martedì 16 febbraio 2010

Per non dimenticare - Mani pulite - tangentopoli.



In formato pdf l'articolo de "l'espresso" dell'8 marzo 1992:


Per una visione più ampia:


Dal 1992 nulla è cambiato, o quasi, forse solo le denominazioni dei partiti, non certo il comportamento dei politici.

lunedì 15 febbraio 2010

Chi è chi?

Siamo nell'era delle grandi opere:

Il G8 in Sardegna, poi trasferito all'Aquila,

il ponte sullo stretto,

le centrali nucleari,

tutto a nostre spese, contro la nostra volontà.

Ora abbiamo capito perchè: ce lo hanno insegnato, sghignazzando alle tre di notte, i potenti d'Italia, mentre la gente moriva sotto le macerie all'Aquila!

Ora sappiamo anche che sono i potenti di turno a decidere da chi dobbiamo essere governati, i nostri "consensi" non hanno alcun valore, non ne hanno neanche le ideologie: sono soltanto "loro" a decidere per noi.


I Bertoladri - Marco Travaglio

L'Aquila è degli aquilani!



Di sicuro Gianni Letta ha accesso alle carte a noi negate, perché sugli atti della Protezione Civile, è esplicitamente negato l’accesso a tutti, fuorché al Governo. Lo dichiara la stessa Protezione Civile: quando anche gli Amministratori locali aquilani hanno richiesto l’accesso agli atti, gli è stato risposto che NON SI PUO’.

Allora, visto che ormai le chiacchiere stanno a zero, cogliamo l’occasione per chiedere l’accesso a questi atti, e per vedere con i nostri occhi, se quel che dice Letta è vero. Non è più tempo di riconoscere fiducia incondizionata verso chicchessia.

Abbiamo il diritto di sapere, ed il Governo ha il dovere di farci sapere, chi sono i personaggi che con noi stanno guadagnando, e guadagneranno negli anni a venire, fior di miliardi.

Ogni reticenza riguardo questo tema, ed il mancato accoglimento di questa domanda più che mai legittima, non dovrà essere sottovalutato.

Non c’è nessuna valida ragione per proseguire con questo andazzo, se non quella di coprire, eventualmente, scorrettezze procedurali, o coinvolgimenti diretti o indiretti di personaggi che oggi a L’Aquila rischierebbero il linciaggio sulla pubblica piazza.

Se non c’è nulla da nascondere od omettere, si realizzi quella trasparenza che chiediamo da mesi!

http://stazionemir.wordpress.com/2010/02/13/trasparenza/

venerdì 12 febbraio 2010

E' l'ora dei Bertoladri. Mazzette da Roma a Milano. - Marco Travaglio

12 febbraio 2010

Più intercettazioni escono, più si capisce perché le vogliono abolire. Non c’è niente di meglio che ascoltare la nostra classe dirigente, anzi digerente, e i nostri imprenditori, anzi prenditori, per capire da chi siamo governati. Eppure, grazie alle inchieste di Espresso, Repubblica, Annozero, Report e Il Fatto, chi fossero Bertolaso e la sua band si poteva intuirlo.

Solo un’informazione serva e salivare poteva scambiare questo bluff semovente, travestito da calciatore della Nazionale, per “un servitore dello Stato nel mirino dei giudici” (Vespa, Pompa a Pompa), “il virgilio delle catastrofi, la straordinaria normalità, jeans&polo, voce piana e forte appeal, l’uomo che piace a tutti tranne che ai magistrati che provano a inzaccherargli la divisa” (Mario Giordano, Libero anzi Occupato), “un efficace organizzatore” (Sergio Romano, Pompiere della Sera), “un tecnico capace ed efficiente” (Littorio Feltri, il Geniale), “l’homus berlusconianus (sic), quello del ‘basta con le chiacchiere’, della politica del fare, dei metodi spicci, lo zar di tutte le emergenze” (Peppino Caldarola, Il Riformatorio), “un uomo che fa del bene e quindi viene perseguitato” (il Banana).

Ora, grazie alle intercettazioni, anche i non vedenti e i non scriventi sanno chi è e di chi si circonda: un cenacolo di stilnovisti che, molto fisionomisti, si autodefinivano “cricca di banditi”, “immersi in un liquido gelatinoso ai limiti dello scandalo”, “combriccola”, “gente che ruba tutto il rubabile”, “bulldozer”, tipi “da carcerare”. Infatti sono stati accontentati. Siccome anche la toponomastica ha un peso, l’appaltatore-elemosiniere di Bertolaso, Diego Anemone, risiede in via Regalìa: più che un indirizzo, una vocazione. Infatti, per rastrellare contanti per gli incontri con San Guido, si rivolgeva a un prete, don Evaldo, per gli amici “don Evà”. Ma le mazzette erano soprattutto in natura, ultima evoluzione di Tangentopoli: fuoriserie e aerei a sbafo, ristrutturazioni e divani gratis, escort e massaggi tutto compreso, assunzioni di figli e domestici. Ecco, la famiglia prima di tutto: Angelo Balducci, uno dei BertoBoys, tenta di piazzare il figlio: “Compie 30 anni e io mi chiedo come padre: che ho fatto per lui? Un cazzo”.

