venerdì 7 ottobre 2011

Ma davvero Wikipedia non vale la Treccani?






Martedì, come probabilmente già sapeteWikipedia Italia ha sospeso il suo servizio in segno di protesta contro quel comma del disegno di legge anti-intercettazioni che prevedeva per ogni sito web l'obbligo di rettifica entro le 48 ore (ne avevo già parlato un anno fa). Ieri il testo è stato modificato: l'obbligo di rettifica dovrebbe riguardare soltanto le testate giornalistiche on line, risparmiando quindi wikipedia e i blog. Ma nel frattempo abbiamo sperimentato in tanti il senso di vuoto di chi cerca qualcosa su internet e... non la trova più. Proprio quando ormai davamo per scontato di poter recuperare qualsiasi informazione in pochi secondi. Forse non ci rendevamo conto di come buona parte di tutte le informazioni che trovavamo provenisse in realtà da un sito preciso: Wikipedia. Incompleto, inattendibile, ma anche insostituibile, ormai.

Mentre noi fissavamo il vuoto un po' sgomenti, altri esultavano. “La nuova legge sulle intercettazioni potrebbe avere un merito inaspettato: far scomparire Wikipedia”, scrivevaAntonio Di Majo sul Tempo. “L'enciclopedia sul Web, scritta e modificata dai lettori, piena di strafalcioni e di fonti incerte, ha fatto impallidire studiosi, spaventato accademici e depistato studenti”: se scompare tanto meglio, fa capire Di Majo, e suggerisce: “Rispolveriamo la Treccani”.

Non c'è alcun bisogno di rispolverarla, aggiungo io, visto che da qualche tempo la Treccani è presente on line in un'ottima versione molto comoda da consultare. A questo punto però vorrei chiedere una cosa a Di Majo: lei la usa davvero la Treccani, voglio dire abitualmente? Io no. Una volta ci ho anche provato, volevo fidarmi. Non mi ricordavo più chi fosse Mister Pesc e sulla Treccani c'era scritto: "attualmente la carica è ricoperta dallo spagnolo Javier Solana". Così ho scritto, sul mio blog, "Javier Solana". E ho fatto una figura orrenda, visto che (come un commentatore mi ha subito fatto presente) dal novembre 2009 è subentrata, nel suo ruolo, Catherine Ashton. Ma la voce della Treccani non è stata aggiornata. Probabilmente non è facile modificarla. Invece aggiornare una pagina di wikipedia è semplicissimo, come sappiamo tutti. E infatti su wiki è segnalata la Ashton, non Solana. Con tanto di foto e rimando alla biografia.

È solo un piccolo esempio, ma ne potrei fare tanti altri. Per dimostrare quello che gli studiosi del campo hanno ormai accettato, più o meno dallo studio di Nature del 2005: Wikipedia è autorevole quanto l'Encyclopaedia Britannica. Certo, Nature ha esaminato la Wikipedia inglese, molto più elaborata e condivisa. Ma tutto sommato anche la wiki italiana si difende bene. Non avrà l'autorevolezza della Treccani, ma sa aggiornarsi e correggere i suoi errori assai più rapidamente.

Ammettiamo per amor di discussione che su tanti argomenti la Treccani sia più precisa di Wiki: ci sarà sempre qua e là qualche errore o qualche dato non aggiornato. L'utente della Treccani però rischia di non rendersene conto, lasciandosi cullare da un'impressione di infallibilità che nessuna enciclopedia può davvero garantire. L'utente di Wikipedia no, e forse la differenza più importante è questa: chi consulta Wikipedia impara presto che nulla è sicuro. La pagina che sta leggendo potrebbe contenere soltanto informazioni sbagliate: potrebbe essere stata falsificata pochi minuti prima da un vandalo o un burlone. Su wikipedia non ci si può fidare mai al cento per cento. Bisogna stare attenti. Dare un'occhiata alle fonti, se ci sono – e se non ci sono, l'articolo non è così buono.

