi discute sull'opportunità o meno di rimanerci. Ormai non siamo più ai tempi delle vane promesse di un futuro migliore, ma dobbiamo tracciare un bilancio realistico e spietato di questa esperienza fallimentare. Non si può non riconoscere che l'adesione all'Ue ha comportato un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini di molti paesi.


Cosa pensa della questione del debito e delle misure che il Fondo monetario internazionale sta imponendo ai vari paesi?
Dopo il fallimento delle banche l'Islanda è stato il primo paese del continente europeo ad essere sottoposto da decenni ad un piano di aggiustamento del Fmi. Il fatto che un paese europeo avesse «bisogno» dell'aiuto di questa istituzione finanziaria internazionale ha generato uno shock nell'opinione pubblica. Ma i cosiddetti aiuti dell'Fmi non sono affatto tali, anzi impediscono ai popoli e ai paesi di risollevarsi. L'Islanda è stata obbligata a chiedere un prestito di 2.1 miliardi all'Fmi. Ogni scadenza delle varie tranche del debito è servita al Fondo per obbligarci ad accettare condizioni capestro che servivano a garantire le banche britanniche che hanno speculato nel nostro paese ma poi sono fallite. Sulla questione del pagamento del debito il governo è stato sconfitto ben due volte in altrettanti referendum, e con percentuali altissime, dopo che il Presidente si era rifiutato di accettare l'imposizione di un altro prestito. I prestiti sono stati «concessi» in cambio di un ulteriore processo di privatizzazione di ogni aspetto della nostra economia. Nel 2013, data entro la quale il nostro debito dovrebbe essere estinto e il prestito restituito con enorme sacrificio per gli islandesi, cominceranno i veri problemi: perché i soldi per farlo non ci saranno, e la cifra da restituire non sarà più di 2,1 miliardi, ma sarà salita per gli interessi a 2 e mezzo, se non di più. E noi non potremo pagare. Così, il governo islandese dovrà chiedere un altro megaprestito per pagare gli interessi nel frattempo maturati su quello precedente. L'Fmi a quel punto diventerà l'unico e incontrastato padrone dell'Islanda, e imporrà ulteriori tagli. È così che lavora il Fondo monetario. All'inizio della crisi si era diffusa la voce che ci sarebbero stati dei cambiamenti importanti nel suo modo di procedere, che in Europa l'Fmi si sarebbe comportato diversamente rispetto ai metodi normalmente utilizzati nel cosiddetto Terzo mondo. Una speranza infondata, basata sul pregiudizio di superiorità dell'Europa rispetto al resto del pianeta. Perché mai l'Fmi dovrebbe essere meno aggressivo e invadente con i paesi europei? Se non ci saranno profondi cambiamenti politici ed economici, a breve lo standard di vita per le grandi masse di cittadini europei andrà drammaticamente a fondo. In questi anni «l'esercito di schiavi», se così posso chiamarlo, sta ingrossando le sue fila, mentre lo strato benestante della popolazione si sta assottigliando e i ricchi diventano sempre più ricchi. Bisogna cambiare, e subito! La nostra organizzazione politica si è formata sulla spinta della nuova situazione che si era venuta a creare nel 2008 in occasione del fallimento delle banche. Al centro della nostra piattaforma e della nostra azione politica abbiamo posto il recupero della nostra sovranità nazionale e popolare, oltre che la proprietà comune, collettiva delle risorse naturali. Le infrastrutture economiche devono essere riportate sotto il controllo pubblico, sottratte alla dittatura del mercato. Inoltre difendiamo un allargamento della democrazia e della partecipazione politica a tutti i livelli. Non ci accontentiamo della democrazia formale, pretendiamo che le persone abbiamo più strumenti a disposizione per dire la propria. L'azione dei partiti e dei governi non può prescindere dall'opinione delle persone e dalla volontà popolare, non può restare impermeabile . Stiamo lavorando per veicolare questi valori nel movimento popolare, in particolare all'interno dei sindacati e nelle organizzazioni impegnate nella mobilitazione contro l'Ue.


