venerdì 18 giugno 2010

Pezzi di trattativa: Massimo Ciancimino




di Claudio Forleo

Vito Ciancimino è stato un "uomo d'onore" per quasi mezzo secolo. Se Cosa Nostra a Palermo è riuscita a fare una montagna di denaro lo deve anche a don Vito che, da assessore ai Lavori Pubblici (con Salvo Lima sindaco), concesse in quattro anni oltre 4mila concessioni edilizie, tutte alle stesse ditte legate alla mafia: è il cosiddetto "sacco di Palermo".

Vito ha tre figli, uno di questi si chiama Massimo. Il padre nel corso degli anni ha accumulato un capitale difficile da quantificare e che dopo la sua morte, avvenuta nel 2002, è stato gestito dal figlio. A questo proposito Massimo è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Palermo a 5 anni e tre mesi per riciclaggio. Oltre a conservare, e a quanto pare riciclare, il suo denaro custodito in diverse banche all'estero, Massimo è stato anche il confidente del padre. Ha visto tante cose, ha sentito tanti discorsi e, soprattutto, è "custode" delle carte del genitore. Carte che potrebbero far tremare dalle fondamenta la Seconda Repubblica. Il tema è sempre lo stesso: la trattativa fra Stato e Cosa Nostra.

Fino al 2007 Ciancimino junior si è difeso nel suo processo ma poi, incalzato dai magistrati, ha iniziato a parlare di altri argomenti. Nel 2005 la Procura di Palermo era passata dalle mani di Piero Grasso (assunto a Procuratore Nazionale Antimafia e recentemente confermato dal Csm per un secondo mandato) a quelle di Francesco Messineo. Ciancimino inizia a parlare delle istituzioni, tema mai toccato dalla precedente gestione Grasso durante la quale casa Ciancimino era stata perquisita ma senza che i Carabinieri toccassero il contenuto di una cassaforte ben visibile nell'abitazione. Come quando il Ros "dimenticò" di sorvegliare il covo di Riina e perquisirlo. Un deja vù.

Nel febbraio 2005, ancora durante la gestione Grasso, a casa Ciancimino era stato trovato un documento scottante. Una lettera scritta da Bernardo Provenzano e indirizzata al Presidente del Consiglio di allora e di oggi. Una lettera, tagliata quasi a metà, in cui si legge: "... posizione politica intendo portare il mio contributo (che non sarà di poco) perché questo triste evento non ne abbia a verificarsi. Sono convinto che questo evento onorevole Berlusconi vorrà mettere a disposizione le sue reti televisive". Secondo i magistrati la lettera poteva essere scritta da ''uno che sa scrivere, sotto la dettatura di uno che non sa parlare''. Ovvero come se l'avesse scritta Vito Ciancimino sotto la dettatura del boss Provenzano. Poi l'esame calligrafico ha escluso che a scriverla fossero stati tanto don Vito quanto il figlio. Che sia davvero di Provenzano?

Nessuna domanda è stata posta a Massimo Ciancimino dall'allora Procuratore di Palermo Piero Grasso a proposito di quella lettera. Nè da lui nè da Giuseppe Pignatone, attualmente procuratore capo a Reggio Calabria, che allora faceva parte della Procura di Palermo e che condusse molti di quegli interrogatori con Ciancimino

La lettera viene dimenticata negli archivi della Procura per quattro anni. Nel 2009 Messineo la trova e riesce, sul filo di lana, a farla depositare agli atti del processo d'appello per concorso esterno in associazione mafiosa a carica di Marcello Dell'Utri. Quando Ciancimino jr. vede la lettera "sbianca". Capisce che sta per entrare in un terreno pericoloso. Ma poi inizia a parlare e pare riesca a "ricostruire" a memoria il resto della lettera. In ogni caso afferma di avere la copia di quella lettera, nella sua versione integrale, fra le carte del padre custodite all'estero.

Ciancimo racconta anche dei rapporti tra don Vito e il colonnello Mario Mori nel giugno del 1992, fra Capaci e Via D'Amelio. In pratica il momento in cui lo Stato inizia a tessere la trattativa con Cosa Nostra. Ma racconta anche che suo padre, agli arresti domiciliari dal 1993 per una condanna a 13 anni, ha intrattenuto rapporti con Bernardo Provenzano e lo avrebbe incontrato spesso almeno fino al 2000. Ciancimino jr non sapeva chi fosse quell'uomo che lui conosceva come l'ingengner Lo Verde. Poi lo riconobbe da un'identikit pubblicato su un giornale e chiese conferma al padre: si, era lui, il capo di Cosa Nostra.

