lunedì 27 luglio 2020

Neanderthal sentivano dolore più facilmente a causa di variazione genetica.


Credito: sgrunden, Pixabay, 4731920

Secondo un nuovo studio condotto da ricercatori della società Max Planck, i Neanderthal erano caratterizzati da una soglia più bassa del controllo della percezione del dolore.
I ricercatori sono giunti a questa conclusione esaminando un gene portatore di questa caratteristica e hanno dimostrato che essa è presente anche in alcuni esseri umani provenienti soprattutto da aree quali quelle dell’America centrale e meridionale così come in alcune aree dell’Europa.
Questi esseri umani hanno ereditato questa variante genetica che codifica un particolare canale ionico il quale è responsabile della sensazione del dolore.
Per scoprire queste particolari caratteristiche del gene in questione i ricercatori hanno utilizzato i dati di un grande studio contenente le caratteristiche genetiche di molte persone provenienti dal Regno Unito scoprendo che quelle persone che possedevano questa particolare variante erano più soggette a sentire il dolore e la sensazione del dolore partiva più presto rispetto a chi non possedeva questa variante.
Come spiega Hugo Zeberg, scienziato dell’istituto Max Planck per l’antropologia evoluzionistica e del Karolinska Institutet, autore principale dello studio, questo particolare variante del canale ionico semplicemente ” ti fa provare più dolore”, come se tu fossi un bambino di otto anni.
Questo non vuol dire che i Neanderthal automaticamente sentivano più dolore rispetto all’Homo sapiens, come chiarisce Svante Pääbo, un altro degli autori dello studio. L’impulso del dolore, infatti, viene modulato anche dal midollo spinale e dal cervello, tuttavia che la soglia oltre la quale inizia la sensazione del dolore fosse nei neanderthaliani più bassa sembra ora un dato di fatto.
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Ponte sullo Stretto, lo Stato chiude la Spa dopo 39 anni

Grandi opere - Palazzo Chigi scrive la norma per liquidare la società concessionaria in guerra col costruttore Salini (che finora ha perso).
Le grandi storie italiane hanno sempre strascichi infiniti e quella del Ponte sullo Stretto non è da meno. Ma quasi quarant’anni dopo la sua istituzione e otto anni dopo la decisione di fermare l’opera, la società concessionaria incaricata di costruirla potrebbe davvero chiudere i battenti. La decisione l’ha presa Palazzo Chigi che, dopo un lungo tira e molla, sembra aver trovato la quadra con i ministeri dell’Economia e delle Infrastrutture.
Il 14 luglio scorso, il segretario generale della Presidenza del Consiglio, Roberto Chieppa, ha scritto al Tesoro e – in copia – al ministero delle Infrastrutture una lettera in cui allega anche la norma per liquidare definitivamente la società “Stretto di Messina spa”.