Cosa pensa che accadrà a breve per quanto riguarda le crisi negli altri paesi europei: la Grecia, la Spagna, l'Italia?
Penso sia solo una questione di tempo per tutti questi paesi. Le differenze sociali e di classe aumentano, e lasciano spazio a due sole opzioni. Si possono svendere tutti i beni pubblici e obbedire senza eccezioni ai mercati, cosa che stanno facendo tutti i governi finora, anche quelli cosiddetti di sinistra, accontentando tutte le richieste del capitale. Oppure i popoli si possono organizzare e unire a partire da un proprio programma indipendente, sviluppando processi realisticamente rivoluzionari. Unirsi e organizzarsi: è l'unico modo per poter imporre dei reali cambiamenti nell'immediato futuro. È ciò di cui abbiamo estrema necessità.


http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2011/mese/07/articolo/5099/



Altro che austerity i partiti sbancano. - di Francesco Perfetti

In 14 anni hanno incassato 2,2 miliardi e speso 579 milioni. Il resto è utile (loro).

Giorgio NapolitanoQualche giorno fa Pier Luigi Bersani, comprensibilmente turbato dalle vicende che stanno scuotendo il Pd, ha chiesto «una legge sui partiti che garantisca bilanci certificati, meccanismi di partecipazione e codici etici, pena l'inammissibilità a provvidenze pubbliche o alla presentazione di liste elettorali». Si tratta di una presa di posizione che, in realtà, conferma la voracità della Casta postulando, ancora una volta, la volontà dei partiti di accedere a quella mangiatoia delle «provvidenze pubbliche» che i cittadini, nell'ormai lontano 1993, avevano deciso di voler chiudere con una quasi plebiscitaria votazione. A quell'epoca, infatti, sull'onda emotiva dello scandalo di Tangentopoli, gli italiani, in un referendum abrogativo proposto dai radicali, si espressero in massa - il 90,3% dei voti - a favore della eliminazione del finanziamento pubblico dei partiti. Naturalmente la volontà degli italiani non fu tenuta nel minimo conto. Il risultato del referendum abrogativo venne tradito immediatamente con uno squallido trucco: il rimborso delle spese per le consultazioni elettorali e referendarie disposto per legge, attraverso una normativa più volte ritoccata nel corso degli anni in modo da rendere le cifre versate sempre più consistenti fino al punto da superare di gran lunga le somme effettivamente spese. In tal modo è stato reintrodotto di fatto il finanziamento pubblico dei partiti. Alla faccia degli italiani e delle loro - inequivoche - indicazioni. Ho parlato di trucco, ma - diciamolo a chiare lettere - siamo in presenza di una truffa. Una truffa colossale imbastita dalla Casta ai danni dei cittadini costretti a tirare la cinghia per dover pagare le tasse imposte da uno Stato sempre più pervasivo e vorace. Le cifre di questa truffa non sono bruscolini. E lo dimostra un solo, ma eloquente, dato. Fra il 1994 e il 2008, stando ai numeri certificati dalla Corte dei Conti, i partiti hanno speso 579 milioni di euro e hanno incassato 2,25 miliardi di euro. La differenza, ben 1,67 miliardi di euro, è per i partiti tutto utile, utile netto. È finanziamento pubblico allo stato puro. Ammesso naturalmente - e non concesso - che il rimborso delle spese elettorali non sia da considerarsi finanziamento. Ma non basta. L'arroganza della Casta è arrivata, qualche mese fa, al punto da presentare un disegno di legge, rigorosamente bipartisan, per raddoppiare di fatto il finanziamento ed estenderlo ai partiti che abbiano superato la soglia dell'1% dei suffragi in qualsiasi tipo di votazione. Infine, come se ciò non bastasse, nella recente e vessatoria manovra socialista del ministro Tremonti, è stabilito che l'erogazione dei rimborsi viene effettuata persino «in caso di scioglimento anticipato» delle Camere e che «il versamento della quota annua di rimborso» viene «effettuato anche nel caso in cui sia trascorsa una frazione di anno». Dulcis in fundo, poi, la stessa norma precisa che «le somme erogate o da erogare ai sensi del presente articolo ed ogni altro credito, presente o futuro, vantato dai partiti o movimenti politici possono costituire oggetto di cartolarizzazione e sono comunque cedibili a terzi». Altro che riduzione del costo della politica! Roba da non credere! La verità è che il finanziamento pubblico dei partiti - sotto qualunque forma - andrebbe abolito. In primo luogo perché contrasta con una concezione autenticamente liberale della democrazia. Un caposaldo teorico della democrazia concorrenziale è, infatti, l'uguaglianza nei punti di partenza che viene meno, ovviamente, se al nastro di partenza della competizione elettorale si presentano soggetti che, proprio grazie al finanziamento pubblico, si trovano in una posizione privilegiata rispetto a chi di tale finanziamento non può (ancora) godere. In altre parole, il finanziamento pubblico riduce la concorrenza politica, favorisce la cristallizzazione del sistema politico e la sua trasformazione in un sistema oligopolistico di potere. In una Casta, appunto. In secondo luogo - e le attuali vicende giudiziarie e paragiudiziarie lo dimostrano ad abundantiam - il finanziamento pubblico non elimina affatto né il finanziamento occulto ottenuto tramite tangenti. Si somma, semmai, ad esso in una spirale corruttiva e di malaffare. Si dirà. La politica costa. Ed è vero, ma è anche vero che sarebbe più giusto, pure da un da un punto vista etico, che il peso del mantenimento degli apparati burocratici e della vita dei partiti fosse sopportato dai militanti e, più in generale, da coloro, privati individui o gruppi economici, che ne hanno interesse. Anche per evitare che un cittadino sia costretto a finanziare gruppi, partiti, uomini che portano avanti idee contrarie a quelle nelle quali egli crede. Naturalmente tutto ciò dovrebbe avvenire alla luce del sole, con precisi controlli e bilanci certificati. In nome della libera concorrenza e in ossequio ai principi di una democrazia liberale. Mettendo da parte l'idea che lo Stato sia una greppia alla quale attingere per i propri interessi. Come ha fatto finora, e continua a fare, la Casta.