Un genitore esemplare. La regola è non pagare mai il conto: quando Anemone in versione marina organizza soggiorni all’Argentario per Carlo Malinconico, segretario generale di Palazzo Chigi e poi presidente degli Editori di giornali, precisa: “Mi raccomando, non è che si distraggono e gli fanno il conto!”. Non sia mai. In altre telefonate sembra di riascoltare i furbetti del quartierino. Fazio: “Ho messo la firma”. Fiorani: “Tonino, sono commosso, io ti ringrazio... ho la pelle d’oca... ti darei un bacio sulla fronte ma non posso farlo... prenderei l’aereo e verrei da te, se potessi”. Ora un altro dei BertoBoys, Fabio De Santis, meravigliosamente definito dalla burocratjia della Protezione civile “soggetto attuatore”, dice ad Anemone: “Dammi un bacio sulla fronte”. Anemone va un po’ più in giù: “Dove vuoi, pure sul culo se mi dai una buona notizia”. Altri ingredienti ricordano i sistemi di Bancopoli, Calciopoli e Parmalat, col controllo sulle sole variabili impazzite rimaste: non il Pd, figuriamoci, ma i pochi giornalisti e magistrati che ancora fanno il proprio mestiere. Il giornalista spione riferisce quel che sta per scrivere Fabrizio Gatti sull’Espresso, mentre – secondo l’accusa – il procuratore aggiunto di Roma Achille Toro spiffera notizie agl’indagati (l’avevano già pizzicato nel caso Unipol, infatti coordinava le indagini sui grandi eventi). Completano il quadro le “ripassate” di Bertolaido a Francesca e a un’altra signorina (“una fisioterapista di mezza età”, garantisce il premier, sempre informatissimo), ma a scopo di “terapia” per “riprendermi un pochettino”. E aggiungono un tocco di berlusconianitudine al tutto (il listino del Beauty Salaria include il “trattamento fango”, 65 euro tutto compreso). Ce n’è abbastanza per l’immediata nomina di San Guido a ministro, con legittimo impedimento incorporato: un Bertolodo.

da Il Fatto Quotidiano del 12 febbraio 2010

Cemento e beauty. Il club esclusivo di Bertolaso - Marco Bucciantini

Il posto della «ripassata» accoglie la fiumana di clienti con uno slogan evocativo: «Oltre l’immaginazione». Che corre fra le luci sfocate e armoniose del centro benessere e sale per una scala curva, dove un tizio si fa posto con l’asciugamano stretto in vita. Chissà se è diretto nella «stanza dei sogni», quella con il cielo stellato (gli adesivi li vendono in qualunque cartoleria), o se invece finirà spalmato d’olio nella cabina che avvolge con lo scenario dell’oceano. Al ricevimento, Maria ha già deciso: «È tutta merda...queste sono brave persone». Laura - la segretaria citata nelle intercettazioni - non c’è. Tutti vogliono Francesca: «Non sappiamo chi sia», mentono le numerose e sorridenti ragazze del personale. Qui, nelle stanze del primo piano, secondo i magistrati, Guido Bertolaso veniva all’incasso dei suoi favori, come dimostrerebbe la telefonata del 21 novembre 2008: «Sono Guido, buongiorno...sono atterrato in questo istante dagli Stati Uniti...se oggi pomeriggio Francesca potesse...io verrei volentieri...una ripassata».

Più d’una, scrivono i giudici. «Andavo allo Sport Village per delle sedute di fisioterapia - dice il capo della Protezione civile al Tg2 - e Francesca è una signora perbene alla quale ricorrevo per lo stress che ogni tanto mi colpisce». Massaggi o ripassate, venivano consumati nel centro benessere di proprietà di Diego Anemone e gestito da Simone Rossetti. I due - 50 giorni prima della ripassata - avevano organizzato «una cosa megagalattica per Bertolaso: con due, tre “situazioni”...di qualità...a lui piace così, eh la Madonna!».

