mercoledì 17 giugno 2020

Oggi le coliche. - Marco Travaglio


Fermo restando che certe cartacce buone per avvolgere il pesce, comunemente definite “quotidiani”, sono un po’ meno attendibili di Tiramolla, fa sempre un certo effetto constatare come chiunque sia libero di diffondere fake news a profusione nella beata indifferenza del cosiddetto Ordine dei giornalisti. L’altra sera, in una rassegna stampa, ho visto campeggiare su due cosiddette testate nazionali il mio nome cubitale con gigantografia, manco avessi sterminato un esercito. Ma ho dovuto attendere l’indomani per scoprire che avessi fatto di tanto grave per meritarmi cotanto rilievo: si trattava nientemeno che del finanziamento bancario di 2,5 milioni chiesto dalla nostra società Seif a Unicredit e ottenuto perché, con questi chiari di luna, c’è il rischio che chi ci deve dei soldi (distributori, edicole, concessionarie e investitori pubblicitari ecc.) ritardi i pagamenti e interrompa i flussi di cassa, fondamentali per un giornale che vive delle copie vendute. Un prestito puramente precauzionale per investimenti in immobilizzazioni, cui speriamo di non dover mai attingere, visto che le nostre vendite sono in aumento. Un prestito che la legge 662 del ’96 (24 anni fa, 13 anni prima che nascessimo) ha stabilito fosse garantito dal Medio Credito Centrale, se destinato a investimenti.
Sapete come ha titolato Libero, giornale di proprietà degli Angelucci che tutti noi paghiamo da 20 anni a botte di decine di milioni? “Sia benvenuto Travaglio tra gli assistiti di Stato. Pecunia non olet”. Firmato: Renato Farina che, non contento di prendere lo stipendio da noi, si faceva pure pagare il dopolavoro come “agente Betulla” nel Sismi di Pollari&Pompa. E non osiamo immaginare quali informazioni passasse, visto che non distingue un elefante da un paracarro: infatti s’è inventato un “aiuto di Stato” al Fatto, che si sarebbe “infilato fra i bisognosi strozzati dal Covid-19”, “ha approfittato del decreto sul Covid” e ora “infila la mano nelle tasche di Pantalone”. Per non essere da meno, quell’altra parodia di giornale visibile solo in tv, il Riformista dell’imputato Romeo e dell’impunito Sansonetti, ha titolato a tutta prima: “Regime: dal governo 2,5 milioni al ‘Fatto’ di Travaglio”. E giù scemenze e falsità sul finanziamento “garantito dal governo Conte… utilizzando uno degli ultimi decreti del governo, quelli che hanno come scopo il salvataggio delle nostre imprese colpite dal virus” perché “il Fatto, probabilmente potendo contare su una certa simpatia a Palazzo Chigi, è riuscito a intrufolarsi e a mettere in tasca i soldi”, dopo la nota “conquista della presidenza dell’Eni” e sempre in attesa di invadere la Polonia.
Intanto, sul web, altri noti peracottari come Nicola Porro, Littorio Feltri, Giuseppe Sottile e la fidanzata di un nostro ex passato a De Benedetti, nonché Lucia Annunziata su Rai3, il Giornale e il solito Dagospia, ripetevano la fake news confondendo una legge del ’96 col recente dl Liquidità e un normale finanziamento bancario (ricevuto in 24 anni da chissà quante centinaia di migliaia di aziende) con un aiuto di Stato, anzi del governo Conte: chi sproloquiando contro le nostre campagne su Radio Radicale (che non chiede prestiti alle banche: vive di soldi pubblici), chi azzardando paragoni con Fca (che, diversamente da noi, ha sede all’estero ma prende prestiti garantiti dallo Stato italiano, essa sì per il decreto Conte, dopo aver poppato fiumi di miliardi dalla pubblica mammella). Così la panzana ha fatto il giro delle fogne del web e l’unico quotidiano che non ha mai preso un euro dallo Stato è diventato un giornale finanziato dallo Stato. Anzi da Conte. Con questi signori ci vedremo in tribunale. Ma è stupefacente come neppure le precisazioni della nostra Ad Cinzia Monteverdi abbiano sortito rettifiche. Buon segno, comunque: i nostri record di crescita devono avere provocato coliche renali a parecchia gente.
A proposito di fake news. Si spera che una seria indagine accerti se il dossier pubblicato dal giornale della destra spagnola Abc sulla valigetta con 3,5 milioni di euro recapitata dal venezuelano Maduro a Casaleggio sr. nel 2010, otto mesi dopo la nascita dei 5 Stelle, sia autentico o – come fanno supporre alcuni errori marchiani – una patacca. Ma è interessante l’uso che ne han fatto i giornaloni e i loro siti (quelli sempre a caccia di fake news altrui). Tutti uniti su questa linea: forse il documento è falso, ma le simpatie del M5S per Caracas sono vere, dunque lo scandalo c’è comunque. Ora, è un po’ di tempo che il Venezuela elegge i suoi presidenti – prima il discutibile Chávez, poi il pessimo Maduro – senza chiedere il permesso agli Usa e ai loro leccapiedi sparsi per il mondo. Così due anni fa gli americani, non contenti dell’embargo che affama il Paese, patrocinarono il golpe del presidente dell’Assemblea nazionale Guaidó, poi fallito nel ridicolo. E tutti s’affrettarono a riconoscere il golpista contro il presidente legittimo, tranne il governo Conte (rimasto neutrale, grazie al M5S, ma sollecitando libere elezioni sotto controllo internazionale), quelli di Grecia, 
Bulgaria, Romania, Slovacchia, Irlanda, il Vaticano e, all’Europarlamento, M5S, sinistra Gue e Verdi. Nell’Italia alla rovescia dei nemici delle fake news che sparano fake news, mancava la comica (anzi la colica) finale: i tifosi del golpista che danno lezioni di democrazia a chi chiede libere elezioni.