http://www.iltempo.it/politica/2011/07/31/1275960-altro_austerity.shtml?refresh_ce


Caos...





Che speranza può avere un paese alla mercè di un piduista, un leghista, un dormiente ed una opposizione inesistente? Nessuna!

Tra loro collusi, si supportano a vicenda: "adda passà a nuttata".

E noi? Aspettiamo... Che cosa non si sa.

Con un governo così composto c'è da aspettarsi di tutto, tranne che serietà, consapevolezza, autorevolezza, abnegazione, responsabilità....


Tremonti: “Io spiato dalla Gdf” E la procura di Roma apre un’inchiesta.


I magistrati indagheranno su quanto riferito due giorni fa alla stampa dal ministro dell'Economia che dichiarava di sentirsi "controllato e pedinato" dalla Gdf.


Giulio Tremonti spiato e pedinato? La procura di Roma vuole vederci chiaro dopo quanto dichiarato dal ministro dell’Economia in un’intervista ed aprirà un fascicolo processuale sulla vicenda. L’uomo dei conti potrebbe essere convocato come persona informata sui fatti per approfondire le sue sensazioni. E, sempre sul presunto spionaggio, il direttore del Dis, Gianni De Gennaro, riferirà martedì prossimo al Copasir sul possibile coinvolgimento di 007.

Intanto, in una dichiarazione all’Ansa, Tremonti getta acqua sul fuoco: ”Ho profonda stima e fiducia nella scorta della Guardia di Finanza che mi segue da moltissimi anni, gli stessi sentimenti per la Guardia di Finanza a partire dal suo comandante generale. Tutto quanto è a mia conoscenza l’ho rappresentato alcune settimane fa alla magistratura. Lo confermo. Il resto sono state ipotesi e forzature giornalistiche”.

“Forzature giornalistiche” che cominciano il 9 giugno scorso quando ‘Libero’ riferisce di un acceso faccia a faccia tra Tremonti e Silvio Berlusconi, con il ministro che accusa il premier di “aver messo i servizi segreti alle mie calcagna”. Ieri è La Repubblica a raccogliere le confidenze del titolare dell’Economia. “Ho fatto – spiega il ministro a proposito della scelta di andare a vivere nella casa di Campo Marzio offertagli dal suo ex braccio destro Marco Milanese – una stupidata. E di questo mi rammarico e mi assumo tutte le responsabilità. Ma in quella casa non ci sono andato per banale leggerezza. Il fatto è che prima ero in caserma ma non mi sentivo più tranquillo. Nel mio lavoro ero spiato, controllato, pedinato. Per questo ho accettato l’offerta di Milanese…”. E’ lo stesso ex finanziere e deputato del Pdl – interrogato dai pm di Napoli che indagano sulla P4 – a fornire altri elementi. “Il ministro – ha fatto mettere a verbale Milanese – mi ha detto che ha avuto uno sfogo con il presidente del Consiglio perchè aveva saputo che era seguito. O comunque negli ambienti politici si dice che stanno attuando il metodo Boffo anche nei suoi confronti…per contrastare la sua ascesa politica”.

