L'eventuale candidatura in Parlamento non entusiasma tutti. Anzi. C'è che dice apertamente che sarebbe il caso di non farlo. E poi c'è da chiarire il ruolo di Grillo. Insomma, da gennaio potrebbe presentarsi un bivio. Cruciale.
Per alcuni un salto nel buio. Per altri larealizzazione di un sogno. Il Movimento cinque stelle si prepara a diventare grande, a passare dalle aule dei consigli comunali e regionali a quelle del Parlamento, tra lo scetticismo di alcuni e l’entusiasmo di altri. Dopo i successi alle ultime amministrative, il 2012 potrebbe essere l’anno della consacrazione politica. Un punto di non ritorno che fa paura agli avversari, ma anche agli stessi protagonisti, attivisti ed eletti. Perché sulla via che conduce a Roma tutto diventa più complicato: bisogna definire le posizioni su diversi temi d’interesse nazionale, chiarire le regole organizzative, il ruolo di Beppe Grillo, l’influenza dell’uomo ombra del Movimento Gian Roberto Casaleggio, e soprattutto capire come scegliere le persone giuste per evitare di assomigliare a “quegli altri”, i partiti tradizionali. Una serie di mosse che va fatta senza apparati e solide strutture alle spalle. Insomma, non proprio un gioco da ragazzi.
Dalle prime liste civiche di strada ne è stata fatta parecchia e piuttosto in fretta: 28 mila voti nel 2008, 390 mila nel 2010 (l’1,7%), consiglieri più che raddoppiati e oltre 100 mila iscritti nel 2011. Un balzo in avanti che preoccupa più di un avversario, a partire dal Partito democratico che più volte ha puntato il dito contro i seguaci di Grillo, accusandoli di essere la carta vincente del centrodestra.
L’ipotesi di una candidatura alle elezioni parlamentari era nell’aria da tempo, ma l’ufficializzazione è arrivata da Grillo meno di due mesi fa. L’11 novembre, con un governo Berlusconi ormai agonizzante, è lui stesso ad annunciare sul suo blog che il momento è propizio per provare ad approdare a Montecitorio. “Il MoVimento 5 Stelle parteciperà alle prossime elezioni politiche, che si terranno con tutta probabilità nel 2013, con la votazione diretta dei candidati da parte degli iscritti sul portale”. I sondaggi gli danno ragione. L’istituto Ipsos, che a fine dicembre ha analizzato le intenzioni di voto, dà il Movimento in crescita al 4,4%. E non è escluso che la cifra possa salire. I detrattori la chiamano demagogia e antipolitica, ma resta il fatto che gli eletti del Movimento in questi mesi hanno fatto della discussione in rete e della partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni in materie come acqua pubblica e costi della politica i loro punti di forza, gettando le radici di un consenso che domani potrebbe tradursi in un trionfo elettorale.
Crocevia di questo percorso è Bologna, la città che 2007 radunò oltre 50mila persone per il V-Day di Beppe Grillo. Partì da lì l’avventura politica di un Movimento di semplici cittadini, che ben presto avrebbe trovato nella “rossa Emilia” un successo senza precedenti. L’ultimo in ordine cronologico quello di Massimo Bugani, eletto consigliere di Bologna. “Da fuori ci vedono come vincenti, e c’è il rischio di attrarre persone che hanno come unico scopo quello di far carriera politica”. Trentatré anni, fotografo e prossimo al matrimonio, rientra tra coloro che immaginano il futuro del Movimento come un percorso a ostacoli. Per lui uno dei nodi più grossi da risolvere rimane la selezione dei candidati. “Fortunatamente non si è andati al voto anticipato e abbiamo ancora un anno per prepararci. Ma non sarà facile. Bisogna riuscire a mantenere vivo quello spirito che finora ha animato la nostra politica nei territori”. Quindi nessun leader e nessuna gerarchia: “Le liste dovranno essere composte da persone sconosciute”. Proprio come era lui qualche mese fa, prima di quelle amministrative che gli hanno fatto superare il 9%: “Essere inesperti non vuol dire essere incapaci. Se si viene meno a questo principio è finita”.
La definizione dei filtri per gli aspiranti parlamentari preoccupa non solo Bugani. È senza dubbio uno degli argomenti che più agita il dibattito interno e uno dei primi scogli da superare. Eppure alcuni criteri esistono già e sono quelli ribaditi da Beppe Grillo in un comunicato pubblicato a novembre sul suo blog: i candidati devono essere incensurati, non iscritti a partiti, non devono aver svolto due mandati e non devono essere in carica come consiglieri. L’idea è quella di organizzare delle primarie online, ossia votazioni sul portale del Movimento riservate ai soli iscritti.