Il testimone diretto della trattativa è un fiume in piena: racconta di aver visto il "papello", vale a dire quel foglio di carta sul quale Cosa Nostra (Riina) aveva scritto le richieste che lo Stato avrebbe dovuto esaudire per vedere la fine della strategia stragista. Una copia originale del "papello" è stata consegnata da Ciancimino ai magistrati nell'ottobre del 2009.

Il figlio di don Vito racconta anche dell'altro. Ad esempio il coinvolgimento dei servizi segreti, di un tale "Carlo" o "Franco" che per anni è stato una sorta di ombra del padre. Spiega come Vito fosse sicuro che durante la trattativa dietro Mori ci fosse una "copertura politica". E dice che quella lettera di Provenzano a Berlusconi non è l'unica, ma che complessivamente sarebbero tre. Una dell'inizio e un'altra alla fine del 1992, l'ultima nei primi mesi del 1994. Prima e dopo le stragi e prima delle elezioni politiche del marzo 1994 che videro la vittoria della coalizione guidata da Berlusconi.

Se nella lettera trovata dai Carabinieri a casa Ciancimino Provenzano si rivolge a Berlusconi chiamandolo "onorevole" viene naturale pensare che quella sia la lettera numero tre.

E cosa significa "mettere a disposizione le televisioni"? Secondo Marco Travaglio gli attacchi quotidiani riservati alle reti Mediaset alla Procura di Palermo guidata dal 1993 da Giancarlo Caselli, e impegnata a istruire i processi contro Dell'Utri, Andreotti e Contrada, sono più di un indizio. Vittorio Sgarbi, conduttore su Canale 5 di una rubrica quotidiana chiamata "Sgarbi Quotidiani" arriverà a definire "assassino" il procuratore Caselli. Una diffamazione continua nei confronti di tutta la Procura di Palermo che si fermò nel 2000 quando alla guida della stessa arrivò Piero Grasso, lo stesso che non si curò della lettera di Provenzano a Berlusconi, dimenticandola in archivio e non ponendo, o facendo mai porre, mai alcuna domanda a Massimo Ciancimino.

Ma la questione principale è un'altra: per quale motivo Cosa Nostra aveva la certezza che una lettera della mafia sarebbe arrivata all'attenzione dell'allora imprenditore Berlusconi? Secondo il figlio di don Vito la catena di comunicazione fra Provenzano e Berlusconi seguiva questo iter: il capo di Cosa Nostra – Vito Ciancimino – Marcello Dell'Utri – l'attuale Presidente del Consiglio.

Oltre al papello, alla lettera e ai ricordi, non vanno dimenticate le carte custodite da Massimo Ciancimino nelle cassaforti delle banche estere. Secondo Peter Gomez e Marco Lillo esisterebbe una sorta di manoscritto di don Vito Ciancimino. I due giornalisti sostengono che "ci sarebbero elementi documentali sul ruolo che svolse negli anni Settanta e Ottanta Ciancimino per portare capitali mafiosi dentro queste società di Milano o di Milano 2, Banca Rasini, famiglie Buscemi, Bonura, Teresi, Bontate". La Banca Rasini, nella quale ha lavorato per anni Luigi Berlusconi, padre del premier, come procuratore con potere di firma, è stata indicata da Michele Sindona come una delle banche preferite dalla mafia per riciclare i proventi. Tra i clienti più "illustri" vale la pena di citare Totò Riina, Bernardo Provenzano e Pippo Calò, il cassiere di Cosa Nostra.

Che le carte di Ciancimino possano soddisfare la domanda alla quale Berlusconi ha rifiutato di rispondere nel 2002? Interrogato dai magistrati di Palermo sulle origini misteriose dei capitali sui quali ha fondato il suo impero, l'attuale Presidente del Consiglio rispose: "Mi avvalgo della facoltà di non rispondere".

Tra il 1975 e il 1983 una cifra pari a circa 300 milioni di euro di provenienza innota transitò su 22 delle 38 holding finanziarie che Berlusconi controllava. Holding, in cui il nome del premier non appariva mai, che saranno la base sulla quale il Presidente del Consiglio darà vita alla Fininvest, la holding principale che è oggi il contenitore che detiene le proprietà del premier, da Mediaset a Mondadori...

