venerdì 18 gennaio 2013

Ars, i 29 furbetti del tesserino I grillini incalzano: "Ora fuori i nomi". - Accursio Sabella

Ars, i 29 furbetti del tesserino I grillini incalzano: "Ora fuori i nomi"

Dei 56 deputati ufficialmente presenti a Sala d'Ercole, ieri ne risultavano in Aula solo 27. E scoppia il "caso". Il Movimento cinque stelle ha chiesto ufficialmente i nominativi: "Vogliono evitare la decurtazione di 225 euro dalla diaria". Il presidente Ardizzone: "Comportamento non regolare, ma non è uno scandalo. Presto norme più restrittive in caso di assenza".

PALERMO - Alla fine, i soldi non li avrebbero persi comunque. Ma ci hanno provato. Ed è questo il “fatto”. Una trentina di deputati regionali, ieri, erano presenti a Sala d'Ercole solo con lo spirito. E con un tesserino. Tesserino lasciato lì, nella fessura della macchinetta per la rilevazione delle presenze. Come fosse un bancomat in grado di prelevare sempre la stessa cifra: 224,90 euro. Soldi che i deputati assenti, ieri avrebbero perso, se si fosse andato al voto della mozione sul Ponte. Un voto che non è giunto, alla fine di una seduta “animalesca”. Ma nessuno poteva saperlo.

Erano 56 i presenti, alla fine di quella seduta. In carne e in spirito, ovviamente. Perché alle sette della sera, il capogruppo del Movimento cinque stelle ne contava appena 27. Presidente compreso. Un presidente, Giovanni Ardizzone, che aveva annunciato la trasformazione di Palazzo dei Normanni in un “palazzo di vetro”. E forse, si è partiti dai deputati: alcuni di loro, in effetti, ieri erano trasparenti. “Non vorrei – spiega però oggi a Live Sicilia il presidente dell'Ars – che si monti un caso, uno scandalo. I deputati erano presenti a Palazzo dei Normanni, ma in quel momento non erano in Aula”.

In molti, raccontano alcuni tra gli stessi “inquilini” del Palazzo, dopo ore di discussione sul Ponte sullo Stretto, hanno pensato bene di lasciare Sala d'Ercole. E dedicarsi ad altre occupazioni. Dal semplice caffè al bar, al lavoro all'interno dei gruppi parlamentari, o a qualche incontro propedeutico alle prossime elezioni politiche. “Si tratta di un comportamento certamente non regolare – precisa però Ardizzone – che riguarda non tanto e non solo i 29 che ieri non erano presenti, nonostante il tesserino. Io mi riferisco a tutta l'Aula. Non è concepibile che alla votazione per una mozione importante come quella si presenti solo un terzo dei deputati”.

Un terzo esatto. Che non ha digerito bene la cosa. “Siamo gli unici stupidi – commenta qualche deputato – che rimangono a lavorare tutto il tempo, mentre gli altri sono altrove”. E per questo, il gruppo all'Ars che ieri ha sollevato il problema è andato a caccia dei nomi. "Vogliono evitare - diceva ieri Cancelleri - la decurtazione di 224,90 euro in caso di assenza". E oggi i grillini hanno chiesto ufficialmente agli Uffici di Palazzo dei Normanni l'elenco dei presenti e dei “presunti presenti” alla seduta di ieri. Scontrandosi con le difficoltà oggettive dell'amministrazione del Parlamento più antico d'Europa. Questa mattina, infatti, il capogruppo del Movimento cinque stelle, Giancarlo Cancelleri ha depositato al protocollo dell'Ufficio di presidenza la richiesta formale di visione dell'elenco dei deputati presenti alla seduta di ieri. Se ne saprà di più, pare, la prossima settimana. Ma il caso ha già scatenato diverse reazioni, tra cui quella del presidente della Regione Rosario Crocetta: "Il fatto che ci siano stati dei deputati grillini che hanno posto la questione dei pianisti - ha detto intervenendo a una trasmissione televisiva di La7 - è il segno che in Sicilia qualcosa sta cambiando".

Ma anche in seno al Consiglio di Presidenza, presto, potrebbero sorgere qualche novità. Una, ad esempio, riguarda il sistema di rilevazione delle presenze. “Già in passato – spiega il deputato questore Paolo Ruggirello – mi ero interessato alla faccenda, verificando con gli uffici la possibilità che potesse venire introdotto il sistema di rilevazione presenze attraverso il riconoscimento delle impronte digitali. Credo che oggi si debba accelerare su questa strada. Questa innovazione – precisa il deputato – consentirà di escludere che un deputato assente al Palazzo possa risultare presente in Aula. Ma non potrà evitare di certo che un deputato si possa allontanare da Sala d'Ercole dopo aver fatto registrare la sua presenza”. E tra l'altro, spiega Ruggirello, “già buona parte dei deputati sono 'immuni' alla decurtazione: si tratta dei componenti l'Ufficio di presidenza, i presidenti di Commissione e i capigruppo. Per loro, anche in caso di assenza, la diaria rimane intatta. Si tratta di oltre trenta deputati”.