Oggi arriva Bonomi: sui soldi Ue vuole un posto “a tavola”. - Salvatore Cannavò

Oggi arriva Bonomi: sui soldi Ue vuole un posto “a tavola”

Se volessimo andare avanti per immagini, la fotografia degli Stati generali mostra un governo che si prepara a ricevere l’aristocrazia imprenditoriale, Confindustria, mentre incontra il “terzo Stato”. Se oggi, infatti, Giuseppe Conte dovrà mostrare il suo miglior viso all’ormai evidente gioco di Carlo Bonomi, ospite principale della giornata che sta per cominciare, l’immagine più movimentata di ieri è quella del leader sindacale Aboubakar Soumahoro, italiano di origini ivoriane, che prima si è incatenato a Villa Pamphilj e dopo è stato ricevuto dal presidente del Consiglio. A cui ha illustrato tre richieste fondamentali: riforma della filiera agricola in cui si addensa lo sfruttamento del lavoro migrante, il varo di un Piano nazionale per l’emergenza lavoro e un cambio delle politiche migratorie dando voce agli “invisibili delle periferie”. Appunto, il nuovo terzo Stato. “Atti concreti, non parole” è stata la richiesta di Soumahoro, volto ormai anche televisivo, a un Conte disponibile ad ascoltare e che ha assicurato che il tema dei diritti dei migranti e dei lavoratori sta a cuore al governo. Come e quando si vedrà, ma il gesto, appunto, ha il sapore dell’immagine. E infatti Matteo Salvini se ne accorge e ci si butta sopra con il solito messaggio a uso dei social media: “Cancellare i decreti Sicurezza, regolarizzare tutti i clandestini, regalare la cittadinanza a chi nasce in Italia, dice il sindacalista idolo della sinistra e di Fabio Fazio. E poi? Un insulto a milioni di italiani (e di immigrati regolari) in difficoltà”.
Ma Conte sembra voler insistere nel presentare gli Stati generali come luogo di ascolto e apertura alla “società civile”, tanto che cento parlamentari, tra cui molti del M5S, hanno chiesto audizione per discutere anche della “legalizzazione della cannabis”. E anche i ragazzi di Fridays for future si sono dati appuntamento a villa Pamphilj il 20 giugno per ricordare la crisi climatica agitando dei nuovi cahiers de doléances (e siamo di nuovo al 1789).
Alla fine sarà stata una passerella, forse, ma l’obiettivo è quello di tenere un filo di comunicazione fuori dal recinto dei partiti che sostengono il governo, filo tenuto saldamente nelle mani del premier. Che alla fine dovrà dare delle risposte: per il momento si limita a dire che il “Recovery Italia” ci sarà a settembre e proporrà misure specifiche da presentare per i progetti europei.
Sulla inconsistenza di questo piano scommette Bonomi, che arriva oggi con il suo “piano 2030” in cui, oltre a illustrare le varie misure di Confindustria – presenterà un nodo politico: far parte della cabina di regia che discuterà e deciderà l’utilizzo delle risorse europee (si parla oramai di 172 miliardi complessivi anche se non si sa da quando saranno disponibili). E così, come un qualsiasi sindacato corporativo, Confindustria lancia la “democrazia negoziale”, costruita e radicata “su una grande alleanza pubblico-privato su cui il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale, ma con cui esso dialoga incessantemente attraverso le rappresentanze del mondo dell’impresa, del lavoro, delle professioni, del terzo settore, della ricerca e della cultura”. Lo si legge nella prefazione al piano 2030 anticipata da Askanews e il senso è che non deve decidere solo la “politica”, ma anche gli imprenditori. Qualcosa di analogo dicono anche i principali sindacati in una voglia complessiva di co-gestione in cui ognuno fa finta di essere solo al tavolo.
Bonomi non risparmia ancora critiche a Conte, accusato di non essersi presentato con un piano preciso e dettagliato – che se l’avesse fatto gli avrebbero rimproverato che però sarebbe stato giusto ascoltare, etc. – mentre Confindustria il piano ce l’ha e lo farà vedere a tutti: “Mi dicono che quando c’è un nuovo insediamento – la velenosa risposta di Conte – c’è una certa ansia da prestazione politica. Io dal dottor Bonomi e da tutti gli associati mi aspetto un’ansia da prestazione imprenditoriale, è questo il loro scopo”.