Sdm ha una storia travagliata. È stata messa in liquidazione nel 2013, quando il governo Monti ha definitivamente fermato il progetto, e affidata al commissario Vincenzo Fortunato, già consigliere di Stato e potente capo di Gabinetto al Tesoro con Giulio Tremonti. La concessionaria era nata nel 1981 per costruire l’opera in concessione col mitico project financing, il meccanismo per cui il privato costruisce l’opera e si ripaga con i pedaggi, ma alla fine quasi sempre è lo Stato a rimetterci. Il caso del ponte fa quasi sorridere perché in quel caso il privato era il pubblico. Sdm è infatti controllata dall’Anas, la società pubblica delle strade e da Rfi, entrambe controllate a loro volta dalle Ferrovie dello Stato.
È da quasi un anno che Palazzo Chigi vuole liquidare definitivamente la società e Chieppa scrive con cadenza regolare al capo di Gabinetto del Mef, Luigi Carbone. A chiederlo per prima, nel 2016, è stata la Corte dei conti. Nel 2018 ha dato l’ultimatum al termine di un’istruttoria redatta dal giudice Antonio Mezzera che ha contestato l’utilità di Sdm (costi: 1,5 milioni nel 2016, ridotti sotto il milione nel 2017). Secondo i magistrati contabili le funzioni della società possono essere assorbite dai suoi azionisti, cioè le Fs, cioè i ministeri. Che invece finora si sono mostrati scettici sull’utilità dell’operazione e hanno chiesto una norma ad hoc. “Dopo le percorse interlocuzioni (…) da cui è emersa la convenienza per lo Stato di procedere alla definitiva chiusura della liquidazione di ‘Stretto di Messina’, ti sottopongo una nuova bozza di norma”, scrive Chieppa a Carbone. Il testo, insomma, pare concordato. Verrà verosimilmente infilato nel decreto Semplificazioni, in conversione al Senato, o nel prossimo decreto di agosto. Prevede che Sdm rediga un bilancio finale e venga assorbita da Anas, confluendo però in un patrimonio separato per evitare alla società delle strade di dover rispondere con il proprio patrimonio di debiti e oneri di Sdm. Sarà Anas a gestire “tutti i giudizi pendenti”.
Sdm, infatti, è il perno di un mega contenzioso. Nel 2013 il consorzio Eurolink, capeggiato da Salini-Impregilo che nel 2005 ha vinto la gara per il Ponte, ha fatto causa a Stretto di Messina spa e a Palazzo Chigi chiedendo 800 milioni di penale per non avergli fatto costruire l’opera. Da anni il boss del gruppo, Pietro Salini, rivendica quei soldi in forza di un clamoroso regalo fatto nel 2008 dal governo Berlusconi che resuscitò il contratto accantonato da Prodi con un “atto aggiuntivo” che faceva scattare le penali anche se il progetto non fosse stato approvato dal Comitato per la programmazione economica (Cipe). Anzi, le faceva scattare proprio in forza della mancata approvazione. Un accordo rimasto segreto finché Giorgio Meletti non l’ha rivelato sul Fatto a fine 2012.
Salini però la causa l’ha persa. A fine 2018 il tribunale di Roma ha dato ragione al team legale di Sdm, guidato da Fortunato, stabilendo che a Eurolink spetta solo il 10% delle opere già realizzate, qualcosa come 8 milioni. Salini ha fatto appello e a novembre il tribunale potrebbe chiudere la partita. E anche la società potrebbe non esserci più.
Magari è un caso, ma il diktat di Palazzo Chigi arriva dopo che nei mesi scorsi Matteo Renzi è tornato a chiedere di far fare il Ponte all’amico Salini (che equivale a legittimare le sue pretese di avere la penale).

