venerdì 1 gennaio 2021

Trenta pagine di critiche e tredici righe di proposte. È il piano Recovery di Italia Viva, annunciato da Renzi come alternativa a quello “senza ambizione” di Conte.

 

Per Renzi il piano del governo è "senza ambizione e senz'anima", ma il testo presentato a Gualtieri è dedicato quasi per intero alle "criticità": poche le proposte. Il "piano Ciao" annunciato due giorni fa? Tredici righe. Per il resto tornano gli attacchi su riforma della giustizia, del titolo V del reddito di cittadinanza e le polemiche sui fondi dedicati a progetti "vecchi". Non manca l'affondo sulla delega ai servizi (ma Conte ha ricordato che è sua prerogativa). In compenso il Ponte sullo Stretto è "irrinunciabile".

L’attacco alla “stanca retorica del modello italiano”, i chiodi fissi della riforma della prescrizione, del titolo V e del bicameralismo perfetto, le critiche al reddito di cittadinanza (che con il recovery plan non c’entra nulla) e il Ponte sullo Stretto definito “irrinunciabile“. Nel documento consegnato dalla delegazione di Italia viva al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e al titolare degli Affari europei Enzo Amendola ci sono tutti gli slogan snocciolati da Matteo Renzi nell’anticipare la presentazione dei sessanta “punti su cui non siamo d’accordo” tra quelli elencati nella bozza di piano di ripresa per accedere al Next generation Eu preparata dal governo. Ma il grande assente – o quasi – è il “piano Ciao” che l’ex premier aveva presentato come una visione di futuro alternativa rispetto a quella del premier Giuseppe Conte, definita “collage raffazzonato” di proposte di diversi ministeri “senza ambizione e senz’anima“. Ecco, sulle 33 pagine consegnate dai renziani a Gualtieri il piano Ciao ne occupa mezza13 righe in tutto su culturainfrastruttureambiente e opportunità.

Le altre 30 (tolto il frontespizio e una breve presentazione rivolta al ministro) sono dedicate alle 62 “criticità” rilevate nella bozza governativa. Osservazioni in gran parte politiche e “di forma“, più che tecniche e nel merito dei contenuti. Si tirano in ballo tra il resto la giustizia, le misure anti povertà e i servizi segreti, che poco hanno a che vedere con i finanziamenti in arrivo da Bruxelles. Qua e là spuntano alcune idee e suggestioni che spesso però corrispondono a contenuti già presenti nel Recovery plan di Palazzo Chigi: vedi il potenziamento degli Istituti tecnici superiori, le partnership pubblico-private per la ricerca e il trasferimento tecnologico, gli interventi per la disabilità.

Ecco il documento portato a Gualtieri da Italia Viva.

Anche sulla task force il problema è di “forma” – La prima rimostranza è che “progetti di questo tipo solitamente hanno un Executive Summary e poi un’analisi dettagliata. Così ad esempio France Relance” (che non è il Recovery plan francese: comprende anche risorse nazionali). Ma la bozza arrivata in cdm il 7 dicembre – comunque tutt’altro che definitiva, come si è visto dai successivi aggiornamenti – conteneva in realtà una prima parte dedicata agli obiettivi generali del piano con tanto di tabella riassuntiva degli stanziamenti immaginati per ogni voce. “Non servono progetti nascosti nei cassetti e tirati fuori all’ultimo minuto. Occorre trasparenza”, ribadisce poi il partito dell’ex premier, sorvolando sui numerosi incontri del Comitato tecnico di Valutazione costituito presso il Comitato affari europei a cui hanno partecipato rappresentanti dei ministeri. “Non possiamo accettare un documento senza una visione, non possiamo essere complici del più grande spreco di denaro pubblico“. E ancora: “Il documento è chiaramente un collage di testi diversi. Per noi serve una penna sola per tutto il testo, non una collazione di diversi brani”. Quanto alla prevista e tanto criticata task force per la gestione dei progetti, “non pensiamo che si possa fare a meno di unità di missione e di commissari“. Sempre questione di forma, insomma: “Clamoroso errore partire dalla Governance senza avere una visione chiara: è burocratismo creare missioni senza aver chiarito prima che cosa si vuol fare”.

