Ho avuto modo recentemente all'interno di una piccola e media impresa della marca trevigiana di ascoltare la filippica di un sindacalista durante una giornata di sciopero sindacale, condita di informazione e critica contro il governo tecnico di Mario Monti e le strategie messe in atto dallo stesso per il rilancio del paese, soprattutto sul piano occupazionale. Sentirlo esporre le sue ragioni e preoccupazioni sul piano sindacale penso sia stata una delle migliori lectio magistralis a cui ho assistito durante la mia vita. Se non fosse che ad un certo punto mi è vibrato il cellulare per una chiamata e d'improvviso mi sono ricordato che eravamo nel 2012 e non nel 1950. Sono stato particolarmente colpito quando, menzionando le proposte di politica occupazionali di Elsa Fornero, la si è soprannominata la strega cattiva. Che triste destino che attende questo paese, soprattutto per le sue genti e la loro forma mentis, più che per la situazione pericolante dei suoi conti pubblici.
Ancora oggi ci sono lavoratori e rappresentanti degli stessi che non hanno ben compreso cosa sta accadendo attorno a loro: una trasformazione epocale dell'economia occidentale che nessun sindacato potrà mai fermare o invertire nella rotta. Forse non lo sapete ma se quantificassimo pari a cento il costo del welfare sociale di tutto il mondo (assistenza, previdenza e sostegno al reddito in tutte le sue forme) il sessanta per cento di questo costo sarebbe sostenuto in Europa, con l'Italia in prima fila a vantare il primato mondiale. Quando sentite parlare di riforme strutturali per il paese (e ne applaudite all'idea) per sganciarlo da quelle logiche medioevali di protezionismo viscerale significa anche ridefinire e riformare quasi completamente il mercato del lavoro. In un paese in cui la curva demografica è girata verso il basso, solo la ricerca della piena occupazione può consentire la generazione di gettito fiscale e di risorse previdenziali per la preservazione del grado di coesione sociale della sua popolazione così come la conosciamo.
Perciò non si tratta di una strega cattiva che vuole sottrarre qualcosa a qualcuno per cattiveria, ma di riformare quei diritti e privilegi acquisiti nel settore del lavoro dipendente che hanno creato nel tempo l'ennesima casta nel nostra paese. Per questo motivo in Italia esportiamo eccellenze intellettuali e importiamo manodopera extracomunitaria di basso profilo desindacalizzata: chi vuole e potrebbe assumere non rischia a farlo, chi ha bisogno di maestranze docili punta a disperati disposti a tutto pur di lavorare e migliorare il proprio status sociale. In un paese in cui esiste una giungla di contratti di lavoro (se ne stimano quasi quaranta) che ha prodotto causa deregulation una massa di lavoratori troppo protetti ed un'altra priva di quasi tutto, la exit strategy per il rilancio occupazionale passa proprio per una profonda liberalizzazione, se non desindacalizzazione della forza lavoro al fine di mettere le imprese in grado di riassumere con velocità, dinamismo e senza costi impliciti assurdi. Gran parte del tanto osannato modello scandinavo infatti si basa proprio su questo.
Il futuro del mercato del lavoro deve pertanto portare ad una democratizzazione del rischio di impresa, coinvolgendo tutti i soggetti con essa correlati e collegati, non si può più ipotizzare una responsabilità solo in senso unico, ma anche le maestranze saranno chiamate a partecipare all'alea dell'insuccesso, della competizione e del rischio imprenditoriale. Purtroppo questo cambiamento (se non un vero e proprio stadio pupale) che avrebbe dovuto verificarsi in due decenni per consentire l'adattamento di tutti i soggetti coinvolti nel mondo del lavoro si dovrà verificare in appena due anni, generando le più grandi tensioni e rivalità che il nostro paese abbia mai vissuto in precedenza. Le prossime proposte di legge che verranno adottate andranno quindi in questa direzione, con la triste consapevolezza che la nuova medicina produrrà maggiori benefici non per chi si trova in età lavorativa oggi ma per chi si trova ancora sui banchi di scuola.