Bisogna insomma sviluppare un senso critico. Chi consulta la Treccani non ne ha certo bisogno: come scrive Di Majo, gli serve un sapere “sicuro”, “verificato da esperti”. Va bene, facciamo così: chi ha bisogno di sicurezza, chi non sa verificare da solo e ha bisogno degli esperti, usi pure la Treccani. Al massimo confonderà Catherine Ashton con Javier Solana, in fondo su certi siti che differenza vuoi che faccia. Almeno finché qualche Solana o qualche Ashton non avrà niente di meglio da fare che chiedere una rettifica. http://leonardo.blogspot.com


giovedì 6 ottobre 2011

Con la Gelmini, l'ignoranza regna sovrana: sbagliati mille quesiti del concorso per dirigenti scolastici.







Altri tempi quando i rettori si contendevano la nomina di ministro dell'istruzione e dell'università della Repubblica Italiana. Erano pur sempre baroni, ma certo non li si poteva accusare di essere degli ignoranti.
Con l'arrivo di Maria Stella Gelmini al ministero dell'Istruzione, abbiamo invece toccato il fondo e la situazione è diventata a dir poco paradossale.
Non c'è solo il problema di un ministro particolarmente ciuccia, non è solo la sua impreparazione scolastica, universitaria, professionale e politica che arreca danni sostanziali al funzionamento della struttura ministeriale, ma il problema è che la Gelmini si è portata altrettanti analfabeti che ora occupano ruoli dirigenziali nel suo ministero.
Dopo lo scandalo del fantomatico tunnel segreto che collega il CERN di Ginevra con i laboratori del Gran Sasso, che il ministro gelmini ha scaricato sulle spalle del direttore generale Massimo Zennaro, lasciandolo però al suo posto, arriva un'ulteriore prova del loro analfabetismo.

Oggetto dello scandalo questa volta sono la batteria di quesiti per la prova preselettiva del concorso per il reclutamento di 2.386 dirigenti scolastici.
Pubblicate ai primi settembre, qualsiasi persona con un minimo di preparazione e studi alle spalle è rimasta pietrificata dinanzi al contenuto delle 5.750 domande.
Una infinità di errori nelle risposte indicate come esatte, moltissime domande prive di contestualizzazione alle quali è pertanto impossibile dare risposta, una presenza continua di riferimenti a norme non più in vigore assunte come vigenti, per non parlare delle tantissime domande incomprensibili e illogiche.
Al ministero non sembrano però accorgersene.
Tempestata di proteste, richieste di chiarimento, invocazioni di aiuto, il ministro ha sempre parlato di poche, pochissime domande incorrette, arrivando a firmare un decreto per la cancellazione di una sola domanda.
Ieri arriva finalmente la risposta ufficiale: cancellati per errori e inesattezze all'incirca 1000 quesiti, quasi uno su cinque!!
Mercoledì 12 ottobre si terrano ugualmente le prove preselettive.
Il dubbio resta : ci sono (ignoranti) o lo fanno (per pilotare le selezioni)? 

S.t.

il comunicato del ministero sulla cancellazione dei quesiti:



La Lega alla deputata Pd: “Fatti scop***”




Il solito spettacolo trash in Aula all’arrivo di Berlusconi. Il racconto di Sarubbi.


Andrea Sarubbi, deputato del Partito Democratico, ha un account Twitter molto attivo dal quale è solito raccontare cosa succede a Montecitorio. Oggi, in occasione dell’arrivo del premier in Aula, fa sapere che Berlusconi è entrato raccontando barzellette e, dopo le proteste dei deputati Pd, dalle parti della Lega si è proceduto ad un invito piuttosto netto:


L’onorevole Lucia Codurelli è una militante di lungo corso prima del Pci e poi del Partito Democratico. A quanto pare l’episodio non è stato riportato dalle agenzie di stampa. Che però hanno raccontato dell’ottimo umore del premier: "Venite a trovarmi, bussate alla porta e vi ricevero’, non posso dare appuntamento a tutti perche’ voi siete tanti e io sono uno solo. E da quando tutti sanno che mi intercettano le telefonate non mi chiama piu’ nessuno… Cosi’ il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi si e’ congedato dai deputati del Pdl che lo hanno incontrato a Montecitorio."