“Credo che a questo punto – annuncia il presidente Ardizzone – sia il caso di introdurre nuove regole. Porterò in Consiglio di presidenza la proposta di estendere la decurtazione alla diaria a tutte le sedute d'Aula. Insomma, il deputato che non si presenterà a Sala d'Ercole vedrà dimagrire il suo stipendio a prescindere dal fatto che si voti, o meno”.

Fino ad oggi, le norme impongono, come detto, una decurtazione alla diaria (che ammonta a 3.500 euro) mensili, di “224,90 euro per ogni giorno in cui il Deputato non partecipi alle attività parlamentari nelle sedute d’Aula in cui si svolgono votazioni su testi legislativi o su atti di indirizzo politico iscritti all’ordine del giorno”. Tra gli atti di indirizzo politico figura appunto la mozione. Ma ieri, due terzi dei parlamentari non hanno ritrovato in tempo la strada che porta tra gli scranni di Sala d'Ercole. Avranno, evidentemente, sbagliato indirizzo.


http://m.livesicilia.it/2013/01/18/ars-i-29-furbetti-del-tesserino-i-grillini-incalzano-ora-fuori-i-nomi_246883/

Il Pdl spiava il Procuratore di Parma: nei cassetti trovati gli estratti conto bancari. - Silvia Bia ed Emiliano Liuzzi


Il Pdl spiava il Procuratore di Parma: nei cassetti trovati gli estratti conto bancari


Le carte erano a casa di Villani, capogruppo del partito alla Regione Emilia Romagna. Laguardia: “Sono rimasto sorpreso anche io ma su questo non posso indagare sono parte lesa". Nella costruzione di una vera e propria "macchina del fango" contro i nemici, anche gli avversari politici dell'ex sindaco e del sodale di partito.

Luigi Giuseppe Villani aveva copie degli estratti conto del procuratore capo di Parma Gerardo Laguardia. È uno dei nuovi elementi emersi dalla perquisizione dell’abitazione del capogruppo Pdl in Regione e vicepresidente di Iren che mercoledì è finito agli arresti domiciliari con l’accusa di peculato e corruzione nell’ambito dell’inchiesta Public Money, lo scandalo destinato a mutare profondamente gli equilibri di Parma, un tempo la piccola Parigi dell’Emilia Romagna, oggi l’esempio di come sia rimasta tale e quale alla Milano da bere degli anni Ottanta. E’ una Parma che gli uomini del Pdl si sono non solo bevuti, ma l’hanno spolpata fino all’osso, lasciandola con quasi un miliardo di debiti e poche possibilità di risollevarsi entro breve termine.
Gli uomini della Guardia di finanza hanno trovato in uno dei cassetti della scrivania di Villani copie degli estratti conto dei conti correnti privati di Laguardia. A rivelarlo è stato il procuratore stesso: “Sono rimasto sorpreso anche io – ha detto – ma su questo non posso indagare perché sarei parte lesa. Più avanti vedremo di cosa si tratta”.
Perché Villani possedeva quei documenti? A cosa sarebbero serviti? Come ha fatto a procurarseli? A chiarire questi interrogativi dovrebbe essere la Procura di Ancona, che tratta i reati che coinvolgono i magistrati, e gli sviluppi della vicenda potrebbero portare a ipotizzare nuovi reati e allargare il campo delle indagini.
Di certo, come dimostrano le 145 pagine dell’ordinanza del gip Maria Cristina Sarli, che ha dato il via libera all’arresto del consigliere regionale Pdl, dell’ex sindaco di Parma Pietro Vignali, dell’ex amministratore della partecipata Stt Andrea Costa e dell’editore e imprenditore Angelo Buzzi, Villani e l’ex primo cittadino erano ossessionati dal conoscere i movimenti dei loro “nemici” per scatenare contro di loro una “macchina del fango”. Lo facevano con gli avversari politici: dall’ex sindaco Elvio Ubaldi, che aveva simbolicamente investito del proprio mandato il suo assessore all’Ambiente, sostenendolo nella corsa elettorale, per poi distaccarsi da Vignali, arrivando addirittura a criticare il suo operato in consiglio comunale e a mezzo stampa, fino all’ex alleata politica Maria Teresa Guarnieri, che poi aveva lasciato il centrodestra per fondare un movimento indipendente.
Anche la Procura era nel mirino del Pdl, con attacchi ripetuti attraverso le interrogazioni parlamentari del senatore Filippo Berselli, a cui Villani e Vignali avevano chiesto più volte aiuto per fermare le indagini dopo gli arresti di Green Money, Spot Money e Easy Money che avevano fatto tremare il Comune, arrivano perfino a scomodare l’ex ministro alla Giustizia Angelino Alfano.  
Lo scrive il gip nell’ordinanza: dopo gli arresti del 24 giugno 2011 che avevano coinvolto anche dirigenti comunali e stretti collaboratori del sindaco Vignali, “frenetica e immediata era l’attività dei due volta ad acquisire notizie sulle indagini, ma soprattutto a cercare il sistema di arginarle”.  A inizio luglio Villani chiama Vignali e il sindaco gli chiede di prendere appuntamento con Alfano. In un’altra conversazione il primo cittadino spiega a Villani che avrebbe incontrato Alfano perché “adesso ho scatenato Letta”. È lo stesso Vignali a raccontare al consigliere di aver parlato con la segreteria del sottosegretario Gianni Letta e di avergli riferito di “un problema riguardante Parma di cui doveva parlare con il ministro Alfano”.
Il tentativo di remare contro il lavoro della Procura prosegue anche dopo l’arresto a settembre 2011 dell’allora assessore comunale alle Politiche educative Giovanni Paolo Bernini, membro del Pdl, che poi porterà alle dimissioni Vignali. L’avvenimento provoca una serie di reazioni e la mano del Pdl è sempre tesa verso i vertici nazionali con l’obiettivo di assestare un colpo alla giustizia ducale. Il gip scrive che Villani chiama  Vignali dicendogli che “deve  parlare  con  Berlusconi e che gli deve dire che c’è stato un ulteriore  assalto della magistratura e che per poter tenere la maggioranza è necessario che firmino  un decreto”.
Purtroppo a nulla serve la richiesta di aiuto. A inizio ottobre Vignali non è già più sindaco, ma tenta comunque di mettersi in contatto con la Finanza per avere informazioni sulle indagini e cercare di arginarle. Intanto la strategia continua: Villani con un sms comunica di avere incontrato Berselli che “ha detto di fare una cosa come presidente della Commissione Giustizia”. E puntuali, nei mesi successivi, arrivano le interrogazioni parlamentari di Berselli contro Laguardia e il pm Paola Dal Monte, fino alla richiesta di ispezioni da parte del Csm nella sede della Procura di Parma.
Gli attacchi del Pdl alla magistratura ducale non si fermano nemmeno con l’arresto di uno dei loro più illustri rappresentanti. Dopo lo scandalo Public Money che ha stretto le maglie intorno a Villani, Berselli punta ancora il dito contro Laguardia insieme al coordinamento provinciale del Pdl, esprimendo solidarietà al consigliere regionale. “La particolare tempistica degli arresti, in piena campagna elettorale, alla vigilia della presentazione delle liste per le elezioni politiche, rappresenta l’ennesimo tentativo di condizionare il voto popolare – scrive nella nota il coordinamento – Questa vicenda rafforza in noi la determinazione nel condurre la campagna elettorale a fianco di Silvio Berlusconi per salvare il paese dalle oligarchie e dalla sinistra conservatrice loro alleata”. Il gruppo ducale però questa volta si spacca: non tutti condividono il testo e tre di loro si rifiutano di firmarlo. Tra questi anche Paolo Zoni, l’ex assessore al Commercio di Vignali, che insieme ad Alessandro Corvi, presidente della sezione di Parma della Giovane Italia, l’associazione giovanile del Pdl, e a Maria Cristina Mangiarotti, si sono astenuti dalla mozione.