Ma mi faccia. - Marco Travaglio

Breaking News: immagini, foto stock e grafica vettoriale ...
Legnanesi. “La Regione Lombardia nella gestione del Covid non ha fatto errori” (Attilio Fontana, Lega, presidente Lombardia, 23.4). “Le abbiamo azzeccate tutte” (Giulio Gallera, FI, assessore regionale Welfare e Sanità, 6.4). Sono sempre i migliori quelli che non se ne vanno.
Nei secoli Fedeli. “Un’immagine di straordinaria forza sul significato del valore dello studio: decine di donne afghane che… sostengono l’esame di ammissione all’università in spiaggia” (Valeria Fedeli, Pd, ex ministro dell’Istruzione, Twitter, 23.7). Miracoli dell’Afghanistan, che riesce ad avere le spiagge senza avere il mare: un’immagine di straordinaria forza sul significato del valore dell’ignoranza.
ComPiacenza. “Indubbiamente la storiaccia della caserma dei carabinieri di Piacenza, trasformata in un centro di torture, fa venire i brividi… Prima di giudicare attendiamo come si conviene l’esito delle indagini… Attenzione a non generalizzare… Se pretendiamo che i carabinieri vincano la battaglia con i grassatori occorre che siano dotati di strumenti idonei, di cui oggi non dispongono giacché i nostri governi pensano al reddito di cittadinanza e roba simile” (Vittorio Feltri, Libero, 24.7). Giusto: attendendo, come si conviene, l’esito delle indagini, possiamo serenamente affermare, come si conviene, che è colpa del reddito di cittadinanza.
Appena appena. “Perchè nel ’94 vi candidaste con Berlusconi?”. “Uscivamo da Tangentopoli e Berlusconi, che cercava di interpretare a suo favore il vento di protesta e il bisogno di cambiamento, voleva tutte facce nuove. Si rese conto però che aveva bisogno di qualche professionalità, ancorchè stravagante, e offrì a Marco (Pannella, ndr), senza contraccambi, otto collegi. Io ci stetti poco” (Emma Bonino, senatrice Pd, intervista al Corriere della sera, 12.7). Come quella madre che, raccontava Enzo Biagi, aveva la figlia “un po’ incinta”.
Trova l’errore/1. “Dopo cinque giorni di maratona negoziale la battaglia di Bruxelles sui fondi per il rilancio post-Covid si è conclusa con un successo del fronte franco-tedesco… Ha visto Francia e Germania determinate… contro i Paesi ‘frugali’ Olanda, Danimarca, Svezia ed Austria, sostenuti dalla Finlandia… e i sovranisti Polonia e Ungheria…” (Maurizio Molinari, Repubblica, 22.7). C’erano proprio tutti, a Bruxelles. Peccato che l’Italia, destinataria a sua insaputa del 28% dei fondi, non fosse neppure invitata.
Trova l’errore/2. ”Merkel e Macron salvano l’Italia” (Alessandro Sallusti, il Giornale, 21.7). È bello vedere il Giornale e Repubblica, dopo tanti anni, sulla stessa linea.
Trova l’errore/3. “Conte festeggia per nascondere la sconfitta” (Daniele Capezzone, La Verità, 22.7). Ah, c’è pure Capezzone.
Faccio schifo. “Grillo. La vera storia dell’incidente mortale”, “Fa abbastanza schifo che nel luglio 2020 si debba tornare su questa vecchia storia” (F. F., Libero, 22.7). Segue un’intera pagina di F. F. che nel luglio 2020 fa abbastanza schifo tornando su questa vecchia storia.
Maiolate. “De Pasquale, quel magistrato con l’ossessione dell’Eni. Nel ’93 accusò Cagliari, ora accusa Descalzi e Scaroni” (Tiziana Maiolo, Riformista, 23.7). Cioè: l’Eni manovra tangenti almeno dal ’93 e la colpa è del pm che le scopre. Del resto, se hai la febbre, è colpa del termometro.
Cose da pazzi. “De Pasquale è sempre lì dentro l’aula coi soliti baffi e la toga consunta a chiedere la condanna” (Libero, 24.7). In effetti un pm che fa il pm è davvero bizzarro.
Esodo biblico. “Strappo nel M5S, cade un’altra stella: addio di Lozzi. La presidente del VII Municipio abbandona il Movimento e approda al partito di Paragone, Italexit: ‘La maggioranza mi seguirà’. E prepara la sua lista per le Comunali” (Repubblica-Roma, 24.7). “Paragone fonda Italexit e punta già al Campidoglio” (Il Dubbio, 24.7). Compatibilmente con lo spostamento d’aria, vanno transennate le edicole con un anno d’anticipo.
Abbiamo una corrente. “Ecco la corrente di Travaglio per sostenere Giuseppi. Fibrillazione nei pentastellati” (il Giornale, 19.7). Solo una corrente? Che scadimento.
La pioggia nel pirleto. “A furia di pensare solo agli immigrati, il sindaco Orlando dimentica i cittadini di Palermo: basta un temporale e la città finisce sott’acqua” (Matteo Salvini, segretario e senatore della Lega, Twitter, 15.7). “Lombardia sott’acqua. Forti piogge in tutta la Regione. A Milano terza esondazione del Seveso in tre settimane, mentre il fiume Olona esce dagli argini” (rainews.it, 24.7). Quindi è lui che porta sfiga?
Io so’ io… “Io non ho fatto la quarantena perché sono una deputata. È vero, non sono stata in isolamento” (Francesca La Marca, deputata Pd di ritorno dal Canada, Corriere della Sera, 20.7). La famosa immunità parlamentare di gregge.
Il titolo della settimana. “L’ultima di Palazzo Chigi. Agli imprenditori finanziamenti solo se sono transessuali” (Renato Farina, Libero, 20.7). Infatti la Fiat-Fca è piena di drag queen.

domenica 26 luglio 2020

Invito a scomparire. Marco Travaglio

Coronavirus: in città si riducono i positivi. Gallera e Fontana ...