Berlusconi si e’ trattenuto all’interno dell’aula fino a poco prima che iniziasse la seduta sulle intercettazioni e ha chiacchierato con un capannello di parlamentari del partito. In tanti hanno chiesto al premier un appuntamento, ma Berlusconi si e’ schermito: Non posso dare un appuntamento a tutti – ha detto – voi siete tanti e io sono da solo. E poi – ha concluso – da quando tutti sanno che sono intercettato non mi chiama piu’ nessuno e tutti vorrebbero incontrarmi. (AGI)


Edit: l’onorevole Sarubbi ha ribadito quanto accaduto direttamente in Aula (dall’agenzia di stampa DIRE e TMNEWS):


“Ho sentito con queste orecchie dai banchi della Lega, mentre il presidente Berlusconi li intratteneva in aula, un collega che e’ intervenuto dicendo alla collega Codurelli: ‘Fatti scopare’”. Lo dice il deputato del Pd Andrea Sarubbi intervenendo in aula.
Sarubbi aggiunge: “Ho scattato una foto del presidente Berlusconi con i deputati e l’ho pubblicata su Twitter. So che non si puo’ fare, mi autodenuncio e chiedero’ all’ufficio di presidenza di prendere provvedimenti contro di me”.


Lucia Codurelli, deputata del Pd, sarebbe stata offesa da un deputato leghista in aula alla Camera, durante l’esame della nuova legge sulle intercettazioni, che le avrebbe gridato ‘…fatti scopare…’. Lo ha formalmente denunciato in aula a Montecitorio, prendendo la parola a fine seduta, il deputato del Pd Andrea Sarubbi sottolineando di essere stato testimone diretto dell’insulto.


Sarubbi ha contestualizzato l’episodio come concomitante alla “inusuale presenza in aula del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che non ha ascoltato una sola parola degli interventi ma è venuto alla Camera solo per intrattenersi in capanelli con i suoi deputati, con espressioni e racconti coloriti di cui tutti abbiamo avuto notizia e che hanno disturbato con le loro risate tutti i lavori”. Capannelli che Sarubbi, autodenunciandosi per violazione del regolamento della Camera, ha riferito di aver volutamente fotografato con il cellulare, mettendo poi le immagini su Twitter. “Sono pronto ad assumermi le conseguenze – ha detto il parlamentare Pd ma è giusto che si veda cosa fa il Presidente del Consiglio l’unica volta che è venuto in Parlamento…”. Sulle denunce di Sarubbi, il presidente di turno dell’assemblea Antonio Leone ha informato che saranno trasmessi a presidenza della Camera e Questori, seppure relativi ad accadimenti al di fuori dei lavori parlamentari.


http://www.giornalettismo.com/archives/155253/la-lega-alla-deputata-pd-fatti-scop/3/

Addio al fondatore di Apple Steve Jobs Obama: “Grande innovatore e visionario”







Il 26 agosto aveva lasciato tutte le cariche della società che aveva fondato nel 1976 e "ripreso" vent'anni dopo, salvandola dal fallimento. Oggi lo conosciamo per l'Iphone, l'Ipad e l'Ipod, ma fu lui a lanciare il primo personal computer. Il suo testamento spirituale: "Siate folli, siate affamati". Gates e Zuckerberg: "Ci mancherai".

“Apple ha perso un genio creativo e visionario e il mondo ha perso un formidabile essere umano”. Così il sito di Apple annuncia la morte del suo fondatore Steve Jobs, insieme all’anno della nascita e quello della morte: 1955-2011.

Il “visionario della Silicon Valley” aveva annunciato, lo scorso 26 agosto, le sue dimissioni irrevocabili da amministratore delegato dell’azienda che ha fondato e che dall’orlo della bancarotta ha portato nell’Olimpo delle grandi. Quarantun giorni dopo è arrivata la tanto temuta quanto attesa notizia. A finirlo è stato quel male che per anni lo ha tormentato e lentamente consumato.

“Visionario” è la definizione ricorrente. Oltre all’azienda della Mela, la utilizza il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. ”Il mondo ha perso un grande innovatore visionario. E non ci può essere maggior tributo al successo di Steve che ricordare che la maggior parte del mondo ha saputo la notizia della sua scomparsa sui computer che lui stesso ha inventato”. All’inventore dell’Iphone e di tanto altro viene tributato un merito a cui molti  politici ambiscono, raramente con successo. Quello di avere “cambiato il mondo”. Continua il presidente Usa: “Ha trasformato le nostre vite, ridefinito interi settori industriali e compiuto una delle imprese più rare nella storia dell’umanità: ha cambiato il modo in cui ognuno di noi guarda il mondo”.

