Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 15 gennaio 2021
No vabbè, ma questa è una notizia clamorosa. - Stefano Ragusa
Scilipoti è lui. - Marco Travaglio
Il renzismo ormai è estinto su tutto il territorio nazionale (e perfino sui suoi social: decine di migliaia di commenti, tutti di insulti e sberleffi, neppure un parente a riequilibrare). Per non parlare di quello internazionale (“Demolition man” è la definizione più amichevole). Ma sopravvive come se nulla fosse tra i giornalisti e i telecommentatori italioti. Che si dividono in cinque categorie.
1) Quelli che “R. ha rovesciato il governo che aveva inventato e di cui faceva parte, dunque è colpa di Conte che deve andare a casa”.
2) Quelli che “R. ha tradito per l’ennesima volta i suoi alleati, quindi va invitato a fare un nuovo governo e Conte vada a casa per non disturbarlo”.
3) Quelli che “R. sul merito ha ragione, ma forse ha sbagliato qualcosa nei tempi e nei modi, dunque Conte deve andare a casa”.
4) Quelli che “un governo non può reggersi sui responsabili alla Scilipoti&Mastella, ergo Conte deve andare a casa”.
Per le prime 3 specie non c’è logica che tenga: al cuore non si comanda. La 4 dimentica che fu proprio R. a governare con transfughi e responsabili (Ncd e verdiniani) e poi a fondare un partito col 100% di similScilipoti&Mastella e ora rovescia il Conte-2 come Mastella il Prodi-2, senz’alcuno scandalo tra le vergini violate che ora strillano all’ipotesi di rimpiazzarlo con “ex” di altri partiti (soprattutto il suo). Poi ci sono quelli che, ansiosi di liberarsi dell’unico premier che non si fila i loro padroni, menano scandalo perché non s’è ancora dimesso. Purtroppo ignorano la Costituzione (art. 94): “Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale”. Che non pare sostituibile con conferenze stampa, interviste, tweet, post, storie o lettere di dimissioni. Quindi a oggi la crisi è tutta mediatica: nessuno l’ha formalizzata e giuridicamente non esiste. Nella Prima Repubblica i premier bypassavano il Parlamento e si dimettevano al Quirinale per averne il reincarico. Una furbata rotta solo da Prodi (due volte) e ora da Conte (due volte), che lunedì sarà alla Camera e poi al Senato per “parlamentarizzare” la crisi annunciata. Senz’averne alcun obbligo, visto che né Iv né le destre hanno presentato mozioni di sfiducia. Del resto le mozioni devono essere “motivate” e, se le destre hanno i loro motivi, sfuggono quelli dell’Innominabile. A meno di non credere davvero che Conte è un “vulnus per la democrazia”, “abusa dei social” e “spettacolarizza la liberazione dei pescatori” (giuro: ha detto così, lui). In attesa di lunedì, si annuncia l’addio a Iv di Nencini, padrone del marchio, che lo spedirebbe nel gruppo misto. Se tutto va bene, per vederlo sparire pure dal Parlamento, non dobbiamo neppure attendere le elezioni.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/15/scilipoti-e-lui/6066359/
Superata la fase del grottesco... - Giancarlo Selmi
Superata la fase del grottesco, il partito unico dei giornalisti italiani, capeggiato in questo momento da Mentana, ha imboccato quella del tragicamente comico. Si sta avverando quello che meno auspicavano. L'entrata nella maggioranza di un cospicuo gruppo di "responsabili".
L'aumento della credibilitá dell'eventualitá, é stato direttamente proporzionale alla progressiva scomparsa del sorriso dal volto del "mitraglietta", sorriso che ieri fu eterno con molti sconfinamenti nell'ilaritá.
In un paese dove il 90% dei governi si é sostenuto con gente che cambiava schieramento come mia moglie cambia il pannolino al bimbo, i giornalisti italiani, che fino a ieri avevano digerito di tutto senza scrivere una sola riga sull'argomento, sui "responsabili" hanno dato giudizi di moralitá, etica politica, costituzionalitá, opportunitá e legalitá, letteralmente terrorizzati dall'eventualitá che si realizzi quello che temevano: la prosecuzione dell'attuale Governo. Eventualitá che, in questo momento pare sempre piú probabile.