Ue, Conte: il Parlamento voterà su proposta definitiva. Il governo è unito su progetto di riforme ambizioso.

Conte al Senato per parlare del Mes: la diretta live - Corriere.it

Il premier alla Camera per l'informativa in vista del consiglio Ue. La Lega abbandona l'Aula dopo l'intervento del loro capogruppo Molinari. 

"Anche se non rientra nel perimetro di questa informativa confermo che il governo vuol farsi trovare pronto" all'utilizzo delle risorse europee "e già in questi giorni ho avviato un'ampia consultazione per elaborare un piano di rilancio da cui potrà essere preparato un più specifico Recovery Plan che l'Italia presenterà a settembre. Quando il progetto" sarà più definito "verrò doverosamente in Parlamento per riferire dei suoi contenuti pronto a raccogliere proposte e suggerimenti". Ha detto il premier. "La proposta di Next Generation Eu è una buona base di partenza di cui condivido la logica e lo spirito. Per far ripartire le nostre economie è fondamentale raggiungere l'obiettivo primario di un consenso il prima possibile sull'adozione tempestiva" del Recovery Plan: "Una decisione tardiva sarebbe già di per sé un fallimento". Ha sottolineto Conte. "La poposta di Next Generation Eu conferma che la commissione europea non ha mancato l'appuntamento con la storia così come non l'ha mancato la Bce. In queste settimane è il Consiglio europeo ad essere chiamato all'appuntamento con la storia".
Al momento "manca la proposta formale di un quadro finanziario pluriennale da Michel e l'incontro avrà una natura solo consultiva per fare emergere convergenze e dissensi. Prima di un accordo definitivo sarò in Parlamento per chiedere il vostro voto alla luce proposta formale dell'Italia"- ha sottolineato Conte. "La decisione politica del Consiglio Ue è un obiettivo storico davanti alla peggiore crisi economica da oltre 70 anni , noi non possiamo permetterci liturgie e compromessi al ribasso, non lo permettono le vittime del Covid e le famiglie, i giovani e le imprese che affrontano le consegue economiche e sociali. Per questa ragione politica e morale tutti gli stati membri sono chiamati a decisioni di alto profilo", ha precisato il premier sottolineando"L'talia chiede che la proposta non si discosti dalla proposta della Commisisone quanto al volume delle e rimanendo fermo il principio del finanziamento straordinario a lungo termine"."Dobbiamo far ripartire l'economia italiana su nuove basi per un progetto di riforme ambizioso per dare un futuro migliore al paese. Il governo è coeso, ci spinge la fiducia" nel rilanciare l'Italia. Così il premier Giuseppe Conte nell'informativa alla Camera in vista del consiglio ue.
"In queste settimane sono in gioco la reputazione, un miglior futuro dell'Europa e dei suoi stati membri. E' il momento di agire con spirito di piena coesione anche sul piano nazionale perché la sfida non rechi all'Italia il doppio danno di vederla perdere la sfida europea e quella, forse più difficile, di vedere riformare alcune criticità. Coesi in Italia per cogliere subito e per intero l'opportunità che l'Europa offre a se stessa e ai Paesi più colpiti dal Covid. Questo spirito auspico caratterizzi il dibattito politico italiano in questa fase cruciale per la futura generazione""L'esperienza della coraggiosa risposta all'emergenza, della resilienza dimostrata da molti settori economici pubblici e privati, sono le stesse leve che consentiranno di far ripartire l'economia italiana su nuove basi che assicurino una rapida ripresa e un nuovo modello di sviluppo che superi i ritardi e gli ostacoli del vecchio. Le decisioni del Consiglio europeo consentiranno di mettere in campo ulteriori risorse economiche importanti per rafforzare gli investimenti pubblici in Italia, che sono su livelli assai inferiori rispetto agli altri Paesi europei", ha concluso Conte.  
Da parte dell'Ue "è in atto una manovra a tenaglia", da una parte con il Mes, il fondo Sure e il Recovery Fun aspetta che l'Italia si indebiti "per venirci poi a prendere casa". Lo ha detto il capogruppo della Lega alla Camera Maurizio Molinari intervenendo in Aula dopo le comunicazioni del premier Conte. "Se lei da avvocato degli italiani si è trasformato nel commissario liquidatore noi la aspetteremo qui in Parlamento", ha concluso. La Lega ha abbandonato l'Aula della Camera dopo l'intervento del capogruppo Maurizio Molinari, dopo l'informativa del premier Conte.