E forse non c’è altro modo per sintetizzare la vita di chi, nel 2005, consegnò una sorta di testamento spirituale agli studenti dell’Università di Stanford: “Siate folli, siate affamati” (“Stay hungry, stay foolish”, guarda il video qui sotto). Una follia e una fame che hanno portato Jobs a rivoluzionare la vita di milioni di persone. L’annuncio arriva con uno stringatissimo comunicato del gruppo californiano. Ma in contemporanea sul sito appare una foto in bianco e nero di Jobs con la data di nascita e quella della morte. “Quelli di noi che hanno avuto la fortuna di conoscerlo abbastanza e di lavorare con lui – si legge – hanno perso un caro amico e un mentore ispiratore. Steve lascia una società che solo lui avrebbe potuto costruire e il suo spirito sarà sempre il fondamento di Apple”.

Qui il video integrale del discorso di Stanford, con sottotitoli in italiano.
A prendere in mano le redini dell’azienda è stato già da tempo Tim Cook. Ma Jobs lascia un vuoto incolmabile tra i suoi collaboratori, come tra i milioni di fan. Ora tutti, soprattutto i più giovani, lo conoscono come l’inventore dell’iPad e dell’iPhone, che hanno rivoluzionato il mondo della tecnologia e delle comunicazioni. E dell’iPod, che ha fatto lo stesso con la musica. Ma fu lui che nel 1977 – dopo aver creato la Apple l’anno precedente insieme all’amico Steve Wozniak – lanciò il primo personal computer della storia (qui le tappe principali della sua carriera). La marcia era appena cominciata. Lasciò la Apple nel 1985, in polemica con l’amministratore delegato da lui stesso nominato. Quando fu richiamato nel 1996 l’azienda di Cupertino era in profonda crisi, e Jobs in quindici anni l’ha trasformata nella società più ricca del pianeta.

Nel 2007 la rivista Fortune lo ha indicato come l’uomo d’affari più potente del mondo: il suo rivale di sempre, il fondatore di Microsoft Bill Gates, finì solo sesto. “Steve mi mancherà immensamente”, commenta ora Gates. ”Il mondo raramente ha conosciuto qualcuno capace di avere sul mondo stesso un impatto profondo come quello di Steve, il cui effetto si sentirà ancora per generazioni. Per quanti tra noi sono stati così fortunati da lavorare con lui è stato un onore incredibilmente grande”.

Nel 2010 – quando già la malattia lo aveva allontanato da ogni ruolo operativo in Apple – ilFinancial Times ha eletto Jobs uomo dell’anno, riconoscendo la sua capacità di riportare in vetta un’azienda raccolta sull’orlo del fallimento. Con l’iPhone e l’iPad ha realizzato il suo sogno del “piccolo schermo”, di un mondo al di là del computer e senza Windows. Non a caso il sorpasso sulla rivale Microsoft per valore di mercato è oramai da tempo compiuto.

Sempre il Financial Times lo definì “la prima rock star dell’industria high-tech’’ per la sua abitudine – oramai copiata da tutti – di presentare ai suoi fan tutte le novità della casa dal palco di un teatro. Ma anche per aver portato Apple in Borsa a soli 25 anni: prima di quanto non abbia fatto Mark Zuckerberg con Facebook. Neppure l’inventore del più famoso social network si sottrae al ricordo dell’illustre collega: ”Grazie per essere stato un mentore e un amico, grazie per aver dimostrato che ciò che tu costruisci può cambiare il mondo. Mi mancherai”.

Qualcuno lo ha descritto come un “tiranno” nei confronti dei suoi collaboratori e dipendenti. Ma la verità – spiega la maggior parte degli osservatori – è che in un momento di grande crisi economica e occupazionale in America, Jobs, a differenza di tutti gli altri Ceo, ha continuato a creare posti di lavoro. E probabilmente la Apple ne continuerà a creare ancora malgrado la morte del suo “genio”, grazie alla sue ultime creature: l’ultimo modello di iPhone, presentato appena ieri, e la terza terza generazione dell’iPad che dovrebbe vedere la luce all’inizio del prossimo anno.

Nel discorso di Stanford, citatissimo fin dalle prime ore dopo la sua scomparsa, Steve Jobs affrontò anche il tema della morte, già consapevole che presto sarebbe toccato a lui: “E’ un agente di cambiamento: spazza via il vecchio per fare largo al nuovo”.