Ma, in definitiva, le dichiarazioni di Ciancimino sono da considerarsi attendibili? Lo sono secondo la Seconda Sezione del Tribunale di Palermo che nel gennaio di quest'anno ha condannato per associazione mafiosa l'ex deputato regionale di Forza Italia Giovanni Mercadante. "Ritiene il Tribunale di poter esprimere un giudizio di alta credibilità su quanto dichiarato da Massimo Ciancimino... racconto fluido e coerente, senza contraddizioni di sorta: ogni circostanza riferita ha trovato... ulteriori precisazioni e argomentazioni a riscontro...Quel che è certo e può indiscutibilmente affermarsi nel presente processo è che egli ebbe realmente modo di assistere a incontri tra il padre e Provenzano...che parlavano di affari, appalti, mafia e politica..."

Non è d'accordo invece la Corte d'Appello di Palermo che ha rigettato per due volte la richiesta dell'accusa di ammettere la testimonianza di Massimo Ciancimino nel processo a carico di Marcello Dell'Utri. La Corte, senza ascoltare il figlio di Don Vito, ha considerato le sue parole "generiche e contraddittorie". Giova ricordare che la Corte è la stessa che ha respinto un'altra richiesta. Lo ha ricordato recentemente Marco Travaglio nella rubrica Signornò che il giornalista cura su L'Espresso: "... (La Corte)ha respinto le carte di un'inchiesta a Reggio Calabria da cui risulta che prima delle elezioni 2008 Dell'Utri telefonava al bancarottiere Aldo Miccichè, legato alla 'ndrangheta e rifiugiato in Venezuela, e lo ringraziava per avergli mandato in ufficio a Milano "due bravi picciotti": Antonio Piromalli, reggente del clan omonimo, e suo cugino Gioacchino, avvocato radiato dall'Ordine per una condanna di mafia. Possibile che i rapporti fra Dell'Utri e uomini della 'ndrangheta non interessino alla Corte che lo sta giudicando per mafia? Proprio così: un conto è la mafia, un altro la 'ndrangheta. Richiesta respinta...".

Chi ha paura di Gaspare Spatuzza?


Nei mesi precedenti avevo previsto che, sulla scorta di alcuni segnali editi da questo Governo, la lotta alle organizzazioni mafiose stava subendo un cambiamento di rotta: i vari post pubblicati su queste pagine testimoniano i mie timori. L’esempio lampante è il maxiemendamento sulle intercettazioni.

Non più tardi dell’altro ieri a proposito del maxiemendamento,denunciavo gli effetti negativi se le nuove norme venissero approvate così come licenziate dal Senato. Nell’occorso invitavo tutti gli investigatori a fare lo sciopero bianco, ossia non presentare richieste di intercettazioni. Così la casta può dormire sonni tranquilli.

Oggi la notizia eclatante di escludere Gaspare Spatuzza dal programma di protezione riservato ai collaboratori di giustizia, mi ha convinto ancor di più. Bene!

Se questa decisione non è “togliersi il sassolino dalla scarpa” mi dica lei egregio signor premier Berlusconi cos’è?

Allora, avevo ragione io quando qualche mese fa ho scritto su questo blog “ Calati juncu ca passa ‘a china”! E, sì! ‘a china è proprio passata.

Ma, per favore, anche un bambino e gli adulti che non “masticano” di mafia capiscono che non voler ammettere al programma Spatuzza ha il sapore di farlo “scantare” (spaventare) e non venitemi a raccontare frottole che i 180 giorni previsti sono scaduti: baggianate.

La verità è che Spatuzza ha fatto dichiarazioni contro Dell’Utri e sta, con le sue assunzioni di responsabilità, facendo luce sulle stragi del 92/93. Nello specifico si è assunto la responsabilità della preparazione e partecipazione della strage di via D’Amelio, affermando che uomini dei “servizi” avrebbero assistito all’operazione.

In Un Paese normale la possibilità che finalmente le nuvole che gravavano sulle strage si stanno diradando, sarebbe la norma. Invece da noi si rema contro, ci si attacca ai cavilli di una legge, guarda caso, fatta apposta contro i pentiti. Mi chiedo, ma chi ha paura che la verità si scopra?

Chi ha paura che venga rintracciata l’Agenda Rossa di Paolo Borsellino? Il contenuto annotato è davvero così illuminante per accertare la “trattativa” tra mafia e Stato, ammesso che di questo si tratti?

Ma perché lei On. Berlusconi non intervenga pubblicamente e dica una volta per tutte che la maggioranza del suo governo “vuole accertare la verità sulle stragi”? Mi fa questa cortesia?

Glielo chiedo in nome e per conto di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tutti gli uomini delle Istituzioni, compresi i miei colleghi, assassinati da mano mafiosa.

