martedì 8 maggio 2012

"ALFANITE', BERSANITE', CASINITE'" - M. TRAVAGLIO - IL F.Q. 8/5/2012




Il Pdl è estinto, la Lega rasa al suolo, il Terzo Polo non pervenuto. Il Pd, per acciuffare qualche assessore, deve nascondersi dietro candidati altrui (Doria) o addirittura combatterli (Orlando). Vincono Grillo e Di Pietro, gli “antipolitici” cui la politica dovrebbe fare un monumento: senza di loro, non andrebbero più a votare nemmeno gli scrutatori. Ce ne sarebbe abbastanza per una dichiarazione congiunta dei Tre Tenori ABC, magari copiata da quella di Sarkozy: “È tutta colpa mia, mi ritiro dalla politica”. Invece è tutto un “siamo primi quasi ovunque” (Pd), “colpa dei candidati sbagliati” (Pdl), “sostanziale tenuta del Terzo Polo” (Terzo Polo). In effetti per i partiti italiani non tutto è ancora perduto. In Italia non beccano più un voto manco a pagarlo. Ma in compenso vanno fortissimo all’estero, forse per via del fatto che lì non si candidano. Il Cainano è molto richiesto in Russia, dove ha preso parte ai baccanali per l’incoronazione dell’amico Putin, tra portali di oro massiccio e gare di burlesque a base di badanti travestite da mignotte e mignotte travestite da badanti, appena in tempo per evitare che gli crollassero in testa il Milan e il Pdl. Invece A, B e C vanno fortissimo in Francia. La vittoria di Hollande non deve ingannare: senza l’apporto delle mosche cocchiere Alfano, Bersani e Casini, l’Eliseo se lo poteva sognare, specie da quando l’ex sarkozista Ferrara si era inopinatamente schierato dalla sua parte, nonostante le diffide e gli scongiuri dello staff hollandiano. Infatti Bersani ha espresso “grande soddisfazione”, a nome suo e dell’Europa tutta, per un trionfo che “non è solo una questione di rapporto personale tra me e Hollande”, ma “un dato politico, un’incredibile convergenza di idee e proposte”. Senza contare che è stato proprio Bersani a suggerire a Hollande “di non farsi condizionare dalla sinistra più radicale e a convincere i moderati come Bayrou”. Pazienza se i voti di Bayrou sono andati quasi tutti a Sarkozy, mentre Hollande ha incamerato quelli del sinistro Mélenchon; se la Francia ha il doppio turno e noi no (il Superporcellum di ABC prevede turno unico e inciucio postumo); e se Bersani sostiene Monti, che tifava Sarkozy come la Merkel. Mica si può sottilizzare sulle quisquilie. Non solo – per dirla con Fassina, che non è la moglie di Fassino ma il responsabile economico Pd – “Bersani è l’Hollande italiano”, ma soprattutto Hollande è il Bersani francese. Chi ha seguito la campagna d’Oltralpe può testimoniare con quale angoscia, dalle banlieue ai bistrot, i francesi s’interrogavano: “Mon Dieu, chissà che ne pensa Bersani di Hollande”. E con quale liberatorio entusiasmo hanno appreso che non solo Pierluigi, ma anche Piercasinando e Angelino stavano con Hollande: “Le jour de gloire est arrivé! Alfanité Bersanité Casinité...”. Ora infatti anche Casini e Alfano, che in Italia non battono chiodo, si godono il meritato trionfo parigino. Piercasinando, decisivo per il voto moderato francese (pare che Bayrou non vada nemmeno alla toilette senza consultarlo), esulta: “Hollande sarà salutare per l’Europa”. Alfano ha faticato un po’ a capire perchè mai, se lui è il leader del centrodestra italiano, dovrebbe esultare per il leader del centrosinistra francese, ma poi gliel’ha spiegato il Cainano: “Primo, tu sei il leader di ‘sta cippa. Secondo, Sarkozy è l’unico nano che si permette di essere meno basso di me e per giunta ha osato ridere di me in mondovisione con la culona inchiavabile. Terzo, di sinistra e destra non me ne fotte una mazza, infatti sto partendo per Mosca”. Allora Angelino ha capito che Sarkozy ha perso perché rideva di B. e ha diramato una dichiarazione da ernia al cervello: “Auguro buon lavoro a Hollande a beneficio dell’Europa”. Frattini Dry intanto lo scavalcava a sinistra: “Sarkozy mi ha colpito molto negativamente. Ora la Francia sarà più aperta e vicina a noi”. Solo a quel punto tutta la Francia s’è addormentata tranquilla, non prima di un ultimo grido di battaglia: “... et Frattinité!”.