No all’Italia come modello: “Approccio provinciale” – Non vanno bene le critiche alle politiche del passato – “serve a garantire il consenso interno ma getta una pessima luce sulla capacità di fare squadra del nostro Paese” – e nemmeno citare l’Italia come modello nella gestione del coronavirus: “non siamo un modello, anzi! Nella gestione dell’emergenza il nostro personale sanitario è stato eroico ma abbiamo numeri peggiori degli altri, siamo tra i peggiori al mondo per numero di morti nonostante un lockdown più duro degli altri con conseguenze economiche devastanti, la Germania ha nei primi due giorni vaccinato un numero di persone superiore di cinque volte ai nostri vaccinati: cosa ci fa pensare che possiamo ergerci a modelli per gli altri?”. Il giudizio finale è che si tratta di “un approccio provinciale” che “funziona per sondaggi e talkshow ma purtroppo non corrisponde al vero”.

Sbagliato anche “parlare di una “ampia consultazione di stakeholder”: “Vero che si è fatta la commissione Colao ma definire questa una consultazione non ha senso: (…) Forse vale la pena aprirsi per due settimane a un dibattito vero con il Paese, con le associazioni di categoria, con il mondo produttivo, con il terzo settore anziché definire ampia consultazione di stakeholder ciò che è accaduto in questi mesi, a cominciare dagli Stati Generali“.

Nel mirino pure la riforma della prescrizione e il titolo V – Nel mirino finisce poi la riforma della prescrizione, citata nella bozza del Recovery solo per ricordarne i motivi e sottolineare che ora occorre fare passi avanti anche nella riduzione della durata dei processi, cosa che la Commissione Ue ci chiede da anni. “Il nodo della riforma della prescrizione è tutt’altro che risolto, visto che è oggetto della riforma del processo penale ed è attualmente in fase di stallo. Non avendo condiviso il compromesso individuato, per noi resta un problema prioritario da affrontare”, scrive Iv. Così come la riforma del Csm “che non sarà in grado di eliminare la degenerazione correntizia e nemmeno di consentire una vera valorizzazione del merito”. In generale, per i renziani è fondamentale “riaffermare senza tentennamenti una cultura giuridica e politica garantista in linea con la nostra Costituzione, troppo spesso messa in discussione con le parole e coi fatti dal governo oltre che da alcune forze politiche”. Tutte notazioni che sembrano fatte apposta per rinfocolare le tensioni tra anime della maggioranza.

Poi si tira in mezzo anche la “scarsa attenzione alle riforme istituzionali” perché “che il titolo V non funzioni lo ha dimostrato questa terribile pandemia. Che il bicameralismo paritario non stia in piedi lo ha dimostrato la gestione parlamentare di questo 2020. Che il Cnel non sia utile lo dimostra il fatto che il Governo crea task force ma non coinvolge mai quella che in teoria dovrebbe essere allo stesso tempo la task force e la casa degli Stati Generali. Finché non si avrà il coraggio di dire che servono riforme costituzionali vere non si risolveranno i problemi strutturali di questo Paese”.

Superbonus “moralmente ingiusto” – Sembra un attacco diretto ai 5 Stelle anche la critica al superbonus 110% che la manovra votata anche da Italia viva ha appena prorogato fino alla fine del 2022. “A nostro giudizio la quantità di denari per il superbonus 110% è eccessiva e immotivata. Spendere per il superbonus più di quanto si spenda per ospedali, carceri, case popolari, scuole è moralmente ingiusto e politicamente sbagliato”.

“Ponte sullo Stretto irrinunciabile” – Venendo alla parte sulle infrastrutture, per Italia viva è increscioso che nella bozza si citi “tutta l’alta velocità escludendo il Ponte sullo stretto di Messina (viene scritto che si arriva a Reggio Calabria e si riparte a Messina). Sappiamo che il Ponte in quanto tale non è opera finanziabile con il Recovery ma sappiamo anche che i soldi che arriveranno sulle infrastrutture rendono il ponte irrinunciabile logicamente e più facile da realizzarsi”. La grande opera sognata da Silvio Berlusconi e definitivamente archiviata dal governo Monti, va detto, era stata riportata alla ribalta l’estate scorsa pure da un gruppo di deputati Pd.

Torna la polemica sui fondi per progetti “vecchi” – Il documento torna anche sulla polemica riguardo al fatto che una parte troppo piccola di prestiti europei sarebbe utilizzata per progetti “nuovi” mentre “il 70% dei prestiti” andrebbe a “finanziare a condizioni migliori spese già previste in bilancio”. L’osservazione non tiene conto del fatto che nelle nuove bozze quella quota è già stata aumentata, oltre al fatto che lo stesso Mario Draghi – citato da Iv per sostenere la propria tesi – ha in realtà affermato che l’importante è che i progetti abbiano “rendimento sociale elevato”: non importa se nuovi o vecchi, devono essere utili. I renziani non la vedono così: “Stiamo forse dicendo che abbiamo a disposizione progetti del genere solo per poco più della metà delle risorse? Mentre per il resto non abbiamo migliore utilizzo che il finanziamento di spese “vecchie”, al solo scopo di risparmiare spesa per interessi (una finalità nobile ma che tuttavia si nega per il Mes sanitario)?”.