«Devo accompagnarvi fuori». Il Salaria Sport Village è sulla statale, al chilometro 14,500, dove un cartello sulla destra annuncia l’abitato di Settebagni. I tre mila soci sono protetti da una pattuglia sparsa di guardie private. Dunque Francesca c’è, «sì, è una ragazza mora, ha meno di 30 anni». Ma è una caccia piccola in un posto enorme dove oggi il sospetto è massimo: buffo, intorno è tutto pressoché “illegale”, costruito in deroga sul greto esondabile del Tevere, esentasse, e una parte (l’ultima) della struttura infatti è sequestrata da otto mesi. Però i giornalisti non possono starci. Ecco invece cosa c’è: 8 campi da tennis, 5 campi di calcio di varia grandezza, piscina olimpionica, palestra da 2 mila metri quadri, bar, centro benessere, parcheggi, foresterie (41 camere), spogliatoi per diverse squadre di pallanuoto. Fermiamoci qui: foresterie e spogliatoi (sotto sequestro).

Sono una parte della ristrutturazione da 37 milioni di euro e furono giustificate così: «Serviranno agli atleti e alle Federazioni per gli allenamenti durante i Mondiali di nuoto». Ovviamente non s’è visto nemmeno un atleta, ma con quest’astuzia la ristrutturazione rientrò nella zona grigia delle ordinanze per i grandi eventi della Protezione civile. E 160 mila metri cubi di lavori sono stati realizzati senza un documento: in deroga. Anche al piano regolatore cittadino, nonostante una sentenza della Cassazione vietasse questa protervia perfino alla Protezione civile, qualora si fossero compiute opere durevoli (e questa è indelebile).

La firma del protocollo è dell’autunno del 2008, nei giorni delle telefonate fra i gestori e Bertolaso che vorrebbe la ripassata, e Anemone che sprona un “allarmato” Rossetti: «Ci costerà qualche soldino...». «Non me ne frega un cazzo», risponde l’altro. Ne frutterà molti di più. Rossetti s’adegua e la sera del 14 dicembre chiude il villaggio al pubblico e fa giungere una donna di nazionalità brasiliana, di nome Monica («una prostituta», scrivono i magistrati) che intrattiene Bertolaso. Il protocollo d’avvio per i lavori lo firma il commissario delegato per i Mondiali di nuoto Claudio Rinaldi, che ha sostituito Angelo Balducci, padre di Filippo, uno dei proprietari (l’altro è Anemone) della Società sportiva romana Srl che ha fondato questo villaggio.

Il Tevere scorre rapido dietro il campo di calcio. La terra è tenera, vietata. È l’Agro romano, nell’alveo del fiume: non si può costruire. Invece lo fanno, sfacciatamente, acquistando questi terreni come agricoli - quindi a prezzo stracciato - nel 2005. Beffando le proteste dei cittadini di Settebagni e di Castel Giubileo, l’esposto di Italia Nostra (in procura) e le denunce politiche (fra tutti: il consigliere Pd nel IV municipio Riccardo Corbucci). Sul cartello del cantiere non c’era nessun permesso, ma solo l’autorizzazione del commissario Angelo Balducci. Lui stesso aveva “retto” l'istruttoria per decidere se costruire o meno. A quella conferenza arrivò il parere contrario di Comune e Provincia di Roma. Se ne fregano, e vanno avanti, risparmiando anche gli oneri accessori che su 37 milioni di lavori preventivati porterebbero nelle casse del Comune almeno 8 milioni di euro, da usare per opere pubbliche, di servizio: l’esoso Sport Village non può esserlo.

Così nel settembre del 2008 Bertolaso ripassa e cominciano i lavori: vengono assegnati alla Redim 2002, di proprietà della signora Vanessa Pascucci, toh, la moglie di Balducci. Deve costruire nuove piscine, le camere, il campo da golf e il campo per il tiro con l’arco. Le frecce cercatele nel fondo del Tevere.



giovedì 11 febbraio 2010

La vergogna di dirsi berlusconiani - Massimo Fini

Con Berlusconi si manifesta un singolare fenomeno, già noto ai tempi della Democrazia cristiana. Negli anni Sessanta e Settanta erano rarissimi quelli che ammettevano di votare Dc. Ma il partito del "Biancofiore, simbol d’amore" prendeva regolarmente, a ogni elezione, il 30 per cento dei suffragi. Evidentemente chi lo votava se ne vergognava.

Così è con Berlusconi. Nei bar, nelle palestre, in piscina, ai bagni o in qualsiasi altro ritrovo pubblico che raccolga un po’ di gente, nessuno, anche quando il discorso cade sul politico, dice di votare Berlusconi.

E anche fra i giornalisti, a meno che non siano i giannizzeri del
Giornale, diLibero, di Panorama, e pure qui non sempre, nessuno ti dice apertamente che sta con Berlusconi. Un poco se ne vergognano, anche loro.

