E adesso il caso di Ottaviano Del Turco imbarazza Palazzo Madama. Perché a un certo punto, di fronte a Maria Elisabetta Alberti Casellati che premeva per ridargli il vitalizio come gesto umanitario, a qualcuno, pure essendo impietosito dalla malattia dell’ex leader socialista, si è accesa la lampadina: “Ma davvero vogliamo ridare il vitalizio a un condannato per mazzette che tra l’altro ha pure una ricca pensione da sindacalista?”. Alla fine si è deciso che l’assegno appena congelato continuerà a essergli erogato. Almeno per un altro mese, il tempo che i questori della Casellati mettano insieme una istruttoria patrimoniale sull’ex senatore che per lo scandalo Sanitopoli ancora deve pagare la sua quota dei 700 mila euro dei danni all’immagine provocati alla Regione Abruzzo. A Palazzo dunque si cerca una soluzione dopo la fuga in avanti della presidente Casellati che, pressata dagli alti lai di Pd e compagnia, aveva promesso un intervento a sua tutela dopo che se ne erano scoperte le condizioni di salute. Anche se la delibera del 2015 con cui il Senato aveva stabilito lo stop dell’erogazione degli assegni mensili agli ex senatori condannati non prevede alcuna deroga: né in caso di indigenza, né per malattia invalidante, ritenute meritevoli di considerazione per altri senatori, ma con la fedina penale pulita, che versano in condizioni di difficoltà (per invalidità al 100 per cento e nel caso di redditi non superiori alla pensione minima sociale). Insomma l’istruttoria ordinata su Del Turco lascia intendere che potrebbe applicarsi anche a lui, per analogia, il trattamento di favore che finora era stato negato agli ex con una condanna sul groppone, come Roberto Formigoni e Marcello Dell’Utri che ora possono pure loro sperare. “La temporaneità della sospensione (della precedente delibera del consiglio di presidenza, ndr) è stata decisa per acquisire documentazione non disponibile per l’urgenza della trattazione” ha spiegato Casellati rassicurando che l’ex leader socialista continuerà a ricevere nel frattanto il vitalizio del Senato. Ma che tipo di documentazione verrà richiesta? La dichiarazione dei redditi che verrà esaminata assieme alla certificazione della clinica neurologica del presidio ospedaliero San Salvatore dell’Asl1 di Avezzano che i familiari di Del Turco si erano già premurati di inviare al Senato per perorare la causa della restituzione del vitalizio.
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 17 dicembre 2020
Con la scusa delle “verifiche patrimoniali” Casellati restituisce il vitalizio a Del Turco. - Ilaria Proietti
La testimone: “Bonomi disse ‘Pagavo Salvini sempre cash’”. - Stefano Vergine
Soldi & poltrone in casa Lega.
“Il nero che gli imprenditori versavano veniva utilizzato a volte per la campagna elettorale degli esponenti politici e veniva gestito senza passare dalle casse del partito. Ad esempio ricordo che Bonomi, in quota Lega per la Sea, diede 20.000 euro in contanti a Salvini, circostanza che mi venne riferita dalla Dagrada”. Era il 29 maggio 2013 quando Francesco Belsito pronunciava queste parole nel carcere milanese di San Vittore, interrogato dai magistrati della Procura di Milano che all’epoca lo indagavano per appropriazione indebita, per lo scandalo dei soldi del partito usati per le spese personali sue e di Umberto Bossi. L’accusa rivolta quel giorno da Belsito a Salvini – aver ricevuto 20 mila euro cash dal manager Giuseppe Bonomi, o almeno questo gli avrebbe riferito la storica segretaria del Carroccio, Nadia Dagrada – cadde nel vuoto, e non risulta mai essere stata riscontrata dagli investigatori in tutti questi anni. Ora però c’è un’altra testimonianza, questa volta diretta, che sostiene la stessa cosa. E anzi aggiunge che quello scambio di contanti tra i due non sarebbe stato l’unico.