Reddito di cittadinanza? “Impiegare meglio quei soldi” – Il reddito di cittadinanza non verrà ovviamente rifinanziato con risorse europee. Ma la delegazione di Iv non perde occasione per criticarlo e proporre di spendere quei soldi in altro modo: “A pagina 74 si dice che ha contribuito a ridurre la povertà assoluta dal 7 al 6.4%. Se questi sono i numeri possiamo ben dire che il reddito ha fallito. Per sostenere che questa misura abbia abolito la povertà, bisogna prima abolire la matematica. Vale la pena capire come meglio impiegare quei soldi, a cominciare dai progetti per l’occupazione giovanile, per la lotta alla povertà, per l’abbassamento del costo del lavoro“.

“Occupazione giovanile grande assente”. Ma c’è – Occupazione giovanile, appunto: stando al documento è “il grande assente. Si chiama Next Generation Eu ma questo piano prende ai giovani i soldi con il debito e non restituisce quanto dovrebbe”. In realtà la bozza la cita, proponendo una “revisione strutturale delle politiche attive del lavoro e dei servizi sociali e modernizzazione del mercato del lavoro al fine di migliorare l’occupazione e l’occupabilità, soprattutto giovanile, e in particolare dei Neet, delle donne e dei gruppi vulnerabili“. Non entra nel dettaglio, perché come è noto i singoli progetti sono ancora in fase di selezione. I renziani propongano un’idea copiata dal regno Unito, una specie di garanzia giovani potenziata per i Neet.

L’affondo su cyber security e servizi – Infine non poteva mancare un capitolo sulla Cyber security: “Non ci convince l’ipotesi di istituire un centro di sviluppo e ricerca sulla cyber security che opererà con partenariati pubblici e privati dal momento che non ne sono stati discussi i confini e i contenuti. Peraltro, occorrerebbe capire in che modo opererà questo centro alla luce della annunciata (e allo stato attuale non condivisa) costituzione di una fondazione per la cyber security che dovrebbe rispondere unicamente al governo. La preoccupazione è acuita anche dalla ribadita intenzione che ha espresso il Presidente del Consiglio di non attribuire la delega ai servizi, la cui gestione è accentrata nelle sue mani ormai da 2 anni e mezzo. Su questa scelta Italia Viva esprime un radicale dissenso”. Conte nella conferenza di fine anno ha ricordato che “la legge del 2007 attribuisce al presidente del Consiglio la responsabilità politica e giuridica sulla sicurezza nazionale, ne rispondo comunque, che mi avvalga o meno della facoltà, non è obbligatorio. Queste funzioni non sono delegabili”. In ogni caso “abbiamo un organismo, il Copasir, che ha funzioni di vigilanza e controllo sull’operato del presidente del Consiglio e le Agenzie di intelligence, che garantisce rispetto dell’interesse generale. Chi chiede al Presidente del Consiglio di dover delegare deve spiegare perché, non si fida del presidente del Consiglio? Allora bisogna cambiare la legge”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/30/trenta-pagine-di-critiche-e-tredici-righe-di-proposte-e-il-piano-recovery-di-italia-viva-annunciato-da-renzi-come-alternativa-a-quello-senza-ambizione-di-conte/6051676/

Il ruolo dello Stato torna centrale. A fare i soldi però sono i soliti…

 

Christine Lagarde Tiene in piedi la baracca, va capito per quanto.

Magari non sta a Francoforte “per chiudere gli spread”, come ebbe a dire a marzo scatenando il panico sui mercati, ma alla fine la Bce “francese” – di cui Christine Lagarde è il volto, ma non l’autrice – ha fatto quel che doveva per salvare la baracca e mettere la mordacchia ai tedeschi e ai loro alleati anseatici. La Bce, per la prima volta nella sua storia, fa davvero la banca centrale e dimostra una volta di più su quale sciarada di falsità si sia retta l’Ue finora: il deficit esplode e Paesi come l’Italia si finanziano praticamente a zero. Come già accadde col Qe di Draghi, la sua azione ha reso inutili strumenti di tortura medievali tipo Mes. Il problema vero è il tempo: il programma di acquisti anti-Covid (Peep) è stato ampliato e prolungato fino a marzo 2022: l’Italia ha ancora un anno tranquillo, la partita del dopo pandemia – regole di bilancio comprese – si gioca tra un anno.