Da cinque mesi Attilio Fontana e Giulio Gallera, i due caratteristi che sgovernano la Lombardia, sgomitano in un appassionante testa a testa (testa si fa per dire) per aggiudicarsi il primo avviso di garanzia. E noi, lo confessiamo, puntavamo tutto su Gallera, anche perché la sfangherebbe agevolmente con l’incapacità di intendere e volere. Invece, sul filo di lana, l’ha spuntata il governatore umarell, insospettabile per quell’aria emaciata da vecchietto sul punto di esalare l’ultimo respiro. Poi Report, anticipato dal Fatto, scoprì il contratto di fornitura da 513 mila euro per 75 mila camici e 7 mila set sanitari assegnato il 16 aprile dall’agenzia regionale Aria Spa, senza gara, alla Dama Spa del cognato e della moglie del presidente leghista: Andrea e Roberta Dini. Fatture previste per il 30 aprile, pagamento in 60 giorni. Il 19 maggio l’inviato di Report Giorgio Mottola iniziò a far domande in Regione. E intervistò il cognatissimo Dini. Che, al citofono, provò a negare: “Non è un appalto, è una donazione, chieda pure ad Aria”. Mottola richiamò spiegando di avere le carte della fornitura. Allora Dini cambiò versione, ammettendo quanto non poteva più negare, ma precisando che tutto era avvenuto a sua insaputa: “Non ero in azienda durante il Covid… chi se n’è occupato ha mal interpretato. Ma poi me ne sono accorto e ho subito rettificato tutto perché avevo detto ai miei che era una donazione”. “Subito” mica tanto: l’affidamento è del 16 aprile e la “rettifica” arriva solo il 22 maggio, quando già l’inviato Rai è sulle tracce dello scandalo e Dama inizia a stornare le fatture, cioè a rinunciare ai soldi pubblici.
Interpellato sullo scoop di Report, anche Fontana sposò la linea Scajola: “Non sapevo nulla della procedura e non sono mai intervenuto in alcun modo”. Diffidò la Rai dal trasmettere servizi non autorizzati da lui. E annunciò querela al Fatto. Ma chiunque avesse occhi per vedere capì subito che quella commessa da mezzo milione a cognato e moglie del presidente lumbard era andata bene a tutti finché Report non l’ha scoperta. Poi fu tramutata in tutta fretta in una donazione e le fatture in un errore da “rettificare” ex post, con una corsa precipitosa a coprire tutto con una toppa peggiore del buco. Come se un tizio accusato di rubare tentasse di dimostrare che non è vero restituendo il maltolto al legittimo proprietario.
Intanto accadevano altre cose che nessuno poteva sospettare: la Procura di Milano riceveva una segnalazione di operazione sospetta dall’ufficio antiriciclaggio di Bankitalia, allertato dall’Unione fiduciaria di Milano, che aveva bloccato un bonifico urgente ordinato da Fontana il 19 maggio.
Si trattava di un versamento di 250 mila euro al cognato dal conto che Fontana ha in Svizzera con 4,4 milioni di “mandato fiduciario”, frutto di un’eredità di 5,3 che dal 2005 nascondeva al fisco su due trust alle Bahamas e poi sbiancò nel 2015 (da presidente del Consiglio regionale) grazie alla voluntary disclosure del governo Renzi. Un chiaro tentativo di rimborsare Dini per il mancato affare con la Regione: infatti l’indomani il cognato scrisse ad Aria che avrebbe non più venduto, ma regalato i 49 mila camici e 7 mila set già consegnati. Ma, appunto, il bonifico fu bloccato per la causale generica e sospetta. Così Dini, rimasto a bocca asciutta, interruppe lì la donazione “spontanea” alla Regione (che non riusciva a proteggere i sanitari dal Covid) e tentò di rivendere i restanti 25 mila camici a una casa di cura per 9 euro l’uno anziché 6. Poi, appena la GdF acquisì gli atti dalla fiduciaria, Fontana annullò il bonifico. Perciò non solo Dini e l’ex ad di Aria, ma anche Fontana sono indagati per frode in pubbliche forniture. Ma non è per questo, cioè per un reato ancora tutto da accertare, che Fontana deve dimettersi subito. Bensì per i fatti acclarati che lui ha maldestramente tentato di nascondere.
1) Un pubblico amministratore non può nascondere ai cittadini milioni di euro alle Bahamas e in Svizzera.
2) Chi accede alla voluntary disclosure riporta fondi neri all’ufficialità in cambio di cifre irrisorie e dell’anonimato e ammette di averli detenuti illegalmente all’estero e al riparo dalle tasse: dunque non può ricoprire cariche pubbliche.
3) Fontana non pretese dal cognato i restanti 25 mila camici previsti dal contratto, che invece Dini voleva vendere a una Rsa, privando così medici e infermieri di protezioni fondamentali per l’emergenza.
4) Fontana ha mentito al Consiglio regionale e all’opinione pubblica, giurando di non aver “saputo nulla della procedura” e di non esservi “mai intervenuto in alcun modo”: invece sapeva tutto dall’inizio (lo informò subito il suo assessore Raffaele Cattaneo) e intervenne fino alla fine: prima favorendo la ditta di famiglia e poi, una volta smascherato, tentando di coprire le tracce del suo mega-conflitto d’interessi.
5) Nel vano tentativo di difendere il suo indifendibile sgovernatore, Salvini attacca la Procura col refrain berlusconian-renziano della “giustizia a orologeria” (senza spiegare quali sarebbero gli eventi elettorali influenzati dall’indagine, visto che siamo a fine luglio).
Ps. Annunciando querela, Fontana ci accusò di pubblicare “fatti volutamente artefatti per raccontare una realtà che semplicemente non esiste”. Attendiamo a piè fermo le sue scuse.