Ma i
berluscones si smascherano in modo indiretto. Se uno ha in orrore Di Pietro, considerandolo il vero "cancro morale" di questo paese, è molto probabile che sia un berluscones. Se vi aggiunge Marco Travaglio ne hai quasi la certezza. Se ci mette anche Giorgio Bocca è matematico.

Per Di Pietro la cosa si capisce, perché è l’unico, vero, contraltare politico del Cavaliere e, per soprammercato, porta avanti il discorso della legalità. E i
berluscones detestano la legalità, naturalmente quando si pretende di richiamarvi "lorsignori", per gli altri c’è la "tolleranza zero".

Sono i liberali alla
Ostellino, alla Galli della Loggia, alla Panebianco, i liberali da Corriere della Sera (scriveva un indignato Panebianco ricordando l’orribile stagione di Mani Pulite: "L’opera di repressione non doveva più occuparsi prevalentemente, come aveva sempre fatto, dei ‘deboli’ e dei reietti, ma poteva rivolgersi anche ai potenti" – Corriere della Sera, 20/9/1999 – e in un altro pregevole scritto "Non parliamo d’altro che di 'corruzione', 'concussione', 'abuso di ufficio' e non ci accorgiamo dei reati di vero allarme sociale che sono quelli della microcriminalità", e ancora "La legalità, semplicemente non è, e non può essere, un valore in sé" – Corriere, 16/3/1998).

Peraltro l’orrore per il "giustizialista" (altra parola magica che smaschera il
berluscones occulto) Di Pietro è un poco contraddittorio. L’intera classe politica attualmente in sella, berluscones in testa, non esisterebbe se non ci fosse stato il "giustizialista" Di Pietro. Particolarmente grottesca è l’avversione a Di Pietro degli ex Msi, ex An, oggi Pdl che, dopo essere stati espunti per decenni dalla politica con la truffa dell’"arco costituzionale", tornarono all’onor del mondo proprio grazie aMani Pulite.

Dove sarebbe oggi, senza Di Pietro, per esempio l’onorevole
La Russa, disonorevole ministro della Difesa? Sarebbe ancora nelle catacombe a fare il "cattivo maestro" di ragazzi che poi, sotto quelle suggestioni, andavano magari a rovinarsi tirando qualche bombetta (Murelli e Loi).

Travaglio è scontato. Sulla legalità ha un rigore torinese, jansenista. Sia a destra sia a sinistra per la verità, ma il berluscones non va tanto per il sottile. Quando però gli chiedi cosa rimprovera a Travaglio, farfuglia. Il massimo che riesce a dire è che "con i libri su Berlusconi ci ha fatto i soldi". Che è come dire che Sciascianon doveva fare le denunce di Todo modo perché quel libro ha venduto.

Ma il più incomprensibile, e quindi il più significativo, è
Giorgio Bocca. Se in una conversazione salta fuori, per qualsiasi motivo, il nome di Bocca, ilberluscones occulto cade in deliquio, fa il ponte isterico, gli viene la schiuma alla bocca e manca poco che venga preso da una crisi epilettica. Eppure Bocca è stato il primo giornalista italiano di sinistra, ma anche non di sinistra, a denunciare sulGiorno, in un memorabile reportage degli anni ‘60, che cosa fosse realmente la gloriosa Unione Sovietica.

Meriterebbe un posto d’onore nel mondadoriano e berlusconiano opuscolo "Il libro rosso degli orrori del comunismo". Invece i
berluscones lo odiano. E si vedono anche delle sciacquette del giornalismo nostrano, gente che ha cominciato a scrivere editoriali, cioè temi da liceo, a vent’anni, e a trenta, non avendo fatto alcuna esperienza sul campo, non san più che dire, storcere il naso di fronte al nome di Giorgio Bocca e alla sua straordinaria carriera che gli permette, alle soglie dei novant’anni, di essere ancora perfettamente lucido sulla pagina.

"Non devo alcun rispetto a Bocca" scriveva tempo fa un pinchetto di cui non ricordo il nome, poniamo un
Facci qualsiasi, mentre dovrebbe fare i gargarismi prima di pronunciare il suo nome invano. Comunque sia un indizio è un indizio. Tre indizi (Di Pietro, Travaglio, Bocca) fanno una prova.

Quindi se vi capita in casa un tipo mellifluo, che affetta equidistanza, ma quando sente i nomi di quei tre ha reazioni da demonio finito in un’acquasantiera, potete andare sul sicuro: è un
berluscones doc. E cacciatelo a pedate nel culo perché non ha nemmeno il coraggio civile di essere ciò che è.

Da
il Fatto Quotidiano dell'11 febbraio