A raccontarlo al Fatto è un’ex dipendente della Lega Nord, che ha lavorato per quasi tutta la vita in via Bellerio prima di finire tra i 71 lavoratori lasciati a casa nel 2017 da Matteo Salvini in nome dell’austerità. La testimone, che ci ha chiesto l’anonimato, spiega di aver saputo direttamente da Bonomi dei contanti che il manager avrebbe dato al leader della Lega. “Era il 2013: Salvini era segretario della Lega Lombarda, poco dopo sarebbe stato eletto nuovo segretario federale sostituendo Roberto Maroni”, racconta.
Il manager sempreverde.
Giuseppe Bonomi, varesino classe ’58, è da sempre un manager in quota Lega. Negli anni è passato per i cda di tutte le partecipate lombarde più importanti, da Sea a Expo, ma anche di carrozzoni nazionali come Alitalia e Anas. È ancora oggi lui il boiardo di punta del partito (basta guardare la gallery di foto che in tutti questi anni lo vedono immortalato con Bobo Maroni e con Attilio Fontana). Siede nel cda di Ferrovie Nord Milano e in quello di Dufry Italia, filiale del gruppo svizzero che controlla 2.400 duty-free negli aeroporti di mezzo mondo, tra cui quelli di Linate e Malpensa. Il suo incarico principale al momento è però quello di Ad di Milanosesto Spa: la società incaricata di gestire la ricostruzione dell’area delle ex acciaierie Falck di Sesto San Giovanni, il progetto immobiliare più grande d’Italia al momento.
Come tutti i manager in quota Lega – lo abbiamo raccontato nei giorni scorsi – Bonomi sarebbe tenuto a versare al partito il 15% di quanto incassa grazie alle nomine del Carroccio. Un bonifico regolare, detraibile dalle tasse. La fonte dice però di non aver mai visto in contabilità bonifici di Bonomi. “Ufficialmente lui non versava mai niente. I suoi versamenti a me risultavano zero”. Una versione congruente con quella offerta sette anni fa da Belsito ai magistrati di Milano, Alfredo Robledo, Roberto Pellicano e Paolo Filippini. Belsito mise infatti a verbale che Salvini non versò mai i 20mila euro ricevuti in contanti da Bonomi. Dai rendiconti finanziari interni e dai bilanci pubblici del partito risulta in effetti che Bonomi, pur essendo presente nelle liste dei “nominati” della Lega, non ha mai versato un euro di donazione.
L’incontro in via Bellerio.
“Quando Salvini è diventato segretario della Lega Lombarda – continua la fonte – mandò da me Bonomi per fare un versamento. A quel punto mi stupii: non ha mai versato niente e adesso viene a versare? Io gli dissi: ‘Guardi, questo è l’Iban, faccia il contributo volontario’. Lui mi chiese quanto, e io come sempre dissi che doveva decidere lui, che era contributo volontario, e che se voleva chiedere consiglio poteva andare da altri, da Giampaolo Pradella, dallo stesso Salvini… Io stavo molto attenta a dire queste cose, perché altrimenti il contributo non era più volontario”. Ma il racconto dell’ex segretaria va avanti: “Allora gli dico: ‘Questo è l’Iban, ci faccia il bonifico, in modo che poi lo detrae anche dalle tasse’. E lui mi è saltato su: ‘Ah no, ma io a Salvini li ho sempre dati in contanti’. Al che a me è saltata la mosca al naso, e mi sono detta: ecco perché non risulta mai tra quelli che hanno versato…”. A questo punto chiediamo: erano soldi che Bonomi avrebbe donato in contanti a Salvini, e poi quest’ultimo avrebbe girato sul conto della Lega? “No, ma quali contanti alla Lega!”, risponde al Fatto l’ex dipendente. “Io non so dove li versasse quei soldi Salvini, a me Bonomi disse solo: ‘Io ho sempre dato i contanti a Salvini e vorrei andare avanti così’”. Tanto che l’allora segretaria si sarebbe infastidita: “Mi spiace – riprende lei a raccontare – qui in segreteria non funziona così, io contanti non ne prendo, non ne voglio, faccia il bonifico, arrivederci e ciao”. Contattati per un chiarimento, Salvini non ha risposto, mentre Bonomi ha smentito categoricamente la ricostruzione di Belsito e dell’ex segretaria.
Lettera Renzi a Conte, no task force,sì a Mes, ora progetti.
Renzi a Conte,non parlo rimpasto,ministre Iv pronte lasciare.