sabato 25 luglio 2020

Su Luna e Marte cavità naturali per ospitare future basi.

Il radar italiano Sharad ha ricostruito in 3D la rete di canali nascosta sotto la superficie di Marte (fonte: NASA) © Ansa
Il radar italiano Sharad ha ricostruito in 3D la rete di canali nascosta sotto la superficie di Marte (fonte: NASA)

Cavità naturali scavate dalla lava e lunghe fino a 40 chilometri sulla Luna e Marte potrebbero essere luoghi ideali per ospitare future basi abitate dall'uomo. Le ha scoperte la ricerca italiana pubblicata sulla rivista Earth-Science Reviews e condotta dalle università di Bologna e di Padova. Cavità simili, chiamate 'tubi di lava', "esistono non solo sulla Terra, ma nel sottosuolo della Luna e di Marte, i cui pozzi di accesso in superficie sono stati ripetutamente osservati nelle immagini ad alta risoluzione fornite dalle sonde interplanetarie", ha detto Francesco Sauro, del dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell'università di Bologna e direttore dei corsi Caves e Pangaea dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa).
Coordinatore della ricerca con il geologo planetario Riccardo Pozzobon, del Dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova, Sauro ha detto inoltre che la presenza dei tubi di lava "è evidenziata da allineamenti sinuosi di cavità e collassi nei tratti in cui la volta della galleria ha ceduto" e che "questi collassi, di fatto, costituiscono potenziali ingressi o finestre sul sottosuolo".. Formazioni simili sono state esplorate, sulla Terra, nelle Hawaii, nelle Canarie, in Australia e Islanda.
Confrontando le immagini del suolo di Luna e Marte riprese dai satelliti , i ricercatori hanno scoperto che rispetto ai "tubi" terrestri, che raggiungono un diametro compreso fra 10 e 30 metri, le dimensioni dei condotti aumentano di 100 volte su Marte e di 1.000 volte sulla Luna: un impressionante aumento di dimensioni dovuto alla minore gravità e ai suoi effetti sull'attività vulcanica.
Secondo Pozzobon "condotti di tali dimensioni possono raggiungere lunghezze superiori ai 40 chilometri, fornendo così spazio a sufficienza per ospitare intere basi planetarie per l'esplorazione umana della Luna: cavità talmente enormi da arrivare a contenere il centro storico della città di Padova".
I tubi di lava proteggono inoltre dalle radiazioni cosmica e solare, riparano dai micrometeoriti e offrono un ambiente a temperatura controllata, non soggetta a variazioni tra notturne e diurne.
Le agenzie spaziali stanno mostrando crescente interesse per le grotte planetarie e i tubi lavici in vista delle future missioni umane su Luna e Marte, hanno rilevato infine i ricercatori, per i quali "tutto questo rappresenta un cambio di paradigma nella futura esplorazione spaziale

“Fuori chi sgarra, Salvini lo sa” S’indaga sulla regìa della Lega. - Vincenzo Iurillo e Antonio Massari