giovedì 17 gennaio 2013

Ghepardo e leopardo, Botswana.

Le foto del giorno, gennaio 2013

Fotografia di Jamie Hopf, Your Shot

Uno scontro molto raro, pieno di adrenalina, tra due predatori felini in Botswana. Un ghepardo maschio cerca di allontanare una femmina di leopardo dal cibo che ha appena cacciato.


http://www.nationalgeographic.it/wallpaper/2013/01/01/foto/la_foto_del_giorno_gennaio_2012-1460956/17/#media

Scoperto l'oggetto astronomico più grande dell'universo. - Andrew Fazekas


astronomia
Un'illustrazione dei getti emessi da un quasar. Un ammasso di quasar appena scoperto è l'oggetto astronomico più grande mai osservato. Immagine gentile concessione M. Kornmesser, ESO

Le dimensioni della struttura - un ammasso di quasar - sono così impressionanti da rappresentare una sfida alla nostra attuale comprensione del cosmo.

Alcuni astronomi hanno scoperto una struttura talmente grande che secondo la moderna teoria cosmologica non dovrebbe neanche esistere. Utilizzando i dati provenienti dallo Sloan Digital Sky Survey, un team internazionale di ricercatori ha scoperto un ammasso di quasar - galassie giovani e attive - che si estende per 4 miliardi di anni luce.

"Questa scoperta è stata una grande sorpresa. Batte ogni record cosmologico in quanto a grandi strutture rilevate nell'universo noto", ha dichiarato Roger Clowes, astronomo alla University of Central Lancashire che ha diretto lo studio. Giusto per fare un confronto, la nostra galassia, la Via Lattea, si estende solamente per un centinaio di migliaia di anni luce, mentre il Superammasso Locale di galassie (detto anche Superammasso della Vergine, che contiene il Gruppo Locale all'interno del quale c'è la Via Lattea), si estende solamente per un centinaio di milioni di anni luce.

Un grattacapo gigante
Che i quasar potessero formare immensi ammassi grandi più di 700 milioni di anni luce era noto da tempo, spiega Clowes. Ma la dimensione epica di questo gruppo di 73 quasar, che se ne stanno a circa 9 miliardi di anni luce di distanza, ha lasciato gli 
astronomi a grattarsi la testa. Questo perché gli attuali modelli astrofisici sembrano indicare che il limite superiore per le dimensioni di una struttura del genere dovrebbe essere non più di 1,2 miliardi di anni luce.

