mercoledì 4 marzo 2015

Russia, io non so chi ha ucciso Boris Nemtsov. - Giulietto Chiesa

People attend a march to commemorate Kremlin critic Nemtsov in central St. Petersburg
Può sembrare banale dirlo, ma, con i tempi che corrono non lo è affatto: io non so chi ha ucciso Boris Nemtsov. Ma, poiché se ne deve parlare, essendo evidente l’eccezionale importanza del delitto, avvenuto a poche centinaia di metri dal Cremlino (non credo sfugga a nessuno il significato simbolico del luogo del misfatto), non resta che affidarsi a un freddo uso del normale buon senso. E il normale buon senso dice che Vladimir Putin è stato il bersaglio di questo attentato, insieme alla Russia che egli sta guidando in questo periglioso frangente. Ed, essendo il bersaglio, è ben difficile che egli ne sia stato autore, o ispiratore.
Lo dimostra proprio – a posteriori – l’ondata di accuse che sta dilagando su tutti i mass media occidentali. Angelo Panebianco, in un editoriale del Corriere della Sera, è arrivato addirittura a paragonare Putin a Mussolini, e l’assassinio di Boris Nemtsov a quello di Matteotti. Evidentemente Panebianco ha già concluso l’indagine, non si sa con quali elementi. Di certo non con l’uso del buon senso. E, per quanto concerne le analogie, sarebbe utile usarle cum grano salis. 
Bisognerebbe supporre, ad esempio, per seguire Panebianco nel suo ragionamento, che Boris Nemtsov costituisse un serio pericolo per Vladimir Putin. Ma così non era da parecchio tempo. Nemtsov era , al contrario, molto distante dall’apice di popolarità di cui godette quando Eltsin lo nominò primo vice premier del suo governo, ai tempi del suo – di Eltsin – declino alcoolico. Poi fondò il Partito “Unione delle forze di destra” (SPS) e entrò nella Duma, già come oppositore di Putin. Ma alla tornata successiva il suo SPS non raggiunse il quorum elettorale e rimase fuori dal parlamento. Da allora, negli ultimi anni, il declino della sua figura è stato costante. In uno degli ultimi sondaggi d’opinione Nemtsov non era nei primi sei posti tra le personalità di rilievo della politica russa.
Certo era noto, e non poco. Un bell’uomo, di grande fascino, amato dal pubblico femminile, dall’oratoria sciolta ed efficace. Ma non era attorno a lui che, da tempo, si riunivano le frastagliate e divise opposizioni extraparlamentari al governo di Putin. Questo spiega, ad esempio, perché Nemtsov decise di rilanciarsi recandosi in Ucraina e diventando, per un certo periodo, consigliere dell’allora presidente “arancione” Viktor Jushenko. Fallita la rivoluzione arancione, Nemtsov tornò a Mosca, restando in ombra, per riemergere solo l’anno scorso schierandosi contro la politica del Cremlino nella crisi ucraina. Su questa interpretazione – mio malgrado – mi trovo d’accordo con Edward Luttwak: non può essere stato Putin a inscenare questo assassinio, poiché Nemtsov “era sì una delle voci più critiche della politica di espansione di Putin in Ucraina, ma la sua protesta non era assolutamente in grado di minare la popolarità del presidente”.
Fin qui giusto. Del resto tutti i più recenti sondaggi erano lì a dimostrare, con l’86% dei consensi al Presidente in carica, che Putin può stare tranquillo, almeno da quella parte.
E fin qui basta il buonsenso. Ma la macchina comunicativa occidentale è in grado di annullare anche quello, e su larga scala. Così si spiega la rapidissima reazione dello stesso Putin, a poche ore dall’assassinio: una dichiarazione centrata su due pilastri. L’assassinio “è stato commissionato”, e “si configura inequivocabilmente come una provocazione”. Commissionato da chi? Putin non lo dice, per ora. Provocazione per cosa? La risposta l’ha data Mikhail Gorbaciov, ancora una volta arrivato in soccorso del suo nemico: “Per destabilizzare la situazione interna della Russia”.
Qui s’innesta la seconda interpretazione che è corsa anch’essa, in lungo e in largo, su molti media, seconda solo all’affermazione perentoria sulla colpevolezza di Putin. Interpretazione che potrebbe essere sintetizzata in questo modo: gli assassini sono da ricercare in Russia, tra gli ultra-nazionalisti russi; oppure tra i russi che volevano che Putin intervenisse militarmente in Ucraina, a difesa del Donbass; oppure in settori dei servizi segreti russi, anch’essi scontenti per la “debolezza” di Putin di fronte all’Occidente. In realtà sono varianti della stessa cosa. Che serve a un doppio scopo: concentrare l’attenzione “sull’interno”, affermando l’esistenza di un’altra frattura della società russa; e allontanando perfino l’idea che possa trattarsi di qualcosa che è venuto dall’esterno”.
Tutto è naturalmente possibile, ma dovrebbe essere suffragato da qualche elemento di prova o, quanto meno, di analisi. Ora ciò che è visibile è, al contrario, un consistente appoggio a Putin proprio dei settori nazionalisti, di tutti i settori nazionalisti russi. Non si è vista traccia, in tutti questi mesi di durissimo scontro tra l’Occidente e la Russia, di un’opposizione a Putin da parte di settori dell’esercito e delle cosiddette “strutture della forza”. L’ipotesi è dunque peregrina, anche se a sostenerla sono in molti, insieme a Edward Luttwak.
E non è a questa ipotesi che pensa Vladimir Putin. Lo sappiamo perché proprio lui aveva avanzato quella di un intervento “dall’esterno”. Lo fece, in pubblico, il 28 febbraio del 2012, durante un talk show. “Queste tattiche le conosco da tempo – disse – soprattutto quelle di chi sta all’esterno (…) Lo so: cercano una vittima sacrificale tra qualcuna delle personalità più in vista, per poi mettere sotto accusa i poteri dello Stato. Sono capaci di tutto. E lo dico senza alcuna esagerazione”. Ed era – si noti – il 2012, quando la crisi in Ucraina era ancora di là da venire. Putin ragionava però sulla base delle esperienze del decennio appena trascorso: agli Stati Uniti facevano capo una serie di “guerre”, più o meno civili, in Libia, in Siria, in Irak. Mancavano ancora all’appello l’Ucraina e la stessa Russia: l’obiettivo, il trofeo decisivo. Insomma Putin si aspettava che qualcuno, dall’esterno, tentasse di aprire un “fronte interno” per destabilizzare la Russia.
Ecco cosa intende dire oggi Mikhail Gorbaciov.
Ed è strano che, a differenza dei commentatori russi, in Occidente nessuno abbia avanzato l’ipotesi di inquadrare questo assassinio nella strategia americana che punta proprio alla demolizione di Vladimir Putin. Strano davvero. I commentatori “complottisti” di tutti i giornali occidentali manifestano qui una singola distrazione, o carenza d’immaginazione.
E c’è, infine, l’inquietante circostanza dell’intervista che Boris Nemtsov rilasciò al giornale online Sobesednik il 2 marzo del 2014, nella quale egli affidava alla preoccupazione della madre, la sua propria: di essere ucciso proprio da Putin. All’intervistatore, che lo incalzava, rispose che sì, anche lui “un poco” temeva questa eventualità. Quasi un tremendo, involontario suggerimento a chi – non sappiamo sotto quale meridiano – stava appunto cercando una “personalità in vista” da trasformare in “vittima sacrificale”.