Intanto, tra voci di cordate, talpe, veleni, generali indagati e ministri spiati, la Guardia di finanza è nell’occhio del ciclone da settimane. Il Cocer non ci sta e chiede rispetto. Lo spunto è l’attacco di ieri del sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto. Dopo il quale il comandante della Gdf, generale Nino Di Paolo, aveva ricevuto la telefonata di solidarietà di Tremonti. Il Cocer definisce “inappropriate ed inopportune” le parole di Crosetto. Infatti, lamenta l’organismo, “definire la Guardia di Finanza un’organizzazione di cui aver paura offende la dignità dell’Istituzione e dei 63mila finanzieri che quotidianamente prestano la loro opera a tutela degli interessi del Paese”. Altra esternazione del sottosegretario che non è andata giù al Cocer è quella secondo cui “l’azione di controllo amministrativo si svolgerebbe in modo totalmente arbitrario”. Ciò, si rileva, “dimostra nessuna considerazione per il quadro giuridico che la regola”. L’organismo avanza quindi un sospetto: che “le dichiarazioni siano strumentali al tentativo di tornare ad un comandante generale proveniente dall’Esercito; a questo punto, oltre alle vere o presunte cordate interne, ce ne sarebbero anche di esterne con i loro sponsor politici”. Ma la Guardia di finanza, conclude la nota, “non può diventare, per l’ennesima volta, il campo di battaglia di uno scontro politico che non la riguarda, perchè questo fa male ai cittadini e al Paese”.

Non si fa attendere la replica di Crosetto. “Tentare una riflessione sulla base dei fatti di questi giorni – osserva – serve proprio a restituire all’istituzione il rispetto e la credibilità che si merita. Ed i primi a saperlo dovrebbero essere proprio i Cocer della Finanza che mi hanno sempre visto schierato al loro fianco, a difesa e tutela del personale, soprattutto quello di grado meno elevato. Ed in queste battaglie, o questi anni – conclude – chi si contrapponeva con forza a richieste legittime è sempre stato qualcun altro”.




Alluvione in Valtellina, si commemora la tragedia e si intascano i soldi. - di Mario Portanova


Spese gonfiate, fondi scomparsi e presunte mazzette sulle iniziative per il ventennale della tragedia che costò la vita a 53 persone. Inquisito anche Massimo Ponzoni, pezzo da novanta del Pdl lombardo. Il caso Irealp, ente a guida leghista creato coi fondi per la catastrofe e finito con un buco milionario.


Dopo il terremoto dell’Aquila, l’alluvione della Valtellina. Il malaffare non si ferma neppure davanti alle catrastrofi naturali e alle loro tragiche conseguenze. E riesce ad approfittare persino delle commemorazioni. La tragedia valtellinese, che alla fine di luglio del 1987 provocò la morte di 53 persone e la cancellazione di interi paesi (qui le immagini dell’epoca), è protagonista di due inchieste che ora sembrano trovare un punto di contatto: quella della Procura della Repubblica di Monza contro l’ex assessore regionale del Pdl Massimo Ponzoni, svelata pochi giorni fa, e quella della Procura di Sondrio, che ha già portato alla richiesta di rinvio a giudizio di diversi amminstratori locali, anche loro di centrodestra.