martedì 16 giugno 2020

Roma, blitz contro il clan Casamonica: arresti e sequestri per 20 milioni di euro. - Maria Elena Vincenzi

Roma, blitz contro il clan Casamonica: arresti e sequestri per 20 milioni di euro

Scattata all'alba l'operazione denominata "Noi proteggiamo Roma" come diceva uno di loro intercettato. Decisivo il ruolo di due ex mogli di componenti del clan.

Nuovo colpo ai Casamonica. La Polizia di Stato, su richiesta della Dda di Roma, ha eseguito ieri 20 ordinanze (15 in carcere e 5 ai domiciliari) e un sequestro di prevenzione da 20 milioni di euro ai danni del clan Casamonica. Le accuse sono per tutti di mafia. Una settantina di capi di imputazione, tra cui una trentina di episodi di usura ed estorsione e cinquanta di esercizio abusivo dell’autorità finanziaria. Reati che ai Casamonica garantivano un controllo assoluto del territorio, la Romanina, definito il loro “quartier generale”.

Roma, blitz contro Casamonica: arrestati esponenti del clan e sequestrati beni per 20 milioni di euro.

Dei 4 collaboratori che hanno aiutato un’indagine che ricostruisce 20 anni di storia della famiglia, due sono ex mogli di componenti del clan. Un clan che, come hanno spiegato gli inquirenti è autoctono, tanto da autoproclamarsi difensore di Roma (“Noi proteggiamo Roma”, dice in un’intercettazione Guido Casamonica) dalle mafie straniere, e ha una struttura orizzontale: non esiste un capo dei capi, ma singole famiglie, imparentate e legate da un comune senso di appartenenza.

Due, in particolare, le famiglie finite in questo filone di inchiesta, quelle di Ferruccio Casamonica e di Giuseppe Casamonica, cognati. “È un branco, si aiutano sempre”, ha detto una delle collaboratrici. Il tribunale ha disposto anche un contestuale sequestro da 20 milioni di euro, per i magistrati, il loro patrimonio era alla base del loro potere sul territorio.

Le intercettazioni: "Noi proteggemo Roma".

"Je da fastidio perchè noi proteggemo Roma". A dirlo è Guido Casamonica, figlio del boss Ferruccio, che si lamenta dei provvedimenti giudiziari emessi nei confronti di altri membri del clan della Romanina, periferia della Capitale. Secondo lui - spiegano gli investigatori - l'annientamento del sodalizio è finalizzato a consentire alle organizzazioni forti di mettere le mani sulla città. "Devono far entrare... Devono far entrare... Organizzazioni forti a Roma ecco perchè ce vonno distrugge a noi!! La Camorra e la Ndrangheta". Subito dopo sottoline che la presenza dei Casamonica sul territorio consente di proteggere Roma, sottraendo conseguentemente la città al controllo dei clan camorristici e delle cosche calabresi. "Perchè i Casamonica proteggono Roma ..invece hanno stufato...
i napoletani vonne entrà...la camorra vò entrà a Roma e i calabresi vonno entrà a Roma". E ancora: " "Senti... mo scenno lo sai dove te butto io a te?? mo te darei na bastonata in testa.. te spaccherei la testa!!... le mascelle te romperebbi io!!". A dirlo Ferruccio Casamonica ad una delle sue vittime di usura.