«Il ‘ragazzo di bottega’» - di Francesco Iagher



Ne abbiamo viste di cotte e di crude a Ballarò, ma l’altro sera lo scontro tra il Dieguito della Valle ed il curato Bondi è stato epico, lo scontro tra un imprenditore internazionale ed un politico che ha cambiato spesso la casacca ; è stato lapidario apostrofarlo che parla con il suo ‘padrone’ e non con i ragazzi di bottega.
In effetti non è che poi ha tanto sbagliato, visti i comportamenti da ‘padrone delle ferriere’, ma il fatto principe che come ‘imprenditore’ ci ha messo la faccia a dire a chiare note che l’arroganza del potere politico ha tracimato oltre ogni limite di decenza.
Il messaggio è di una disarmante verità ”Alla parte migliore della politica e della società civile che si impegnerà a lavorare in questa direzione diremo grazie. A quei politici che si sono invece contraddistinti per la totale mancanza di competenza e di amor proprio per le sorti del Paese saremo sicuramente in molti a voler dire vergognatevi”.
Non credo che ci sia altro d’aggiungere, giusto vedere le reazioni dei soliti noti, le corazzate mediatiche subito messe all’opera, regalando ancora un ennesimo spettacolo all’insegna del sistema ‘Boffo’.
Dopo il declassamento di Moody’s, come all’epoca della crisi, il solito messaggio che va tutto bene madama la marchesa, adesso sono troppo impegnati sul Ddl intercettazioni, non gliene frega una beata mazza dei problemi contingenti del paese.
Adesso è la corsa frenetica contro il tempo, per mettere il bavaglio su tutto e tutti, gli affari del cavalier patonza sono fatti privati ergo, chi oserà in seguito far trapelare un solo rigo di notizia ; ‘paniz et circens’ prospetta il carcere duro ai ceppi, oppure messo alla gogna sulla pubblica piazza al ludibrio della plebe.
A ben ragione a scrivere della Valle : “Ora la gravità della situazione impone che le componenti della società civile più serie e responsabili, che hanno veramente a cuore le sorti del Paese (politici-mondo delle imprese-mondo del lavoro) si parlino tra di loro e si adoperino e lavorino per affrontare con la competenza e la serietà necessaria questo difficile momento. “
Nel ‘palazzo’ si è perso ogni significato alla competenza e serietà, vivono alla giornata cercando di restare aggrappati alla poltrona il più a lungo possibile, la loro totale arroganza e supponenza d’essere gli eletti duna ‘casta’ intouchable.
Ha detto bene il presidente delle Acli : “Ma nessuno si chiami fuori la corruzione, evasione fiscale, criminalità organizzata, diffusa illegalità, impongono cambiamenti di gruppi dirigenti ed insieme di costumi personali e politici diffusi. Per ‘purificare l’aria’ del Paese ognuno deve fare la sua parte”.
Tutto ciò è pura utopia per questo paese alla sbando e senza più voglia di dire la sua, assistendo allo spadroneggiare delle istituzioni senza alcun ritegno, ci resta solo l’intervento divino perché quello umano è ormai de cujus.



http://www.lavocediquasitutti.it/?p=9956

Wikipedia è oscurata, ma smaschera l’idiozia. - di Alberto Capece Minutolo




Wikipedia in italiano non è più raggiungibile. Si è auto inabissata per protesta contro l’imminente bavaglio e anche questa notizia farà il giro del mondo, contribuirà a quel misto di pena e di ridicolo con cui ormai si guarda all’Italia, cosa  che non è estranea anche ai declassamenti economici.
Certo è un bel guaio per la Gelmini e il suo staff che con il taglia e incolla dall’enciclopedia libera ci hanno costruito l’opuscolo ” I testi della memoria” distribuito nelle scuole per i 150 anni. Naturalmente la ministra è un po’ irritata per l’ incomprensibile  mancanza della voce ” Tunnel Ginevra- Gran Sasso” che fa torto all’operosità italiana, ma si sa che tutto non si può avere.
Però la destra della Gelmini è già quella evoluta e moderna, c’è anche quella plumbea de Il Tempo che si compiace dei bavagli e sguazza nel proprio vecchiume. Il quotidiano del coatto infatti dice che è meglio stare senza Wikipedia, perché c’è sempre la Treccani. Forse è il solo nome che conoscono, di enciclopedie cartacee ce ne sono molte, ma non sono alla portata di tutti e del resto le più evolute e autorevoli sono già digitalizzate e online.
Ma insomma cosa vogliamo pretendere per un quotidiano del tempo che fu? Il bello o il pessimo è che ci aggiungono una straordinaria ciliegina di stoltezza. Nel titolo infatti compare questo sommario: “Torniamo all’antico, niente politica e più cultura”. Questo come se 3000 anni di storia non testimoniassero che la cultura è politica e la politica è cultura, cosa che Aristotele ha tematizzato perfettamente. Il fatto è che i nostri presocratici con qualche millennio di ritardo, non masticano né l’una, né l’altra, quindi sono un po’ frastornati. Ma soprattutto non amano il digitale per la sua poca fruibilità: a cosa serve scrivere se poi non ci si può avvolgere il pesce?
Non volendo la libera enciclopedia fa informazione anche quando non è raggiungibile: smaschera l’idiozia.