Renzi si chiede inoltre che fine abbia fatto il documento Colao e attacca sul piano shock infrastrutturale approvato solo a parole e sulla questione dei servizi segreti.
"Per trasparenza totale incollo qui la lettera che ho inviato ieri al Presidente del Consiglio. Molto lunga, lo so. Ma almeno si capisce che parliamo di cose serie, non di rimpasti. Buona giornata". Lo scrive su Facebook il leader di Italia viva pubblicando la lettera inviata al premier. "Caro presidente, in questi giorni il racconto fatto dal Palazzo dice che "quelli di Italia Viva" vogliono le poltrone. È il populismo applicato alla comunicazione. Ma è soprattutto una grande bugia", si legge nella lettera. "Noi, Presidente, vogliamo dare una mano sui contenuti. Perché in discussione sono le idee, non gli incarichi di governo. Teresa, Elena, Ivan - che hanno lavorato bene su agricoltura, famiglie e politiche di genere, export - sono pronti a dimettersi domani, se serve. Noi infatti non concepiamo la politica come occupazione di posti. Non tiriamo a campare, vogliamo cambiare. Non ci basta uno strapuntino, vogliamo la politica".
Conte: “Stretta aggiuntiva per Natale, non farci sopraffare dalla terza ondata. Renzi vuole il Mes? Sbagliato dire: prendere o lasciare”.
L'intervista del premier ad Accordi&Disaccordi su Nove: "Non ho sbagliato piano, gli esperti ci hanno consigliato qualche misura aggiuntiva e noi dobbiamo evitare una terza ondata, per arrivare a gennaio in resilienza". Sui vaccini: "Contiamo di avere 10-15 milioni di vaccinati nella primavera inoltrata". Sull'incontro previsto domani con Italia viva: "E' un compagno di viaggio. Ci confronteremo nel merito e vediamo se ci sono le condizioni per andare avanti". Il rimpasto? "Se ci sono delle richieste, del malessere, è giusto ascoltarli e comprenderli, per ciascuna forza politica".
“Non ritengo di aver sbagliato il piano ma bisogna essere flessibili e non bisogna trovarci sopraffatti dalla terza ondata“. Parola del premier Giuseppe Conte, intervenuto ad Accordi&Disaccordi in onda sul Nove. In attesa del nuovo vertice con i capidelegazione per decidere le nuove restrizioni di Natale, il presidente del consiglio è stato intervistato da Andrea Scanzi e Luca Sommi e ha spiegato che il governo sta lavorando “per cercare di rinforzare il piano natalizio. Noi dobbiamo arrivare in condizione di massima resilienza. Gli esperti ci hanno consigliato qualche misura aggiuntiva e noi dobbiamo evitare una terza ondata, per arrivare a gennaio in resilienza. Gli indizi degli ultimi giorni è che c’è tanta voglia di vivere e non possiamo permettercelo. Le misure stanno funzionando fin qui ma ci stanno preoccupando – e hanno preoccupato anche gli esperti – quelle situazioni di assembramenti dei giorni scorsi. Faremo qualche intervento aggiuntivo“.
“Renzi vuole il Mes? Sbagliato dire: prendere o lasciare” – L’intervento del premier ad Accordi&Disaccordi arriva anche alla vigilia di un incontro fondamentale per il futuro della maggioranza: quello tra Conte e Matteo Renzi. Solo ieri il leader di Italia viva aveva posto una nuova condizione al premier per non ritirare il suo appoggio al governo: prendere i 36 miliardi del Mes. “Porre delle condizioni ‘prendere o lasciare‘ sarebbe sbagliato, significherebbe che non si può collaborare”, replica Conte. Che a proposito del suo ruolo dice: “Non ho mai pensato che il mio compito fosse facile. Non ho mai pensato di potermi affidare ai sondaggi. Se qualcuno pensasse di governare al mio posto esaltandosi quando i sondaggi crescono o deprimersi quando scendono, sarebbe fuori di testa, non sarebbe all’altezza”. E a proposito di compiti difficili, il premier ha annunciato che ha l’intenzione di chiamare presto Mario Draghi, “perché ho sentito il suo intervento al G30 e mi ha molto incuriosito. È da un pò che non lo sento”. Il nome dell’ex presidente della Bce è tra quelli più citati per la successione di Sergio Mattarella al Quirinale.