Sto guardando Mentana, ha la faccia da funerale. Spingendosi perfino ad ipotizzare una parallela campagna acquisti da parte della destra (che, in questo caso invece, sarebbe legalissima).
A proposito dei "costruttori" o "responsabili" che dir si voglia, va detto che:
- la fiducia a Conte fu data dal PD e non da IV. Questo gruppo si é formato dopo l'insediamento del Governo Conte II. Pertanto puó ritenersi in carica fino ad un passaggio parlamentare che lo sfiduci.
- l'attuale legge elettorale proporzionale, permette legittimamente la ricerca di maggioranze in parlamento.
- il Governo D'Alema fu reso possibile da Parlamentari eletti con il centro dx e che cambiarono schieramento con l'occasione. Alcuni di loro assicurarono il voto di fiducia senza aver costituito nessun gruppo. Ció avvenne nonostante leggi elettorali chiaramente maggioritarie. Lo stesso avvenne con Berlusconi.
- Non si capisce perché Conte sarebbe piú debole con il voto dei costruttori, rispetto a quanto lo fosse con l'appoggio di Italia Viva.
- Nella Costituzione non vi é nulla che impedisca a Conte di chiedere a chi ci sta, di dargli la fiducia.
Sono fiducioso. Diventa sempre piú consistente la desiderata eventualitá della relegazione nell'oblio di Renzi, insieme allo spappolamento (metaforico) del fegato di Mentana e dei soloni del partito unico anti-Conte dei giornalisti italiani. Ad maiora!
#AvantiConConte
Giancarlo Selmi
https://www.facebook.com/photo?fbid=490886675405297&set=a.163384871488814
giovedì 14 gennaio 2021
QUEL GRAN FIGLIO DI INDAGATI. - Bruno Fusco
Con Conte, l'Italia ha riacquistato stile, dignità e ruolo, sa parlare con tutti, dall'ultimo operaio in difficoltà, ai massimi esponenti mondiali, lo ha fatto dal primo giorno in cui ha assunto la carica di Presidente del Consiglio con grande visione e lungimiranza del M5S.
Renzi non poteva almeno lasciare che Bellanova e Bonetti annunciassero le dimissioni?
Bellanova e Bonetti, più dimesse che dimissionarie. Con tutto quello che dobbiamo affrontare, Renzi incluso, serviva l’ennesima polemica sulle donne ‘usate’ dall’ennesimo uomo più potente di loro? In poche parole, poteva almeno lasciarglielo dire a loro?
Come se ne avesse bisogno, l’uomo “più impopolare del Paese” che ha messo nei guai quello più popolare, squadernando una crisi di governo in piena emergenza pandemica, è riuscito invece nell’impresa di farlo attirandosi oltre alle solite accuse di egocentrismo anche quelle ben più velenose di sessismo.
Nel mondo reale e nei famigerati social (trovare le differenze ormai), all’hashtag di battaglia #renzivergogna, sono stati in molti a puntare il dito contro il leader di Italia Viva che pur di prendersi la scena, si arroga anche il diritto di annunciare le dimissioni delle sue ministre Bellanova e Bonetti, sedute al suo fianco, come “due corpi ostaggi”, come ha osservato non senza sarcasmo Lucia Annunziata al tg3.
E a proposito di giornalisti, c’è Alberto Infelise (la Stampa), che twitta: “Dire che la Bellanova non farà mai da segnaposto mentre le sta facendo fare esattamente la segnaposto è un estratto puro di renzismo”. Sulla stessa linea Selvaggia Lucarelli (Tpi): “Nel frattempo da 1 ora non hanno detto una parola, mentre fanno da segnaposto accanto a lui”.
Altri come Gad Lerner preferiscono ricorrere ad altre categorie. “Neanche il buon gusto, l’osservanza delle regole istituzionali o, se preferite, la cavalleria di lasciare che fossero le ‘sue’ due ministre a comunicare le proprie dimissioni, ha avuto @matteorenzi”, twitta l’ex editorialista di Repubblica.
C’è poi chi osserva come alle stesse, “dimesse”, politicamente e umanamente, ben pochi presenti in conferenza stampa hanno rivolto domanda. Per Marika Surace, esperta di diritti umani molto attiva sui social, “Renzi sta praticamente pregando i giornalisti di fare domande alle ministre e a Scalfarotto, inascoltato. Perché alla stampa interessa solo il suo rapporto con Conte e questo governo. Le due donne di Italia Viva non chiedono di intervenire. E però è Renzi che è sessista”.