Legge Bavaglio, ovvero stupidità al Potere. - di Peter Gomez.






Il voto alla Camera di Pdl e Lega sulla legge bavaglio più che un attentato alla libertà d’informazione (che c’è, ed è grosso come una casa), rappresenta una fotografia perfetta della stupidità e dell’ignoranza dei nostri governanti. E dimostra come davvero la maggior parte dei frequentatori di Montecitorio e Palazzo Madama utilizzi la Rete, i Pc e gli IPad solo per giocare a carte o visitare siti raffiguranti immagini di belle signorine.

Mentre il Titanic Italia viaggia spedito vesto il disastro, i nostri eroi hanno infatti deciso che qualsiasi tipo d’intercettazione potrà essere pubblicata solo dopo un’udienza filtro nel corso della quale accusa e difesa decideranno cosa tenere e cosa buttare al macero. Cioè dopo anni dall’inizio di un’indagine.

Anche quando i colloqui saranno riportati all’interno di un’ordinanza di custodia cautelare, il giornalista non potrà né riprodurli, né citarli, né riassumerli. Se lo farà scatteranno sanzioni pesantissime per lui e per l’editore. Si arriverà così al paradosso di leggere articoli in cui si racconta che Tizio è stato arrestato per estorsione, per traffico di droga o per tangenti, senza però poter capire il perché. O almeno senza essere in grado di farlo quando l’inchiesta è basata anche su intercettazioni.

Se poi un avvocato vorrà pubblicizzare dei colloqui agli atti che, secondo il suo punto di vista, dimostrano l’innocenza del proprio assistito si vedrà la strada sbarrata. I movimenti di opinione che spesso servono per difendere gli indagati da eventuali soprusi da parte dell’autorità giudiziaria insomma non avranno più spazio.

Chiunque abbia un po’ di dimestichezza con il web può capire che questa norma, ideata per evitare che gli elettori vengano a conoscenza dei comportamenti della classe dirigente più corrotta e inefficiente d’Europa, è però destinata a rivelarsi non solo inutile, ma addirittura pericolosa e controproducente (sopratutto dal punto di vista del Palazzo).

Vediamo perché.

Nella maggior parte dei casi i documenti giudiziari (intercettazioni comprese) che finiscono sui giornali, o che vengono riassunti dalla stampa, sono pubblici. Si tratta di atti non più coperti da segreto che vengono consegnati alle parti (agli avvocati e agli indagati) in occasioni di perquisizioni, arresti, tribunali del riesame. Sono insomma carte che possono circolare liberamente, visto che in Italia il segreto istruttorio è stato abolito nel 1989 e oggi l’unico segreto rimasto in vigore è quello investigativo.

Ora immaginatevi cosa accadrà in casi come quelli di Giampaolo Tarantini, il giovane imprenditore di Bari sotto inchiesta per favoreggiamento della prostituzione e arrestato perché accusato di aver ricattato Silvio Berlusconi. Le indagini su di lui si basano principalmente su intercettazioni: colloqui ritenuti rilevanti dai magistrati al punto di essere riprodotti nelle ordinanze di custodia o negli atti depositati per chiederne il rinvio a giudizio.