Tutto parte dalle iniziative indette in provincia di Sondrio nel luglio 2007 per ricordare la strage: un grande convegno, delle mostre e una esercitazione in grande stile della Protezione civile, denominata “Valtellina 2007″, alla presenza dell’allora direttore Guido Bertolaso. A Ponzoni, recordman di preferenze in Brianza, già inquisito per corruzione e bancarotta fraudolenta, citato a ripetizione nelle carte dell’inchiesta Crimine-Infinito sulla ‘ndrangheta in Lombardia, la Procura di Monza contesta diversi episodi, tra i quali la corruzione e il peculato in merito all’organizzazione dell’esercitazione e di altre attività collaterali. Come parte offesa figura la Fondazione Irealp (Istituto di ricerca per l’ecologia e l’economia applicate alle aree alpine). Fondi Irealp per 250 mila euro sarebbero stati stanziati, per iniziativa dell’allora assessore alla protezione civile, per la realizzazione del convegno. Soldi ricevuti dalla Comunità montana di Morbegno, che a sua volta aveva incaricato degli aspetti organizzativi un’altra società pubblica, Eventi valtellinesi.

Qui appare il nesso con l’inchiesta della Procura di Sondrio, che ha chiesto il rinvio a giudizio del presidente della comunità montana, Silvano Passamonti (già coordinatore provinciale di Forza Italia), e del project manager di Eventi Valtellinesi Luca Spagnolatti. Con loro, il 15 giugno 2010, finirono in carcere o agli arresti domiciliari per ordine del gip Pietro Della Pona, altri quattro amministratori locali e una professionista: uno shock per la politica della provincia lombarda, una sorta di Tangentopoli in versione alpina. Secondo l’accusa, le spese erano state gonfiate. A fronte di un costo reale intorno ai 100 mila euro, Eventi valtellinesi inserì ulteriori costi fittizi, come l’utilizzo di spazi che in realtà erano nella disponibilità della Comunità montana, e spese abnormi per l’acquisto di sedie (11 mila euro), pulizie (7 mila euro), impianto audio e video (19 mila euro).

L’inchiesta valtellinese si è limitata alle presunte malversazioni nell’utilizzo dei fondi. Ora quella della Procura di Monza, condotta dal pm Giordano Baggio, apre un nuovo fronte, relativo all’origine dello stanziamento. Come racconta un investigatore a Ilfattoquotidiano.it, non tutti i rivoli di quei 250 mila euro sono stati tracciati, e una parte della somma potrebbe anche essere “tornata” in modo occulto verso gli uffici regionali.

E non è finita. La Procura di Monza contesta a Ponzoni e ad altre tre persone il “reato di corruzione commesso in relazione all’affidamento di lavori da parte di Irealp a beneficio della società Instudios srl”, a quanto si sa sempre in riferimento alla manifestazione valtellinese. La Instudio fa capo a Sergio Pennati, il commercialista di Desio, in provincia di Monza, che curava le società immobiliari che Ponzoni possedeva insieme ad altri big del Pdl in Regione Lombardia: l’assessore Massimo Buscemi, il consigliere Giorgio Pozzi e Rosanna Gariboldi (moglie del deputato azzurrro Giancarlo Abelli), che nel 2010 ha patteggiato una condanna a due anni di reclusione per riciclaggio, in relazione alle vicende del “re delle bonifiche” Giuseppe Grossi. Società che poi sono fallite, dando origine all’accusa di bancarotta fraudolenta per Ponzoni.

Quanto agli enti pubblici coinvolti, anche loro hanno fatto una brutta fine. La Fondazione Irealp era stata istituita proprio grazie ai i fondi straordinari stanziati per l’alluvione in Valtellina con la legge 102 del 1990, anche se aveva visto la luce soltanto alla fine del 2006. Guidata dall’ex consigliere regionale leghista Fabrizio Ferrari (con 6.500 euro al mese di retribuzione da commissario straordinario), ha chiuso il suo ultimo bilancio con un buco da un milione e mezzo di euro e il primo marzo di quest’anno è stata accorpata a un altro ente, l’Ersaf (Ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste). “Vogliamo sapere come mai sono esplose le spese per lavori affidati a terzi proprio nell’ultimo anno e la ragione stessa di certe consulenze assegnate a una sola persona”, chiede un’interrogazione su Irealp presentata dal Pd in Consiglio regionale nell’aprile scorso. Quattro mesi dopo non è pervenuta alcuna risposta.

Quanto a Eventi valtellinesi, definita dalla Procura di Sondrio una “società bancomat” per le spese folli dei suoi amministratori, da un anno a questa parte è in fase di smantellamento.


I miglioristi.