Marco Palombi

Ursula Von der Leyen Ottenuto il Recovery, ora serve difenderlo.

Il giornale Politico.eu l’ha inserita tra i politici “dreamers” (sognatori). La presidente della Commissione Ue ha annunciato piani ambiziosi (salute, ambiente, sociale), ma spesso in settori di competenza nazionale e con grossi caveat, a partire dal “green new deal”. L’unica certezza è che la sua sarà una presidenza cruciale: supervisionerà il primo debito congiunto europeo, il Next Generation Eu (o Recovery fund) e la revisione delle regole fiscali Ue (oggi sospese per la pandemia). Il primo è politicamente il risultato più ambizioso. I caveat però, anche qui, sono molti: rispetto alla proposta franco-tedesca la quota di “sussidi” è scesa da 500 a 360 miliardi; i meccanismi di erogazione sono complessi; il blocco nordico lo considera irripetibile e non un embrione di politica fiscale comune. Il secondo disegnerà il futuro dell’Unione: ritornare al vecchio armamentario del Fiscal Compact la farebbe esplodere. Il vero giudizio verrà da lì.

Cdf

Carlo Bonomi Tutto sommato è bravo: più urla, più incassa.

Nel 2020 Confindustria si è data una nuova leadership con il presidente Carlo Bonomi, desideroso di alzare la voce e di bacchettare, con un “populismo” dall’alto, partiti e Parlamento. Bonomi ha azzannato il governo gridando al “sussidistan” e ha preso di mira i sindacati. Dopo l’estate, anche grazie alle profferte del governo, i toni si sono smorzati e ora con Landini sembra andare d’accordo. Restano però le solite ossessioni: allarmismo contro “statalismo” e “nazionalizzazioni”, lamentela contro l’eccessiva tassazione, senza mai fare cenno all’evasione fiscale, richiesta assillante di “politiche industriali”. Ma quando tra decreti, legge di Bilancio e Recovery, le imprese si trovano, tra Industria 4.0, sgravi contributivi, super-bonus edilizi, a essere le vere sussidiate, Bonomi si fa di lato e resta zitto. Dal suo punto di vista, e solo da quello, è anche bravo.

Salvatore Cannavò

Jeff Bezos Mr Amazon, cioè quelli che col covid ridono.

Durante i primi sei mesi della pandemia circa 50 milioni di persone hanno perso il lavoro; nello stesso periodo 643 persone si sono arricchite per 850 miliardi di dollari. Jeff Bezos, il patron di quel sogno totalitario noto come Amazon, è il loro simbolo: è l’uomo più ricco al mondo e l’unico nella storia il cui patrimonio personale abbia superato i 200 miliardi. È successo quest’anno visto che le restrizioni dovute al Covid hanno dato un’ulteriore spinta al commercio online, cioè alla sua azienda. La cosa non sembra, comunque, aver migliorato salari e condizioni di vita dei lavoratori del colosso Usa: siamo sempre in zona Sorry, we missed you (il film di Ken Loach su un corriere inglese del 2019). Particolare di colore. Nella lista dei mega-ricchi c’è pure la ex moglie di Bezos, MacKenzie Scott, con 60 miliardi di patrimonio: lui ha donato 100 milioni in beneficenza, lei oltre 4 miliardi. Così, per dire.
Ma. Pa.

Albert Bourla Il profitto non spiega il caso vaccini.

I tempi assai brevi per sviluppare un vaccino considerato efficace hanno prodotto, per così dire, anche una strana reazione avversa: l’ossessione anti-Stato. Gli aedi del libero mercato come unico incentivo del progresso sociale ne hanno fatto una battaglia: è la ricerca del profitto ad aver spinto i colossi a investire su un vaccino. L’ad di Pfizer Albert Bourla si è pure vantato di non aver voluto fondi pubblici per non subire condizionamenti politici. Sarà, eppure ha concluso un accordo da 2 miliardi col governo Usa che ha prenotato le fiale e il partner Biontech ha preso centinaia di milioni pubblici per le sue ricerche. Dopo l’annuncio, Bourla ha venduto azioni Pfizer (schizzate alle stelle) incassando 5 milioni di dollari. Anche il Ceo di Moderna (quasi 2 miliardi di fondi pubblici presi) ha fatto lo stesso. La ricerca ha bisogno dello Stato. Qualcuno finge di scordarselo.

Carlo Di Foggia

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/31/il-ruolo-dello-stato-torna-centrale-a-fare-i-soldi-pero-sono-i-soliti/6052053/

Crisi, chiude la profumeria Arena Barranco „Palermo perde un altro pezzo della sua storia: chiude la profumeria Arena Barranco“.

