sabato 17 marzo 2012

Ustica, fermati i risarcimenti. Motivo: il danno economico che subirebbe lo Stato. - di Antonella Beccaria



Non saranno versati, almeno non ora, gli oltre 100 milioni di euro a carico dei ministeri dei Trasporti e del Tesoro riconosciuti dalla terza sezione civile del tribunale di Palermo.

È uno stop in attesa che ricominci il processo di secondo grado sui risarcimenti ai familiari delle vittime della strage di Ustica, avvenuta in 27 giugno 1980. Causa: il danno economico che lo Stato subirebbe. Sembra un paradosso, ma è così. Sciogliendo la riserva, infatti, la prima sezione civile della Corte d’appello di Palermo ha fissato la ripresa del dibattimento al 15 aprile 2015, fra oltre 3 anni, e ha sospeso l’esecutività della sentenza pronunciata lo scorso settembre “per il grave danno che il debitore potrebbe ricevere”.

Non saranno versati, almeno non ora, gli oltre 100 milioni di euro a carico dei ministeri dei Trasporti e del Tesoro riconosciuti dalla terza sezione civile del tribunale di Palermo, presieduta dal giudice Paola Proto Pisani, a una quarantina di parenti delle 81 vittime della strage. E respinta al mittente anche l’istanza che il pool legale – composto dagli avvocati Daniele Osnato,Alfredo Galasso e Vanessa Fallica – aveva presentato perché si procedesse alla liquidazione immediata degli importi anche sotto forma di buoni del Tesoro.

Ad avere la meglio, in questa fase, è stata l’avvocatura di Stato, che lo scorso 1 febbraio aveva presentato una richiesta di sospensione. Nelle ragioni presentate dal tribunale di Palermo, si legge infatti che “ritenuto che con l’appello principale non è contestato solo il quantum ma anche l’an(cioè il sendr) della condanna risarcitoria; che avuto riguardo alla considerevole entità della somma oggetto della condanna ricorrono i gravi motivi richiesti per l’accoglimento dell’istanza avanzata; che in considerazione della solvibilità della parte appellante non ricorrono i presupposti per prevedere specifiche forme di cauzione a garanzia del credito, per questi motivi si dispone la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza”.

Per Daria Bonfietti, presidente dell’associazione che riunisce i familiari delle vittime, questa sentenza “indica la difficoltà che governo e avvocatura di Stato hanno nel rapportarsi alla veritàdi quella strage”. Una verità che, in base a quanto sentenziato lo scorso settembre, parla in termini espliciti di “omissioni e negligenze” che precedettero e seguirono la sciagura aerea. Da un lato, infatti, secondo il giudice Proto Pisani non era stata messa in sicurezza la tratta del velivolo soprattutto nel cosiddetto Punto Condor, dove si concentravano attività militari. E dall’altro, dopo il disastro, venne negata ai familiari la possibilità di conoscere l’esatto accadimento dei fatti a causa di di alterazioni di documenti, omissioni, segreti di Stato tali o presunti, menzogne. Di depistaggi, insomma.

“Se si decidesse una volta per tutte ad accettare che il Dc9 dell’Itavia è stato abbattuto nel corso di un atto di guerra”, ha aggiunto Bonfietti, “allora le istituzione dovrebbero presentarsi come responsabili degli ostacoli all’accertamento della verità. Responsabili che vanno ricercati proprio tra coloro che avrebbero dovuto comportarsi molto diversamente, cioè gli uomini che avevano ruoli nei ministeri e nelle amministrazioni dello Stato”.

La presidente delle vittime ex parlamentare sottolinea anche un altro fatto. “Governo e avvocatura”, dice, “sono stati rapidissimi nel chiedere il blocco dei risarcimenti. Tuttavia non abbiamo assistito alla stessa rapidità nel sollecitare le risposte alle rogatorie internazionaliattualmente ancora inevase”. Il riferimento è a GermaniaFrancia e Gran Bretagna, interrogate nel 2008 dopo l’indicazione di presunte responsabilità materiali di Parigi nell’abbattimento dell’aereo.

