domenica 30 ottobre 2011

Rottamatori del Pd, scintille a sinistra Renzi: “Candidato alle primarie? Vedremo”. - di Sara Frangini



Al "Big Bang" della Leopolda, il sindaco di Firenze risponde agli attacchi di Vendola e Bersani, ma cerca di smorzare le polemica: "E' il governo in mano a Scilipoti il vero problema dell'Italia". Circa 6.500 i partecipanti, arrivano anche Chiamparino e Parisi, ritorna Civati: "Mi sento a casa". Si fanno vedere anche manager e imprenditori, tra i quali Gori, Campo Dall'Orto e Chicco Testa. 



“Non sono vecchio, ero all’università quando Vendola insieme a Bertinotti mandava a casa il governo Prodi”. La prima stoccata Matteo Renzila riserva al leader di Sel, che nel pomeriggio a Radio 24 aveva definito il rottamatore “vecchio culturalmente e politicamente più di me e diBersani”, una persona “con una cultura politica essenzialmente di destra”. Il secondo colpo invece è tutto per il segretario del Pd che “dovrebbe ascoltare attentamente le nostre voci. Non so se segue la diretta streaming – dice Renzi – me lo auguro, ma non siamo asini e a Bersani dico che se mettersi a disposizione significa stare dietro al capo di una corrente rispondo no, grazie”. Dopotutto, nel suo intervento al Big Bang organizzato all’ex stazione Leopolda di Firenze, un sassolino dalla scarpa Renzi se l’è voluto togliere perché la stoccata allusiva, lanciata da Napoli (“i giovani non devono scalciare”) non poteva cadere nel nulla.

A fuoco Renzi risponde con fuoco e non si fa trovare spiazzato: ne ha per tutti. Anche se sembra più deluso dal governatore pugliese. “Vendola è stato davvero ingeneroso, dovrebbe ascoltare quello che sta avvenendo qui”, dove non c’è stata “nessuna polemica, nessuna contrapposizione”. Il quadro del Pd  che esce fuori dal secondo giorno della manifestazione è piuttosto critico. Le dichiarazioni e i commenti, con frasi più o meno sibilline, lo lasciano intendere chiaramente. Altro elemento di rottura è la risposta di Renzi sulla sua candidatura alle primarie, che non esclude in modo categorico. “Non mi candido, si candidano le idee, poi vediamo che succede…”. E’ quel “poi vediamo che succede” che non convince i bersaniani che vorrebbero il leader del Pd come candidato naturale. Si è invece candidato l’ex sindaco di Torino Sergio Chiamparino, mentre a portare sostegno all’inziativa è arrivato lo storico esponente prodiano Arturo Parisi

All’incontro con la stampa, infatti, la domanda è sempre la stessa e viene posta più volte. Renzi però tenta di spostare la barra sui contenuti, sulle “tantissime proposte interessanti e suggestive che formeranno i cento punti del Wiki-Pd. Noi facciamo proposte concrete – ha ribadito – come abolire il valore legale del titolo di studio e i finanziamenti ai partiti. O dimezzare il numero dei parlamentari”. Ed è questo il messaggio che il sindaco di Firenze intende far passare, sottolineando anche con chiarezza quali sono le sue posizioni su altri temi caldi. Come le pensioni. “Sono favorevole – ha detto – a valutare una riforma seria delle pensioni. E’ naturale andare in pensione due anni più tardi e il problema non è questo, ma che cosa ci viene dato in cambio”.

Renzi ha mostrato il suo lato showman, ripescando una battuta in stile bersaniano a proposito dei lavoratori dell’azienda di trasporti Ataf e dei cittadini che stamani hanno manifestato davanti ai cancelli della Leopolda. “Sono felice che siano venuti qui a manifestare, riconoscono l’importanza di questo evento”, perché “non stiamo mica qui a schiacciare i punti neri alle coccinelle, come direbbe il guru Bersani”. Nonostante l’evidenza e le tensioni politiche tra le fila dei democratici, il problema però, secondo Renzi non è nel Pd ma fuori. “Finché il governo è in mano a Scilipotiche cosa possiamo fare? Questo è il vero problema dell’Italia”. Altro che Pd, quindi, al quale invece “serve parlare di cose concrete come stiamo facendo qui, dove si respira un’aria positiva e dove vivo un sentimento di responsabilità notevole verso tante donne e tanti uomini che non possiamo deludere”. Dopotutto le presenze all’evento sono “molti più dello scorso anno” precisa il rottamatore che sciorina i numeri: 6500 persone a oggi.