"I risultati dello studio rappresentano una sfida per la nostra attuale comprensione dell'universo. Ora come ora la presenza di questa struttura è un mistero", ha detto Clowes. La struttura titanica, soprannominata Large Quasar Gruop (LQG), sembra contraddire anche le leggi un altro principio cosmologico largamente accettato, secondo il quale l'universo dovrebbe apparire piuttosto uniforme se osservato alle scale più grandi. "Questo potrebbe significare che la nostra descrizione matematica dell'universo è il risultato di una semplificazione troppo netta", spiega Clowes.

Decodificando l'evoluzione delle giovani galassie
Questa enorme struttura non è importante solamente per le sue dimensioni record. Potrebbe infatti anche far luce sull'evoluzione di galassie simili alla nostra Via Lattea. I quasar, che emettono potenti getti di energia, sono tra gli oggetti più brillanti e più energetici dell'universo giovane: rappresentano una delle prime, brevi, tappe nell'evoluzione della maggior parte delle galassie.

Secondo alcuni astronomi, questi colossali gruppi di quasar potrebbero essere i precursori dei superammassi di galassie dell'universo moderno, ma l'esatta natura della loro connessione è ancora un mistero. La scoperta, un grande risultato per le simulazioni al computer, avrà bisogno di essere confermata e mappata in modo più approfondito con nuove osservazioni tramite telescopi, ha detto Gerard Williger, astronomo presso la University of Louisville, in Kentucky, che non ha partecipato allo studio.

"Questa struttura è più grande di quanto ci aspetteremmo basandoci sulle onde d'urto formate nell'universo dopo il Big Bang", ha detto Williger. "Molto probabilmente esiste un meccanismo che dà vita a quasar come questi su larga scala e in così poco tempo, che potrebbe essere collegato a qualche condizione particolare dell'universo primordiale".

Lo studio è stato pubblicato questa settimana nelle Monthly Notices della Royal Astronomical Society.

Tav, coop rosse e sospetti di camorra: “Materiali pericolosi e di scarsa qualità”.


Treno Tav


Truffa allo Stato, frode, corruzione, associazione a delinquere: 36 indagati dalla procura di Firenze tra cui l'ex presidente di Regione Umbria Lorenzetti e il funzionario del ministero Ercole Incalza. Dai test emerse il rischio di collasso della struttura. Perquisizioni di Ros e della Forestale.