“A gennaio non dobbiamo farci sopraffare dalla pandemia” – Sul fronte delle restrizioni di Natale, ha spiegato l’inquilino di Palazzo Chigi, la logica che muove l’esecutivo è predisporsi “durante queste festività per non trovarci a gennaio sopraffatti dalla pandemia“. Il capo del governo, però, ci ha tenuto a negare che la colpa degli assembramenti possa essere dei cittadini, invogliati ad uscire per andare a fare shopping anche dal piano cashback: “La stragrande maggioranza sta rispettando le regole. Noi abbiamo avviato il cashback perché quella è una riforma di sistema che ha l’obiettivo di pagamenti più convenienti, in sicurezza e che ci consentono di recuperare il sommerso. E i negozi stanno soffrendo. Se si usa il cashback in modo ordinato diamo ossigeno a un settore, se il risultato è l’affollamento per le strade non è quello che avevamo sperato”. Sul vaccino il desiderio del premier è avere “un’unica data dei Paesi Europei, una sorta di Vaccine Day. Spero lo si possa fare ai primi di gennaio ma per avere un impatto sulla popolazione bisogna raggiungere una percentuale di vaccinati sufficiente“. Che percentuale? “Dieci- quindici milioni, e contiamo di averli nella primavera inoltrata”.
“A lavoro per tornare a scuola il 7 gennaio” – Sull’alta mortalità italiana legata al coronavirus, il premier si è detto “fortemente” preoccupato “ma è difficile dare un’unica risposta. Può contare che abbiamo una popolazione con una soglia anagrafica molto elevata, ci sono tanti fattori. E ci stiamo lavorando, bisogna farlo per essere massimamente efficienti per prevenire questi numeri”. Sulla scuola Conte ha confermato che “c’è un grande lavoro per tornare il 7 gennaio con la didattica in presenza. Abbiamo organizzato dei tavoli con i prefetti per cercare di incrociare, rispetto alle realtà locali, i dati dei trasporti e degli orari di entrata e uscita per evitare degli orari di punta”. Il presidente del consiglio ha poi spiegato che “non possiamo individuare nel settore dei trasporti il focolaio dei contagi, non è stato cosi. E così anche per la scuola”.
“Confronto con Iv per vedere se ci sono le condizioni per ripartire”- L’intervista del premier a Scanzi e Sommi arriva a poche ore dal faccia a faccia con Renzi. Per Conte “Italia Viva è un compagno di viaggio. In questo momento sta sollevando dei problemi, sta rivendicando delle petizioni politiche, è importantissimo ritrovare chiarezza di intenti, condivisione di obiettivi e soprattutto grande visione. Domani ci confronteremo nel merito e vediamo se ci sono le condizioni per andare avanti più forti di prima”. L’inquilino di Palazzo Chigi ha definito il piccolo partito di Renzi come “una componente essenziale di questo progetto politico, dobbiamo affrontare i problemi nel merito, dirci le cose che non vanno e non parlare in televisione. Domani ci confronteremo e vedremo se ci sono le condizioni per ripartire più coesi di prima”. Ieri Renzi non era andato al primo vertice convocato a Palazzo Chigi e poi dalla tv aveva continuato a minacciare l’esecutivo, alzando la posta in gioco per non ritirare i suoi ministri. “Ormai la gara è a chi rinuncia alle poltrone, è una gara al contrario, una volta si faceva la corsa per occuparle”, è la battuta di Conte, che poi più serio aggiunge: “Sarebbe una grave irresponsabilità arrestarsi per un mancato confronto interno”. E ricorda di aver già rassicurato i renziani “con una riflessione anche banale: un governo non può andare avanti senza la fiducia di ciascuna forza politica di maggioranza. Se non ci fosse questo sostegno, sappiamo quali sarebbero le conseguenze”.