E per sollecitare quelle risposte Daria Bonfietti si era rivolta lo scorso autunno al parlamento europeo, dove aveva trovato in prima istanza il supporto di Salvatore CaronnaSergio Cofferati e David Sassoli. Oltre a esaminare la possibilità che Ustica diventi oggetto di una commissione istituita ad hoc a Bruxelles, era stato raccolto in breve il sostegno di Roberta Angelilli, del Pdl ed esponente del Ppe, oltre che vicepresidente dell’europarlamento. Inoltre all’inizio di marzo 2012 erano stato 32 i deputati italiani avevano presentato un’interrogazione alla Commissione e al Consiglio d’Europa perché a quelle rogatorie si rispondesse. Motivo: ulteriore silenzio avrebbe violato “la cooperazione giudiziaria penale sia tra i Paesi membri sia tra l’Unione e Paesi terzi”.

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L'ultimo sospetto. - di Massimo Giannini





L'ultimo sospetto 



Diciassette anni per coronare un'avventura autocratica e populista, e trentotto leggi ad personam per piegare il codice penale all'interesse personale, non sono ancora bastati. Come l'ombra di Banco, l'ossessione giudiziaria di Silvio Berlusconi continua a dominare la scena. E grava pesantemente anche sulla "convergenza tripartita" che sostiene il governo "strano" di Mario Monti. 

Il vertice di giovedì sera a Palazzo Chigi registra "passi avanti". Si parla di correzioni al disegno di legge anti-corruzione, con l'introduzione di nuovi reati (corruzione privata, traffico d'influenza), ma accompagnata dalla soppressione di altri più gravi (concussione). Si ipotizzano opportune modifiche al disegno di legge sulla responsabilità civile dei magistrati, ma accompagnate dall'insensato rilancio della legge-bavaglio sulle intercettazioni. Segnali contraddittori, che fanno pensare. E ancora una volta fanno sospettare. Siamo di nuovo davanti a un Grande Ricatto, che presuppone un Grande Baratto? Il Cavaliere è pronto a rinunciare alla "vendetta" contro le toghe, in cambio di un'ultima norma su misura che lo salvi dal processo Ruby? 

La giustizia penale e civile va riformata. Questo non è in discussione. Il valore politico e simbolico di questa riforma, soprattutto all'estero e soprattutto per le imprese, è pari a quella dell'articolo 18. Dunque, il presidente del Consiglio fa benissimo a imporla nell'agenda, e ad esigere che Alfano, Bersani e Casini ne discutano com'è avvenuto due giorni fa. Il nodo vero è capire perché si fa e a chi giova la riforma. Sul fronte penale, l'Italia tuttora martoriata dagli scandali ha una priorità assoluta: varare al più presto una seria legge contro la corruzione, un cancro che secondo la Corte dei conti "costa" ogni anno più di 60 miliardi.


Il disegno di legge varato dal Pdl prima della caduta del governo Berlusconi giace alla Camera, in Commissione Giustizia e Affari Costituzionali. Il Guardasigilli Paola Severino, su mandato di Monti, vuole rafforzare e migliorare quel testo. Su come rafforzarlo nel merito, i tre leader di Pdl, Pd e Udc durante il vertice di maggioranza pare non siano scesi ufficialmente in dettaglio. Avrebbero convenuto sul metodo, cioè sull'opportunità di procedere con un emendamento, che assicura un iter più rapido rispetto a una legge delega. E questo sarebbe tutto. 

Ma le diplomazie dei partiti, più o meno segretamente, sono al lavoro da tempo. Ed è qui che si nascondono il ricatto, e forse anche il baratto. Dietro lo specchietto delle allodole di un inasprimento delle pene per la corruzione e per l'estorsione aggravata, oltre che dell'introduzione di nuove fattispecie di reato come la corruzione privata e il traffico d'influenze, la norma-chiave del pacchetto di modifiche di cui si sta discutendo riguarda la soppressione del reato di concussione. 

Una modifica alla quale l'avvocato-parlamentare del Cavaliere, Niccolò Ghedini, tiene più che a ogni altra. Si tratta di abolire l'articolo 317 del codice penale, che prevede una pena fino a 12 anni per chiunque, abusando della propria posizione di pubblico ufficiale, ottenga da un altro soggetto denaro o altri vantaggi per sé o per un terzo. Perché sia così utile cancellare questa norma è evidente: la concussione (insieme alla prostituzione minorile) è uno dei due reati per i quali è imputato Berlusconi, nel processo su Ruby Rubacuori. 

Fu esattamente abusando della sua posizione di pubblico ufficiale (nel caso specifico, presidente del Consiglio) che il Cavaliere chiese ed ottenne da un funzionario, durante la famosa telefonata notturna alla Questura di Milano, il rilascio della ragazza marocchina perché "nipote di Mubarak". 