Sequestrate case, ville e società del valore di 20 milioni e 140 conti su vari istituti di credito.

Il Tribunale di Roma ha disposto il sequestro di  7 unità immobiliari site in Roma, tra cui le ville di Via Flavia Demetria 90 e Via Roccabernarda 8, il villino di Via Lunano 25 ed altri siti a Monterosi (VT) e San Cesareo (RM); quote di 5 società di capitali; quote di 1 società di persone; 1 ditta individuale; interi complessi aziendali di cui una stazione di servizio, sita in San Cesareo, e un bar tabacchi, ubicato a Montecompatri (RM); 1 contratto di concessione del godimento di un complesso immobiliare, con diritto di acquisto ai sensi del D.L. 12/9/2014 n. 133 (rent to buy); 140 rapporti finanziari con vari Istituti di credito.
 
Tra i beni immobili sequestratati anche  la villa di via Roccabernarda 8, unico immobile nella roccaforte storica della famiglia Casamonica ancora in possesso del clan, situato nella adiacenze delle due ville di via Roccabernarda n. 15 e n.14/16, già confiscate nel 2009 a Giuseppe Casamonica e destinate dalla Regione Lazio a parco pubblico denominato “Il parco della legalità” e a centro polivalente dell’Associazione nazionale Genitori Soggetti Autistici.


https://roma.repubblica.it/cronaca/2020/06/16/news/roma_mafia_casamonica-259325872/

Mafia capitale: Carminati torna libero per decorrenza dei termini. - Virginia Piccolillo e Ilaria Sacchettoni

Mafia capitale:  Carminati torna libero per decorrenza dei termini

I giudici del Tribunale della Libertà hanno accolto l’istanza dei legali perché «il termine complessivo massimo è scaduto». Oggi il protagonista dell’inchiesta sulla corruzione, ha lasciato il carcere di Oristano dopo 5 anni e 7 mesi. Bonafede invia gli ispettori.

Jeans e camicia blu sbottonata. Un borsone in spalla e gli occhi a terra. Nessuna risposta e una smorfia di fastidio per i giornalisti. Massimo Carminati è di nuovo libero. Uno dei principali protagonisti dell’inchiesta Mafia capitale ha lasciato il carcere di Oristano per scadenza dei termini di custodia cautelare. Solo dopo il ricalcolo della pena potrà essere riarrestato. Intanto però l’istanza di scarcerazione presentata dagli avvocati Cesare Placanica e Francesco Tagliaferri è stata accolta dal Tribunale della Libertà e, dopo 5 anni e 7 mesi, il “cecato” - come l’ex Nar viene soprannominato da quando perse un occhio in uno scontro a fuoco con la polizia, è uscito alle 13.30 di martedì dal carcere. Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha investito della vicenda gli ispettori di via Arenula per valutare se ci siano stati illeciti, ritardi o omissioni. Solo 4 giorni fa erano arrivate le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione che ha modificato la condanna di Carminati da associazione mafiosa ad associazione a delinquere e sulla base della quale la Corte d’Appello dovrà fare il computo definitivo dei giorni di carcere che gli restano da scontare.

Il provvedimento dei giudici.
Secondo i giudici del tribunale di Roma, sezione misure di sorveglianza, i termini di scarcerazione di Massimo Carminati sono già trascorsi. Questo perché nei confronti dell’imputato non sono state applicate sospensioni della pena che ha continuato invece a decorrere: «In definitiva -scrivono i giudici - non può dirsi che nel procedimento in esame siano sospesi i termini di durata della misura cautelare, trattandosi di procedimento rientrante tra quelli per i quali non opera la sospensione». In questo senso aggiungono i giudici «deve ritenersi che in relazione ai due capi di imputazione il termine complessivo massimo di custodia cautelare è scaduto con la conseguenza che va disposta la scarcerazione dell’appellante in relazione e limitatamente a detti capi di imputazione che hanno costituito oggetto del presente esame».

La difesa: «Principio di civiltà».
«Siamo soddisfatti che la questione tecnica che avevamo posto alla Corte d’Appello e che tutela un principio di civiltà sia stata correttamente valutata dal Tribunale della libertà», commenta l’avvocato Placanica. Dopo tre rigetti l’istanza con il meccanismo della contestazione a catena è stata accolta. E il “Nero” del “Mondo di Mezzo” può tornare a Roma.