 

Crisi, chiude la profumeria Arena Barranco

Crisi, chiude la profumeria Arena Barranco

Crisi, chiude la profumeria Arena Barranco
Nata nel 1880, era la più antica in città e ha visto alternarsi alla sua guida quattro generazioni. Sui social l'annuncio: "Gli addii non contano, conta solo quello che c'è stato". La Confederazione italiana degli esercenti commercianti: "Ci chiediamo cosa rimanga, ormai, del tessuto commerciale un tempo florido".

Palermo perde un'altra insegna storica: la profumeria Arena Barranco di via Notarbartolo. Nata nel 1880, ha visto alternarsi alla sua guida quattro generazioni, ma lo scorso 11 dicembre è arrivato l'annuncio sui social della chiusura dell'attività. "Dopo più di cento anni Arena Barranco chiude. Gli addii non contano, conta solo quello che c'è stato. Grazie a tutti", poche ma inequivocabili parole che segnano la fine di un'era.

Si tratta solo dell'ultimo di un lungo elenco di nomi che hanno fatto la storia di Palermo e che hanno chiuso i battenti, uno dopo l'altro. Le prime ad arrendersi alla crisi, alla concorrenza delle nuove catene, al cambiamento del tessuto sociale ed economico erano state - nel 2009 - le sorelle Hugony, titolari dell'omonima profumeria di via Ruggero Settimo. 

Non sono solamente le profumerie a pagare il conto della crisi. Uno dopo l'altro hanno abbassato la sarcinesca anche il bar Mazzara di via Magliocco, che ha spento le luci nel 2014 dopo una storia lunga 105 anni. Il bar Caflisch di Mondello non esiste più e adesso al suo posto c'è un altro bar, della libreria Dante è rimasto solo l'esterno e adesso ospita un bistrot. 

Sono ormai un ricordo anche i fratelli Gulì, che dagli anni '20 in piazzale Ungheria, vendevano biancheria e tessuti e indumenti da lavoro. In tempi più recenti ha abbassato la saracinesca anche Torregrossa, primo negozio di intimo di lusso a fare capolino in città con una storia iniziata nel 1934. La boutique Alongi lo scorso anno ha lasciato il suo posto di via Ruggero Settimo a un Lego Store. Ed è storia recente la vicenda del colosso Rinascente, che ha rischiato di salutare Palermo, stavolta per il caro affitti. 

130982594_1478341039037717_5965050078754570781_o-2-2A esprimere preoccupazione per la scomparsa delle insegne storiche è la Cidec (Confederazione italiana degli esercenti commercianti), "Abbiamo appreso con dispiacere dell'ormai prossima chiusura di Arena Barranco, la più antica profumeria in città", dice il presidente Salvatore Bivona. "Ci chiediamo - prosegue - cosa rimanga, ormai, del tessuto commerciale, un tempo florido, della Palermo dei decenni passati". La Cidec spiega di avere chiesto l'apertura di un tavolo di crisi al governo regionale nei mesi scorsi. "Senza Arena Barranco - conclude Bivona - via Notarbartolo non sarà più la stessa: viene meno un luogo che ha unito, a partire dal 1880, tante generazioni nel nome dell'eleganza e della bellezza".



https://www.palermotoday.it/cronaca/profumeria-arena-barranco-via-notarbartolo-chiude-commercio-crisi.html

giovedì 31 dicembre 2020

Buon anno a tutti!

 




Iv non ottiene nulla sul Recovery Plan: muro contro muro. - Wanda Marra

 

“Conte è stato molto duro, poco aperto al dialogo. Se fa così, si va al muro contro muro”. Subito dopo la conferenza stampa di fine anno del premier, Matteo Renzi commentava così con gli amici. In linea con l’atteggiamento tenuto nelle ultime settimane, il fu Rottamatore non ha intenzione di fermarsi. Se Conte va in Parlamento a chiedere la fiducia senza un accordo con lui, è pronto a votargli contro. “Deve capire che se lo sfiduciamo, non è che poi facciamo il Conte ter”, continua a dire nei colloqui privati. “A quel punto, serve un altro premier”. Il nome che ha fatto trapelare in questi giorni è quello di Mario Draghi: tutto da capire se è una ipotesi reale, o una minaccia. Anche perché ufficialmente dal Colle continuano a dire che non è possibile che la legislatura vada avanti con una terza maggioranza. Renzi ha messo in conto che qualcuno dei suoi parlamentari non lo segua sulla strada della sfiducia, ma si dice convinto che non ci saranno abbastanza “Responsabili” per sostituirli. “Se poi va male e Conte riesce a trovare i numeri senza di noi, faccio l’opposizione”, va dicendo spavaldo. Mentre i suoi parlano anche di “appoggio esterno”. Le urne lui le esclude, nonostante il fatto che nello stato di caos politico generale è una variabile sul tavolo. Ma anche l’idea di uscire dal governo gli piace sulla carta più che nella realtà.