Ma è anche vero - si ribatte- che una volta aperta la conferenza stampa con la notizia delle dimissioni, tutte le attenzioni erano rivolte alla mossa successiva di Renzi. Non è sfuggito che un ‘metronomo’ delle news come Enrico Mentana, abbia trovato normale rientrare in studio appena le stesse sembravano finalmente prendere la parola.
Sessismo o egocentrismo, c’è infine chi ha trovato la polemica stucchevole e irrilevante rispetto sia al tema delle donne sia rispetto al casino politico che era in procinto di innescarsi. Non resta che rifugiarsi nell’ironia feroce di Spinoza: “Renzi ha chiesto rispetto per le sue ministre. Altrimenti le farà parlare”.
(foto ANSA)
La crisi sulla stampa internazionale. “Renzi sinonimo di slealtà”. “Un uomo disperato, più il partito affonda più lotta per avere attenzione”. “Mette a rischio l’opportunità data dai fondi europei”.
Gli osservatori stranieri scrivono che nessuno capisce le motivazioni dell'ex premier. Per l'agenzia Reuters "Renzi completa la trasformazione da riformatore a distruttore". Der Spiegel: "Duello quasi tragico: da una parte Conte, il premier più popolare da 25 anni, dall'altra Renzi, uno dei politici più impopolari". Guardian e Ft rispolverano la definizione di "Demolition Man" riservatagli dall'Economist quando uscì dal Pd. Le Figaro mette in evidenza l'ambiguità degli annunci di mercoledì. Handelsblatt sottolinea che il "ricatto" sul Recovery plan "ha dato frutti, ma questo non gli è bastato".
Il Financial Times e il Guardian rispolverano la definizione di “Demolition Man“, riservata a Matteo Renzi dall’Economist nel settembre 2019, quando lasciò il Pd per fondare Italia viva. Il quotidiano della City sottolinea che la mossa potrebbe “facilmente ritorcersi contro di lui”. Ma, quel che più conta, la crisi italiana “minaccia di ostacolare il Recovery plan di Bruxelles”. Per l’agenzia Reuters “Renzi completa la trasformazione da riformatore a distruttore” e il suo nome è ormai “quasi sinonimo di slealtà e spietate manovre politiche”. mentre El Pais annota che l’Italia deve ora “trovare la formula per un probabile terzo governo di questa legislatura nel mezzo di una pandemia, proprio quando si decide il destino di quasi 230 miliardi di euro che arriveranno dall’Unione Europea per uscire dalla crisi e il Paese deve presiedere il G-20“.
Sulla stampa internazionale la reazione nettamente prevalente davanti alla crisi di governo innescata dal leader di Italia viva è lo sconcerto, lo stesso che emergeva già nei giorni scorsi davanti alle minacce renziane nel bel mezzo di una pandemia globale e di una grave recessione. Anche perché nessuno capisce le motivazioni dell’ex premier: l’unica spiegazione, secondo il Ft, è che Renzi abbia “messo sottosopra Roma” nel tentativo di “rafforzare il potere di interdizione del suo piccolo partito e la sua stessa immagine personale” . La manovra “largamente impopolare” di Renzi arriva “nel momento peggiore possibile per l’Italia” e “lascia gli osservatori perplessi riguardo alle motivazioni”, spiega il Guardian, ricordando che “la sua popolarità è crollata da quando ha dovuto dimettersi da premier dopo il fallito referendum del 2016. Italia viva nei sondaggi ha meno del 3% dei voti“.
Der Spiegel: “Disperato, il più impopolare lotta contro il premier più popolare” – E Der Spiegel, il più influente e venduto settimanale tedesco, sul proprio sito prova a fare una diagnosi partendo proprio dai consensi in caduta libera: “Sembra la battaglia di un uomo disperato. E un duello quasi tragico: da una parte Conte, il premier più popolare da 25 anni, dall’altra Renzi, uno dei politici più impopolari. Più il suo partito affonda, più lui lotta per avere attenzione“. Quasi tutti i giornali stranieri tornano più volte sul punto della evidente impopolarità di Renzi accentuata dalla conferenza stampa di mercoledì sera: nella corrispondenza per Reuters Gavin Jones annota che se “un tempo entusiasmava italiani e osservatori stranieri con le sue promesse di riforme“, oggi “è tra le figure più impopolari del Paese” e “in un sondaggio Ipsos martedì il 73% degli elettori ha dichiarato che vuole perseguire i propri interessi” personali.