“Rimpasto? Giusto ascoltare tutto” – Renzi però ha già posto alcune condizioni: a cominciare dalla task force sul Recovery. “La norma sulla cabina di regia non è scritta, se qualcuno pensa che è fatta dagli amici degli amici questo con me non potrà accadere – dice il premier – L’Ue ci chiede un minimo di struttura che possa garantire un monitoraggio accurato, non la gestione della spesa. Come estrema ratio dobbiamo pensare a una clausola di salvaguardia”. Sul rimpasto il premier non ha chiuso la porta: “Se ci sono delle richieste, del malessere, è giusto ascoltarli e comprenderli, per ciascuna forza politica. Dopodiché ci confronteremo tutti insieme”. Se però Italia viva insistesse per aprire una crisi? “Una crisi – dice Conte – credo che non farebbe non solo al Paese ma a tutto l’elettorato del M5S, del Pd, di Iv che crede in un percorso comune”. Quindi ha chiuso rilanciando il tema delle alleanze tra le forze di governo alle amministrative del 2021: “Credo che con le Comunali si possa fare un passo in più per le alleanze”.
Il salvavita “italiano” che noi non usiamo. - Thomas Mackinson
Il monocolonale Usa prodotto a Latina.
Diecimila italiani potevano guarire subito, come tanti Donald Trump. Invece, aspettando un vaccino, l’Italia va incontro alla terza ondata Covid senza terapie a base di anticorpi monoclonali, quelli che in tre giorni neutralizzano il virus evitando il ricovero. Da uno stabilimento di Latina escono furgoni carichi di questi farmaci, destinati però a salvare pazienti americani, non gli italiani. È il paradosso di una storia che ha pesanti risvolti sanitari, politici ed etici. “Abbiamo ‘pallottole’ specifiche contro il virus. Possono salvare migliaia di pazienti, evitare ricoveri e contagi, ma decidiamo di non spararle. Non si spiega”, ripete da giorni Massimo Clementi, virologo del San Raffaele di Milano. Racconta che i colleghi negli Stati Uniti da alcune settimane somministrano gli anticorpi neutralizzanti come terapia e profilassi per malati Covid. La stessa cura che ha salvato la vita a Donald Trump in pochi giorni, nonostante l’età e il sovrappeso: “Dopo 2-3 giorni guariscono senza effetti collaterali apparenti”. Il tutto a 1.000 euro circa per un trattamento completo, contro gli 850 euro di un ricovero giornaliero.
Gli Stati Uniti ne hanno acquistato 950mila dosi, seguiti da Canada e – notizia di ieri – Germania. Non l’Italia, dove si producono. Il nostro Paese ha investito su un monoclonale made in Italy promettente, ma disponibile solo fra 4-6 mesi. Scienziati molto pragmatici si chiedono perché, nel frattempo, non si usino i farmaci che già si dimostrano efficaci altrove: fin da ottobre – si scopre ora – era stata data all’Italia la possibilità di usare questi anticorpi attraverso un cosiddetto “trial clinico”, nel quale 10 mila dosi del farmaco sarebbero state proposte a titolo gratuito. Una mano dal cielo misteriosamente respinta mentre il Paese precipitava nella seconda ondata.
Il farmaco – bamlanivimab o Cov555 – è stato sviluppato dalla multinazionale americana Eli Lilly. La sua efficacia nel ridurre carica virale, sintomi e rischio di ricovero è dimostrata da uno studio di Fase 2 randomizzato (la fase 3 è in corso) condotto negli Usa. I risultati sono stati illustrati sul prestigioso New England Journal of Medicine. Dall’headquarter di Sesto Fiorentino spiegano che l’anticorpo è stato messo in produzione prima ancora che finisse la sperimentazione perché fosse disponibile su scala globale il prima possibile.
Dal 9 novembre, quando l’Fda (l’Agenzia Usa del farmaco) ne ha autorizzato l’uso di emergenza, gli Stati Uniti hanno acquistato quasi un milione di dosi. In Europa si aspetta il via libera dell’Ema (l’Agenzia europea) che non autorizza medicinali in fase di sviluppo. Una direttiva europea del 2001 consente, però, ai singoli Paesi Ue di procedere all’acquisto e la Germania ieri ha completato la procedura per autorizzarlo. A breve toccherà all’Ungheria. E l’Italia? Aspetta. Avendo il suo cuore europeo alle porte di Firenze, finito lo studio, la società di Indianapolis ha preso contatto con le autorità sanitarie e politiche nazionali, anche italiane.