Tanto è vero che continua a ipotizzare che il premier vada da Mattarella, che apra lui la crisi. Che tratti. Per ora, l’altro non sembra intenzionato a farlo.

Ieri pomeriggio c’è stato il tavolo sul Recovery Plan al ministero dell’Economia, coordinato da Roberto Gualtieri e da Enzo Amendola (Affari europei). Il titolare del Tesoro ha presentato una nuova bozza di partenza di 153 pagine, con il dettaglio di come e dove si spende. Molte delle voci che interessavano Renzi restano immutate: 3,5 miliardi vanno alla Cultura, 9 alla Sanità. Così come le spese addizionali cambiano di poco (circa 2 miliardi). E rispunta la Fondazione per la Cybersecurity (contro la quale l’ex premier si è scagliato frontalmente), come Centro di ricerca. Dall’altra parte, sparisce il riferimento alla riforma della prescrizione, messa nel mirino da Iv. Resta ancora una bozza di partenza sulla quale mediare, alla luce delle proposte dei partiti. Ma le premesse confermano il muro contro muro.

Come quelli con Pd e M5S, l’incontro con Iv è durato ore. Il che evidenzia due aspetti in parte contraddittori: la voglia di Iv di condizionare la maggioranza per restarci dentro, ma anche la poca volontà di fare passi indietro sugli aspetti più divisivi. Nella delegazione c’erano Maria Elena Boschi, Ettore Rosato, Davide Faraone, Teresa Bellanova e Elena Bonetti. Agguerritissime soprattutto Boschi e Bellanova. Ma sul tavolo, Iv ha messo con forza il Mes e la riforma della giustizia. Temi divisivi. Tra i punti di Iv c’è persino “il riconoscimento del passato”, a partire dal jobs act.

Tra i momenti più animati, la risposta di Faraone a Gualtieri, che ha spiegato come sia irricevibile la proposta di Iv di usare tutti i prestiti per progetti aggiuntivi: far crescere il debito sarebbe incompatibile, è la linea del governo, con l’obiettivo di rientro che continua ad indicare l’Europa. “Ci mettete dei limiti”, ha risposto Faraone.

Gualtieri, poi, ha cercato di proporre un metodo: arrivare al Cdm previsto intorno all’Epifania con un accordo di massima e poi riaprire un tavolo, magari con gli esperti dei vari partiti. “No, dobbiamo arrivare a un accordo politico”, si è sentito rispondere. E dunque, si profila una riunione di maggioranza di inizio anno, magari il 2 gennaio. Dal Mef alla fine parlano di “incontro positivo”. Ma Iv continua imperterrita ad attaccare: “Ci separa un abisso, non saremo complici”.

Il Pd non sembra trovare troppo produttiva la linea di Conte del “muro contro muro”. Intanto, continuano i dialoghi sotto traccia con Renzi, per cercare una soluzione. Ma il ritiro delle ministre potrebbe esserci già nel Cdm sul Recovery.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/31/iv-non-ottiene-nulla-sul-recovery-plan-muro-contro-muro/6052041/

Vocabolario 2021. - Marco Travaglio

 

Nell’ambito delle pulizie di fine anno, ecco 12 parole che, alla luce del 2020, è meglio cancellare dal vocabolario 2021 per motivi di profilassi igienico-sanitaria.

1. Anima. Elemento fondamentale dell’essere umano, ma non richiesto ai governi: a cui bastano e avanzano una maggioranza, un programma e dei buoni ministri. L’anima dei governi è come l’amalgama del Calcio Catania per il mitico presidente Angelo Massimino: “Alla squadra manca amalgama? Ditemi dove gioca e ve lo compro subito”.

2. Autonomia differenziata. Purtroppo prevista dalla Costituzione, ce l’avevano spacciata per la panacea di tutti i mali. Invece ha fatto danni incalcolabili già l’autonomia semplice, figurarsi se la differenziano pure. Modesta proposta: differenziamola a tal punto da levare la sanità alle regioni e riaffidarla allo Stato.