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Grandi grandi grandi.





lunedì 7 maggio 2012

Campagna elettorale sostenibile in bicicletta - M5S Feltre




Che bello!

Sicilia alle urne, affluenza in picchiata giallo a Palermo: sparite da seggio 27 schede. - Romina Marceca e Sara Scarafia


Sicilia alle urne, affluenza in picchiata giallo a Palermo: sparite da seggio 27 schede


In una sezione elettorale del quartiere di Cardillo un'elettrice ha trovato la sua scheda già votata. E' intervenuta la Digos che ha riscontrato la mancanza di 27 schede non ancora votate rispetto agli elenchi. Decine di sanzioni per i galoppini ai seggi: volantinaggi davanti e dentro alle scuole e candidati "pescati" a fare propaganda a seggi aperti sono stati puniti con sanzioni amministrative. La polizia municipale: "Nessuna irregolarità significativa", ma le segnalazioni sono state decine.


PALERMO - Affluenza in picchiata: alle 22 di ieri in Sicilia ha votato il 50,52 per cento degli elettori, contro il 55,88 del 2007.  A Palermo ha votato  il 46,81 per cento degli aventi diritto contro il 53,68 per cento  rilevato alla stessa ora nel 2007. In calo anche l'affluenza a Trapani: 47,31 per cento contro il 54,95 del 2007. Ad Agrigento si è registrata un'affluenza del 54,70% contro il 58,40. Urne riaperte da stamattina alle sette e fino alle 15 di oggi. Subito dopo inizierà lo spoglio, che potrà essere seguito in diretta sullo speciale elettorale di Repubblica.it.

E' giallo in un seggio di Cardillo, dove ieri sera un'elettrice ha trovato la sua scheda per il rinnovo del consiglio di circoscrizione già votata. La donna avrebbe avuto consegnata una scheda chiusa e con la "x" già apposta sul simbolo e il nome del candidato indicato. Al seggio è così intervenuta la Digos, che su richiesta di alcuni rappresentanti di lista ha effettuato il conteggio delle schede non ancora utilizzate riscontrandole con gli elenchi degli elettori: mancherebbero all'appello 25 schede per sindaco e consiglio comunale e due schede per il consiglio di circoscrizione. Il seggio è rimasto comunque aperto ma la polizia ha acquisito tutti gli elementi utili per indagare una volta chiuse le urne.

Ma a Palermo erano state decine le segnalazioni di anomalie arrivate ai vigili urbani e alla polizia: dai volantini distribuiti davanti al seggio di via Caltanissetta alle bandiere elettorali sugli alberi di piazza Magione. E ancora la segnalazione di candidati che facevano propaganda dentro il seggio della scuola san Domenico Savio di viale Resurrezione. Il commissario della polizia municipale Ignazio Agati  -  che gestisce la task force di agenti che via Dogali ha messo in campo per le elezioni  -  assicura che non ci sono irregolarità significative: "Finora è andato tutto abbastanza bene. Abbiamo destinato due pattuglie al controllo sulle affissioni di manifesti nei pressi dei seggi e altrettante alla vigilanza contro il volantinaggio davanti alle scuole", dice.  La polizia ha multato con una decina di sanzioni amministrative diversi collaboratori di candidati che effettuavano propaganda ai seggi.

Ieri una giornata di superlavoro per l'Ufficio elettorale: la sede di piazza Giulio Cesare è stata presa d'assalto, così come le dieci sedi distaccate nel resto della città. Centinaia di cittadini hanno denunciato lo smarrimento della tessera elettorale e hanno chiesto un duplicato. Non sono mancate le polemiche: gli elettori che sono arrivati al seggio con tutti i riquadri della scheda elettorale pieni, sono stati mandati via. "Nessuno li aveva avvisati che i bolli non si sovrappongono più, ma che deve essere richiesta una nuova tessera", denuncia Benedetto Romano dell'Adiconsum.            