Il 29 ottobre in riunione con l’Aifa: collegati, tra gli altri, Gianni Rezza per il ministero della Salute; Giuseppe Ippolito del Cts e direttore dello Spallanzani di Roma; il professor Guido Silvestri, virologo alla Emory University di Atlanta che aveva favorito il contatto con Eli Lilly. Sul tavolo, la possibilità di avviare in Italia la sperimentazione con almeno 10 mila dosi gratuite del farmaco che negli Usa ha dimostrato di ridurre i rischi di ospedalizzazione dal 72 al 90%. In quel contesto viene anche chiarito che non sarebbe stato un favore alla multinazionale, al contrario: una volta che l’Fda l’avesse autorizzato, sarebbero partite richieste da altri Paesi.
L’occasione, da cogliere al volo, cade nel vuoto, forse per una rigida adesione alle regole di Aifa ed Ema che non hanno però fermato la rigorosa Germania. Altra ipotesi: l’offerta è stata lasciata cadere per una scelta già fatta a monte. Sui monoclonali da marzo il governo ha investito 380 milioni per un progetto tutto italiano che fa capo alla fondazione Toscana Life Sciences (TLS), ente non profit di Siena, in collaborazione con lo Spallanzani e diretto dal luminare Rino Rappuoli. La sperimentazione clinica deve ancora partire e la produzione, salvo intoppi, inizierà solo nella primavera del 2021. A quanto risulta al Fatto, l’operazione con Eli Lilly, che già due mesi fa avrebbe permesso di salvare migliaia di persone, non sarebbe andata in porto per l’atteggiamento critico verso questi anticorpi del direttore dello Spallanzani che lavorerà al progetto senese. “Non so perché sia andata così, dovete chiedere ad Aifa”, taglia corto il direttore Giuseppe Ippolito, negando un possibile conflitto di interessi: “Non prescrivo farmaci, mi occupo solo di scienza”.
Quando Fda autorizza il farmaco, la multinazionale non può più proporre il trial gratuito, ma deve attenersi al prezzo della casa madre. Per assurdo, sfumata l’opzione a costo zero, l’Italia esprime una manifestazione ufficiale di interesse all’acquisto. Il negoziato va in scena il 16 novembre alla presenza di Arcuri, del Dg dell’Aifa Magrini e del ministro della Salute Speranza. Si parla di prezzo e di dosi, ma il negoziato si ferma.
L’Aifa e la struttura di Arcuri – sentite dal Fatto – ribadiscono: finché non c’è l’autorizzazione Ema non si va avanti. Di troppa prudenza si può anche morire, rispondono gli scienziati. “Io avrei accelerato”, dice chiaro e tondo il consulente del ministro Walter Ricciardi, presente alla riunione un mese fa: “Con tanti morti e ospedalizzati, valutare presto tutte le terapie disponibili è un imperativo etico e morale”.
Per il professor Clementi, siamo al paradosso. “È importante trovare il miglior farmaco possibile, ma non possiamo scartare a priori una possibilità terapeutica che altrove salva le persone. Una fiala costa poco più di un giorno di ricovero e ogni risorsa che risparmi la puoi usare per altro. Tenere nel fodero un’arma che si dimostra decisiva è incomprensibile. Da qui, la mia sollecitazione all’Aifa”.
Certo, una soluzione al 100% italiana garantirebbe autosufficienza e prelazione nell’approvvigionamento. Da Sesto Fiorentino, però, rispondono che il loro farmaco, oltre ai benefici in termini di salute e risparmio, avrebbe avuto anche ricadute economiche per l’Italia: nella produzione è coinvolto un fornitore italiano, la Latina Bsp Pharmaceutical. “Se andrà bene potremmo distribuirlo non solo negli Usa, ma anche in Italia”, esultava a marzo il titolare dell’impresa pontina, Aldo Braca. Nove mesi dopo, invece, da Latina il farmaco va solo all’estero.