L’accusa di mafia caduta.
«Esce per decorrenza dei termini, è un automatismo», ha spiegato l’altro difensore Tagliaferri. Aggiungendo che «quando si tratta di Carminati bisogna sempre ingaggiare lotte giudiziarie. Come nel processo di primo grado, dove è stato per 4 anni al 41 bis per poi arrivare in Cassazione dove è stata disintegrata l’accusa di mafia». Nell’ultima sentenza del 22 ottobre 2019, infatti, la Cassazione ha smontato l’inchiesta dell’ex procuratore capo, Giuseppe Pignatone, e ha fatto cadere per Carminati e gli altri l’accusa di mafia. Per i giudici quella dell’ex esponente della Banda della Magliana, e del re delle cooperative rosse Salvatore Buzzi, non era un’associazione di stampo mafioso fondata sulla violenza e l’intimidazione, ma una (anzi due) associazioni a delinquere basate sulla corruzione. Ora Carminati e Buzzi sono in attesa di un altro processo di appello che ridetermini le pene.

patto Sicilia-New York. Lo gestiva un fedelissimo di Messina Denaro: 13 arresti. - Salvo Palazzolo

Mafia, un nuovo patto Sicilia-New York. Lo gestiva un fedelissimo di Messina Denaro: 13 arresti

Blitz dei carabinieri in provincia di Trapani. In manette Francesco Domingo, boss di Castellammare del Golfo, punto di riferimento per il superlatitante. Indagato il sindaco, perquisizione a casa e in ufficio.

Negli ultimi due anni, i viaggi da New York verso Castellammare del Golfo si sono intensificati. Gli emissari della famiglia Bonanno andavano tutti ad ossequiare un padrino della vecchia guardia, Francesco Domingo, 64 anni, in Cosa nostra lo hanno sempre chiamato "Tempesta", un punto di riferimento per l'imprendibile Matteo Messina Denaro. Quei viaggi non sono sfuggiti all'indagine dei carabinieri del nucleo investigativo di Trapani, coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi, dall'aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Francesca Dessì e Gianluca De Leo: stanotte, sono state arrestate 13 persone, fra cui Domingo. E questa volta, le intercettazioni sono entrate ancora più a fondo nei segreti della provincia di Trapani, mettendo in risalto relazioni fra mafiosi e insospettabili.

Stamattina, sono scattate perquisizioni nell'abitazione e nell'ufficio del sindaco di Castellammare del Golfo, Nicola Rizzo, eletto nel 2018 con 2.463 voti, ottenuti con una lista civica di Centrodestra. Al primo cittadino è stato notificato un avviso di garanzia in cui si ipotizza il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. E tornano le ombre del passato: nel 2006, il Comune di Castellammare era stato già sciolto per infiltrazioni mafiose, per le pressioni pesanti di Domingo sull'ufficio tecnico. Eppure, quella sembravava ormai una stagione lontana: negli ultimi anni, il sindaco Rizzo è diventato espressione di un nuovo percorso antimafia in provincia di Trapani. Ma per la procura di Palermo non è proprio così, domani il primo cittadino dovrà presentarsi al palazzo di giustizia per essere interrogato.

Il summit.

Francesco Domingo è stato già condannato due volte per associazione mafiosa. Dopo ogni scarcerazione, è sempre tornato a guidare l'influente mandamento di Castellamare del Golfo. Fra estorsioni e affari sul territorio. E più di recente - racconta l'indagine del comando provinciale di Trapani diretto dal colonnello Gianluca Vitagliano -  i collegamenti sono tornati ancora più stretti con i cugini d'oltreoceano.

È un rapporto antico quello fra Cosa nostra siciliana e americana: le origini del clan Bonanno di New York, all'inizio del secolo scorso, avevano le proprie radici proprio a Castellammare. I mafiosi italo-americani del fronte trapanese hanno segnato una scalata criminale veloce: i Bonanno hanno costituito la seconda famiglia più importante fra le cinque di New York. Fino alla grande repressione giudiziaria degli anni Novanta.
 