Alla Leopolda è arrivato – cosa tutt’altro che scontata – anche Giuseppe Civati, il consigliere regionale lombardo del Pd che aveva battezzato i rottamatori con Renzi, ma poi se n’era distaccato per differenti visioni politiche. “Mi sento ancora a casa mia”, ha esordito sul palco Civati. “Un consiglio al partito, dobbiamo portare una nuova generazione al governo di questo paese, facciamolo tutti insieme. Io e Matteo siamo nati nel 1975 e quelli che litigavano allora sono gli stessi ache litigano ancora oggi”. Agli elettori “dobbiamo dare un messsaggio differente, portiamo a Palazzo Chigi una nuova generazione e facciamolo con il Partito democratico, lasciando perdere i personalismi. Le sfide che abbiamo di fronte sono più grandi di noi, la battaglia dei Gormiti lasciamola fare ai bambini: adesso abbiamo altro da fare”.

I lavori al Big Bang sono andati spediti ed è stato un via vai continuo di amministratori arrivati, per l’occasione, da tutta Italia. Nel pomeriggio è toccato a Federico Talè, sindaco di Mondavio, in provincia di Pesaro, riaprire la carrellata di interventi. Talè ha parlato di moralità e dello scandalo della compravendita dei parlamentari, delle risposte che in queste condizioni non riesce a dare ai cittadini, della bellezza della politica che è da salvare. “La politica non è più credibile” ha attaccato invece Diego Guerrini, sindaco di Gubbio, manifestando un “sentimento di rabbia” per “chi vive di politica”, per i privilegi. “Mi piacerebbe che nel nostro partito non esistesse il principio di deroga – incalza – e che tutti i parlamentari dopo due mandati andassero a casa”. La “necessità di una attenzione primaria alle politiche ambientali, risorsa sottovalutata da tutti i partiti” arriva dal neosindaco di Pollica, Stefano Pisani, eletto quale successore di Angelo Vassallo ucciso lo scorso settembre.

Si sono presentati alla kermesse fiorentina, oltre ai 250 giornalisti accreditati e agli amministratori, i manager televisivi Giorgio Gori di Magnolia e l’amministratore delegato di Telecom Italia Media Antonio Campo Dall’Orto, oltre a vari imprenditori tra i quali Nerio Alessandri di Technogym, Fabrizio Landi, amministratore delegato di Esaote, oltre al nuclearista Chicco Testa, la cui presenza ha suscitato qualche mugugno tra i più critici.

“Libertà di licenziare, rischio autunno caldo” Fini attacca il governo e stronca Bossi.




Duro intervento del presidente della Camera al congresso toscano di Fli. Toni da campagna elettorale: esecutivo "irresponsabile" sul lavoro, mentre il federalismo della Lega è "un inganno fallimentare". Sì alla patrimoniale, "il Pdl non è un club di milionari". La replica di Crosetto: "Umilia il suo incarico istituzionale".

Gianfranco Fini tira fendenti al governo, al Pdl e alla Lega. Un discorso tutto politico, con toni da campagna elettorale, nel giorno in cui i riflettori mediatici sono puntati sulla convention dei “rottamatori” del Pd. E in una fase nella quale le elezioni anticipate sono un’ipotesi concreta, dato lo scontento sempre meno sotterraneo che alberga nella compagine berlusconiana.

Il presidente della Camera, intervenuto a Firenze al congresso regionale di Fli, ha attaccato innanzitutto la “libertà di licenziare”, cioè un punto di forza delle ultime proposte anticrisi dell’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi. “Se si tende soltanto a favorire la possibilità di licenziare, corriamo il rischio di veder moltiplicare il tasso di disoccupazione che da qualche anno a questa parte sta crescendo e che riguarda in particolare un’area del Paese”, ha affermato. “Mi auguro che il governo non sia così irresponsabile da non confrontarsi con le parti sociali e con le categorie economiche, per tutelare non solo le imprese ma anche per farle crescere e competere”. In caso contrario, “si rischia un autunno caldo che ci farebbe tornare indietro”.