Dragon Ball. - Marco Travaglio
Insomma, il governo Draghi è fatto. Il programma è il suo intervento al Gruppo dei Trenta, l’allegro simposio di finanzieri, accademici, banchieri centrali, banchieri sfusi, bancarottieri di nazioni intere come l’ex ministro argentino Cavallo e l’ex presidente messicano Zedillo, insomma controllori e controllati (si fa per dire) e altri samaritani, fondato nel 1978 da Rockefeller, che si riunisce due volte l’anno a porte chiuse come il Gran Consiglio dei Dieci Assenti di fantozziana memoria. E la maggioranza in Parlamento? Quella non c’è, ma per i sinceri democratici de noantri è un trascurabile dettaglio. Il Giornale informa che “il Professore da qualche settimana ha lasciato la casa di campagna e s’è trasferito nel suo appartamento romano”. Mecojoni. E “il suo ufficio di rappresentanza alla Banca d’Italia è diventato la sua base operativa”. Apperò. Già ci pare di vederlo destreggiarsi festoso fra un veto dell’Innominabile, un distinguo di Orlando, un emendamento di Marcucci, una bizza della Bellanova, un capriccetto della Boschi, un tweet di Faraone, un ultimatum dei dissidenti grillini, un rutto di Salvini, una supercazzola di Giorgetti, un appuntino di Letta su Mediaset e un pizzino di Ghedini sulla giustizia. Folli però è in ambasce: “Stupisce che qualche forza politica non abbia immediatamente fatto propria e rilanciato l’analisi di Draghi”. Giusto: che aspettano i partiti tutti a recarsi in processione nel suo appartamento romano o nella sua base operativa a baciargli la pantofola e incoronarlo re? Folli non sta più nella pelle, tant’è che ha fatto pure un fioretto: se lo ascoltano, si taglia il riportino.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/17/dragon-ball/6039603/
Misure per Natale, salta il vertice in serata: manca ancora Italia viva. L’ipotesi è una zona rossa generale solo nei festivi e prefestivi.
Prima la riunione con i governatori, poi il vertice tra il premier e i capidelegazione: nel governo restano distanze su quali provvedimenti siano necessari per le festività, in attesa dell'incontro con la delegazione di Italia viva, che ancora non si è tenuto a causa dell'assenza della ministra dell'Agricoltura, impegnata a Bruxelles. I più rigoristi, Pd e LeU, spingono per la zona rossa dal 24 al 6, Conte e Cinquestelle pensano a misure ad hoc per i giorni festivi e prefestivi. A chiedere la stretta ora è anche il Veneto di Zaia, insieme a Lazio, Friuli-Venezia Giulia e Molise.
Una giornata di incontri, vertici e tavoli, ma il governo arriva a sera senza una decisione perché la capodelegazione di Italia Viva, Teresa Bellanova, è a Bruxelles per il negoziato sulle etichettature. E quando è rientrata in Italia ha fatto sapere, tramite fonti renziane, che non prenderà parte a nessun vertice e che invece si presenterà all’incontro con il premier Conte nell’ambito della verifica di maggioranza. Un incontro che era in programma nella mattinata di mercoledì 17 dicembre alle 9, ma che secondo quanto riferito da Italia Viva il premier Conte ha deciso di rimandare alle 18 a causa di una serie di impegni istituzionali. Le misure per il Natale rimangono quindi appese agli impegni della ministra dell’Agricoltura e creano non poco nervosismo all’interno della maggioranza, con il sospetto che i renziani vogliano aspettare il confronto con il presidente del Consiglio per la “verifica”. Alla fine, anche il punto finale di Palazzo Chigi tra premier e capidelegazione della maggioranza sulla stretta di Natale è stato rinviato alle prossime ore. Il tempo tuttavia stringe, tanto che fonti di governo spiegano come, a questo punto, sia davvero difficile che le nuove norme possano essere definite prima di 24 ore. In tal senso, restano ancora distanze su quali restrizioni siano necessarie per contenere i contagi da coronavirus. La prima riunione tra il premier Giuseppe Conte e i capi delegazione è cominciata all’ora di pranzo: al tavolo Roberto Speranza (Leu), Dario Franceschini (Pd), Alfonso Bonafede (M5s). Con loro anche il ministro agli Affari regionali Francesco Boccia e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro.