Quando il Bavaglio sarà in vigore i giornalisti continueranno a ritrovarsi in mano le trascrizioni delle sue chiacchierate, le potranno far leggere ai loro amici, o consegnarle in copia al loro portinaio, vicino di casa o edicolante (e nessuno li potrà perseguire per questo). Per legge però non le potranno nemmeno citare di sfuggita nei loro articoli. E non lo potranno fare anche se sono dievidente interesse pubblico (abbiamo un premier ricattato? oppure il nostro presidente del Consiglio paga testimoni e indagati per evitare che venga fatto il suo nome davanti ai giudici?). E lo stesso succederà in inchieste per tangenti (vedi quelle sulla cricca del G8), sulla malasanità (vedi clinica degli orrori) e via dicendo.

Ebbene c’è qualche parlamentare del centrodestra, ancora in grado di usare il cervello, convinto che le ordinanze di custodia cautelare e le intercettazioni alla base di queste inchieste, una volta depositate, non finiranno per essere pubblicate sul web da testate estere o da siti anonimi magari ospitati da inaccessibili server situati in Paesi off shore? L’esperienza di Wikileaks non ha insegnato nulla ai nostri astuti legislatori?

Evidentemente no. Perché se avesse insegnato qualcosa almeno alla Camera sarebbe stata fatta un’ulteriore riflessione. Qualcuno avrebbe, per esempio, ragionato su un fatto: oggi non tutti i documenti raccolti nelle redazioni dei giornali finiscono in Rete o in pagina.

Lo dimostra, tra l’altro, un caso che lor signori dovrebbero conoscere bene: l’inchiesta sui furbetti del quartierino. Nel 2005 quando le intercettazioni evidenziarono di che pasta fosse fatto il governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, e quali manovre politico-finanziarie si giocassero intorno alle banche, i cronisti non pubblicarono i colloqui – anche molto divertenti – tra alcuni protagonisti delle scalate e le loro rispettive amanti. La storia d’interesse pubblico era infatti quella sui ladrocini, non quella delle eventuali corna di un gruppo di manager. E quando un quotidiano mise in pagina un sms (piuttosto innocuo, per la verità) tra i novelli sposi Anna Falchi e Stefano Ricucci, fu punito con una multa salata da parte del Garante della privacy. Un provvedimento che servì a ricordare a tutti cosa prevede la deontologia professionale di chi scrive.

Essere giornalisti infatti vuol dire saper raccontare storie (vere) selezionando e gerarchizzando i fatti. Non tutto è una notizia. E non tutto ha interesse pubblico. Lo spazio di un articolo, giornale o di un tg non è infinito. Per questo bisogna saper scegliere, con onestà e correttezza, cosa mandare in stampa e cosa no. I lettori poi valuteranno i giornalisti anche sulla base di questa loro capacità. E se qualcuno si riterrà diffamato, o riterrà violata la propria privacy, potrà chiedere (e ottenere se ha ragione) un risarcimento.

Difficile però pensare che domani, con la legge Bavaglio in vigore, le maglie di questa selezione non si allarghino: con la prospettiva evidente che sul web ci finisca davvero di tutto.

Sia perché il concetto di privacy varia da paese a paese (ricordate le foto di villa La Certosa messe on line da El Pais e invece finite sotto sequestro in Italia?), sia perché nel caso di documenti o articoli pubblicati da siti per così dire anonimi, il pericolo è che i criteri di scelta vengano a mancare. L’opacità, la non trasparenza favorisce infatti la deresponsabilizzazione.

Per questo il Bavaglio, come tutte le leggi ingiuste, è stupido. E diventa la cartina di tornasole che permette anche di capire perché il nostro Paese sia ormai passato dal declino alla decadenza. Una classe dirigente capace d’ideare norme del genere, non può che essere sulla tolda di comando di un Titanic. Che non cambierà rotta. Fino al naufragio.

Ps: Ma cosa faremo noi de Il Fatto e de ilfattoquotidiano.it? Non lanceremo il sasso nascondendo la mano. Non utilizzeremo l’anonimato. Di questo i lettori possono starne certi. Di fronte a intercettazioni che sono notizie, le pubblicheremo. Sopportando tutte le conseguenze e ricorrendo davanti a ogni tribunale: dalla Corte Costituzionale fino ai giudici di Strasburgo. Insomma, come avevamo già scritto il 2 aprile del 2010, la nostra sarà disobbedienza. Disobbedienza civile.



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