Adesso, le microspie piazzate nel ventre della Sicilia hanno registrato un nuovo particolare attivismo. Non solo in provincia di Trapani, ma anche in quella di Agrigento, dove la famiglia mafiosa di Sciacca intrattiene altri contatti con i Bonanno. Il 30 luglio 2018, si tenne un riunione importante a Castellammare del Golfo: da Sciacca arrivarono il capomafia Accursio Dimino e Sergio Gucciardi, proprietario di due bar a New York, dove sono installate slot machine; incontrarono un tale Stefano Turriciano, "originario di Castellammare - hanno scritto gli investigatori - ma dimorante perlopiù negli Stati Uniti e dalle informazioni acquisite dalla polizia giudiziaria, è stato controllato nel 2007 all'aeroporto di Palermo con Franco Salvatore Montagna, originario di Alcamo e fratello di Sal Montagna, affiliato alla famiglia newyorkese dei Bonanno e assassinato il 24 novembre 2011 a Montreal".


A Castellammare si incontrarono al Flower cafè: "Dove li mettiamo questi telefoni?". Erano prudenti. Sembra che i boss siciliani puntavano a nuovi investimenti nel settore del gioco.  "Noi dobbiamo andare là per fare - diceva Antonello Nicosia, il collaboratore parlamentare dell'onorevole Giuseppina Occhionero (arrestato nel novembre dell'anno scorso), a Dimino - in California o in Texas o in un altro posto, non è che per forza dobbiamo farlo a New York. Dobbiamo fare una cosa per fare soldi, anche in un altro paese... in Canada".

 
Qualche tempo dopo, Gucciardi telefonò a Michele Domingo, il fratello di Francesco, anche lui residente negli Stati Uniti. Il fratello del boss disse: "Domani non scendere per venire qua, fino a quando non te lo dico io... perché c'è mbiruglio per ora". Era morta la madre dei Domingo, la questura di Trapani aveva vietato i funerali pubblici e per le strade di Castellammare c'erano diversi controlli della polizia. Così, la trasferta da Sciacca venne rinviata. Il 28 agosto, c'era anche Francesco Domingo all'incontro con Gucciardi, al Flower cafè.

L'indagine.

Pure a Palermo sono stati registrati segnali inquietanti sul fronte di un'altra famiglia newyorkese, quella dei Gambino: nel luglio scorso, la squadra mobile ha arrestato 19 esponenti del clan Inzerillo, i "perdenti" della guerra di mafia  dei primi anni Ottanta, dopo la morte di Totò Riina sono tornati dagli Stati Uniti con i loro tesori mai sequestrati. Un altro mistero. Per certo, la Procura ha individuato un flusso di denaro dagli Stati Uniti alla Sicilia attraverso alcune carte ricaricabili portate a Palermo. Sono pagamenti per partite di droga? O capitali per nuovi investimenti? Il quadro è ancora confuso.

Nei mesi scorsi, la commissione parlamentare antimafia ha deciso una trasferta negli Stati Uniti, per comprendere come si sta sviluppando il nuovo asse criminale fra la Sicilia e gli States. L'Antimafia ha incontrato il ministro della giustizia del presidente Trump, i direttori di Dea ed Fbi, i due procuratori distrettuali di New York (Manhattan e Brooklyn) e vari responsabili delle agenzie Onu che si occupano di cooperazione internazionale in materia penale.

"Con procuratori e investigatori - spiegò al ritorno dal viaggio il presidente Nicola Morra - abbiamo fatto il punto su quanto emerge dall'attività delle cinque famiglie di New York per capire i livelli di interazione e integrazione fra la Cosa nostra che un tempo dettava legge nello scenario americano, l'Ndrangheta che arriva dal Canada e altre mafie straniere". La commissione antimafia ha affrontato anche uno dei nodi irrisolti della collaborazione Italia-Usa in tema di lotta alle cosche: dalla fine del 2016 è pendente una richiesta di estradizione per il boss di Carini Freddy Gallina, fermato a New York, quattro anni non sono bastati per farlo ritornare nelle prigioni italiane.

Il superlatitante.
Sullo sfondo, l'imprendibile Matteo Messina Denaro, il capomafia della provincia di Trapani condannato all'ergastolo per le stragi del 1993 di Firenze, Milano e Roma. Nella stagione delle bombe, aveva affidato una missione molto particolare a Francesco Domingo, un'indagine riservata in Sardegna per individuare alcuni agenti della polizia penitenziaria che lavoravano nei bracci del 41 bis. Messina Denaro e gli altri "falchi" di Cosa nostra volevano dare una lezione esemplare ai poliziotti. Domingo portò dei nomi, trovati grazie ad alcuni suoi contatti in Sardegna, ma poi la spedizione punitiva venne rinviata.