Però, se accoglie il mio invito, oltre alle dichiarazioni di principio, devono seguire i fatti: e i fatti potrebbero essere quelli di ammettere subito Spatuzza al programma di protezione. Lei On. Berlusconi, dovrebbe dare serenità ad una persona che poteva ben stare zitto, eppure ha dichiarato di essere responsabile, in concorso con altri, della strage di via D’Amelio.

A proposito di pentiti. Già allora quando è stata approvata la legge dei 180 giorni, ho espresso tutta la mia contrarietà. La mia ritrosia alla nuova legge sui pentiti nasceva dall’esperienza fatta nello specifico settore e subito ho intravisto aspetti negativi proprio sul pentitismo. Intravedevo e non a torto, un provvedimento pro mafia.

Durante la mia attività, ho avuto modo di “trattare” taluni pentiti di Cosa Nostra a cominciare da Tommaso Buscetta. Marino Mannoia, Totuccio Contorno, Gaspare Mutolo, Gino La Barbera, Pino Marchese, Giovanni Drago e il padre del piccolo Giuseppe, sciolto nell’acido da Brusca,Santino di Matteo.

Ebbene, proprio in virtù della mia esperienza non ho condiviso la nuova legge e non condivido, oggi, l’esclusione di Spatuzza dal programma. La verità non può subire altre fermate, già siamo in ritardo dolosamente e scientemente per oltre 18 anni.

Ci sono voluti Spatuzza e Massimo Ciancimino per mettere in moto la macchina della verità: macchina che qualcuno vorrebbe fermare. Le minacce di morte a Massimo Ciancimino e l’episodio di Spatuzza, vanno in questa direzione.

http://palermo.blogsicilia.it/2010/06/chi-ha-paura-di-gaspare-spatuzza/


LA MANOVRA CHE CANCELLA LA SINDROME DI DOWN


Sembrerebbe una barzelletta di cattivo gusto, ed invece si tratta dell’ennesima trovata – altrettanto di cattivo gusto – di questo Governo.
Stiamo parlando del decreto legge n. 78 del 2010, meglio conosciuto come “manovra finanziaria”, che nel comma 1 dell’articolo 10,
cancella l’assegno di invalidità per le persone affette dalla sindrome di Down, oltre che per altre numerose categorie di malati ed invalidi. Questo comma, infatti, innalza la percentuale d’invalidità necessaria all’ottenimento del sussidio – per la cronaca 256 euro al mese – da 74% a 85% escludendo di fatto tutti i down che, secondo le tabelle del Ministero della Sanità, hanno un’invalidità pari al 75%.

Incredibile ma vero! Tutte le persone affette dalla sindrome di Down e le loro famiglie, che sino ad oggi hanno contato su questo, pur irrisorio, contributo statale dovranno rinunciarvi, a meno di non essere costretti a farsi riconoscere un’invalidità del 100% (individuata solo a chi, oltre alla sindrome di Down, presenta anche gravi disturbi mentali). Tutto questo però avrà il solo risultato di azzerare tutte le battaglie finora condotte dalle associazioni a tutela dei Down. Con il 100% d’invalidità nessun Down potrà più trovare un posto di lavoro.

Non ci sono altre considerazioni da fare. Si tratta di un provvedimento scellerato e crudele, come purtroppo se ne individuano moltissimi in questo testo, mosso da ragioni altrettanto scellerate. Sì, è evidente la necessità di tagliare dei costi per lo Stato, ma partire discriminando le categorie più deboli sembra veramente un controsenso. Ci si sarebbe aspettati un provvedimento finanziario che combattesse in maniera concreta l’evasione fiscale, gli alti costi della politica, i molti falsi invalidi e invece ci ritroviamo con un testo di legge che penalizza chi già è in difficoltà. Lo fa bloccando per tre anni gli stipendi agli statali, non riconoscendo gli indennizzi per chi è stato danneggiato dallo Stato (e stiamo parlando di tutte quelle persone che si sono ammalate a seguito di una trasfusione sbagliata) e da ultimo negando la possibilità di un sussidio mensile ai malati di sindrome di Down. Per tutte queste ragioni ho deciso di presentare
un’interrogazione parlamentare, cofirmata tra gli altri dal presidente Di Pietro, per chiedere al Ministro dell’Economia di revocare questo comma.

Noi dell’Idv, in attesa di combattere questo testo a colpi di emendamenti nel momento in cui arriverà alle Camere, continueremo a far sentire la nostra voce a difesa degli italiani e dei loro diritti… specie quelli dei più deboli.


http://italiadeivalori.antoniodipietro.com/articoli/salute_e_ambiente/la_partita_che_si_sta.php?notifica