Per i candidati quella di ieri è stata una giornata di attesa. Massimo Costa ha votato per primo alle 9,30 a Borgo Nuovo. Dopo il voto, il candidato di Pdl, Grande Sud e Udc è andato a messa. Poi si è riposato in famiglia. Fabrizio Ferrandelli ha votato alle 11,30 a piazza Vittorio Emanuele Orlando insieme con la moglie Claudia. Poi ha trascorso la giornata a passeggio per la città: "Ma senza un itinerario preciso". Leoluca Orlando invece non si è fermato: insieme con il suo staff, primo fra tutti il senatore Fabio Giambrone, ha battuto ancora i quartieri: Borgo Vecchio, Cep, Zen, Sant'Erasmo, Danisinni, piazza Ingastone. Alessandro Aricò, candidato del Terzo Polo, nel pomeriggio ha incontrato gli elettori al Foro Italico, mentre Marianna Caronia si è divisa tra famiglia e seggi. Domani i candidati attenderanno i risultati nei comitati elettorali. Tutti tranne Ferrandelli che invece si sposterà con il suo staff al Teatro Zappalà.    



http://palermo.repubblica.it/cronaca/2012/05/07/news/sicilia_alle_urne_affluenza_in_picchiata_giallo_in_un_seggio_di_cardillo_sparite_27_schede-34594017/

Gambizzato a Genova Roberto Adinolfi, l'ad di Ansaldo Nucleare.



E' Roberto Adinolfi. Si valuta la pista anarchica.


GENOVA - Gambizzato a Genova Roberto Adinolfi, l'amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, società del gruppo Ansaldo Energia, di proprietà di Finmeccanica. L'attentato poco dopo le 8.15 in via Montello, nel quartiere di Marassi, al strada dove abita. Il dirigente  è stato raggiunto al ginocchio destro  da uno dei tre colpi sparati da una pistola semiautomatica. A sparargli a bruciapelo sarebbe stato un uomo in motocicletta con il volto coperto da un casco. Sul luogo della sparatoria, i carabinieri cercano gli altri due proiettili con l'ausilio del metaldetector.
Gli inquirenti stanno vagliando la possibilità che l'attentato al dirigente di Ansaldo nucleare possa essere di matrice anarchica. Nei mesi scorsi sul web era circolato l'appello di alcuni gruppi anarchici "ad alzare il tiro", "a pensare di passare ad una fase che possa prevedere l'azione armata". Il ruolo di Adinolfi in una società attiva nell'ambito nucleare avvalorerebbe l'ipotesi della pista anarchica. Le modalità della gambizzazione e il tipo di pistola, una semiautomatica, riportano agli attentati degli anni Settanta. Di particolare interesse, secondo gli inquirenti, sarà stabilire il calibro dei proiettili utilizzati per stabilire analogie specifiche con altri attentati di matrice sovversiva compiuti negli anni.
"Sono cose che non si commentano", ha detto il ministro del Lavoro, Elsa Fornero.
Roberto Adinolfi, 53 anni, ingegnere, moglie e due figli è ricoverato all'ospedale San Martino di Genova ed attualmente e' in sala operatoria. Secondo quanto si è appreso ha percorso tutta la carriera all'interno di Ansaldo Nucleare società del Gruppo Finmeccanica con 250 dipendenti.

Pd, pasticcio sulle pensioni d'oro. - di Cristina Cucciniello



Anna Finocchiaro
Quasi tutti i deputati di Bersani votano per mantenere i super privilegi dei boiardi di Stato. La base in Rete si ribella, la Finocchiaro risponde su Facebook. Ma restano un po' di lati oscuri (e una gran figuraccia).


Il diavolo è nei dettagli, recita un antico detto. E i dettagli, nelle aule del Parlamento italiano, prendono forma di commi e cavilli, righe di testo astruse, che sfuggono all'immediata comprensione. 

A uno di questi cavilli era affidato, fino a pochi giorni fa, il destino delle 'pensioni d'oro', ovvero del trattamento previdenziale dei cosiddetti super-manager di Stato: funzionari come Antonio Mastrapasqua, Presidente Inps, il cui stipendio annuo si è attestato finora a quota 1.206.903 euro, o come Mario Canzio, Ragioniere generale di Stato, 521.917 euro annuali, o come Attilio Befera, a capo di Equitalia, che supera i 450 mila euro l'anno. 