“Mette a rischio la storica opportunità di riformare il Paese” – “Difficile da individuare”, ribadisce Jones, “la ragione” per cui l’ex premier ha “gettato l’Italia nel caos politico nel mezzo di una nuova emergenza coronavirus”. L’altro refrain è appunto quello delle motivazioni di fondo per nulla chiare. Il quotidiano economico tedesco Handelsblatt sottolinea che il “ricatto” sul Recovery plan “ha dato frutti”, perché l’ultima versione “contiene molte delle richieste di modifica di Renzi, ma questo non è bastato al suo partito”. Frank Hornig, che scrive da Roma per lo Spiegel, si chiede esplicitamente “perché Renzi stia mettendo a rischio” la “storica opportunità di riformare il Paese” con i 200 miliardi di euro del Recovery fund. “Perché il fan di Machiavelli rompe la coalizione rischiando di andare all’opposizione e portare al potere il populista di destra Matteo Salvini?“.
Nyt: “Aveva il potere di distruggere e non ha resistito” – Sul New York Times Jason Horowitz si limita alla cronaca, ma non senza sottolineare che “i critici di Renzi, che sono numerosi, vedono un politico vendicativo e ambizioso che non solo aveva il potere di distruggere, ma non è riuscito a resistere alla tentazione di usarlo”. E ancora: “Alcuni dei maggiori virologi del Paese sono chiaramente disgustati dalle distrazioni politiche nel bel mezzo di una emergenza sanitaria”. Viene citato Massimo Galli, che è tranchant: “L’orchestra suona mentre il Titanic affonda. C’è la possibilità che la settimana prossima gli ospedali siano di nuovo in seria difficoltà”.
Figaro: “Rifiuta di assumersi la responsabilità della crisi” – Se El Pais dà conto del fatto che “il presidente della Repubblica è molto deluso“, Le Figaro mette in evidenza l’ambiguità degli annunci di mercoledì: “Chi si assumerà la responsabilità della caduta del governo italiano in un momento in cui l’Italia sta attraversando una crisi senza precedenti?”. Conte, scrive Valérie Segond da Roma, dopo l’incontro con Sergio Mattarella “ha abbassato i toni: “Sono fiducioso che si troverà un accordo, il governo può andare avanti solo con il sostegno di tutte le forze della maggioranza”. Mano tesa che Renzi non ha voluto afferrare”. Ma al tempo stesso “promettendo che voterà tutte le decisioni importanti delle prossime settimane, rifiuta di assumersi la responsabilità di questa crisi e si assicura che rimane aperto a un governo sostenuto dalla stessa maggioranza…con un altro presidente del Consiglio”.
Renzi, il perdente maximo contro cui vaccinarci. - Daniele Ranieri
Era l’idea, anzi il sogno, di Denis Verdini, peraltro riconsultato sotto Natale durante l’orario di visita in qualità di oracolo e grande stratega: il Partito della Nazione. Il brevetto era talmente geniale che passò subito di mano a colui che meglio poteva concretizzarlo. “Il Pd deve essere un partito che vince e che, avendo una vocazione maggioritaria, sia in grado di contenere realtà diverse!”, proclamò Matteo Renzi durante una direzione trionfale del Pd nel 2014. “Reichlin lo ha chiamato il Partito della Nazione” si vantò “deve contenere realtà diverse, da Gennaro Migliore ad Andrea Romano” (per dire l’ambizione che lo animava): era l’epoca che seguiva al 40,8% alle Europee che lo avevano proiettato nei cieli dell’ebbrezza e dell’autoincoronazione. (Nel 2016, Alfredo Reichlin attribuirà a Renzi il “tradimento” di quella idea a favore di una concezione “trasformista di un partito senza storia e senza ideologia che prende i voti dove li trova”).