“Fuori chi sgarra, Salvini lo sa” S’indaga sulla regìa della Lega

Diasorin - I pm acquisiscono i messaggi del deputato Grimoldi. Così boicottavano il sindaco che fece in autonomia altri test anti-Covid.
“Ti avviso, sentito anche Salvini: il primo che fa sponda con il miserabile di Robbio – che ho sentito con le mie orecchie aver attaccato regione nel momento più difficile – è fuori dal Movimento”. È questo il messaggio inviato dal deputato della Lega, Paolo Grimoldi, all’ex consigliere regionale leghista, Lorenzo Demartini. Il messaggio rivelato dal Fatto ieri è stato acquisito dalla Procura di Pavia che sta indagando sui test sierologici affidati dalla Fondazione San Matteo alla multinazionale Diasorin ed è entrato quindi negli atti dell’indagine. Il Fatto è in grado di rivelarne il contenuto integrale che smentisce la versione fornita ieri da Grimoldi, che ci ha negato l’esistenza: “Assolutamente falso: ho tutti i messaggi!”. Il “miserabile” in questione è il sindaco di Robbio, Roberto Francese, che in aprile decide di utilizzare i test sierologici disponibili sul mercato senza aspettare quelli targati Diasorin in corso di validazione alla Fondazione San Matteo. E proprio grazie a questi test, Francese riesce a mappare il suo territorio, scoprendo circa 160 positivi al Covid-19. Il suo comportamento non garba però alla Lega, perlomeno a Grimoldi, che in Lombardia ha un grande peso. Al punto che il deputato, nel messaggio in questione, lo definisce un “miserabile” e scrive a Demartini che chiunque si schieri con Francese è destinato – “sentito anche Salvini” – a essere messo fuori dal partito.
C’è un motivo per il quale questo messaggio, insieme ad altri, è stato acquisito agli atti dell’indagine: la Procura di Pavia e la Guardia di Finanza, delegata per le indagini, ritengono – sulla base delle dichiarazioni di alcuni sindaci, a partire da Francese – che vi siano stati “atteggiamenti a dir poco ostruzionistici nei loro confronti da parte di esponenti politici regionali della Lega Nord” e intendono “fare luce sui legami politici che possono aver influito sulla scelta del contraente”, ovvero della Diasorin, per i test sierologici in Lombardia. Gli investigatori vogliono capire se, dietro questa serie di elementi, vi sia stata una vera e propria regia leghista.
La Procura di Pavia procede infatti per peculato e turbata libertà della scelta del contraente e l’inchiesta conta otto indagati, tra i vertici della Fondazione San Matteo di Pavia e Diasorin. Si contesta la regolarità della procedura con cui la Fondazione dell’ospedale pavese e l’azienda piemontese hanno deciso di sviluppare insieme un innovativo test sierologico per la ricerca degli anticorpi neutralizzanti al Sars-Cov 2 (il progetto “Immuno”), e i termini dell’accordo in base al quale la Fondazione avrebbe ottenuto una royalties dell’1 per cento sulle vendite future del kit diagnostico Diasorin, del quale la Regione Lombardia si è poi approvvigionata ordinandone 500mila pezzi, senza gara, a 4 euro l’uno. I finanzieri e la Procura – ma questo filone non vede ancora nessun indagato né ipotesi di reato – vogliono “far luce” sui rapporti commerciali – per circa 2,5 milioni di euro dal 2018 a oggi – tra Diasorin e la Fondazione Insubrico che, a sua volta, controlla la società Servire srl, dove nel cda appare il leghista Andrea Gambini.
Per quanto riguarda la gara, invece, secondo i pm, il laboratorio di virologia diretto dal professor Fausto Baldanti non si sarebbe limitato a validare un prodotto finito ma avrebbe messo a disposizione mezzi, uomini e know how per sviluppare un progetto dell’azienda privata. Dunque la procedura sarebbe stata sottratta alle norme del libero mercato – il partner in questo caso andava scelto con una evidenza pubblica – e il privato si sarebbe appropriato di risorse pubbliche. Di qui l’accusa di peculato. Ieri Diasorin – ribadendo la legittimità e correttezza del proprio operato “e ricordando che di recente il Consiglio di Stato ha confermato la validità dell’accordo” – ha annunciato di voler sospendere tutte le nuove attività di sperimentazione clinica con enti pubblici italiani “sino a quando non saranno ristabilite le necessarie condizioni di certezza giuridica in materia”. La sentenza amministrativa riguarda il ricorso dell’impresa concorrente Technogenetics.
ll Fatto può rivelare che il 3 marzo, con una mail del direttore tecnico, Technogenetics contattò Baldanti per proporgli di collaborare a un test sierologico dell’azienda lodigiana. La email sarebbe rimasta senza risposta. L’episodio non combacia con la ricostruzione fatta ieri al Fatto dal presidente del San Matteo, Alessandro Venturi, sul perché non abbiano valutato altre offerte per la validazione del test sierologico: “Perché nessuno ce l’ha chiesto – ci ha risposto Venturi – altrimenti l’avremmo fatto”.