Se dunque nel disegno di legge anti-corruzione passasse l'emendamento che cancella il reato di concussione dal codice, Berlusconi sarebbe salvo anche da questo processo incardinato a Milano. Questa sarebbe per lui una causa immediata di proscioglimento. Resterebbe il reato di prostituzione minorile, più difficile da provare, con pena inferiore e termini di prescrizione ridotti. A questo punta Ghedini, il Dottor Stranamore del Pdl. Il paradosso è che, a dargli una mano, è stato il Pd, come ha anticipato il "Sole 24 Ore" il 2 marzo.

In commissione i democratici (dopo averlo presentato una prima volta e poi ritirato a Palazzo Madama nel giugno 2011) hanno infatti ri-presentato un emendamento che abroga la concussione, e ne riassorbe la fattispecie nei reati di corruzione allargata ed estersione aggravata. Una mossa incomprensibile, che da quanto si sa ha destato persino una certa "attenzione" da parte del Quirinale. Donatella Ferranti e Andrea Orlando, come altri colleghi del Pdl e dell'Udc, la giustificano con i ripetuti richiami degli organismi europei e sovra-nazionali, che da oltre due anni chiedono all'Italia di rafforzare le norme contro la corruzione e a correggere quelle sulla concussione. 

L'argomento è debole. Gli obiettivi voluti dall'Ocse hanno un'impronta restrittiva, e non vanno nella direzione abrogativa voluta dal Pd. Nella concussione italiana il "concusso" è considerato vittima e dunque non è punibile, e questo (secondo l'Organizzazione dei Paesi industrializzati) può rappresentare un freno all'investigazione e alla repressione dei fenomeni di corruzione internazionale. 

C'è allora da chiedersi il perché, di questa convergenza trasversale sul colpo di spugna della concussione, che avrebbe un effetto immediato su un processo in corso molto delicato e imbarazzante per il "Papi" di Arcore. C'è da chiedersi perché ci si concentri su questo, invece di riscrivere le norme scellerate come la ex Cirelli sulla prescrizione, che ogni anno "brucia" 169 mila processi e "scagiona" soprattutto gli imputati per corruzione. 

E c'è da chiedersi perché, mentre alla Camera la "convergenza tripartita" si applica a questa nuova ipotesi di compromesso "ad personam", al Senato il Pdl è pronto a mitigare di molto le norme di un altro disegno di legge che ha spaccato le istituzioni e il Paese, quello sulla responsabilità civile dei magistrati. Un blitz del leghista Pini, nella prima lettura di Montecitorio, lo aveva incattivito in modo intollerabile, aggiungendo alle cause di responsabilità diretta e personale delle toghe non solo il dolo e la colpa grave, ma anche la "manifesta violazione del diritto". 

Ora il Popolo delle Libertà, come ha annunciato Alfano al vertice di giovedì sera da Monti, fa retromarcia e ri-rompe l'asse con la Lega. Ridicolo pensare che lo abbia convinto il parere unanime del Csm, che giudica questa  norma tanto "devastante" da causare "l'implosione del sistema giudiziario". E allora perché lo fa? Cosa è cambiato dal mese scorso, quando la ex maggioranza forzaleghista si ricompose per un giorno, mandando sotto il governo?

Sono domande che per ora non hanno risposta. Ma se i fatti hanno ancora una logica, una risposta si può trovare. Nello schema da Grosse Koalition all'italiana, che pure sta obiettivamente salvando l'Italia dalla tempesta finanziaria, forse c'è ancora bisogno di un altro salvacondotto per il Cavaliere. C'è ancora bisogno di un ultimo atto da "stato di eccezione", che ha drammaticamente segnato il quasi Ventennio berlusconiano. Se è così, almeno lo si dica ai cittadini italiani. La politica ci metta la faccia. Alla luce del sole. Non al buio dei vertici notturni della "non-maggioranza". 


venerdì 16 marzo 2012

Lusi, Rutelli querela L'Espresso "Inquinamento e depistaggio"

Lusi, Rutelli querela L'Espresso "Inquinamento e depistaggio"
"Mai preso un centesimo" ribatte Rutelli in merito all'inchiesta del settimanale, secondo cui l'ex tesoriere sotto inchiesta avrebbe stornato 866mila euro della Margherita a favore della fondazione del leader di Api, tra 2008 e 2011. Il leader di Api annuncia procedimento legale per diffamazione.