Le frizioni sorgono però di fronte alle diverse interpretazioni. Ad esempio, c’è chi preferisce tradurre i due mandati nel limite dei 10 anni complessivi (aprendo quindi la strada anche a chi si è dimesso dopo pochi mesi) e chi invece non ammette deroghe di alcun tipo. La discussione dunque è complicata, e se di certo è esagerato parlare di correnti o di spaccature, le poche regole dettate da Grillo potrebbero non essere sufficienti a mettere d’accordo un movimento che ormai raduna migliaia di attivisti in tutta Italia. Serpeggia tra le file la paura che, di fronte alla difficoltà di arrivare a una posizione comune, si possa cedere a metodi da “vecchia politica”, estromettendo la base dalle decisioni.
“L’importante è che le persone siano adeguate al compito, per evitare di delegittimare l’intero Movimento. Sulle procedure poi si può discutere. Oggi non c’è ancora un vero e proprio metodo per l’individuazione”. Giovanni Favia, classe 1981, è consigliere della regione dell’Emilia Romagna. Temuto e talvolta odiato dagli avversari (in aula qualcuno lo ha definito “lingua biforcuta”) è stato il recordman di voti del Movimento: 3,3 % alle comunali per Bologna e 7% tondi alle regionali del 2010. “E oggi i sondaggi ci danno al 12% in Emilia Romagna. È ovvio che cominciamo a far paura. Riuscire a entrare in Parlamento vorrebbe dire riuscire a sconvolgere il Paese. Significherebbe fare la rivoluzione, anche se quelli già eletti, nel loro piccolo, provano a farla ogni giorno”. Ma nonostante il successo elettorale e mediatico e l’esperienza maturata nelle aule dei consigli, Favia assicura di essere fuori dai giochi: “Nel futuro mi vedo solo come un imprenditore agricolo”.
Non fa mistero delle proprie ambizioni invece Roberto Fico, ex sfidante di De Magistris per la poltrona di sindaco di Napoli: “Mi piacerebbe sedere a Roma come mi sarebbe piaciuto entrare in Consiglio comunale”. Trentasei anni, nel 2005 fondatore del primo meetup della sua città, candidato alle regionali e poi alle comunali, gli piace definire il Movimento “una sorta di Nouvelle vague” che cambierà la società. “La sua vittoria l’ha già ottenuta. Il processo è innescato, dobbiamo solo dargli il tempo di fare il suo percorso”.
Il Movimento però potrebbe incontrare altri ostacoli una volta chiamato a decidere su questioni di più ampio respiro rispetto a quelle affrontate fino ad oggi. Politica economica, del lavoro, laicità e leggi sull’immigrazione sono tutti campi che escono dalle sfere d’azione tracciate dal programma seguito finora, concentrato più che altro su problemi legati all’ambiente (energie rinnovabili, mobilità sostenibile), alla trasparenza e al controllo delle attività di governo. Anche chi non sembra intimorito ammette la necessità di una discussione per trovare punti d’incontro. “Noi tutti percepiamo che c’è un livello di discussione più importante di quello locale – commenta Davide Bono, consigliere regionale in Piemonte – su alcuni argomenti non ci sono dubbi, su altri si arriverà a una posizione comune grazie al dibattito in rete”.
E prima di approdare a Montecitorio bisognerà anche capire quale sarà il ruolo del comico genovese, e, punto ancora più delicato, il peso di Gian Roberto Casaleggio, esperto di social media, e tra i fondatori della Casaleggio associati, mente della comunicazione online di Grillo. È stato lui a far cambiare idea a Grillo sull’utilità della rete (come dimenticare i computer presi a colpi di ascia alla fine degli spettacoli). Ed è la sua azienda, nata nel 2004 a Milano, a curare le strategie comunicative e le pubblicazioni del comico. Un sodalizio, quello tra Grillo e Casaleggio, nato nei primi anni 2000, che nel tempo si è fatto via via sempre più stretto. Fino all’ultima fatica editoriale realizzata a quattro mani: un libro sulla forza della rete contro i partiti intitolato “Siamo in guerra”. “Si è raccontato di tutto intorno a lui. La realtà è che nessuno di noi ha mai dovuto rispondere di qualcosa a Casaleggio” vuole precisare il napoletano Fico.