Sempre in tema di economia, il presidente della Camera ha sostenuto l’ipotesi di un’imposta patrimoniale, in modo molto polemico verso il partito di cui è stato cofondatore, e contro lo stesso Berlusconi: “Nel Pdl non si rendono conto di quanto sia ingiusto dire che non si può mettere una tassa patrimoniale, facendo salva la prima casa, come continua a dire il presidente del Consiglio, perché questo colpirebbe i loro elettori di riferimento”. E ancora: “”Il Pdl non è un club di milionari”. In un momento di crisi così grave, ha continuato Fini, l’Italia “merita di più delle divisioni tra gli amici di Berlusconi e chi lo vuole abbattere”.

Ce n’è anche per l’altro ex alleato, la Lega di Umberto Bossi, toccata nel vivo sull’”inganno” del federalismo. “Bossi non può presentare l’utopia fallimentare del federalismo, che si è rivelato un clamoroso inganno”, ha attaccato Fini. “Il suo federalismo ha fatto moltiplicare le tasse: oggi i cittadini e gli imprenditori pagano le tasse come mai le hanno pagate prima”. Non è tutto: “Se la Lega rilancia la bandiera stinta della secessione è solo perché non può presentare un bilancio positivo ai suoi elettori. Rispolverare la bandiera inesistente dell’identità padana altro non è che la manifestazione di un fallimento”.

La sintesi finale chiama in causa tutta la compagine di governo, e di nuovo l’ottimista a oltranza Berlusconi: ”Per mesi e mesi si è autocelebrato quotidianamente il rito dell’Italia che reggeva la crisi. Non era vero. L’Italia non è il paese dei balocchi. La crisi si è fronteggiata e si fronteggia tenendo i conti pubblici sotto controllo, cosa indispensabile, ma sarebbe stato meglio non aver negato per troppo tempo la necessità di farlo”.

I toni usati dalla terza carica dello Stato suscitano la reazione dle centrodestra: “Fini ha ragione, l’Italia merita di più”, ironizza il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto. “Merita qualcosa meglio di un presidente della Camera che ogni giorno umilia la sua carica istituzionale asservendola a quella di partito”. E snocciola una lunga serie di predecessori che nel loro mandati si sono mantenuti imparziali: Schifani, Bertinotti, Pera, Violante, Casini, Iotti, Spadolini, Pivetti, oltre all’attuale presidente del Senato Renato Schifani. “Lui dovrebbe fare altrettanto – ammonisce Crosetto – oppure dovrebbe avere la serietà, ben comprendendo che nessun altro nel suo partito è in grado di portare consenso a Fli, di ritornare a tempo pieno all’attività politica”.


La meglio gioventù con le mani nel fango di Monterosso. - di NICCOLO' ZANCAN


I giovani volontari all'opera per ripulire Monterosso


Da tutta Italia per un aiuto concreto, come i loro coetanei nella Firenze alluvionata nel '66

NICCOLO' ZANCAN
INVIATO A MONTEROSSO

L'arrivo in traghetto La vita vince sempre. Per quanto sia retorico, succede ogni volta. Ti sorprende quando tutto sembra perduto, e in particolare in Italia, specialità della casa: emergenze, rinascite. Prima lacrime, poi sudore e generosità. Succede quando Giulia, Eliana, Federico e Lorenzo escono di casa alle nove del mattino. Hanno diciotto anni. E invece di godersi le scuole chiuse sulla spiaggia di Levanto - c’è ancora un sole caldo, turisti tedeschi, bambini e cani - aspettano un piccolo traghetto al molo. Hanno preso tutto quello che serve: focaccia, stivali, una maglietta di ricambio. Oggi vanno a Monterosso, perché Monterosso ha bisogno d’aiuto. Arrivano in tanti. Hanno facce stupende. Voci ancora acerbe, ma sogni concreti.