Materiali scadenti per la costruzione della galleria, l’ombra della camorra sullo smaltimento dei rifiuti di cantiere del Tav e il sospetto di favori negli appalti alle Coop rosse. Sono le ipotesi della Procura di Firenze che indaga sul nodo fiorentino dell’Alta velocità. Per i magistrati, che hanno iscritto nel registro degli indagati 36 persone tra cui dirigenti del ministero delle Infrastrutture e delle Ferrovie, il materiale ignifugo sarebbe stato di qualità scadente. L’ipotesi è che sia stato allungato con l’acqua con conseguenti gravi problemi per la sicurezza. Ma non solo: lo smaltimento delle terre di scavo, da cui è partita l’indagine, sarebbe stata un affare di una ditta riferibile al clan dei Casalesi. 
Le ipotesi di reato sono, a vario titolo, associazione a delinquere, corruzionetruffa, frode nelle pubbliche forniture, traffico illecito di rifiuti, violazione delle norme paesaggistiche e abuso d’ufficio. Venticinque le perquisizioni in varie città d’Italia da parte dei carabinieri del Ros e degli uomini della Forestale. Obiettivo dell’inchiesta, coordinata dal procuratore capo di Firenze, Giuseppe Quattrocchi e dai pm Giulio Monferini e Gianni Tei, comprendere i meccanismi di gestione degli appalti, dei subappalti e sull’esecuzione delle opere, lo smaltimento abusivo dei rifiuti risultanti dalle terre di scavo.
I magistrati hanno inoltre disposto il sequestro della maxi-trivella che stava scavando il tunnel di 7,5 chilometri sotto il capoluogo toscano. La trivella, la cosiddetta talpa chiamata Monna Lisa, sarebbe stata montata con guarnizioni non idonee a sostenere le pressioni dello scavo e materiali non originali. Il progetto del passante fiorentino prevede un sottoattraversamento per congiungere il quartiere Campo di Marte alla zona di Castello, alla periferia della città, con una nuova stazione in zona Rifredi.
Galleria con materiali scadenti.  “Il risultato non è solo un risparmio economico illecito per il subappaltatore, ma la fornitura di un prodotto concretamente pericoloso e non conforme alle specifiche contrattuali come risulta dalle prove a cui i ‘conci’ sono stati sottoposti in laboratori sia in Germania, sia in Italia”, sostiene l’accusa. In particolare “dai test ripetuti si è manifestato evidente il fenomeno dello ‘spalling’, ossia il collassamento della struttura dovuta al calore e al fuoco”. L’Europa dopo il disastro del tunnel del Monte Bianco aveva imposto “specifiche tecniche di resistenza al fuoco e al calore” di questi rivestimenti. Invece qui, sempre secondo le tesi dell’accusa, le percentuali di parti ignifughe nei componenti sono state abbassate: l’impianto che ha costruito i conci si trova a Calcinate (Bergamo).
Smaltimento dei rifiuti in odor di camorra.  Secondo l’accusa, una ditta che si occupava di smaltire fanghi e rifiuti (terre di scavo) dai cantieri per la Tav fiorentina, sarebbe legata alla camorra, e in particolare al clan dei Casalesi. Secondo l’accusa “le ditte smaltitrici si dividevano in pieno accordo i quantitativi di fanghi e acque, e si occupavano anche della loro raccolta, trasporto e smaltimento in discarica”. In particolare, una di queste ditte, con sede in provincia di Caserta, sarebbe collegata a una famiglia del clan camorristico. L’indagine è partita seguendo le tracce delle terre di scavo trasformate in rifiuti durante la costruzione di una galleria di ausilio per i lavori della Tav. Monferini e Tei sono stati titolari anche dell’indagine sui danni ambientali prodotti nel Mugello dai lavori per la Tav. Migliaia le tonnellate state “smaltite abusivamente”. Dagli accertamenti è emerso “che l’attività di smaltimento veniva gestita attraverso una precisa e organizzata regia. I vertici di una importante società di settore davano indicazioni e direttive puntuali ad altre ditte minori coinvolte nel traffico illecito; pertanto la Rete Ferroviaria Italiana pagava gli elevati costi di smaltimento alle ditte, ma in realtà i rifiuti non seguivano la corretta procedura prevista dalla normativa vigente, creando quindi, un indebito profitto a favore delle varie ditte interessate”. Dal punto di vista ambientale, “la gravità del reato consiste nel fatto che” i rifiuti “soprattutto i fanghi venivano scaricati direttamente nella falda acquifera posta nelle vicinanze dei lavori con il rischio di contaminazione della stessa e del suolo”. 
Appalti alle Coop rosse. Indagata ex presidente Umbria. A Maria Rita Lorenzetti, ex presidente della Regione Umbria e presidente dell’Italferr (società di progettazione del gruppo Ferrovie) vengono contestati l’abuso di ufficio, l’associazione a delinquere e la corruzione, “svolgendo la propria attività nell’interesse e a vantaggio della controparte Nodavia e Coopsette (soggetti appaltanti, ndr) mettendo a disposizione dell’associazione le proprie conoscenze personali i propri contatti politici e una vasta rete di contatti grazie ai quali era in grado di promettere utilità ai pubblici ufficiali avvicinati e conseguendo altresì incarichi professionali nella ricostruzione dei terremoto in Emilia in favore del coniuge”. Tra gli altri indagati, ci sono Valerio Lombardi, dirigente Italferr, responsabile unico del procedimento e Gualtiero Bellomo, funzionario della commissione ‘Valutazione impatto ambientale’ (Via) del ministero delle Infrastrutture; quest’ultimo, secondo i magistrati, in cambio di “assunzioni di parenti, consulenze” e altri favori personali, “si metteva a disposizione per stilare pareri compiacenti”. Indagato anche Ercole Incalza, ex consigliere del ministro Lunardi, dirigente dell’unità di missione del ministero delle infrastrutture. Coinvolti anche imprenditori e funzionari del ministero dell’ambiente e di società di Fs.
Inchieste interno di ministero e Ferrovie. Il ministero delle Infrastrutture e Trasporti “auspica che sia fatta al più presto chiarezza sulla vicenda della Tav di Firenze, un’opera strategica a livello territoriale e nazionale”. Avviata un’indagine interna per  collaborare “con massima trasparenza e disponibilità con gli inquirenti”. Anche le Ferrovie dello Stato hanno avviato “un’inchiesta interna”, “sarà rivolta istanza alla Procura della Repubblica per una valutazione congiunta volta ad individuare gli adempimenti necessari per una pronta ripresa dei lavori dell’opera che, come noto, è di rilevante interesse nazionale. Sarà assicurata la massima collaborazione e trasparenza da parte di tutte le società del Gruppo, anche in considerazione del coinvolgimento della controllata Rfi come parte lesa”. 
Il presidente della Toscana Rossi: “Opera necessaria”. “Esprimo pieno rispetto per l’operato della magistratura e mi auguro che sia fatta chiarezza al più presto – afferma il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi -. Se ci sono responsabilità penali è bene che siano accertate rapidamente. Resto profondamente convinto della necessità dell’opera e mi auguro che i lavori riprendano quanto prima. Credo si debba separare l’accertamento delle eventuali responsabilità penali dalla necessità, che ribadisco, di completare l’opera presto e bene, come ho detto fin dall’inizio e come è stato già fatto in altre città italiane. Si tratta di un’opera indispensabile per il futuro della Toscana e di Firenze ed un importante investimento, in questo momento di crisi, per rilanciare il lavoro e l’l’occupazione”. 

