Ho visto in giro un po‘ di video su quello che è successo a Torino.
Chi passa ogni tanto di di qui lo sa, io da sempre sono convinto che le idee sbagliate si combattano con le idee giuste, non con il rumore delle vuvuzele. Almeno, nel mondo in cui vorrei vivere.
Ma aldilà della già discussa questione di base (dove finisce la libertà di espressione di un Dell’Utri e di uno Schifani, e dove inizia la libertà di contestazione di chi desidera contestarli?) a me sembra che quello che sta succedendo adesso (appunto, l’altro giorno Dell’Utri, oggi Schifani e domani chissà) meriti un po’ di memoria su quello che è successo in questo benedetto paese negli ultimi anni.
Sì, perché i festival dell’Unità – oggi del Pd – sono come si sa il cascame di un’epoca in cui, più o meno, i partiti contrapposti si riconoscevano in un’unica Carta costituzionale e in una democrazia parlamentare rappresentativa. Quelli che non facevano parte del cosiddetto ‘arco costituzionale’ erano pochissimi: i missini da una parte e la sinistra extraparlamentare dall’altra. Infatti né i missini né quelli di Lotta Continua venivano invitati ai dibattiti nelle feste dell’Unità.
Non so se mi spiego: c’era, dal Pli al Pci, passando per tutti i partiti che stavano in mezzo, l’idea che la guerra civile fosse alle spalle da venti o trent’anni e che quindi ci si potesse confrontare riconoscendosi in regole democratiche condivise.
A un certo punto tutto questo è saltato.
Perché il potere politico e la gran parte di quello mediatico sono stati ingoiati da un avido gruppo di interessi a cui della Costituzione non fregava proprio nulla. Anzi, cercava (cerca) di liberarsene, se ne fa beffe e produce leggi dello Stato sapendo benissimo che sono incostituzionali, ma intanto salvano la ghirba al capo. Un gruppo di interessi che se ha un avversario non lo invita alle sue feste: lo consegna ai dossieratori di Feltri, lo fa pedinare dalle telecamere delle sue tivù, lo fa seguire dalle sue barbe finte a pagamento. Un gruppo di interessi che se perde le elezioni non riconosce la vittoria dell’avversario. Un gruppo di interessi che perfino i suoi ex alleati definiscono «rancido, servile e popolato di scagnozzi» al soldo del capo.
In questo contesto, sono saltate le regole di civiltà e di confronto: era inevitabile, e le hanno fatte saltare loro.
Mi piace questo? No, mi fa schifo. Al contrario di Beppe Grillo, io non gioisco affatto per quello che è accaduto a Milano. Perché con Grillo stasera stanno festeggiando anche Feltri, Schifani, Previti, Dell’Utri e sicuramente lo stesso Boss che li stipendia.
E perché – di nuovo – voglio vivere in una democrazia dove ci sono due o più schieramenti civili che sanno darsela di santa ragione con le idee, non con i dossier della maggioranza a cui si contrappongono le vuvuzele dell’opposizione.
Ma pare che questo oggi in Italia non sia più possibile.
A questo ci hanno ridotto quindici anni di berlusconismo. E sarà il caso di ricordarcelo e di ricordarlo, quando stasera le tivù – tutte – e domani i giornali – quasi tutti – ci offriranno un tripudio di “condanne”, “sdegni” ed “esecrazioni” per quello che è successo a Torino, senza provare nemmeno un secondo a raccontarci come sono riusciti – loro – ad arrivare a questo.