«Fare il cuoco». «Vorrei diventare capitano di lungo corso sulle navi». «Io vorrei fare la traduttrice». «A me piacerebbe diventare insegnante d’asilo, se si può...». Loro non lo sanno, ma questa colazione in mezzo al mare ha un gusto che non dimenticheranno più. Si mischierà per sempre anche l’odore schifoso del fango, ma non importa. Sono la meglio gioventù. Monterosso vuole rinascere. Prova a farlo anche grazie alle braccia esili di Giulia, pallida e senza esitazioni: «Non mi piace restare a guardare un disastro simile alla televisione». Tiziano, 17 anni: «Sarò un geometra. Magari un architetto». Francesco: «La mia aspirazione è iscrivermi a Ingegneria». Greta: «Io voglio aiutare i disabili». Damiano: «Studio all’alberghiero, poi non so». Intanto sono insieme, e per tutti si tratta di spalare.

Manca l'acquaIl fango è ovunque, non sai dove metterlo. Ti si attacca ai vestiti, impasta i capelli. Manca l’acqua. Non si riesce a pulire. Si può solo togliere il grosso. Ma il centro del paese di Monterosso è un autentico spettacolo. Tutto è in movimento. Uno sforzo umano perpetuo fra le casette rosse.

I sogni di futuro Andrea spazza la chiesa. Maria aiuta a sgomberare il bar. Svuotano i negozi. Francesco porta la carriola gialla fino alla montagna di fango. Avanti e indietro. E in mezzo ai ragazzi, le ruspe in manovra, gli alpini di Fossano, i volontari della protezione civile, carabinieri e residenti. Uno scambio continuo di urla e cenni d’intesa, per non finire triturati nella macchina dei soccorsi.
C’è il dottor Francesco Tani, direttore sanitario del distretto 17, con sulle spalle una bombola di ossigeno. C’è Matteo, 19 anni, da Quiliano: «Sono qui per aiutare. Da grande vorrei fare l’idraulico». Nella piazzetta hanno allestito una cucina da campo. In genere serve per una sagra di mezza estate: oggi sfama il paese intero. Il pomodoro condito è buonissimo, dopo giorni di pasta e panini. I cuochi si chiamano Carlo e Saverio. Stanno facendo il sugo con i gamberi di un ristorante costretto a scongelare tutte le scorte. Rumore di cingoli. Sugo di pesce.

Marco che fa avanti e indietro da casa sua portando caffettiere bollenti. I ragazzi con gli stivali mangiano in piedi, a piccoli gruppi. Qualcuno si abbraccia. Poi tornano a spalare. Ogni minuto succede qualcosa, anche se non è facile vederlo. Forse sul cumulo di detriti davanti alla chiesa, per esempio, sta nascendo un amore. I due spalatori volontari si sono appena dati la mano per presentarsi, molto eleganti nel disastro generale, ora sorridono e svangano. Tutti i ragazzi si assomigliano. Per i vestiti senza marchi. Per i capelli spettinati. Però alcuni hanno uno sguardo diverso. Sono quelli che non si fermano nemmeno per una fotografia. Sono i giovani di Monterosso.
«Grazie davvero - dice Giammarco Giuntini, 23 anni, barista nella zona è bello vedere tanta solidarietà. Non lo dimenticheremo». Milleduecento residenti più altri mille, fra volontari e soccorritori. Il paese brulica sotto al sole. «E qualcuno osa ancora criticare i giovani d’oggi...» dice il vicesindaco Marisa Cebrelli. Dai discorsi è quasi scomparso il racconto dell’accaduto. Non c’è tempo. Si parla di come risolvere i singoli problemi. Tutti in preda a una specie di febbre. Cosa fare, per esempio, dei banchi della chiesa? Li portano fuori, cercano di pulirli, poi li mettono al sicuro, mentre altri combattono con il pavimento.

Il volontario scomparso All’improvviso arriva una notizia. «Hanno trovato Sandro!» «Sì, hanno avvistato Sandro al largo di Rio Maggiore». «Davvero?». Un anziano scuote la testa: «Le correnti...». Ma non è vero. Non l’hanno ancora trovato. Hanno scambiato un tronco in mezzo al mare - scaricato giù dall’alluvione - per il corpo di Sandro Usai, 38 anni, ristoratore e volontario del Comune di Monterosso. Martedì era andato ad aprire i tombini, quando l’onda di piena si è presa le strade. Subito si ricomincia a spalare. Al molo sta attraccando un’altra barca. Scaricano bottiglie d’acqua, pane, caffè e altri ragazzi con gli stivali di gomma. Che il dio delle belle speranze abbia cura dei loro sogni.