L’ipotesi festivi e prefestivi – Franceschini, Boccia e Speranza si battono per misure da “zona rossa” continue, mentre è più prudente la linea del premier, sostenuto dal M5s nel volere un intervento più limitato. L’ala rigorista del Pd e il ministro della Salute spingono per una serrata generale dal 24 dicembre al 6 gennaio, ma nel governo esiste un’altra anima – compreso il presidente Conte – che vorrebbe misure più morbide fuori da festivi e prefestivi. E proprio questo potrebbe essere il punto di caduta nel vertice serale: le restrizioni più pesanti coinciderebbero con i week-end e i festivi. In questo modo, di fatto, gli unici giorni non ‘rossi’ sarebbero lunedì 28, martedì 29 e mercoledì 30 dicembre, lunedì 4 e martedì 5 gennaio. In ballo anche come calibrare le riunioni in famiglia per il giorno di Natale. Sul punto la Lega, durante un confronto con Speranza, ha chiesto una deroga proprio per il 25 dicembre. E sullo sfondo, come terza e più remota opzione, resta sempre l’ipotesi di un’Italia tutta arancione dalla vigilia di Natale all’Epifania.
Le Regioni per la zona rossa – Il confronto acceso e l’assenza di Bellanova hanno costretto a un aggiornamento, che era previsto in serata al rientro della ministra dal vertice di Bruxelles, al quale ha voluto presenziare di persona. Un aggiornamento che, stando a quanto riferito da fonti renziane, non ci sarà: la capo delegazione di Iv ha fatto sapere che non sarà presente. Bellanova sarebbe dovuta andare domattina alle 9 a Palazzo Chigi con la delegazione di Italia viva per l’incontro con Conte nell’ambito della verifica di governo, ma il premier in serata ha fatto sapere ai renziani di aver rinviato il vertice alle 18. Al netto delle questioni politiche, ci sono pochi dubbi sul fatto che verranno introdotte misure più restrittive. Tutta la discussione parte dal parere dato martedì dal Comitato tecnico scientifico, che a sua volta si è spaccato sulla possibilità o meno di fornire indicazioni specifiche sulle misure da intraprendere. Dal vertice con le Regioni che si è tenuto in mattinata invece è arrivata la spinta alla linea più dura: il presidente del Veneto Luca Zaia, insieme ai rappresentanti di Lazio, Friuli-Venezia Giulia e Molise, ha chiesto la zona rossa per il Natale. “Nel periodo delle festività servono restrizioni massime, se non le fa il governo le facciamo noi – ha detto Zaia – Se non chiudiamo tutto adesso ci ritroveremo a gennaio a ripartire con un plateau troppo alto“.
Toti non vuole misure nazionali – Diversa la posizione del governatore ligure Giovanni Toti: Non vedo perché imporre alla Liguria una zona rossa per Natale quando i liguri in queste settimane si sono impegnati e sacrificati per far calare la curva del contagio e farci arrivare in piena zona gialla”, ha detto a L’aria che tira su La7. “Ci siamo dati delle regole i primi giorni di dicembre, decidendo di dividere il Paese in zone, e quelle regole hanno funzionato per contenere il covid. Non vedo perché cambiarle ora, alla vigilia delle festività natalizie”, ha commentato Toti. Che però non rappresenta la posizione di tutti i governatori, nemmeno di quelle del centrodestra. Come detto, Regioni come il Veneto e il Lazio, sempre in giallo, durante il vertice con il governo hanno spinto per una stretta.
La mozione sugli spostamenti – Intanto il Senato ha approvato la mozione di maggioranza sugli spostamenti tra i comuni nei giorni delle festività natalizie con 140 sì, 118 no e 5 astenuti. Poco prima, l’Aula aveva respinto la mozione dell’opposizione con 142 voti contrari. Il testo approvato a Palazzo Madama impegna il governo a “valutare il ridimensionamento o l’ampliamento delle misure di restringimento, come in materia di spostamenti tra comuni della stessa provincia o il ricongiungimento con parenti e congiunti stretti, attualmente al vaglio dell’esecutivo, sulla base di solidi dati scientifici e di ulteriori analisi che ne dimostrino l’imprescindibilità, onde bilanciare opportunamente sia i plausibili rischi di una nuova terza ondata pandemica sia le pesanti conseguenze di tali restrizioni sul tessuto socio-produttivo” e “nell’eventualità di nuove restrizioni, a prevedere misure di ristoro economico proporzionate alle perdite di fatturato anche nei confronti di quelle attività a cui inizialmente era stata indicata la via dell’apertura“.