A metà Anni novanta Giorgio Napolitano era leader di una corrente all'interno del Pci detta dei miglioristi che possedevano una rivista dal nome "Il moderno" finanziata dai berlusconiani di Fininvest, da Mediolanum, da Publitalia e da Giovanni Ligresti.


sabato 30 luglio 2011

Ingroia, caro Paolo ti scrivo: da 19 anni inseguo la verita'.


''Adesso ho 52 anni, la tua eta' di quel 19 luglio di 19 anni anni fa. E la cosa che ho piu' inseguito in questi 19 anni e' stata la verita' sulla tua morte: perche' in questi 19 anni la verita' ci e' stata sempre negata. Finora. Se tu vedessi l'Italia di oggi resteresti impressionato per il puzzo del compromesso morale, ma saresti felice dei tanti giovani liberi che vogliono verita'. Dai quindi a loro e a noi piu' energia e convizione per vincere, per prevalere su chi non vuole la verita'''.
di Antonio Ingroia

Caro Paolo, sono passati 19 anni da quel maledetto 19 luglio 1992. 19 anni che mi manchi, che ci manchi, che non ti vedo più, che non ti incontriamo più. E mi colpisce che 19 sono anche gli anni che ci dividevano: infatti ora ti ho raggiunto, ho la tua stessa età. Gli stessi 52 anni che avevi tu quando sei morto ed è singolare, un segno del destino beffardo, il fatto che mi ritrovo alla tua stessa età, nello stesso posto da te ricoperto (Procuratore Aggiunto alla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo). Del resto, in questi 19 anni non ho fatto altro che inseguirti: inseguire la tua ombra, inseguire le tue orme, inseguire il tuo modello, inseguire la tua carriera (insieme a Marsala ed insieme da Marsala a Palermo, e poi fino al posto di Procuratore Aggiunto a Palermo), ma la cosa che ho più inseguito di te è stata un'altra: la Verità sulla tua morte.

Cercando di ispirarmi ai tuoi insegnamenti: inseguire la Verità, cercarla, lottare per trovarla, senza mai rassegnazione, anzi quasi con ostinazione. Perché non posso rassegnarmi all'ingiustizia di una verità dimezzata e quindi incompiuta, e perciò negata. Perché la piena verità sulla tua morte terribile è sempre stata negata. Finora.

Ma a quella verità ho diritto come tuo allievo e come tuo amico, e ne hanno ancor più diritto i tuoi figli, tua moglie, i tuoi fratelli. E non solo i tuoi parenti, anche gli italiani onesti, di ieri e di oggi. E quella verità – lo sento – si avvicina, anno per anno, momento per momento. La verità rende liberi, ma bisogna essere liberi per poter conquistare la verità. Tu avevi un'ossessione per la verità, specie sulla fine di Giovanni Falcone, il tuo migliore amico, quasi un fratello, e anch'io ho una specie di ossessione – lo confesso – per la verità sulla tua morte. Certo, se tu vedessi l'Italia di oggi resteresti impressionato per il puzzo del compromesso morale, ma saresti felice dei tanti giovani liberi che vogliono verità. Dai quindi a loro e a noi ancora più energia e convinzione per vincere, per prevalere su chi non è libero, su chi non vuole la verità.

Noi possiamo dirti, ed io in particolare ti assicuro che faremo, che farò di tutto per trovarla questa verità. E con la verità verrà la giustizia. Il tuo esempio, il tuo modello ci aiuterà, così farai giustizia attraverso tutti noi. Sarà un modo di averti sempre fra noi, perché così, fra noi, ti abbiamo sentito in questi 19 anni, ed ancor più ti sentiremo, convinti di poterti sentire, da domani in poi, in un'Italia più giusta, in un'Italia più uguale. Più libera nella verità. Perché la verità rende liberi. La giustizia rende eguali. E noi vogliamo come te un'Italia più libera e più giusta. Un'Italia senza mafie e senza corruzione. Per rivederti sorridere. Per rivedere sul tuo volto quel tuo sorriso inconfondibile, il sorriso con il quale mi salutasti l'ultima volta che ci incontrammo, quel pomeriggio di metà luglio in Procura. Lo stesso sorriso che hai regalato ai tanti che ti hanno conosciuto, ti hanno apprezzato, ti hanno amato. I tanti dell'Italia migliore.


Il tuo Sostituto