sabato 29 ottobre 2011

Mandalà mi disse, 'abbiamo Schifani, socio e amico di mio padre'. - di Giuseppe Lo Bianco



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In giacca e cravatta, ed in buon italiano, l'uomo che accudi' Provenzano racconta nell'aula bunker i rapporti tra mafia e politica, chiamando in causa il presidente del Senato, incensurato, il ministro Romano, imputato di concorso esterno alla mafia e il pluricondannato Dell'Utri. E riscrive la storia delle stragi: ''Uccidendo Falcone Riina fece un favore ad Andreotti''. 

di Giuseppe Lo Bianco  
Salvo Lima ucciso perche’ si era opposto alle stragi , eseguite per fare un favore ad Andreotti (‘’che aveva garantito Riina per una vita’); Dell’Utri il suo successore, Ciancimino ‘’probabilmente assassinato’’,Provenzano latitante protetto grazie ad un accordo con Cuffaro (‘’il ministro sardo che lo avverti’ se la fece franca’’) e gli ‘amici degli amici’ piazzati fin dentro i vertici dello Stato: ‘’Stai tranquillo, abbiamo l’amico e socio di mio padre Renato Schifani e il paesano di mio parrino Ciccio, Saverio Romano’’.

Le ultime rivelazioni sui misteri delle stragi e sul rapporto mafia-politica arrivano dall’aula bunker dell’Ucciardone di Palermo dal neo pentito Stefano Lo Verso e aggiungono altre accuse nei confronti della seconda carica dello Stato - in questi giorni indicato come papabile guida di un governo di transizione - dopo quelle mosse dal pentito Gaspare Spatuzza. Schifani ha dato mandato ai suoi legali di querelare il pentito, Dell’Utri ha reagito dicendo che le parole di Lo Verso non meritano altro che una risata’’, Romano le aveva definite ‘’ragli d’asino’’.

Schifani, Dell’Utri e Romano sono i nomi di maggior spicco di esponenti politici accusati di relazioni pericolose con le cosche chiamati in causa ieri mattina in aula dall’ex autista (e prima postino) di Provenzano, che ha deposto protetto da un paravento di tipo sanitario per quasi quattro ore nel processo per la mancata cattura del boss corleonese in cui sono imputati gli ufficiali dei carabinieri Mario Mori e Mauro Obinu. Proprio Provenzano, nel gennaio del ’94, mentre Lo Verso lo ospitava a casa di sua suocera, a Ficarazzi, gli avrebbe affidato una serie di confidenze sui misteri della stagione delle stragi: ‘’mi disse di non aver paura perche’ lui era protetto da un alto esponente dell’Arma, aggiunse che la verita’ sulle stragi la conoscevano in cinque, lui, Riina, Andreotti, Lima e Ciancimino, che Dell’Utri aveva contattato i suoi uomini, che Lima non avrebbe sopportato la conoscenza della verita’ e per questo e’ stato assassinato.

Una verita’ che lo Stato conosce’’. E sulle stragi ha rivelato di essere stato interrogato anche dai pm diCaltanissetta Nicola Marino e Stefano Luciani, ai quali ha rivelato i colloqui in carcere con Cosimo Vernengo, ergastolano innocente di via D’Amelio insieme al cognato Franco Urso, per i quali la procura generale ha chiesto la revisione. Molto preciso e dettagliato quando racconta degli equilibri politico mafiosi sul territorio (‘’appoggiammo Ciccio Musotto alla presidenza della provincia, andava in auto, una  Audi 100, conPietro Lojacono’’), Lo Verso e’ apparso riscrivere la storia delle stragi del ’92 indicando Andreotti come il grande vecchio stragista, al punto che il presidente Fontana gli ha chiesto se Provenzano avesse avuto con lui un tono ironico. Non ci crede neanche Giovanna  Maggiani Chelli, presidente delle vittime di via dei Georgofili, che chiosa: ‘’Andreotti dopo il 1980 è stato assolto da reati di mafia e nominarlo non porta da nessuna parte. Certo che lo Stato  sa chi ha “voluto” le stragi insieme alla mafia, ci mancherebbe altro che non lo sapesse. Ma come tutti sappiamo benissimo,  c’è una “Ragion di Stato” che vola sopra ogni tipo di morti’’.  Lo Verso si e’ presentato in giacca e cravatta, come un normale impiegato, e in buon italiano ha snocciolato la sua storia di picciotto in carriera a Ficarazzi, un centro a pochi chilometri da Palermo, tra boss e politici, rancori e tradimenti, fedelta’ e vendette, nella costante paura di ‘’finire in un burrone’’, come gli disse una volta Ciccio Pastoia, se non avesse obbedito agli ordini.  Il suo sogno era diventare autista al ministero della Giustizia, ma quando chiese un appoggio per superare la seconda prova del concorso i suoi referenti gli dissero che non avevano ‘’amici in quegli ambienti’’.  Comincio’ cosi’ la sua carriera dentro Cosa Nostra che lo porto’ a stretto contatto con Provenzano, accudito da gennaio 2003 al 19 settembre del 2004, ‘’l’ultima volta che lo vidi’’.