E ora Ingroia candida anche il poliziotto. - Luca Fiore


La campagna acquisti dell’ex magistrato prosegue spedita. E nelle liste di Rivoluzione Civile approda Claudio Giardullo, segretario del sindacato di polizia della Cgil. Contrario alla legge sulla tortura e al codice identificativo.
“Serve una rappresentanza politica del mondo della sicurezza e della legalità, due versanti strategici per la crescita e lo sviluppo del Paese e per la garanzia ed il rispetto dei diritti dei cittadini a fronte di una crescita rapida e pericolosa della criminalità mafiosa e della sua espansione non soltanto nelle regioni in cui é tradizionalmente presente''. E sono necessarie “politiche a tutela degli operatori delle forze di polizia che svolgono un compito fondamentale per la difesa della legalità e della democrazia”. E’ con questa dichiarazione che Claudio Giardullo, segretario nazionale del sindacato di polizia Silp-Cgil, ha annunciato oggi la sua candidatura nelle liste di Rivoluzione Civile per le elezioni politiche del 24 e 25 febbraio. Di Ingroia, ha detto Giardullo, “mi convince la credibilità del progetto ed il rigore professionale e intellettuale di una persona che ha dedicato gran parte sua vita alla battaglia per la legalità”.
Il candidato premier della lista nata dall’appello Cambiare si Può e poi diventata strada facendo l’ombrello di Idv, Pdci, Verdi e Rifondazione, ha voluto candidare Giardullo in ben 5 diversi collegi.
Il che, c’è da scommetterci, sarà fonte di non poche polemiche, perché il segretario del sindacato più 'a sinistra' che c'è nelle forze dell’ordine non è stato sempre in prima fila in battaglie e prese di posizione controcorrente, anzi.
A pochi mesi fa risale la sua ultima presa di posizione contro l’identificazione degli agenti tramite un codice di riconoscimento da apporre sui caschi dei celerini o sulle divise, chiesto a gran voce dalle associazioni in prima fila contro gli abusi, sempre più frequenti, dei membri degli apparati di sicurezza. E non si era neanche sottratto al dibattito sull’introduzione del reato di tortura, prendendo posizione contro una legge da un iter più che travagliato. (Qui l'intervista a Giardullo di Eleonora Martini, de Il Manifesto www.veritagiustizia.it/rassegna_stampa/il_manifesto_la_mattanza_del_g8_fu_una_scelta_politica.php)

Come si concili un candidato con questo retroterra – che oltretutto si candida a rappresentare e tutelare in Parlamento gli operatori di Polizia, come lui stesso ammette – con le richieste che gli sono venute nei giorni scorsi dalle vittime di molti casi di ‘malapolizia’ è difficile comprenderlo. Ed è anche difficile capire quali posizioni potrà prendere un Giardullo eletto alla Camera su questioni come il fiscal compact, o le missioni militari all’estero, o altre battaglie caratteristiche di una coalizione che comunque si schiera a sinistra.

Insieme al poliziotto, nelle liste di Rivoluzione Civile, ci sarà anche un avvocato. Sarà Luigi Li Gotti, capogruppo uscente dell'Italia dei Valori in commissione Giustizia a Palazzo Madama, a guidare la lista per il Senato in Sicilia della coalizione arancione. L'ex procuratore aggiunto di Palermo prestato alla politica, Antonio Ingroia, per conquistare consensi nell'isola punta sull'avvocato 65enne conosciuto per essere stato difensore di noti pentiti quali Tommaso Buscetta,, Totuccio Contorno, Giovanni Brusca, Francesco Marino Mannoia e Gaspare Mutolo. Inoltre Li Gotti é stato avvocato di parte civile nel processo per la strage di Piazza Fontana, ma ha anche rappresentato i familiari del maresciallo Oreste Leonardi nel processo Aldo Moro e ha tutelato la famiglia del commissario Luigi Calabresi in un lungo iter processuale.

Non sarà invece candidato, in Sardegna, Antonello Zappaddu, il paparazzo che con i suoi scatti rubati ad alcuni ospiti di Berlusconi di Villa Certosa qualche tempo fa. Ma non certo per la sua sensibilità sociale, o per la sua competenza nei temi ambientali o del lavoro. E neanche l’operaio Antonello Pirrotto; quello che in diretta tv mandò a quel paese l’ex ministro leghista Castelli, ma che è iscritto alla Cisl e non nasconde le sue simpatie per il sindaco PD di Carbonia. Due candidature, volute di Ingroia in persone, che sarebbero saltate per l’indisponibilità degli interessati ma anche a causa delle proteste suscitate in Sardegna dalle eccentriche selezioni dell’ex magistrato. Che molti hanno accusato di voler riempire le liste di volti noti prescindendo da serietà, competenza e identità politica.