Dov'è adesso Messina Denaro? Forse in Sicilia, forse all'estero, si sono perse le sue tracce. Ma i fedelissimi di Trapani, come Francesco Domingo, continuano a presidiare il territorio. E la caccia alla primula rossa continua. 

https://palermo.repubblica.it/cronaca/2020/06/16/news/mafia_un_nuovo_patto_sicilia-new_york_a_gestirlo_un_fedelissimo_di_messina_denaro_13_arresti-259320752/

Salvini da politico vincente è diventato un pugile suonato. - Andrea Scanzi

Gad Lerner: “Salvini ha la faccia del pugile suonato. PD non deluda”
C’è un momento, più o meno lungo, in cui un politico un tempo vincente si trasforma in pugile suonato. A Matteo Salvini accade da mesi, per l’esattezza da quando si è comicamente sgambettato da solo al Papeete. Roba che gli storici lo prenderanno per il culo nei secoli (ma non c’è bisogno di aspettare gli storici: possiamo già farlo anche noi. Con agio e in atarassia). Dall’8 agosto in poi, il Salvini a cui pareva riuscire tutto si è trasformato in un Fantozzi presbite. Si è messo gli occhiali, forse anche per sembrare un po’ intellettuale, ma la trovata oculistico-strategica non ha portato grandi frutti. Tutte le volte che non si intervista da solo, e quindi non è da Porro (o derivati), è un pianto. Per lui: per tutti gli altri, immagino alleati inclusi, sono invece le matte risate. La figuraccia raccattata una settimana fa da Floris è roba da Guinness dei Primati. Quel suo “Posso mentre parlo con una signora abbassarmi la mascherina?”, pronunciato con aria stralunata di fronte a un attonito (e divertitissimo) Floris, è stato l’ennesimo suicidio mediatico. Lo difendono giusto gli ultrà infoiati, che ovviamente non fanno testo. Con quella frase, Salvini non ha soltanto dimostrato di non avere capito nulla della pandemia (e delle regole base per arginarla) dopo quattro mesi di fase 1, 2 e 3. Quella frase ha ribadito altresì come Salvini sia totalmente fuori fase. E purtroppo (per lui) non ha uno straccio di amico vero in grado di dirgli per il suo bene: “Fermati un po’ oppure qua è un massacro”. O magari gli amici li ha, e glielo auguriamo, ma lui si crede troppo figo per ascoltarli. Durante il Salvimaio teneva una foto di Renzi in salotto (regalatagli da Giorgetti) per “non finire come lui”, ma sta facendo gli stessi errori. Accecato da sondaggi, da vanagloria e da un ego che mangia persino più di lui. Non c’è volta in cui apra bocca e non ne spari un’altra. “È sempre stato così”, direte voi, e certo anche prima non era Churchill. Ma ora è proprio divenuto il clone del Poro Asciugamano. Fa una manifestazione il 2 Giugno e la trasforma colpevolmente in un assembramento pericolosissimo. Non solo non chiede scusa, ma i giorni successivi si ripete in Campania, Abruzzo e Marche. Poi non partecipa agli Stati generali, obbedendo a una Meloni che nel frattempo lo sta sabotando senza pietà, e va in Sicilia. Risultato? Fischi, sfottò e assembramenti.
Nei giorni scorsi ha trasformato la testimonianza di Conte, Lamorgese e Speranza sulla mancata zona rossa in Val Seriana (in qualità di persone informate sui fatti) come prova di inequivocabile colpevolezza (“giustizia è fatta”). C’è o ci fa? Entrambe, si presume. E domenica ha pure trovato il tempo di andare dalla D’Urso e dialogare con un aureo simposio composto da Orietta Berti, Eleonoire Casalegno, Riccardo Fogli, Fausto Leali e un tizio anonimo che voleva ingrassare un chilo per ogni grillino morto. Incapace di chiedere scusa, ogni volta che sbaglia o non sa rispondere parte con la solita lista della spesa: i migranti, la cassa integrazione, i figli, il cuore immacolato di Maria. Il poro Salvini è ormai un Tafazzi così sciagurato – più di 10 punti bruciati in 10 mesi, stando ad alcuni sondaggi – da essere detestato anche da buona parte del suo stesso partito. Che punta, non senza ragione, sul più affidabile Zaia. Salvini ricorda oggi uno di quei pugili divelti dal primo Tyson, maciullati sin dal primo round e ridotti a birilli malfermi prima di franare al tappeto. Loro, persi in quella smisurata mattanza, facevano pena. Salvini, neanche quello: solo scherno. Una prece.