Lo descrive come una persona umile, con tre croci al collo e una passione per l’acqua benedetta e le citazioni ad effetto: ‘’meglio uno sbirro amico che un amico sbirro’’, gli disse il boss. Si e’ pentito quest’anno e ha spiegato cosi’ le ragioni: “Avevo paura di morire – ha detto- ma ho messo in conto che almeno i miei figli non sarebbero stati figli di un mafioso. Non c’è futuro per i mafiosi”. E ha chiesto di parlare con il pm Nino Di Matteo, ‘’l’unico che non mi poteva tradire’’’. E quando gli chiedono perche’ ha atteso cinque mesi prima di fare i nomi dei politici ha risposto: ‘’volevo farli in aula, su questi argomenti si muore’’.




Il debito pubblico italiano, quando e chi lo ha formato. Giorgio Arfaras*

Il debito pubblico in Italia

Governo dopo governo, dagli anni Cinquanta a oggi, come si è evoluto il rapporto percentuale debito pubblico/Pil nel nostro Paese? Perché si è formato questo debito? Quali le responsabilità? Infografica con una analisi di Giorgio Arfaras, direttore della Lettera economica del Centro Einaudi.

Il debito pubblico, che si manifesta come le obbligazioni emesse dal Tesoro, si forma perché le spese dello Stato sono maggiori delle sue entrate – il deficit pubblico. La differenza, se non è finanziata con l’emissione di moneta, è coperta con l’emissione di obbligazioni. Si deve perciò andare alla ricerca della fonte: come si è formato il deficit.
Più o meno tutti i Paesi sviluppati hanno visto crescere smisuratamente la spesa pubblica a partire dagli anni Sessanta. Quelli che hanno registrato una crescita delle imposte non troppo distante dalla crescita della spesa, hanno oggi dei debiti contenuti. Altri, invece, hanno speso velocemente, con le imposte che crescevano lentamente. Da qui i grossi deficit, che cumulati, hanno prodotto un gran debito.
La spesa pubblica si divide in spesa pubblica “per lo Stato minimo”, e in quella “per lo Stato sociale”. La prima finanzia la polizia, i magistrati, i soldati. Ossia l’ordine, la giustizia, la difesa. La seconda finanzia i medici, gli infermieri, le medicine, gli insegnanti, ecc. Ossia l’istruzione e la salute. Le pensioni sono ambigue, perché sono pagate – attraverso un apposito organismo – a chi è in pensione da chi lavora, quindi sono un trasferimento, non proprio una spesa.
Premesso ciò, la spesa per lo stato minimo è rimasta all’incirca la stessa nel secondo dopoguerra, mentre è esplosa quella per lo stato sociale. Ed è qui il punto. Quest’esplosione è avvenuta in tutti i Paesi europei. Negli Stati Uniti un po’ meno, ma non troppo meno, se si fanno dei conti sofisticati. Dunque non è un fenomeno solo italiano. O meglio, l’Italia spende più di alcuni altri Paesi, ma non “troppo di più”. Il punto è che ha incassato di meno per troppo tempo. (I conti comparati sulla spesa pubblica per lo stato minimo e per quello sociale vanno fatti escludendo la spesa per interessi sul debito, che è il frutto del cumularsi dei deficit nel corso del tempo e non della spesa corrente).
Abbiamo così a che fare con un fenomeno storico. Se abbiamo a che fare con un fenomeno storico, allora la crescita del debito non è attribuibile – se non in minima parte – a un bravo o cattivo presidente del consiglio dei ministri. Il protagonista è il “Processo” e non l’“Eroe”.
In conclusione, l’Italia ha speso più di quanto incassasse per troppo tempo, e si trova oggi ad avere un gran debito pubblico. Fino a quando ha speso più di quanto incassasse? Fino a prima dell’ultimo governo Andreotti. Il conto è fatto guardando la spesa pubblica meno le entrate prima del pagamento degli interessi (il saldo primario). Intorno al 1990 il bilancio dello Stato va in pareggio prima del pagamento degli interessi. In altre parole, non genera un nuovo deficit prima di pagare gli interessi sul cumulato dei deficit prodotti nel corso della storia (il debito).
Da allora il saldo primario è stato o in avanzo, o in leggero disavanzo. Il deficit è stato il figlio del pagamento degli interessi sul debito cumulato. I deficit solo finanziari hanno però prodotto altro debito. La crescita economica (la variazione del PIL) non è mai stata troppo robusta, e perciò il rapporto debito su Pil o è rimasto stabile, o è appena sceso, o è cresciuto. Ultimamente il rapporto è cresciuto molto, perché il PIL (il denominatore) è caduto molto nel biennio 2008/2009 e non si è ancora ripreso.
*Direttore di Lettera economica del Centro Einaudi.