ROMA - "Falsità, mai avuto un euro della Margherita". E ancora: "Lusi è strumento di inquinamento e depistaggio". "Inqualificabile l'accusa di finanziamento occulto ad Api". Queste, in sintesi, le dichiarazioni di Francesco Rutelli, affidate a una nota del suo ufficio stampa, in risposta all'inchiesta de L'Espresso, secondo cui l'ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi 1 avrebbe versato alle casse della fondazione di cui il leader di Api è presidente 866mila euro tra 2008 e 2001. Rutelli annuncia querela nei confronti del settimanale. "E' stato Lusi a fornirgli le informazioni, vere e false".

L'INCHIESTA DE L'ESPRESSO 2

Il merito al servizio de L'Espresso, l'ufficio stampa di Rutelli precisa che le "informazioni, quelle vere e quelle false, sono state certamente fornite dall'ex tesoriere Lusi, come parte della sua azione di inquinamento del procedimento penale in corso contro di lui, già sanzionata dagli inquirenti della Procura della Repubblica di Roma".

I magistrati, sottolinea l'ufficio stampa di Rutelli, hanno definito precedenti articoli "assai verosimilmente ispirati dallo stesso indagato", "segnali preoccupanti", poiché contengono "circostanze che non emergono dagli atti e dai documenti acquisiti al fascicolo processuale e che, qualora veritiere, sarebbero probabilmente note al solo Lusi."


Proprio tali attività hanno "reso necessario procedere senza indugi al sequestro", lo scorso 8 marzo, di ulteriori beni di Lusi e dei suoi familiari indagati. Per lo stesso motivo i magistrati hanno acquisito al processo la registrazione dell'intervista di Lusi alla trasmissioneServizio Pubblico.

"Dunque - conclude la nota - L'Espresso sapeva di rendersi strumento di una condotta di inquinamento e depistaggio dell'indagine e del tentativo, vano, di intimidazione delle persone offese".

Questa, dunque, la controffensiva di Rutelli, che secondo l'inchiesta del settimanale sarebbe in realtà il primo a pagare la volontà di Luigi Lusi a non fare da unico caprio espiatorio per lo scandalo dei soldi sottratti alla Margherita. Volontà deducibile proprio dalle minacce ben poco velate indirizzate da Lusi a quanti furono ai vertici della Margherita proprio attraverso un fuori onda trasmesso da Servizio Pubblico 3

Le casse della Margherita hanno continuato a beneficiare di abbondanti rimborsi elettorali anche quando il partito era ormai sparito ufficialmente, ma non contabilmente, dalla politica italiana confluendo nella fondazione del Pd. Lusi di quei soldi ha fatto ampiamente uso personale, per l'acquisto di beni e lussuosi svaghi 4. Ma il senatore ha lasciato intendere con parole fin troppo chiare che nell'affaire potrebbero saltare ben altre teste. 

Parole che fanno vibrare la struttura portante del centrosinistra, quelle dell'ex tesoriere. A cui l'ex partito di Francesco Rutelli ha risposto con la querela e la richiesta di danni da quantificare tra i 5 e i 10 milioni di euro. Ma è proprio Rutelli il primo a essere tirato di peso nell'affaire. 

Come rivela l'inchiesta de L'Espresso, il tesoriere della Margherita Luigi Lusi avrebbe girato centinaia di migliaia di euro della Margherita alla fondazione di Francesco Rutelli, Centro per il futuro sostenibile (Cfs). A partire dal momento in cui Rutelli lascia il Pd per fondare il suo nuovo partito, Alleanza per l'Italia (Api). 

Soldi dirottati da Lusi nelle casse di Cfs attraverso una serie di bonifici, mai superiori ai 150mila euro per aggirare il comma 7 delle "disposizioni finali" dello statuto della Margherita. Che prevede come, durante la fase di costituzione del Pd, "gli atti di straordinaria amministrazione e quelli di ordinaria amministrazione di importo superiore a 150 mila euro" siano adottati "congiuntamente dal Tesoriere e dal Presidente del Comitato Federale di Tesoreria". 

"La norma - spiega L'Espresso - è stata inserita nel maggio 2007 e avrebbe dovuto rafforzare il ruolo di controllo del Comitato su Lusi. Peccato che quasi tutte le uscite del tesoriere siano state inferiori a quella somma". Il primo bonifico di Lusi a Cfs, ammontare di 48mila euro, è datato 13 novembre 2009: due giorni prima era nato l'Api. Al luglio 2011, quando sui conti di Cfs piovono 200 mila euro in due distinti versamenti, alla fondazione sarebbero arrivati complessivamente 866 mila euro. In media, oltre 43 mila euro al mese.