3. Bonus/sussidi. Basta coi bonus, solo noi facciamo i bonus, ci vuol altro che i bonus, siamo diventati il Sussidistan. Poi si scopre che gli Usa hanno appena varato un piano da 900 miliardi di dollari di bonus e sussidi per i più colpiti dalla crisi Covid. Quindi basta con i basta ai bonus e ai sussidi.

4. Competenti. Non ne esistono per scienza infusa né per diritto di nascita, come dimostrano tutti i governi che ci hanno lasciato questo disastro, ma anche i figli di papà imprenditori che han mandato (o stanno mandando) in malora le aziende di famiglia. Meglio astenersi da oracoli preconcetti e aspettare tutti al varco dei fatti, onde evitare di dover esclamare un giorno: “Però, quel Conte!”, “Però, quel Patuanelli!”, “Però, quello Speranza!”, “Però, quell’Azzolina!”, “Però, quel Provenzano!”, “Però, quel bibitaro!”. O di doversi domandare: “Possibile che il supercompetente Beppe Sala non abbia pensato a tener da parte un po’ di sale per sciogliere due dita di neve a Milano?”.

5. Governatori. Termine abusivo usato per definire i “presidenti di Regione” che, salvo rare eccezioni, è già eccessivo chiamare così, visto che i più non saprebbero presiedere il ballatoio di casa loro. I governatori in Italia erano quelli dell’impero romano e dell’impero fascista. Uno, però, somigliava molto ai nostri: il governatore della Giudea Ponzio Pilato.

6. Governo Draghi. Perché esista, occorre che l’attuale governo cada, che in Parlamento si formi una maggioranza disposta a votarne uno guidato da Draghi e soprattutto che Draghi accetti di guidarlo. Chi dice di stimare Draghi dovrebbe almeno chiederglielo, anziché nominare il suo nome invano per darsi un tono e fingere di esistere sulle e alle sue spalle.

7. Larghe intese. Termine volutamente generico e suadente per nascondere un’operazione truffaldina e terrificante.

Cioè un governo-porcata per cacciare chi ha vinto le elezioni e imbarcare i partiti di un pregiudicato, Berlusconi, e di un Cazzaro, Salvini. Chiamiamolo con il suo vero nome e poi vediamo l’effetto che fa.

8. Mes. Siamo l’unico paese europeo dove tutti parlano e chiedono del Mes, il prestito-capestro salva-Stati che nessuno Stato Ue ha attivato né intende attivare. Facciamo così: ne riparliamo dopo che almeno tre Paesi Ue lo attiveranno. Cioè mai.

9. Modello tedesco/lombardo/veneto. La Germania, che finora l’aveva scampata, viaggia al ritmo di mille morti al giorno e viola le regole Ue sull’acquisto di vaccini. Il Veneto era un modello grazie al romano Andrea Crisanti, poi il veneto Luca Zaia l’ha scaricato e addio modello. La Lombardia (non l’Italia intera) ha il record mondiale di morti Covid per abitante e i governanti più ridicoli della storia. I soli modelli esistenti sono quelli da non seguire.

10. Rimpasto. Anziché invocarlo a ogni pie’ sospinto, i partiti che ritengono di avere dei pessimi ministri propongano di sostituirli con gente valida, se ce l’hanno. Ovviamente ogni partito rimpasta i suoi, non quelli altrui. E morta lì.

11. Ritardi (sul Recovery). A leggere i giornaloni, l’Italia era in ritardo prim’ancora che il Recovery Fund fosse deliberato il 20.7.2020. Come sui banchi di scuola, sul Mes, sui vaccini, sulle siringhe, su tutto. Ma dicesi ritardo il tempo trascorso fra il momento in cui un evento si verifica e quello in cui avrebbe dovuto verificarsi. Il Recovery Plan va presentato all’Ue a febbraio-marzo, fra 2-3 mesi. Si prega dunque di comunicare il ritardo quando il treno arriva, non prima che parta.

12. Verifica. Altro termine da Prima Repubblica, come rimpasto, consiste in una cosa semplicissima: ogni partito di governo porta le sue proposte, il Consiglio dei ministri le vota e quelle che hanno la maggioranza passano, le altre no. Se qualcuno si offende, lo spiega in Parlamento, sfiducia il governo e lo fa cadere, a meno che altri parlamentari non la votino al posto suo. Cosa immorale nei sistemi maggioritari, ma del tutto normale in quelli proporzionali, purché sia gratis.