Il comico, seppur a modo suo, ha già fatto adombrare un possibile abbandono (“Se questo movimento va in Parlamento, io devo espatriare. Faccio la fine di Pannella, mi diranno di tutto” erano state le sue parole in un’intervista di qualche settimana fa a La7) e nel Movimento c’è chi assicura che non sia più disposto a sopportare la pressione di questi ultimi anni. Resta da capire se il Movimento si rivelerà una realtà in grado di camminare con le proprie gambe, e pronta a sopportare l’eventuale ritiro dalla scena mediatica e politica del suo ispiratore.
Dalle prime liste civiche di strada ne è stata fatta parecchia e piuttosto in fretta: 28 mila voti nel 2008, 390 mila nel 2010 (l’1,7%), consiglieri più che raddoppiati e oltre 100 mila iscritti nel 2011. Un balzo in avanti che preoccupa più di un avversario, a partire dal Partito democratico che più volte ha puntato il dito contro i seguaci di Grillo, accusandoli di essere la carta vincente del centrodestra.
L’ipotesi di una candidatura alle elezioni parlamentari era nell’aria da tempo, ma l’ufficializzazione è arrivata da Grillo meno di due mesi fa. L’11 novembre, con un governo Berlusconi ormai agonizzante, è lui stesso ad annunciare sul suo blog che il momento è propizio per provare ad approdare a Montecitorio. “Il MoVimento 5 Stelle parteciperà alle prossime elezioni politiche, che si terranno con tutta probabilità nel 2013, con la votazione diretta dei candidati da parte degli iscritti sul portale”. I sondaggi gli danno ragione. L’istituto Ipsos, che a fine dicembre ha analizzato le intenzioni di voto, dà il Movimento in crescita al 4,4%. E non è escluso che la cifra possa salire. I detrattori la chiamano demagogia e antipolitica, ma resta il fatto che gli eletti del Movimento in questi mesi hanno fatto della discussione in rete e della partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni in materie come acqua pubblica e costi della politica i loro punti di forza, gettando le radici di un consenso che domani potrebbe tradursi in un trionfo elettorale.
Crocevia di questo percorso è Bologna, la città che 2007 radunò oltre 50mila persone per il V-Day di Beppe Grillo. Partì da lì l’avventura politica di un Movimento di semplici cittadini, che ben presto avrebbe trovato nella “rossa Emilia” un successo senza precedenti. L’ultimo in ordine cronologico quello di Massimo Bugani, eletto consigliere di Bologna. “Da fuori ci vedono come vincenti, e c’è il rischio di attrarre persone che hanno come unico scopo quello di far carriera politica”. Trentatré anni, fotografo e prossimo al matrimonio, rientra tra coloro che immaginano il futuro del Movimento come un percorso a ostacoli. Per lui uno dei nodi più grossi da risolvere rimane la selezione dei candidati. “Fortunatamente non si è andati al voto anticipato e abbiamo ancora un anno per prepararci. Ma non sarà facile. Bisogna riuscire a mantenere vivo quello spirito che finora ha animato la nostra politica nei territori”. Quindi nessun leader e nessuna gerarchia: “Le liste dovranno essere composte da persone sconosciute”. Proprio come era lui qualche mese fa, prima di quelle amministrative che gli hanno fatto superare il 9%: “Essere inesperti non vuol dire essere incapaci. Se si viene meno a questo principio è finita”.
La definizione dei filtri per gli aspiranti parlamentari preoccupa non solo Bugani. È senza dubbio uno degli argomenti che più agita il dibattito interno e uno dei primi scogli da superare. Eppure alcuni criteri esistono già e sono quelli ribaditi da Beppe Grillo in un comunicato pubblicato a novembre sul suo blog: i candidati devono essere incensurati, non iscritti a partiti, non devono aver svolto due mandati e non devono essere in carica come consiglieri. L’idea è quella di organizzare delle primarie online, ossia votazioni sul portale del Movimento riservate ai soli iscritti.
Le frizioni sorgono però di fronte alle diverse interpretazioni. Ad esempio, c’è chi preferisce tradurre i due mandati nel limite dei 10 anni complessivi (aprendo quindi la strada anche a chi si è dimesso dopo pochi mesi) e chi invece non ammette deroghe di alcun tipo. La discussione dunque è complicata, e se di certo è esagerato parlare di correnti o di spaccature, le poche regole dettate da Grillo potrebbero non essere sufficienti a mettere d’accordo un movimento che ormai raduna migliaia di attivisti in tutta Italia. Serpeggia tra le file la paura che, di fronte alla difficoltà di arrivare a una posizione comune, si possa cedere a metodi da “vecchia politica”, estromettendo la base dalle decisioni.