8 commenti:

  1. Fiorenzo Intagliata 11:29

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    Mi pare proprio, come dice g. chiesa, che questa uccisione non giovi a putin, e non sarebbe stata commessa nei pressi del cremlino, se avesse quella origine; ma i dubbi rimangono: quando vi è una necessità preponderante, gli inconvenienti anche gravi passano in secondo piano.

    (Cit: …L’opposizione continua a individuare il movente dell’omicidio nel report che Nemtsov stava scrivendo sulle responsabilità di Mosca nel conflitto ucraino. Ilya Yashin, uno dei dirigenti del suo partito, ha annunciato che il rapporto verrà pubblicato, malgrado gli inquirenti russi avessero sequestrato il computer di Nemtsov dopo la sua morte. “Ho alcune idee su come mettere insieme i pezzi del rapporto, anche se non si può fare in pochi giorni”, ha precisato Yashin).

    Vedremo. Ma le indagini sono in mano a putin; chissà se avranno un esito persuasivo e chiarificatore. È più facile che il fatto rimanga oggetto di congetture.

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  3. Cettina de giosa
    Ieri alle ore 18:09
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    Io non credo che Putin abbia tutta questa voglia di entrare in conflitto con il mondo intero. Chi ha interesse a scatenare una guerra planetarie non è certo Putin. E il sospetto che dietro tutto ciò che sta succedendo ci sia la mano dei servizi segreti americani è sempre più radicata. 

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  4. Fiorenzo Intagliata
    Ieri alle ore 18:23
    1

    Nonostante la dissoluzione dell'Unione Sovietica, la tensione tra i due blocchi non è diminuita. Putin non vuole certo la guerra, ma tenta di estendere la sua influenza territoriale anche in modo proditorio, perchè sente la pressione delle forze usa-nato che lo mette in enorme imbarazzo. Che si diano maggiori ragioni all'uno o all'altro, rimane il fatto che il gioco si è fatto pesante e non certo pulito da entrambe le parti; anche sullo scacchiere petrolifero, dall'Iran al golfo persico e alla libia.

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  5. Cettina de giosa
    16:04
    1
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    Gli Usa, in debito d'ossigeno per una crisi economica di epiche ripercussioni, hanno l'urgenza impellente di intraprendere una guerra a livello planetario. Sappiamo bene come le guerre rappresentino un grosso business per chi le intraprende. Io sono sempre più convinta che siano gli USA a provocare e volere una guerra. Gli USA manifestano da sempre la volontà di governare il pianeta e di appropriarsi, al contempo, di tutte le materie prime e le ricchezze che esso produce. 

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  6. Fiorenzo Intagliata
    17:37
    1

    Essendo stata sempre l'america la prima potenza mondiale, è naturale che il popolo americano voglia l'egemonia; ma non attraverso la guerra: la politica guerrafondaia di Bush è stata disapprovata dall'opinione pubblica, e ciò ha portato all'elezione di Obama, che non è un repubblicano. Purtroppo lui non può fare di testa sua, deve mediare, perchè il quadro politico è fortemente condizionato dalle lobbies.

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  7. Cettina de giosa
    18:23
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    Son certa che ad Obama non dispiaccia affatto "dover" mediare con le lobbies... Io non vedo sostanziali differenze tra lui e Bush: il primo media per convenienza, il secondo rappresentava egli stesso le lobbies.

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  8. Fiorenzo Intagliata
    06 mar 2015
    1

    Logicamente tutti quelli che sono al potere pensano in primo luogo a rafforzare il loro potere. Se poi sono statisti di grande valore (il che è raro) sapranno anche ottenere dei vantaggi di portata generale.

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