L’ex capo di Aria ieri in Procura: “È collaborativo”. - Gianni Barbacetto

L’ex capo di Aria ieri in Procura:  “È collaborativo”

Ha un atteggiamento “costruttivo”, Filippo Bongiovanni, di fronte ai magistrati che ieri mattina lo hanno a lungo interrogato. Bongiovanni è l’ex direttore generale di Aria, la centrale acquisti della Regione Lombardia, che compra tutti i beni e i servizi che servono per le strutture regionali. È indagato, insieme ad Andrea Dini, cognato del presidente della Lombardia Attilio Fontana, per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente. La vicenda è quella ormai famosa della fornitura di camici, copricapi e calzari sanitari da impiegare negli ospedali durante l’emergenza Covid-19: un affidamento diretto, senza gara, del valore di oltre mezzo milione di euro, alla Dama spa, società controllata dal cognato di Fontana e di cui la moglie del presidente lombardo, Roberta Dini, detiene il 10 per cento. Una fornitura in conflitto d’interessi, dunque, avviata il 16 aprile 2020 e consolidata con regolari fatture emesse dalla Dama spa a partire dal 30 aprile. La situazione ha però una svolta nel mese successivo, dopo che un giornalista della trasmissione televisiva Report comincia a fare domande sull’operazione: il 20 maggio la fornitura da 513mila euro viene trasformata in donazione, e le fatture sono di fatto cancellate da note di storno.
Ieri Bongiovanni, ex ufficiale della Guardia di finanza (“Sono stato in divisa per 26 anni e 22 giorni”) è arrivato a palazzo di Giustizia accompagnato dall’avvocato Domenico Aiello (lo stesso che difende l’ex presidente di Regione Lombardia Roberto Maroni in tutte le sue vicende giudiziarie). È stato interrogato per tre ore dai pm che indagano sulla vicenda camici, Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas, coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli. L’interrogatorio è avvenuto al quarto piano del palazzo di giustizia, in una stanza vicina a quella del procuratore della Repubblica Francesco Greco, il quale ha disposto che i cronisti non potessero accedere al corridoio dov’era in corso l’atto d’indagine.
Ha spiegato, Bongiovanni. Ha raccontato meticolosamente tutti i passaggi della fornitura trasformata in donazione, ha ricostruito con atti e documenti i passaggi della procedura. Ha voluto spiegare lo stato d’emergenza in cui Aria e Regione Lombardia si sono trovate a operare nelle settimane più drammatiche della pandemia. Ci ha tenuto a sottolineare l’impegno con cui le strutture regionali hanno cercato di far fronte all’emergenza. Oggi Bongiovanni è dimissionario, ha lasciato il suo posto dentro Aria ed è convinto di riuscire a spiegare ai magistrati e agli ex colleghi della Guardia di finanza il suo ruolo nella vicenda degli 82mila camici e altro materiale di protezione cercati affannosamente nei giorni in cui la Lombardia era bloccata dal lockdown, le terapie intensive erano sovraffollate e il virus diffondeva il contagio e mieteva morti. Poi toccherà a Fontana chiarire il suo ruolo nella vicenda.
La Regione Lombardia del presidente Fontana e dell’assessore al Welfare e sanità Giulio Gallera è sotto osservazione e sotto inchiesta anche per altre storie. 
Dalle donazioni per l’inutilizzato ospedale Covid in Fiera ai troppi morti nelle residenze per anziani, dalla mancata chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo alla scelta della società Diasorin come partner unico per i test sierologici.