“L’importante è che le persone siano adeguate al compito, per evitare di delegittimare l’intero Movimento. Sulle procedure poi si può discutere. Oggi non c’è ancora un vero e proprio metodo per l’individuazione”. Giovanni Favia, classe 1981, è consigliere della regione dell’Emilia Romagna. Temuto e talvolta odiato dagli avversari (in aula qualcuno lo ha definito “lingua biforcuta”) è stato il recordman di voti del Movimento: 3,3 % alle comunali per Bologna e 7% tondi alle regionali del 2010. “E oggi i sondaggi ci danno al 12% in Emilia Romagna. È ovvio che cominciamo a far paura. Riuscire a entrare in Parlamento vorrebbe dire riuscire a sconvolgere il Paese. Significherebbe fare la rivoluzione, anche se quelli già eletti, nel loro piccolo, provano a farla ogni giorno”. Ma nonostante il successo elettorale e mediatico e l’esperienza maturata nelle aule dei consigli, Favia assicura di essere fuori dai giochi: “Nel futuro mi vedo solo come un imprenditore agricolo”.
Non fa mistero delle proprie ambizioni invece Roberto Fico, ex sfidante di De Magistris per la poltrona di sindaco di Napoli: “Mi piacerebbe sedere a Roma come mi sarebbe piaciuto entrare in Consiglio comunale”. Trentasei anni, nel 2005 fondatore del primo meetup della sua città, candidato alle regionali e poi alle comunali, gli piace definire il Movimento “una sorta di Nouvelle vague” che cambierà la società. “La sua vittoria l’ha già ottenuta. Il processo è innescato, dobbiamo solo dargli il tempo di fare il suo percorso”.
Il Movimento però potrebbe incontrare altri ostacoli una volta chiamato a decidere su questioni di più ampio respiro rispetto a quelle affrontate fino ad oggi. Politica economica, del lavoro, laicità e leggi sull’immigrazione sono tutti campi che escono dalle sfere d’azione tracciate dal programma seguito finora, concentrato più che altro su problemi legati all’ambiente (energie rinnovabili, mobilità sostenibile), alla trasparenza e al controllo delle attività di governo. Anche chi non sembra intimorito ammette la necessità di una discussione per trovare punti d’incontro. “Noi tutti percepiamo che c’è un livello di discussione più importante di quello locale – commenta Davide Bono, consigliere regionale in Piemonte – su alcuni argomenti non ci sono dubbi, su altri si arriverà a una posizione comune grazie al dibattito in rete”.
E prima di approdare a Montecitorio bisognerà anche capire quale sarà il ruolo del comico genovese, e, punto ancora più delicato, il peso di Gian Roberto Casaleggio, esperto di social media, e tra i fondatori della Casaleggio associati, mente della comunicazione online di Grillo. È stato lui a far cambiare idea a Grillo sull’utilità della rete (come dimenticare i computer presi a colpi di ascia alla fine degli spettacoli). Ed è la sua azienda, nata nel 2004 a Milano, a curare le strategie comunicative e le pubblicazioni del comico. Un sodalizio, quello tra Grillo e Casaleggio, nato nei primi anni 2000, che nel tempo si è fatto via via sempre più stretto. Fino all’ultima fatica editoriale realizzata a quattro mani: un libro sulla forza della rete contro i partiti intitolato “Siamo in guerra”. “Si è raccontato di tutto intorno a lui. La realtà è che nessuno di noi ha mai dovuto rispondere di qualcosa a Casaleggio” vuole precisare il napoletano Fico.
Il comico, seppur a modo suo, ha già fatto adombrare un possibile abbandono (“Se questo movimento va in Parlamento, io devo espatriare. Faccio la fine di Pannella, mi diranno di tutto” erano state le sue parole in un’intervista di qualche settimana fa a La7) e nel Movimento c’è chi assicura che non sia più disposto a sopportare la pressione di questi ultimi anni. Resta da capire se il Movimento si rivelerà una realtà in grado di camminare con le proprie gambe, e pronta a sopportare l’eventuale ritiro dalla scena mediatica e politica del suo ispiratore.