Ed intanto, per protesta contro il metodo di scelta della candidatura marchigiana nella lista Ingroia e in polemica con i vertici del partito, oggi si é dimesso il segretario regionale di Rifondazione Comunista, Marco Savelli. Che in un comunicato denuncia: “il Prc delle delle Marche è stato espropriato dell'indicazione di un suo candidato da parte di un'assemblea civica variegata e composita con l'esplicito sostegno del segretario nazionale del partito''.

mercoledì 16 gennaio 2013

Bufera Pdl, arrestato Vignali. Il pm: “Contattava Berlusconi grazie alla Macrì”. - Emiliano Liuzzi e Silvia Bia


Bufera Pdl, arrestato Vignali. Il pm: “Contattava Berlusconi grazie alla Macrì”

17 indagati a Parma, sequestrati beni per 3,5 milioni. Accuse di corruzione e peculato. In manette il vice presidente Iren, l'ex numero uno di Stt e l'editore di Polis. Spartiti allegramente soldi pubblici per piazzare amici e pagare giornalisti. Inoltre l'ex sindaco chiedeva l'intervento dei vertici del Pdl: Letta, Alfano e Berselli.


Un consigliere regionale del Pdl in carica, l’ex sindaco – anche lui Pdl – di Parma, imprenditori, nani, giornalisti e ballerine. Un giro di malaffare che risparmia poche persone. Ma soprattutto, il gruppo di potere del Pdl che, quando il sistema inizia a scricchiolare, chiede aiuto a Gianni Letta, Angelino Alfano e Niccolò Ghedini. Vignali si spinge anche più in là: attraverso Nadia Macrì, oggi “assunta” in un night club di Livorno, cerca di riagganciare i contatti con Berlusconi che si erano sfilacciati. 
Questi i particolari dell’inchiesta Public Money, che alle prime ore dell’alba ha fatto scattare gli arresti domiciliari per l’ex primo cittadino Vignali, il consigliere regionale Pdl e vicepresidente Iren Luigi Giuseppe Villani, l’ex amministratore della società partecipata Stt Andrea Costa e l’imprenditore edile ed editore del quotidiano locale Polis Angelo Buzzi, che è anche presidente di Iren Emilia. Nomi molto conosciuti a livello locale a cui si aggiungono 17 indagati che ruotavano intorno al “sistema Parma” che provoca l’ennesimo terremoto nella città che deve far fronte a quel miliardo di euro in debiti che da oggi sappiamo, almeno in parte, dove finirono. Nelle tasche di Vignali, nelle intercettazioni dove veniva chiamato addirittura il “papa”.
“Un sistema di potere pernicioso e insidioso – come lo ha definito il comandante della Guardia di finanza Guido Maria Geremia – finalizzato al controllo della spesa pubblica per interessi personali”. Le indagini sono partite da elementi emersi nell’ambito dell’inchiesta Green Money, sono stati degli ex dirigenti del Comune arrestati nel 2011 a collaborare con gli inquirenti e a portare alla luce la politica portata avanti negli ultimi anni dal governo di centrodestra a Parma. La richiesta di arresto con misura cautelare in carcere era stata presentata dalla Procura a fine luglio, ma solo mercoledì mattina è scattata l’ordinanza firmata dal gip Maria Cristina Sarli, dopo più di sei mesi di indagini sull’operato delle persone coinvolte.
“Quello che è emerso è una serie di illeciti che facevano capo al gruppo di riferimento composto da Villani, Vignali e Costa – ha spiegato il procuratore capo Gerardo Laguardia – che grazie alla collaborazione con dirigenti pubblici posizionati in ruoli chiave portavano vantaggi patrimoniali e non a scapito della comunità”. Il procuratore ha parlato di “totale spregiudicatezza dei tre principali indagati nella convinzione di impunità che ha portato il Comune alle soglie del tracollo, violando il patto di stabilità e cedendo credito bancario facendo leva sul potere creato”.
Tutto ruotava intorno al sindaco Pietro Vignali e quindi al sistema Parma, ma nell’inchiesta della Procura compaiono (anche se non sono indagati e non sono coinvolti direttamente) anche i nomi di rappresentanti politici nazionali come l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il sottosegretario Gianni Letta, l’ex ministro della Giustizia Angelino Alfano, il senatore Filippo Berselli e Niccolò Ghedini, a cui Villani e Vignali si rivolgevano direttamente o indirettamente per avere sostegno durante il mandato politico e dopo lo scoppio dello scandalo Green Money. In particolare, ha spiegato il procuratore Laguardia, “Vignali aveva stretto un rapporto diretto con Berlusconi grazie all’amicizia con Nadia Macrì”, una delle ragazze che aveva partecipato ai festini di Arcore. La giovane reggiana, che Vignali conosceva da tempo, è la persona chiave che fa conoscere e incontrare l’ex sindaco con Berlusconi. Il rapporto che lega Parma con i vertici del potere centrale si riscontra anche nei ripetuti attacchi da parte del senatore Berselli alla Procura di Parma dopo Green Money, sfociate nelle interrogazioni parlamentari e nella richiesta al ministro Alfano di ispezioni nella sede ducale, oltre alle accuse al pm Paola Dal Monte. A dimostrarlo ci sono le intercettazioni telefoniche: “Oggi scoppia la bomba” rassicura Villani al telefono con uno dei suoi, riferendosi alle interrogazioni di Berselli.