Il Decreto Salva Italia aveva fissato, fra le more della sua legge di conversione, un tetto ai salari dei super-manager, parificandoli allo stipendio annuale del primo presidente della Corte di Cassazione, ovvero 293.658,95 euro. Ma un decreto successivo - la cui legge di conversione è tuttora in iter parlamentare - consente di mantenere integre le pensioni d'oro degli stessi manager, nonostante i tagli al loro salari.

Come? Grazie ad un dettaglio, appunto, contenuto nel decreto legge n. 29 del 24 marzo scorso. Il secondo comma del decreto, infatti, stabilisce che il tetto massimo agli stipendi dei super-manager non vale nel computo del trattamento previdenziale: tradotto dal burocratese - che lo indica come "principio pro rata" - questo cavillo consente di mantenere integre le pensioni d'oro maturate prima dei tagli introdotti dal governo Monti.

Al momento, il comma è stato appena soppresso dal testo della legge di conversione, grazie ad un emendamento presentato in Senato da Felice Belisario, Capogruppo Idv, approvato in aula con soli 124 voti a favore su 230 votanti e ben 94 contrari. 

Ma ben 94 senatori - tutti provenienti dalle fila del Partito Democratico e del Terzo Polo - si sono schierati a favore del mantenimento delle pensioni d'oro: dal capogruppo Anna Finocchiaro in giù, fino ai meno conosciuti parlamentari di provincia, il Pd ha votato compatto a sostegno del trattamento pensionistico dei super-manager, tranne uno sparuto gruppo di outsider formato da 8 senatori piddini. Più un voto a sorpresa. Quello dell'ex piddino Luigi Lusi: schieratosi a favore del taglio delle pensioni d'oro. 



«Se noi fossimo militanti del Pd chiederemmo al nostro partito: 'Hey Pd perché hai votato contro il taglio alle pensioni d'oro?'», chiede il Popolo Viola, dal suo account su Twitter. Già, perché? All'interrogativo de il Popolo Viola “che per primo ha pubblicato l'elenco dei 94 senatori contrari all'emendamento“ si sono associati in poche ore decine di migliaia di utenti dei social network, che hanno chiesto spiegazioni soprattutto alla senatrice Pd Anna Finocchiaro, capogruppo dei senatori democratici. 

Ed è arrivata proprio dalla pagina Facebook della senatrice Finocchiaro la risposta all'unica domanda rimbalzata da un punto all'altro del Web: «Il Governo ci aveva chiesto di votare secondo le sue indicazioni e noi ci siamo comportati con lealtà nei suoi confronti. Alla Camera, qualora si valuti che si sia trattato di un errore, il Pd cambierà il suo voto». 

Nella nota diffusa in seguito dal capogruppo, si legge che l'esistenza o meno del comma in questione non avrebbe comportato aggravio di spesa: in soldoni, se il comma resta, lo Stato paga pensioni già preventivate, sicché non spende di più di quanto previsto. Non c'è aggravio, ma non c'è neanche risparmio per le casse statali. 

«Si è trattato di un polverone sul nulla, quel comma non modifica il saldo economico dello Stato e previene i contenziosi», rincara il senatore Pd Marco Stradiotto. 

Insomma, il Pd avrebbe votato contro l'emendamento per fedeltà al governo Monti, lasciando intatto il saldo delle casse statali e per evitare i ricorsi dei super-manager che si sarebbero visti tarare la pensione non sugli stipendioni pregressi, ma sugli stipendi tagliati dal Decreto Salva Italia.

«Ci saremmo aspettati un comportamento responsabile da parte del Pd», commenta, invece il senatore Belisario, primo firmatario dell'emendamento: «Quella appena ottenuta è stata una bella vittoria. Un comma vergognoso, che con urgenza tutelava il trattamento pensionistico dei Grand Commis di Stato, è stato soppresso dal testo di legge al vaglio del Senato. Un decreto legge, secondo la Costituzione, deve avere, per essere presentato sotto questa forma, i requisiti della necessità e dell'urgenza. Che urgenza c'era di presentare una norma per tutelare le pensioni d'oro?».

La partita, ad ogni modo, non è ancora chiusa: c'è la possibilità che lo stesso comma venga riproposto dal governo al vaglio della Camera, quando il testo di conversione verrà presentato a Montecitorio. Insomma, rischio che le pensioni d'oro vengano, ancora una volta, tutelate c'è ancora.



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/pd-pasticcio-sulle-pensioni-doro/2180174