Era la pastorizzazione del patto del Nazareno, l’Eden dei moderati (“accozzaglia” erano invece gli oppositori della sua bislacca riforma: Rodotà, Zagrebelsky, il Fatto, D’Alema, De Mita, etc.), con lui Sindaco d’Italia (altra perla della sloganistica di allora) a capo di una legione di politici rivitalizzati dalla comparsa del Napoleone a cavallo di una Smart, capaci di superare le vecchie e stantie distinzioni tra destra e sinistra, uniti soltanto dalla acquiescenza al carisma seduttivo del leader. Il quale peraltro invitava la minoranza del Pd, stranamente riottosa, ad andare alla Leopolda a rendergli omaggio nella celebrazione del grande omogeneizzato nazionale.
Gli elettori li aveva praticamente in tasca: i comitati per il Sì sarebbero stati “centri di propulsione per far entrare forze fresche”; il premio di maggioranza dell’Italicum sarebbe andato a questo grande listone nazionale (sinistramente risonante).
Sappiamo come è andata a finire. Renzi, in coro con la firmataria della riforma costituzionale, minacciò di ritirarsi dalla politica se avesse vinto il No, gli italiani lo presero in parola e lo mandarono a casa, lui e tutta la sua paccottiglia post-ideologica, salvo poi vederlo ricomparire qualche mese dopo perché, andava dicendo, la gente lo fermava sugli skilift pregandolo di tornare in sella, infatti l’anno dopo dal Pd transumarono 6 milioni di voti e sotto la sua salvifica guida il partito sprofondò al 18%.
Ma, come dice il Nostro, il tempo è galantuomo. Una speciale alchimia ricombinatoria ha fatto sì che egli riuscisse oggi, nel pieno di una pandemia che ha fatto 80 mila morti, a ricompattare la Nazione sotto l’insegna del suo nome.
Un sondaggio Ipsos per DiMartedì rileva che il 73% degli intervistati pensa che con la manfrina della crisi Renzi stia perseguendo i suoi interessi; solo il 13%, probabilmente una ridotta di padroncini di Confindustria e di alieni mischiatisi ai terrestri al fine di sterminarli, pensa che lo faccia per il bene del Paese. Altri sondaggi lo danno ultimo nella classifica di gradimento personale col 10%, mentre il suo partito di statisti è dato al 2,8%, sotto il partito di Calenda.
Gli italiani (e non solo: all’estero lo chiamano “il disturbatore d’Italia”) hanno capito in massa l’assurdità di una situazione in cui un leader ridotto in tale stato decide che il presidente del Consiglio in carica si deve dimettere e il governo cadere a favore di un altro composto da figure a lui gradite, e che nel momento in cui si dovrebbe parlare solo di vaccini si dia ascolto alle fantasie di rivalsa di un soggetto in chiaro deficit di attenzione che ogni giorno ne inventa una per ricattare il governo.
Un giorno è la task force; un giorno il Recovery; il giorno dopo gli emendamenti; poi il Mes; poi che non facciamo 200 mila vaccini al giorno (ce ne arrivano 490 mila a settimana); poi il Ponte sullo Stretto (perché “la nostra è una battaglia di idee”); poi che al governo manca l’anima; poi che Conte appoggia Trump e lo Sciamano; poi la liturgia democratica. A un certo punto è parso che Conte volesse dare delle poltrone a Iv che non le voleva. Ieri (507 morti), in una conferenza stampa surreale, si è capito che il problema principale sono le dirette Facebook e le storie Instagram di Conte (lo batte anche in quelle), per cui le due ministre (mute) e il sottosegretario Scalfarotto (invisibile, 1,6% in Puglia) sono stati fatti dimettere, secondo i capriccetti del capo. “Andrò all’opposizione”, aveva detto il perdente maximo nel pomeriggio (il che vuol dire fare esattamente le stesse cose che fa dall’agosto 2019): adesso cosa farà?
Forse è finito il tempo della convivenza con questo virus ed è ora di pensare al vaccino per liberarsene definitivamente. Dopo anni di tentativi falliti, Renzi è finalmente riuscito a unire l’Italia nel disprezzo unanime per la sua persona. È un Partito della Nazione anche questo.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/14/renzi-il-perdente-maximo-contro-cui-vaccinarci/6065098/