Cgia Mestre: disoccupazione all'11% con le nuove norme sui licenziamenti.




Secondo le stime dell'associazione degli artigiani, in questi mesi di crisi, le promesse fatte alla Ue avrebbero fatto salire di quasi 3 punti percentuali il numero dei senza lavoro. Il ministero del lavoro ribatte: "Tesi senza fondamento, con nuove regole più occupazione".


MILANO - Se una normativa che rendesse più semplici i licenziamenti fosse stata applicata durante gli anni della crisi economica il tasso di disoccupazione in Italia sarebbe salito all'11,1%, anzichè essere all'8,2% attuale, conquasi 738 mila persone senza lavoro in più rispetto a quelle conteggiate oggi dall'Istat. È lo scenario delineato dall'associazione artigiani Cgia di Mestre, secondo quello che il segretario Giuseppe Bortolussi definisce "un puro esercizio teorico" ottenuto "ipotizzando di applicare le disposizioni previste dal provvedimento sui licenziamenti per motivi economici a quanto avvenuto dal 2009 ad oggi".

Nella simulazione della Cgia è stato calcolato il numero dei lavoratori dipendenti che tra l'inizio di gennaio del 2009 e il luglio di quest'anno si sono trovati in Cig a zero ore. Vale a dire i lavoratori che sono stati costretti ad utilizzare questo ammortizzatore sociale del quale, con il nuovo provvedimento - secondo la Cgia - potranno disporre probabilmente solo a licenziamento avvenuto. Pertanto, se fosse stata applicabile questa misura segnalata nei giorni scorsi dal Governo all'Ue, negli ultimi due anni e mezzo, questi lavoratori, che hanno usufruito della Cig, si sarebbero trovati, trascorso il periodo di "cassa", fuori dal mercato del lavoro.

Secondo la stima della Cgia, sommando le Ula (Unità di lavoro standard) che hanno utilizzato la Cig a zero ore nel 2009 (299.570 persone). Nel 2010 (309.557) e nei primi sette mesi di quest'anno (128.574), si ottengono 737.700 potenziali espulsi dal mercato del lavoro che in questi ultimi due anni e mezzo avrebbero fatto salire il tasso di disoccupazione relativo al 2011, all'11,1%.


Ma il ministero del Lavoro ribatte: l'ipotesi del centro studi della Cgia di Mestre, "guidato dal candidato del centrosinistra alla Presidenza della Regione Veneto", sull'aumento della disoccupazione a fronte di norme di semplificazione sui licenziamenti "è destituita di ogni fondamento", si legge in una nota del ministero del Lavoro secondo la quale le simulazioni sulla maggiore flessibilità in uscita anche realizzate a livello internazionale "danno più occupazione".  "Ciò che l'Unione europea chiede all'Italia è una combinazione di maggiore flessibilità nella risoluzione del rapporti lavoro e di maggiore protezione del lavoratore. Tutte le ipotesi di adempimento di questa richiesta sono quindi rivolte a consolidare il sistema di ammortizzatori sociali, a partire da tutte quelle situazioni nelle quali può essere conservato il posto di lavoro attraverso la cassa integrazione e gli accordi collettivi che è intenzione del governo ancor più incoraggiare", precisa la nota.

