C’è un momento, più o meno lungo, in cui un politico un tempo vincente si trasforma in pugile suonato. A Matteo Salvini accade da mesi, per l’esattezza da quando si è comicamente sgambettato da solo al Papeete. Roba che gli storici lo prenderanno per il culo nei secoli (ma non c’è bisogno di aspettare gli storici: possiamo già farlo anche noi. Con agio e in atarassia). Dall’8 agosto in poi, il Salvini a cui pareva riuscire tutto si è trasformato in un Fantozzi presbite. Si è messo gli occhiali, forse anche per sembrare un po’ intellettuale, ma la trovata oculistico-strategica non ha portato grandi frutti. Tutte le volte che non si intervista da solo, e quindi non è da Porro (o derivati), è un pianto. Per lui: per tutti gli altri, immagino alleati inclusi, sono invece le matte risate. La figuraccia raccattata una settimana fa da Floris è roba da Guinness dei Primati. Quel suo “Posso mentre parlo con una signora abbassarmi la mascherina?”, pronunciato con aria stralunata di fronte a un attonito (e divertitissimo) Floris, è stato l’ennesimo suicidio mediatico. Lo difendono giusto gli ultrà infoiati, che ovviamente non fanno testo. Con quella frase, Salvini non ha soltanto dimostrato di non avere capito nulla della pandemia (e delle regole base per arginarla) dopo quattro mesi di fase 1, 2 e 3. Quella frase ha ribadito altresì come Salvini sia totalmente fuori fase. E purtroppo (per lui) non ha uno straccio di amico vero in grado di dirgli per il suo bene: “Fermati un po’ oppure qua è un massacro”. O magari gli amici li ha, e glielo auguriamo, ma lui si crede troppo figo per ascoltarli. Durante il Salvimaio teneva una foto di Renzi in salotto (regalatagli da Giorgetti) per “non finire come lui”, ma sta facendo gli stessi errori. Accecato da sondaggi, da vanagloria e da un ego che mangia persino più di lui. Non c’è volta in cui apra bocca e non ne spari un’altra. “È sempre stato così”, direte voi, e certo anche prima non era Churchill. Ma ora è proprio divenuto il clone del Poro Asciugamano. Fa una manifestazione il 2 Giugno e la trasforma colpevolmente in un assembramento pericolosissimo. Non solo non chiede scusa, ma i giorni successivi si ripete in Campania, Abruzzo e Marche. Poi non partecipa agli Stati generali, obbedendo a una Meloni che nel frattempo lo sta sabotando senza pietà, e va in Sicilia. Risultato? Fischi, sfottò e assembramenti.
Nei giorni scorsi ha trasformato la testimonianza di Conte, Lamorgese e Speranza sulla mancata zona rossa in Val Seriana (in qualità di persone informate sui fatti) come prova di inequivocabile colpevolezza (“giustizia è fatta”). C’è o ci fa? Entrambe, si presume. E domenica ha pure trovato il tempo di andare dalla D’Urso e dialogare con un aureo simposio composto da Orietta Berti, Eleonoire Casalegno, Riccardo Fogli, Fausto Leali e un tizio anonimo che voleva ingrassare un chilo per ogni grillino morto. Incapace di chiedere scusa, ogni volta che sbaglia o non sa rispondere parte con la solita lista della spesa: i migranti, la cassa integrazione, i figli, il cuore immacolato di Maria. Il poro Salvini è ormai un Tafazzi così sciagurato – più di 10 punti bruciati in 10 mesi, stando ad alcuni sondaggi – da essere detestato anche da buona parte del suo stesso partito. Che punta, non senza ragione, sul più affidabile Zaia. Salvini ricorda oggi uno di quei pugili divelti dal primo Tyson, maciullati sin dal primo round e ridotti a birilli malfermi prima di franare al tappeto. Loro, persi in quella smisurata mattanza, facevano pena. Salvini, neanche quello: solo scherno. Una prece.