Un sistema allo sfascio. - di Giovanni Favia


Ecco la prima pagina (tragicomica) di un noto quotidiano on-line di poche ore fa. Incredibile, all'interno c'è il degrado di tutto il sistema politico italiano. Ovunque guardiate troverete indagati, tangenti e favori. Da Boni a Vasco Errani, passando per Emiliano, Rutelli e compagnia bella, con la Lega che sovrasta tre PD. UN sistema è allo sfascio. 


https://www.facebook.com/photo.php?fbid=367904986574533&set=a.205527336145633.56547.108254119206289&type=1&theater 

Eh, eh...



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10150662600609351&set=a.410327984350.187934.209242939350&type=1&theater

George Clooney arrestato a Washington






L'attore in manette a Washington. Partecipava a manifestazione presso l'ambasciata sudanese.



La star di Hollywood, George Clooney, è stata arrestata a Washington nel corso di una protesta davanti all'ambasciata sudanese. L'attore stava partecipando ad una protesta contro il presidente sudanese, Omar al-Bashir, accusato di provocare una crisi umanitaria al confine con il Sud Sudan bloccando il cibo e gli aiuti destinati alla popolazione colpita dal conflitto in corso nella regione. Clooney è reduce da un viaggio nell'area, e negli ultimi giorni a Washington ha fatto un rapporto sulla situazione prima davanti la commissione affari del Congresso poi al presidente americano Barack Obama (che lo ha ricevuto alla Casa Bianca) e al segretario di Stato, Hillary Clinton. La denuncia della star hollywoodiana è chiara: se nessuna azione sarà intrapresa nei prossimi tre mesi al confine tra Sudan e Sud Sudan si rischia "un vero e proprio disastro umanitario". Al momento dell'arresto Clooney stava protestando insieme ad un gruppo di persone tra cui suo padre Nick. L'attore é stato fermato con altri parlamentari.
George Clooney ieri aveva incontrato il presidente Obama ed il segretario di Stato Clinton e il giorno prima aveva lanciato l'allarme di fronte al Congresso americano sulla crisi umanitaria in corso nella zona di confine tra Sudan e Sud Sudan. L'attore, appena tornato da un viaggio nella regione, ha parlato di fronte alla commissione esteri del Senato per riferire della grave situazione causata dal conflitto tra i due Paesi.
Clooney ha raccontato di aver attraversato il confine fra Sudan e Sud Sudan verso le montagne del Nuba, dove si sta rifugiando la popolazione locale per difendersi dai bombardamenti aerei da parte del Sudan. L'attore ha raccontato di aver visto villaggi bruciati e gli abitanti che cercavano di nascondersi nella grotte. Lo stesso attore ha rischiato la vita durante un attacco con razzi e ha visto la mano di un bambino di nove anni saltare in aria. ''Siamo di fronte ad un vero disastro'', ha raccontato alla stampa dopo l'audizione in Congresso. ''Il governo del Sudan sta commettendo crimini di guerra''.
Clooney, dopo l'incontro con Obama, ha riferito che il presidente degli Stati Uniti farà pressioni sul presidente cinese Hu Jintao per evitare un "disastro umanitario nel Sudan", in occasione del loro prossimo incontro a Seul in Corea del sud alla fine del mese.
Secondo Clooney, la Cina, principale partner commerciale del Sudan, è più incline a prendere in considerazione questioni economiche piuttosto che morali o umanitarie nel caso in cui il conflitto tra il Sudan e il Sud Sudan possa avere un impatto negativo sulle esportazione di petrolio a Pechino. Circa il "6% del petrolio importato dalla Cina viene dal Sudan, dunque tutto ciò che accade in quella regione ha delle conseguenze sulla loro economia", ha dichiarato l'attore in una conferenza stampa alla Casa Bianca, aggiungendo che una sorta di cooperazione tra le due potenze potrebbe alleviare la situazione nel Paese africano. "Il presidente incontrerà il suo omologo Hu entro due settimane e con lui discuterà anche di questo punto in particolare", ha concluso l'attore.

L'editoriale di Marco Travaglio: il processo Dell'Utri - puntata 17 - Servizio Pubblico