L’Euro e la (lucida?) follia di Berlusconi. - di Peter Gomez.







Adesso rischiamo davvero grosso. Il naufragio è realmente più vicino. Mentre con l’ultima asta dei Btp l’interesse sui titoli di Stato schizza al livello record del 6,06%, il Titanic Italia resta pilotato da un uomo (che appare) ormai in avanzato stato confusionale. Da un premier (che non sembra) più in grado di soppesare le conseguenze delle proprie affermazioni.

Prima il presidente del Consiglio boccia l’Euro durante un discorso davanti alla platea degli Stati Generali del commercio estero.

Lì davanti alle telecamere dice testualmente che “l’attenzione sull’Italia deriva dal fatto che c’è un attacco all’Euro che non ha convinto nessuno come moneta. E in effetti è una moneta un po’ strana, perché è una moneta non di un solo Paese, ma di tanti Paesi messi assieme, che però non hanno un governo unitario dell’economia, e che non ha alle sue spalle una banca di riferimento e di garanzia. È un fenomeno che non si era mai verificato e quindi l’Euro di per sé si presenta come moneta attaccabile dalla speculazione internazionale”.

Poi quando esplodono le polemiche, e il Quirinale va su tutte le furie, innesta un’incredibile, main realtà solo parziale, marcia indietro“Come al solito”, scrive in una nota , “si cerca di alzare pretestuose polemiche su una mia frase interpretata in maniera maliziosa e distorta. L’Euro è la nostra moneta, la nostra bandiera. E’ proprio per difendere l’Euro dall’attacco speculativo che l’Italia sta facendo pesanti sacrifici. Il problema dell’Euro è che è l’unica moneta al mondo senza un governo comune, senza uno Stato, senza una banca di ultima istanza. Per queste ragioni è una moneta che può essere oggetto di attacchi speculativi”.

Ora il punto non è che Berlusconi conduca pubblicamente riflessioni sull’Euro, mischiandole  ai consueti attacchi alla magistratura e a tutte le istituzioni di controllo. Quello che ha detto su una moneta unica di uno Stato che non esiste è in parte vero. Non è però vero che l’Euro non abbia “mai convinto nessuno”. E soprattutto anche un broker alle prime armi capirebbe che prendersela con la valuta europea, mentre è in corso una tempesta finanziaria come questa, è un sistema sicuro per peggiorare ancora la situazione. Per spingere non solo l’Italia, ma l’intera Unione, se non verso il default, almeno verso una nuova ondata di speculazione. Proprio quello che a parole (ma non con i fatti) il premer sostiene di voler evitare.

Per questo è il caso di andare oltre le apparenze. E di ricordare che il centro-destra è da sempre anti-europeista e che Lega, più volte in passato, si è pubblicamente schierata per il ritorno alla lira, in modo da poter svalutare la moneta nella speranza di recuperare competitività. Nel 2005 l’allora ministro del welfare, Roberto Maroni, aveva persino proposto di far votare ai cittadini l’uscita dall’Euro.

Così oggi, nella mente di molti esponenti della maggioranza – e in quella di Berlusconi che si sente offeso da Merkel e Sarkozy -, sta riprendendo corpo l’idea di far saltare tutto facendo la guerra a Bruxelles. Di tornare, traumaticamente, ai tempi e alla valuta antica.

Che questa sia la soluzione giusta per un Paese al collasso è, per usare un eufemismo, del tutto opinabile (le materie prime e petrolio si pagano, tra l’altro, ancora in dollari). Ma il progetto piace. Parecchio. Sia a chi fa politica, che sulla battaglia contro la valuta unica e gli odiati euroburocrati può impiantare un’intera campagna elettorale. Sia a chi in questi anni ha fatto tanti, e spesso oscuri, affari.

Anche perché nei conti esteri dei paradisi off-shore i soldi vengono depositati in dollari. E senza l’Euro, o con un Euro debolissimo, per quei ricchi Paperoni, sarebbe davvero tutta un’altra musica.