Ps. Ciao. Parola fuori ordine alfabetico e fuori concorso, perché è troppo bella per essere abolita. Ma va riportata al significato originario, che non è il ridicolo acronimo renziano di Cultura Infrastrutture Ambiente Opportunità, né quello più attinente di Cazzaro Inquisito Avido Opportunista. È un saluto fra amici felici di vedersi. Da non confondere col suo falso sinonimo, che dedichiamo a chi non vogliamo mai più rivedere, possibilmente già nel 2021: “addio”. Magari accompagnato dal ricordo di chi vorremmo rivedere sempre e per sempre: “Tu m’hai rotto er ca’”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/31/vocabolario-2021/6052038/

Conte, ultimo avviso a Renzi “Se apri la crisi, si va in Aula”. - Luca De Carolis

 

Come l’anno scorso il convitato di pietra è un Matteo. Ma se nel 2019 si trattava del Salvini ex alleato e avversario ormai sconfitto, questa volta nella conferenza finale di un calvario chiamato 2020 il presidente del Consiglio Giuseppe Conte deve rispondere spesso su un nemico attualissimo, quel Renzi con cui ieri guerreggia a colpi di citazioni di Aldo Moro.

Schermaglie dietro la sostanza, evidente: Conte non arretra e non vuole “vivacchiare o galleggiare” come ripete più volte. Ergo, “se verrà meno la fiducia di un partito andremo in Aula e ognuno si assumerà le proprie responsabilità”. Quindi a inizio gennaio porterà il documento sul Recovery Fund in Consiglio dei ministri. E se Iv dovesse mostrare pollice verso, il premier sfiderà Renzi a sfiduciarlo davanti al Paese.

Perché è vero, il premier prova a giurarlo: “Il presidente del Consiglio non sfida nessuno”. E figurarsi se può ammettere di pensare al voto anticipato, magari con una sua lista: “Non mi appartiene ragionare di questo, non posso distrarmi pensando a una campagna elettorale”. Però nella conferenza in una gelida Villa Madama, tra giornalisti con mascherine e distanziamenti, l’avvertimento lo lancia e fa rima proprio con sfida. Del resto a chi gli evoca eventuali responsabili come sostituti dei renziani in Parlamento, Conte assicura: “Non cerco altre maggioranze, e non si governa senza coesione”. Sintesi: se l’attuale coalizione giallorosa non dovesse più esistere, andare avanti in qualche modo con i voti di ex forzisti e transfughi vari non gli interessa.

Meglio altro, cioè le urne. “Forse non subito ma in primavera, in un election day con le amministrative” soffiano voci trasversali dai palazzi, secondo cui “prima bisognerà comunque varare il Recovery Plan, con i numeri che si troveranno”. Poi si potrà anche votare. Anche perché nei Palazzi è diffusa un’altra convinzione: “Il Quirinale non accetterebbe la terza maggioranza diversa in tre anni”. La certezza è che Conte ha fretta. Per questo raccoglie l’invito di prevedere “percorsi accelerati” per il Recovery lanciatogli tramite Repubblica dal commissario europeo Gentiloni: “Se non si rispetta il cronoprogramma semestrale le erogazioni sono sospese o si devono restituire i fondi. Serve un meccanismo che stabilisca cosa succede se si accumulano ritardi e si rischia di perdere le somme”. Quindi arriverà “un decreto per la struttura di monitoraggio e i percorsi preferenziali”. Ma soprattutto bisognerà essere rapidi: “Dobbiamo accelerare, avremo la riunione finale sul Recovery al massimo agli inizi di gennaio. E a metà febbraio avremo la presentazione finale del documento”. Però poi ci sarebbe sempre Renzi, che pochi minuti prima in Senato aveva citato Moro: “La verità è sempre illuminante”. E un’oretta dopo Conte gli replica così: “Gli ultimatum non appartengono al mio bagaglio culturale e politico. Moro disse che non sono ammissibili in politica perché portano a un precipitare delle cose e a impedire una soluzione positiva”. Colpi di fioretto.

Ma il premier usa anche la clava, quando dice no a Renzi su un tema caldissimo, quello dei servizi segreti: “Chi chiede al premier di abbandonare la delega sui servizi deve spiegare perché: è una prerogativa del presidente del Consiglio. E poi neanche il mio predecessore Gentiloni aveva assegnato ad altri questa competenza”. Mentre è meno inflessibile sul rimpasto: “Ogni capitano difende la propria squadra, ma se il problema verrà posto lo affronteremo”. Ma entro certi limiti. Perché per esempio di avere due vicepremier proprio non ha voglia: “Nello scorso governo questa formula ha avuto scarso successo”.

E suona anche come un graffio al fu vice Luigi Di Maio. Ma ora le priorità sono altre, per il premier, che la butta lì: “La crisi? Non voglio credere a uno scenario del genere”. E sembra un esorcismo.

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