Solo un dettaglio nell’inchiesta in cui gli illeciti e i fatti si sommano alle accuse di peculato e corruzione. Grazie a un giro di appalti e società secondarie, nel 2007 la campagna elettorale di Vignali venne pagata con i soldi del Comune attraverso Enìa, che a sua volta li girava a Sws, un’altra società già finita nel mirino di Green Money 2. Enìa al tempo gestiva per il Comune l’appalto di global service per il verde pubblico, ma circa 600mila euro di quei soldi vennero destinati a promuovere la figura di Vignali attraverso santini e volantini elettorali. I soldi venivano girati da Enìa,Infomobility (altra società partecipata del Comune) e altre società riconducibili al Comune grazie alla collaborazione dei dirigenti e società del verde pubblico già finite nel mirino di Green Money.
A coprire il giro di denaro ci pensava Sws, che emetteva fatture per lavori mai svolti, tanto che pur essendo una piccola realtà, si calcola che dal 2007 al 2011 abbia fatturato 4,5 milioni di euro. Soldi utilizzati per la costituzione del movimento Parma Civica (che sosteneva la candidatura di Vignali), ma anche, in seguito, per la gestione del suo profilo Facebook: non solo venivano controllati i contenuti dei post pubblicati dal sindaco, ma anche i commenti dei “fan” erano in realtà pilotati attraverso persone che venivano pagate per scrivere cose positive sul conto del primo cittadino.
Vignali era “il papa”, come risulta da un’intercettazione ambientale, e tutto girava intorno a lui, che prendeva ogni decisione insieme al consigliere regionale ed ex coordinatore del Pdl provinciale Villani. Lo ricorda Ernesto Balisciano, ex amministratore di Sws finito in manette con Green Money, che ai soci di Sws ad un certo punto ricorda che “la società appartiene al Papa”, riferendosi appunto al sindaco. Tanto che per promuovere la sua figura gli inquirenti ipotizzano che dal 2007 al 2011 siano stati spesi circa 1,8 milioni di euro.
Del sistema faceva parte anche Iren (allora Enìa): gli addetti a illustrare ai cittadini la raccolta differenziata a casa ai cittadini, venivano istruiti per nominare Vignali almeno tre volte, con diverse possibilità di proseguire l’incontro a seconda delle reazioni dei parmigiani. Dalle intercettazioni risulta però che c’è un momento in cui Vignali si mette “contro” Iren, cercando di ostacolare la costruzione del termovalorizzatore con i ricorsi al Tar del 2011. “Tutto ai fini della campagna elettorale – spiega Laguardia – perché si aspettava di correre contro Vincenzo Bernazzoli, che era a favore dell’inceneritore”.
Il controllo e la valorizzazione dell’immagine di Vignali avveniva anche con l’assunzione di consulenti esperti, come Klaus Davi (che non è coinvolto nell’inchiesta), che procurava al sindaco interviste e spazi su quotidiani ed emittenti nazionali. Ma è soprattutto sulla stampa locale che si vedono i risultati più eclatanti. Ad un certo punto dell’amministrazione di Vignali, lo storico quotidiano cartaceo d’opposizione “Polis” cambia linea editoriale. Villani e Vignali, che chiamano il giornale “la spina nel fianco”, girano all’editore Buzzi 98mila euro attraverso la società guidata da Costa, Stt. In cambio il giornale cambia direttore e linea editoriale. E in cambio Buzzi ottiene un posto nel consiglio di Iren. Costa è indagato anche per peculato: come amministratore di Stt aveva sottoscritto un contratto con una società per uno studio di tracciabilità isotopica del vino utilizzato poi da Terra di Fiori, società di vini cui è amministratore.
Tra i 17 indagati c’è anche Marco Rosi, patron di Parma Cotto, che aveva pagato un hotel di lusso a Forte dei Marmi a Vignali in cambio di un regolamento scritto “ad personam” per i dehors di un esercizio di sua proprietà nel centro di Parma.
I documenti sequestrati e le intercettazioni dimostrano che Villani e Vignali interferivano in diversi settori della vita pubblica con nomine nelle fondazioni bancarie, nell’azienda di trasporto locale Tep, nelle partecipate, nell’Ente fiera di Parma, ma anche in quelle per il prefetto, per il questore di Parma e per il commissario prefettizio. Ai quattro arrestati sono stati sequestrati beni mobili e immobili per 3,5 milioni di euro, di cui 1,8 a Vignali (che aveva anche tentato dopo Green Money 2 un occultamento attraverso un commercialista), 1,3 a Costa, 163mila a Buzzi e 98mila a Villani.
Gli indagati sono, oltre a Vignali, Buzzi, Villani e Costa, il presidente del Parma Calcio Tommaso Ghirardi, gli ex dirigenti del Comune Emanuele Moruzzi e Carlo Iacovini, il presidente di Enìa Mauro Bertoli, l’ex presidente di Engioi Ernesto Balisciano, gli imprenditori Alessandro Forni e Norberto Mangiarotti, gli amministratori della società Sws Gian Vittorio Andreaus e Tommaso Mori, Alfonso Bove, il patron del Parmacotto Marco Rosi, gli ex ufficio stampa del Comune Alberto Monguidi e Aldo Torchiaro, l’ex ufficio stampa di Stt Lara Ampollini, Riccardo Ragni, Antonio Cenini, Danilo Cucchi e il presidente di Tep Tiziano Mauro.